ARSENALE
Con questo termine, di origine araba, in riferimento all'antichità, si sogliono definire non specificamente, come nelle lingue moderne, "i luoghi dove si fabbricano i navigli e tutto ciò che è necessario ad armarli e a guernirli", detti in greco νεώρια (propriamente rimesse delle navi, più che officine come i moderni a.); ma più generalmente gli stabilimenti adibiti al deposito di materiale militare, destinato alla flotta o all'esercito (cfr. anche horreum, skeuothèke). Nel caso degli a., costruzioni puramente funzionali che assolvono, anzi, tutti ad un compito meramente pratico, la forma artistica passa, naturalmente, in seconda linea; tuttavia la σκευοϑήκη di Filone, che sorgeva un tempo al Pireo, il cui piano costruttivo (346-320 a. C.) ci è illustrato nella iscrizione I. G., ii, 22, 1668 (Sylloge3, 969), trovata sul posto, mostra come, anche in quel genere, siano possibili monumenti validi, oltre che come opere utilitarie, anche su un piano artistico, e come in effetti, stando alla qualifica di "meraviglia" data da Plutarco (Sulla, 14) alla σκευοϑήκη, tale possibilità sia stata realizzata. Anche Vitruvio si riferisce (vii, pr. 12, p. 159, 6) ad uno scritto teorico di Filone: De aedium sacrarum symmetriis et de armamentario, quod fuerat Piraei portu.
In questa sede non si tratta della forma artistica, che consisteva anzitutto nella bellezza delle proporzioni dell'edifizio, bensì della pratica soluzione dei compiti imposti. La σκευοϑήκη era una galleria lastricata in pietra, lunga m 123 e larga m 17 (perimetro esterno) divisa in tre navate mediante due file di 35 colonne alte m 9,25. La navata principale serviva al passaggio e quelle laterali a due piani, divise inferiormente in recinti, venivano utilizzate per il deposito dei cordami e delle velature delle navi. In basso si trovavano armadî, e, al piano superiore, scaffali. Sui due lati stretti vi erano doppie porte ornate di bronzo. Vi erano 36 finestre in ciascuno dei lati lunghi, e 3 in quelli corti, che provvedevano all'illuminazione ed all'aereazione. Sappiamo troppo poco sugli antichi a., per determinare in quale misura laσκευοϑήκη - che aveva precedenti, noti, però, solo attraverso alcune iscrizioni - (Bockh, Attische Seeurkunden, 1840, 68) rappresenti, rispetto a costruzioni più antiche, un nuovo tipo, come il contenuto della iscrizione lascerebbe intendere. A dire il vero, si trovò nel sacrario di Eleusi qualche cosa come un a., tradotto qui, però, in un locale a quattro navate, irregolarmente costruito, destinato a sostruzione; esso tuttavia serviva ben poco a scopi militari. Quattro pilastri angolari, alcuni conservati ancora in tutta la loro altezza, sostenevano il soffitto e dei piani sospesi inseriti a mezza altezza. La costruzione appartiene al periodo pericleo (F. Noack, Eleusis, 1927, p. 189). Ma non vi si riscontra un influsso alcuno dell'edificio di Filone.
Il tipo di a. ellenistico trova il suo più chiaro esempio nell'a. di Pergamo: esso sorge sulla sommità della rocca, e presenta cinque fondazioni in pietra che sorreggevano edifici quadrangolari in legno, nei quali, per le numerose palle di pietra ammucchiate a poca distanza, e le punte di ferro delle frecce, che ivi si trovarono, piuttosto che come granai si sono identificati come depositi per l'artiglieria da fortezza. Tuttavia non è da escludere che qui, come più tardi per i magazzini romani, siano stati utilizzati i medesimi edifici per l'uno e per l'altro scopo. Per le due specie di depositi erano valide, in fondo, le stesse esigenze: un immagazzinamento per quanto possibile asciutto, aereato e fresco; il presupposto di ciò era che il luogo fosse ventilato e asciutto. Il suolo era reso asciutto, come più tardi anche negli a. romani, mercè una fondazione in pietra, articolata in muri divisori disposti a grata sui quali veniva appoggiata la costruzione in legno, che costituiva il vero e proprio magazzino. Questa fondazione era elevata fino al punto in cui il legno non potesse essere in alcun modo danneggiato dall'umidità cioè da m 1 a m 1,50 di altezza. Feritoie nei muri esterni assicuravano la circolazione dell'aria nei vani delle fondamenta, che comunicavano anche fra loro per mezzo di aperture, sì da favorire la ventilazione sotto l'impiantito di legno.
