CRESPELLANI, Arsenio
Nacque a Modena il 14 dic. 1828 dall'avvocato Geminiano, di Savignano sul Panaro, e da Maria Messori, modenese.
Il luogo di origine della famiglia - un agiato casato di provincia - ricchissimo di insediamenti pre-protostorici e romani alimentò nei Crespellani, a cominciare dal tardo Settecento, l'interesse per le ricerche e gli studi archeologici nei quali si distinsero gli zii paterni del C. Domenico e Arcangelo e il fratello Remigio, iniziatori, i primi, a partire dal 1806, di una delle più antiche ed importanti collezioni private di archeologia modenese.
Nella prefazione di un suo Dizionario archeologico del Modenese, rimasto inedito e conservato nell'archivio del Museo civico di Modena, è il C. stesso a raccontarci come nacque in lui la passione per questi studi: "L'atavismo di famiglia, la mia giovinezza passata in un ambiente dove risuonavano spesso i ricordi di scoperte archeologiche importanti e chiassose avvenute nel paese di Savignano dove villeggiavo ed ove spesso venivano cultori di archeologia, mi condussero a poco per volta agli studi" e "invaso dallo spirito febbrile del ricercatore e del collettore estesi le mie ricerche a tutta la modenese provincia...".
Compiuti gli studi secondari nelle scuole pubbliche dirette dai gesuiti, il C. si laureò in giurisprudenza all'università di Modena nel 1853. Ricco di nascita, egli non esercitò mai la professione, ma dedicò tutta la vita alle ricerche e agli studi. Non prese parte attiva alle vicende politiche del ducato estense, mentre negli anni della maturità intenso fu il suo impegno civico nel paese di origine: fu per moltissimi anni sindaco di Savignano, presidente della Congregazione di carità, fondatore della Società operaia; a Modena fu fondatore della Società nazionale di agricoltura e socio promotore della Croce rossa. Presiedette vari comitati cittadini insediati per importanti celebrazioni e fu generosissimo mecenate di giovani, promettenti artisti sprovvisti di mezzi; dedicò tempo, ingegno e patrimonio alle ricerche, agli impegni civili e accademici e all'importantissima raccolta archeologica di famiglia da lui donata al Museo civico di Modena nel 1879.
Morì a Modena il 14 marzo 1900.
Furono decisive per la formazione culturale del C. le frequenti visite che illustri cultori di scienze dell'antichità facevano alla sua famiglia nella villa di Savignano: il card. Giuseppe Mezzofanti, Filippo Schiassi, professore di archeologia all'ateneo bolognese e maestro dell'amico di famiglia mons. Celestino Cavedoni, eminente figura della vita culturale della città ed erudito di notorietà europea. Il C. iniziò le sue prime ricerche storiche nell'archivio del principe Boncompagni a Vignola e gli studi di numismatica sotto la guida del fratello Remigio, buon cultore di archeologia; ma fu il Cavedoni, tipica figura di intellettuale della Restaurazione, ad iniziarlo con metodo alle severe discipline dell'antichità: paleografia, numismatica, archeologia. Fu, dunque, nel clima di una erudizione di stampo settecentesco, chiusa al profondo rinnovamento culturale che andava conquistando l'Europa in quegli anni, che il C., del tutto impreparato all'impatto coi radicali mutamenti culturali che stavano per irrompere nel piccolo Stato, completò la sua preparazione scientifica.
La crisi di cultura che esplose nell'ex ducato estense durante i primi anni dell'Unità con l'arrivo sulla cattedra di zoologia dell'università del giovane evoluzionista trentino Giovanni Canestrini - che in collaborazione col naturalista modenese Leonardo Salimbeni pubblicherà, proprio a Modena, nel 1864 la prima traduzione in lingua italiana, col consenso dell'autore, dell'opera Sull'origine della specie di Darwin, per l'editore modenese Nicola Zanichelli - trovò i motivi dello scontro proprio nel campo delle discipline archeologiche ed antropologiche. I "conservatori" di scuola cavedoniana e di rigida osservanza cattolica, sostenevano che le "marne" (che il Pigorini chiamerà "terremare") risalivano ad età storica, mentre i seguaci del Canestrini, arretrando enormemente nel tempo la datazione di questi rialzi artificiali del terreno, le dichiaravano appartenenti ad un'età preistorica. Era un altro sconvolgente corollario dell'evoluzionismo che stava scuotendo la città. La polemica coinvolse tutti i pionieri della nuova scienza: a Reggio Emilia Gaetano Chierici, a Parma Pellegrino Strobel e Luigi Pigorini, a Modena Canestrini e Carlo Boni, fondatore del primo museo d'Italia di paletnologia e di etnografia (1871), e gli irriducibili "conservatori" modenesi (il geologo Francesco Coppi, il paleontologo abate Mazzetti, l'epigrafista Pietro Bortolotti e altri cavedoniani), ma non il C., sempre e soltanto intento a raccogliere, studiare, scavare reperti e documenti.