A Pergamo si sono conservate naturalmente soltanto le fondazioni, ma circa l'elevato si può sufficientemente provare che le gallerie, aventi una larghezza di 6, 5, 8 e 13 m ed una lunghezza di 31, 5; 36, 5; 39, 5 e 47, 5 m, erano tutte, compresa la più larga, senza sostegni interni e che la galleria più stretta, appoggiata sul muro della fortezza, aveva il tetto ad un solo spiovente, e le altre, a due. L'obliquità del tetto era minima e le tegole poggiavano, fissate all'argilla, su di un tavolato che rivestiva il cavalletto del tetto (A. v. Szalaye-E. Böhringer, Die hellenistischen Arsenale. Alt. v. Perg., x, 1937).
Gli a. di Pergamo, dei quali il più vasto ed il più stretto è sorto nella prima metà del III sec. a. C., e gli altri tre verso la fine dello stesso secolo e al principio del II, possono essere considerati come i precedenti di quegli a. romani che, per l'età repubblicana, sono stati riscontrati, nelle fondamenta, sui luoghi degli accampamenti di Scipione in Spagna. Tra questi, l'esempio migliore è la costruzione dell'anno 133, osservata a Castillejo presso Numanzia (A. Schulten, Numantia, iii, 1927, p. 207, tav. 25), che effettivamente è da considerare piuttosto come un magazzino di grano che come un arsenale.
In quanto magazzini, le σκευοϑῆκαι erano sovente una parte dei neoria, cioè degli a. in cui si riparava la flotta; con i termini ναυπήγιον e νεώλκιον si distinguevano invece i due aspetti speciali dall'a. classico, e cioè, da una parte, quello della costruzione e riparazione delle navi, il cui cantiere sembra fosse talvolta in luogo separato dai veri e e proprî neoria, dall'altra quello della loro custodia.
Numerosi passi di autori antichi, e notevoli ritrovamenti archeologici ci aiutano a ricostruire idealmente i neoria greci del secolo IV e del principio del III a. C., mentre scarsissime sono le vestigia degli anteriori, che furono prevalentemente costruiti in legno, come quelli di Samo, i primi a essere citati dalle fonti: ogni città marittima d'importanza strategica o commerciale ebbe infatti naturalmente il suo arsenale. Molto celebre nell'antichità fu quello del Pireo costruito nell'età periclea, rovinato dopo la guerra del Peloponneso, rifatto nel sec. IV a. C. Suddiviso nelle tre baie fortificate di Kantharos, Zea e Munichia, era capace di contenere circa 400 navi: meglio conservati sono gli avanzi rimessi in luce in Zea dalla Società Archeologica d'Atene nel 1885, per mezzo di un regolare scavo. Zea era il principale porto militare di Atene (mentre l'emporio commerciale si trovava in Kantharos) e dopo la ricostruzione del sec. IV, quando alle vecchie baracche si sostituirono solide mura, colonnati di pietra e tetti a due spioventi, poggiati su robuste travature di legno, esso conteneva 196 celle per navi da guerra. Queste celle, dette in greco νεώσοικοι, si appoggiavano posteriormente a un muro in pietra πόρος il quale, in forma di poligono, cingeva tutta la baia; il muro distava all'incirca 37 metri dalla riva del mare. Tanti colonnati, a intervalli di circa m 6,5o l'uno dall'altro, correvano perpendicolarmente al muro, da questo al mare, separando così una cella dall'altra. Fra i colonnati era murata a terra, nel senso della lunghezza, una guida in poros, larga 3 metri, leggermente inclinata, sulla quale scorreva la chiglia della nave, che entrava o usciva dalla sua custodia. In Zea le celle erano accoppiate a due a due sotto un comune tetto a due spioventi, ragione per cui un colonnato più alto e con intercolumni minori si alternava con un colonnato meno alto con intercolumni maggiori: sul colonnato più alto poggiava il trave centrale del tetto a due spioventi.
Oltre i neoria del Pireo, che furono bruciati da Silla nell'86 a. C., si conoscono abbastanza bene quelli di Eniade (Οἰνιάδαι) in Acarnania, già visitati e disegnati da Ciriaco d'Ancona nel 1436, e esplorati da una missione archeologica americana, nel 1900-1901. Tanto per le proporzioni, quanto per la disposizione delle celle, scavate in parte nella viva roccia, essi si rivelano molto affini a quelli di Zea, e perciò dovettero essere costruiti proprio all'inizio dell'età ellenistica. Anche qui i νεώσοικοι erano attigui l'uno all'altro e separati da colonnati. Ma ciascuna cella aveva un tetto proprio a due spioventi: le guide, scavate anch'esse nella roccia, sulle quali scorreva la chiglia dei navigli appaiono perfezionate, in modo da permettere una manovra più rapida per l'ingresso e l'uscita della flotta, e la σκευοϑήκη non è più separata dalle celle, come in Zea, ma attigua ad esse.
A Cartagine il porto militare, dove si trovavano i neoria per le navi da guerra, era nettamente separato dal commerciale o emporion: questo ebbe forma rettangolare, quello circolare, e fu chiamato κώϑων. I neoria si componevano di 220 celle, distribuite tutt intorno al porto circolare, e a una piccola isola centrale, tagliata artificialmente nella roccia, in forma di disco. La separazione fra cella e cella non era più costituita da colonnati, come a Zea e a Eniade, ma da muri pieni; c'era inoltre una divisione in due piani, in modo che i magazzini, le σκευοϑῆκαι, i ταμιεῖα contenenti tutti i materiali necessarî all'armamento, erano disposti nel piano superiore: così dalla celebre σκευοϑήκη di Filone, costrtiita in luogo vicino, ma separato dalle celle delle navi, si arriva ai magazzini di Cartagine, molto più opportunamente distribuiti al piano superiore delle celle, uno per ogni singola nave.
A Tharros in Sardegna, si sono trovate alcune rovine portuali, che secondo alcuni sarebbero avanzi dell'antico arsenale. I neoria ellenistici di Salonicco (Θεσσαλονίκη) furono bruciati da Perseo dopo la battaglia di Pidna.
La parola latina corrispondente a νεώρια è navalia. È da notarsi come tanto la parola greca, quanto la latina siano usate più comunemente al plurale, precisamente per esprimere come l'a. consistesse di più elementi simili fra loro, di costruzioni omogenee. Si discute il significato esatto della parola textrina, usata in età arcaica romana, per significare i navalia; forse l'analogia fra la tessitura in legno delle carene e la tessitura delle stoffe suggerì l'uso del vocabolo esprimente l'arte e l'officina del tessitore anche per indicare l'a., e forse più specialmente quel reparto di esso destinato alla costruzione e riparazione delle navi. In ogni modo la parola textrina andò presto in disuso.
Se poco sappiamo dei neòria ellenistici, purtroppo pochissimo o quasi nulla conosciamo dei navalia romani. Certamente essi, nella loro costruzione, dovettero nel periodo repubblicano più antico essere imitazione del tipo greco, e derivazione dal tipo greco-ellenistico nell'età seguente e durante l'Impero. Lo sviluppo nella struttura delle navi avvenuto dal periodo greco al romano, sviluppo che è analogo a quello delle forme architettoniche del tempio classico, ebbe certamente la sua ripercussione nella determinazione della pianta, delle dimensioni, dell'aspetto esteriore e della disposizione interna degli a. romani.