I risultati di questo dibattito, affievolitosi con la partenza del Canestrini per Padova nel 1869, rappresentano, oggi, soltanto una pagina di storia della paletnologia; non così quelli raggiunti dal C. che restano punto di riferimento obbligato per ogni nuova indagine archeologica sul territorio. Pur restando fermo nei suoi principi, egli intuì che la polemica andava disincagliata dalle secche filosofiche ed ideologiche per essere portata su di un piano concreto, quello dei dati di fatto. Non cercò soltanto sui libri o a tavolino i suoi argomenti, ma, instancabile camminatore, approntò una documentazione archeologica oggettiva, studiata nei suoi rapporti ambientali e nella sua collocazione sul terreno. Fu, così, l'iniziatore degli studi di topografia antica del territorio. Non aderì, sia chiaro, all'evoluzionismo come, del resto, nessuno dei seguaci della nuova scuola dei paletnologi giunse, a Modena, alle radicali conclusioni materialistiche del Canestrini; il C. abbandonò le ormai insostenibili posizioni del Cavedoni anche se, come il suo amico Boni, respinse le trionfanti tesi del Pigorini sulla struttura e sull'origine delle "terremare". Resta così valida tutta la sua opera di ricercatore, basata su dati di fatto coscienziosamente raccolti e vagliati e chiaramente descritti e illustrati. Non è storicamente corretto imputargli qualche errore di valutazione riscontrabile nei suoi primi lavori.
Nel 1869 pubblicò il primo studio di topografia antica del territorio (Strada Claudia alle radici dei colli modenesi, Modena 1869), avendo intuito l'esistenza di una via di comunicazione preromana il cui tracciato, alla radice delle prime colline, è oggi un dato acquisito per tutta l'area regionale; a lui si deve la prima mappa dei resti urbani di Modena romana; sua è la prima carta archeologica dell'età del bronzo del Modenese; alla sua trentennale fatica di ricercatore e di collezionista risalgono, in gran parte, le nostre conoscenze e i documenti archeologici relativi al popolamento di età villanoviana, etrusca, gallica, romana del territorio; mentre ferveva la polemica, tutta astratta e verbale, sulla teoria delle "terremare", egli iniziò per primo lo studio sperimentale della tecnologia delle ceramiche dell'età del bronzo, e non trascurò di annotare gli aspetti strutturali, ancora rilevabili, di insediamenti e necropoli; si attenne con scrupolo ai criteri allora in uso nella pubblicazione dei reperti archeologici sempre accuratamente descritti e datati mediante l'uso oculato dei confronti.
La serie annuale delle relazioni relative agli Scavi del Modenese pubblicate nei volumi degli Atti e mem. della Deput. di storia patria dal 1876 al 1898, costituiscono, con le migliaia di reperti della sua raccolta, un fondamentale archivio di notizie e di materiali per lo studio della storia più antica del territorio. Si oppose, come si è detto, dati di scavo alla mano, alle generalizzazioni del Pigorini relative alla teoria delle "terremare", ma riconobbe lealmente le sue errate posizioni di partenza ed aggiornò i suoi giudizi alla luce delle conquiste della nuova scienza paletnologica. A partire da quegli anni (1880) egli si collocò fra i paletnologi italiani più reputati, anche se l'esclusiva attenzione sempre prestata ai dati di fatto, i soli che per lui avevano importanza storica, non gli fruttò, in quegli anni di elaborazioni teoriche, la notorietà che arrise invece al Pigorini, ad esempio, fortunato costruttore di teorie, oggi del tutto dimenticate.
Pubblicarono alcuni suoi lavori l'Imperiale e Regio Istituto archeologico germanico di Roma, l'Accademia dei Lincei, il Bullettino di paletnologia italiana ed altri istituti accademici cittadini e nazionali. La sua lunga esperienza di collezionista, che esercitò in alcune raccolte con criteri, per i tempi, scientifici, e la vastità delle sue conoscenze, gli valsero la nomina a direttore di importanti istituzioni museografiche: successe al Boni nel 1895 nella direzione del Museo civico di Modena; fu ordinatore e direttore del Museo di Bazzano (Bologna) oggi intitolato al suo nome; fu incaricato della direzione delle importanti raccolte estensi della città: il Museo lapidario, la Galleria e il Medagliere estensi.