Quanto ai particolari architettonici e tecnici, poco si ricava da Vitruvio, il quale si limita ad alcuni consigli si carattere generale: orientare gli edifici a N per impedire l'azione deleteria degli insetti, che si moltiplicano al calore del sole; evitare il legno, per il pericolo degli incendi; regolare le proporzioni degli ambienti in modo che vi possano essere accolte anche le navi più grandi. Infatti in uno dei rilievi della Colonna Traiana, nel quale è rappresentato un porto con i suoi navalia (non quello di Ancona, come si è creduto in passato) si distinguono nettamente le celle, non più con tetto a due spioventi, ma con vòlte in muratura e un magazzino o armamentarium che corrisponde alla σευοϑήκη.
Roma, dalla metà del sec. V a. C. fino ad Augusto, non ebbe a. così grandiosi come quelli di Atene e di altre città marinare. Le grandi flotte, di cui si ebbe bisogno in occasione di guerre combattute terra marique in periodo repubblicano, non poterono certo essere allestite sulle rive del Tevere, e si raccolsero in qualcuno dei porti romani meglio fortificati. Pozzuoli, per esempio, occupata durante la seconda guerra punica, per la felice postura del suo porto ebbe indubbiamente importanti navalia, che si vorrebbero da alcuni riconoscere in una pittura parietale, proveniente dalla cosiddetta Casa del Labirinto di Pompei, e conservata ora nel museo di Napoli (secondo altri si tratterebbe piuttosto dell'a. di Miseno).
Sulle rive del Tevere a Ostia, come si ricava da un iscrizione latina ivi trovata, dovette esserci un a. costruito da L. Celio (L. Coilius) in età repubblicana, restaurato da P. Lucilio Gamala nel sec. II d. C.; si sa che nel 208 a. C. trenta navi furono riparate in Ostia. Si credette di poter riconoscere i navalia di Celio in un gruppo di rovine prossimo al cosiddetto Palazzo imperiale, con una serie di grandi ambienti coperti con vòlta a botte, in gran parte interrati. Dall'iscrizione di Ostia, si ricava che gli a. romani si distinguevano in extruendis navibus facta per la costruzione, e in subducendis navibus facta per la conservazione della flotta.
Altri navalia furono nell'interno di Roma stessa: le navi dovevano abbassare gli alberi, e passare fra i piloni dei ponti, prima di giungere ad essi. Nel 332 a. C. esistevano già, poiché sappiamo che la flotta di Anzio fu in parte trasportata nei navalia urbani e in parte bruciata. Anche dopo la battaglia di Pidna (168 a. C.) le navi tolte a Perseo, re di Macedonia, furono trasportate a Roma nel Campo Marzio. Al tempo della guerra contro Antioco il Grande, al principio del sec. II a. C., il pretore M. Giunio fu incaricato di riparare e di armare tutte le vecchie navi che si trovavano a Roma.
Quanto all'ubicazione di questi navalia di città, i quali sono noti più attraverso le citazioni di antichi autori che per sicuri ritrovamenti archeologici, si sono emesse in passato opinioni diverse e contraddittorie. Finalmente si è riconosciuto che è impossibile riferire tutte le testimonianze ad un solo luogo, e che già al tempo della Repubblica esistevano due a. diversi sulle rive del Tevere, uno nel Campo Marzio, davanti agli antichi Prata Quintia, all'incirca nella zona compresa fra l'odierno Palazzo Farnese e il fiume, e l'altro più a valle, ai piedi dell'Aventino, presso lo sbocco della Cloaca Massima: questo secondo a., congiunto con l'emporium, si chiamava navale inferius. La più antica testimonianza per i navalia del Campo Marzio è forse un verso di Ennio citato da Servio (Ad Aeneid., xi, 326: ma Ennio dice semplicemente campus). Da un passo di Cicerone (De or., i, 14, 63) risulta che alla metà del sec. II a. C., Ermodoros, architetto greco, fu incaricato di restaurare i navalia di Roma, ma non sappiamo quali; in età imperiale non se ne fa più menzione.
Di quelli del Campo Marzio non si conservano vestigia. Del navale inferius c'è il ricordo anche nella marmorea Forma Urbis, rinvenuta nel Foro: il frammento originale, contenente. la pianta di uno spazio circondato da mura su tre lati, con le lettere NAVAL IMFER (navale inferius) è ora perduto, ma conservato in un disegno della Biblioteca Vaticana. Ad esso possono avere appartenuto avanzi di costruzioni in blocchi di tufo, rinvenuti in tempi diversi nelle vicinanze dello sbocco della Cloaca Massima. A volte i navalia funzionarono come prigione: ad es. vi furono rinchiusi gli ostaggi dati dai Cartaginesi al principio della terza guerra punica.
L'importanza degli a. di Roma va diminuendo man mano che sorgono e si sviluppano i grandi porti di Claudio e di Traiano alla destra della foce del Tevere; nel navale inferius, trasformato in una specie di museo, Procopio poté vedere la nave con la quale Enea approdò alle coste d'Italia. Questa trasformazione dell'a. in museo dovette essere non infrequente: Augusto dopo la battaglia di Azio fondò un neòrion sacro, nel quale furono esposti esemplari di tutte le navi tolte al nemico: presto l'edificio rimase distrutto da un incendio.
Non è improbabile che alcuni dei molti edifici a lunghe serie di celle, segnati nelle piante topografiche del porto di Traiano come horrea facenti parte dell'emporio, possano un giorno essere riconosciuti come veri e proprî navalia romani.
Bibl.: M. Besnier, s. v. Navalia, in Daremberg-Saglio, Dictionn. des Antiquités grecques et romaines, IV, p. 17 ss.; E. Saglio, s. v. Armamentarium, ibid., I, p. 431 ss.; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Karthago, col. 2182 ss.; J. Schubring, Ein Beitrag zur Stadtgeschichte von Syrakus, in Rheinisches Museum, n. s., XX, 1865, p. 22 ss.; W. Judeich, Topographie von Athen, in I. Müller, Handbuch d. klass. Altertumsw., Monaco 1913, p. 384 ss. Per Eniade, v. American Journal of Archaeology, 1904, p. 227 ss.; A. S. Georgiadis, Les Ports de la Grèce dans l'Antiquité, 1907; H. Jordan-Chr. Hülsen, Topographie der Stadt Rom im Alterthum, I, 3a ed., Berlino 1907, pp. 143 ss., 485 ss. - Per i navalia di L. Celio a Ostia, v. J. Carcopino, Les Inscriptions Gamaléennes, in Mélanges École Franç. de Rome, 1911; W. Marstrand, Arsenalet i Piraeus og oldtigens byggerreregler, Copenaghen 1922; K. Lehmann-Hartleben, Die antiken Hafenanlagen des Mittelmeeres, Lipsia 1923 (Klio, Beiheft XIV), con un catalogo alfabetico degli antichi porti: a p. 185, n. 6 bibliografia per il porto di Traiano; G. Calza, Ricognizioni topografiche nel porto di Traiano, in Notizie degli scavi, 1925, p. 54 ss.; E. Breccia, Cenni storici sui porti di Alessandria dalle origini ai nostri giorni, in Bulletin de la Société Archéol. d'Alexandrie, XXI, 1925, pp. 3-26, 154-155. Per la ricostruzione della σκευοϑήκη, v. E. Fabricius, in Hermes, XVII, 1882, p. 551; W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., VIII, 1883, p. 147; A. Choisy, Études ep. sur l'arch. grecque, Parigi 1884. Per la forma artistica: W. Marstrand, Arsenalet i Piraeus og oldtigens byggerreregler, citato 1922; F. W. Schlicker, Hellenistische Vorstellungen von der Schöhneit des Bauewerkers nach Vitruv, 1940, p. 48. Per arsenali-magazzino in località provinciali: J. Ward, The Roman Fort of Gelleayer, 1903, p. 60 ss.; O. Wahle, in Saalburgerfreunde, 2, 1, 1918.
(H. Kähler - G. Guidi)