Né furono, questi, incarichi onorifici perché in ciascuno di essi il C. lasciò il segno della sua cultura e della sua competenza di museologo; allestì il Museo di Bazzano, riordinò la grande massa dei materiali del Museo civico di Modena ricomponendo la sua raccolta già manomessa dal Boni all'atto della donazione, migliorò senza alterarne l'originaria struttura, il lapidario; dell'uno e dell'altro istituto approntò "guide popolari", seguendo la sua umanitaria vocazione ad elevare la preparazione culturale del popolo; attuò un nuovo allestimento per l'importantissimo medagliere estense. In questo impegno mise a frutto le sue vaste conoscenze di numismatica, scienza nella quale raggiunse grande notorietà: fondamentali sono ancora oggi i suoi lavori sulla Zecca di Modena (Modena 1884, ristampata nel 1980), sui Conii e punzoni numismatici della Biblioteca Estense (ibid. 1887), sulle Medaglie estensi ed austro-estensi (ibid. 1893).Dalla storia municipale e dal vastissimo campo dei suoi studi trasse sempre argomenti per una continua, benemerita opera di divulgazione a favore delle classi meno colte con centinaia di articoli pubblicati in giornali e riviste locali, con "guide popolari", con opuscoli pubblicati a sue spese. Preziosi documenti per la storia dei musei modenesi restano le sue guide del Lapidario e del Museo civico.
Anche come collezionista il C. mostrò una singolare molteplicità di interessi: confluiscono nelle sue raccolte fossili, minerali, reperti archeologici e monete di tutte le età, carte d'archivio, ceramiche di età moderna e fotografie. Moderna, comunque, per concezione e metodo, è la raccolta legata al tracciato di quella che il C. chiamò "strada Claudia", esemplare collezione riunita per dimostrare la validità di un assunto che la ricerca storica attuale ha convalidato.
Il C. fu regio ispettore agli scavi; socio, archivista, conservatore del Medagliere dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Modena, socio della Società dei naturalisti modenesi, presidente della Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, socio corrispondente dell'Imperiale regio Istituto geologico di Vienna, dell'Imperiale regio Istituto archeologico germanico di Roma, socio effettivo della Società di storia naturale di Milano, socio dell'Accademia Nuova Fenice di Orvieto, socio corrispondente dell'Accademia dei Rinnovati di Massa e Carrara.
Donò importanti raccolte paleontologiche, numismatiche, archeologiche ai musei di Corno, Varese, Varallo Sesia, Vignola, Bazzano; la "Raccolta Crespellani", donata al Museo civico di Modena, rappresenta, con quelle del Boni, del Coppi, del Malavolti, uno dei nuclei fondamentali dell'istituto; e anche questo è un aspetto non trascurabile della sua persona specie se vista in un ambiente nel quale, a dispetto del dichiarato patriottismo, tutti o quasi tutti si facevano pagare le collezioni ritenute importanti per il museo. Il C. è un tipico esponente di quella borghesia modenese, di parte moderata, alla quale appartennero, per restare nel nostro campo, anche il Boni, il Generali, il Bonizzi, lo Spinelli, impegnata a dimostrare la superiorità del nuovo assetto politico, nel quale, finalmente, poteva circolare quella ventata di rinnovamento scientifico e culturale che stava percorrendo l'Europa. Non furono certamente dei radicali innovatori, ma cittadini onesti e capaci che profusero per la comunità tempo, ingegno, capacità organizzative, patrimonio.
Opere: Appunti, manoscritti inediti e il carteggio del C. e dei famigliari, di grande interesse, sono conservati presso la Biblioteca Estense di Modena in ventinove cassette della sezione manoscritti. Fra i numerosi lavori di argomento paletnologico ed archeologico mantengono sicuro interesse documentario: Marne modenesi e monumenti antichi lungo la strada Claudia, Modena 1870; L'ambra dei sepolcri e delle terremare del Modenese, in Atti della Soc. dei natural. di Modena, X (1875), pp. 46 s. e Modena 1876; Di un ripostiglio di coltelli-ascia od ascie, scoperto a Savignano sul Panaro, Vignola 1884; La carta topografica delle terremare modenesi, ibid. 1884. L'importante serie annuale dei ritrovamenti e degli scavi sparsa in ventitré dei volumi degli Atti e mem. della Deput. di storia patria per le province modenesi è stata raccolta nel volume Scavi del Modenese (1876-1898), Modena 1979.
Fonti e Bibl.: V. Santi, Commem. del cav. avv. A. C., in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, s. 5, I (1900), pp. XLVIII-LIV; F. Malavolti, A. C. paletnologo, in Emilia Preromana (Modena), II (1949-50), pp. 157-160; Id., Gli studi paletnologici a Modena nella seconda metà dell'Ottocento, ibid., III (1951-52), pp. 136-139; A. Barbieri, Modenesi da ricordare. Scienziati, Modena 1968, pp. 70 s.; La Rocca ed il Museo. A. C., Bologna 1980; B. Benedetti, Gli studi di preistoria a Modena dalla seconda metà dell'Ottocento al Malavolti, in Il Neolitico e l'età del rame. Ricerca a Spilamberto e San Cesario, 1977-1980, a cura di B. Bagolini, Vignola 1981, pp. 23 s.