ARREDAMENTO (IV, p. 577; App. I, p. 157; II, 1, p. 255; III, 1, p. 133)
Il campo di attività proprio dell'a. sta subendo, in questi ultimi anni, una chiarificazione sempre maggiore in conseguenza, anche, del notevole sviluppo che ha avuto la produzione industriale, di serie, del mobile (elemento importante dell'arredo) e la produzione industrializzata dell'architettura.
Poiché l'a. definisce l'organizzazione fisica sia degli spazi interni che degli oggetti d'uso in essi contenuti, all'interno dei quali (gli spazi) e per mezzo dei quali (gli oggetti di uso) l'uomo svolge tutte le proprie attività, è evidente, innanzitutto, come tale campo stia subendo una propria definizione in rapporto con i problemi di produzione che investono tutti i tipi di edifici che l'uomo realizza e usa: dalle case di abitazione, alle scuole, agli uffici, agli ospedali, ai grandi magazzini, ecc. Pertanto si può affermare che il tema principale che ha caratterizzato i problemi relativi all'a. in questi ultimi anni è stato queìlo volto a distinguere sempre più nettamente tra loro due diversi settori, relativi, l'uno, alla definizione degli spazi interni dell'architettura e, l'altro, a quella degli oggetti d'uso in essa contenuti. Settori che non vanno più visti come facce di un'unica disciplina unitariamente intesa, bensì come campi di problemi distinti perché afferenti a due diverse attività che comportano metodologie di progettazione ben separate in quanto connesse, ognuna, con aspetti funzionali, tecnologici, produttivi e formali propri.
Questi due campi hanno, quindi, un così forte grado di autonomia reciproca da rendere possibile affermare (e questo, appunto, è l'aspetto evidenziatosi sempre più marcatamente in questi ultimi anni) che ormai si tratta di due distinti ambiti disciplinari: quello dell'architetto cui compete la definizione formale dello spazio e quello del designer cui compete la progettazione degli oggetti d'uso da prodursi in grande serie (dagli elettrodomestici, alle posate o ai mobili).
È facilmente intuibile, quindi, come i problemi dell'a. mentre da un lato sono, per così dire, riassorbiti in quelli dell'architettura o, meglio, nell'aspetto interno di questa che, ovviamente, è un tutt'uno con l'architettura stessa, dall'altro si sono spostati fino a coincidere con quelli dell'industrial design che si occupa anche della progettazione e produzione dell'oggetto d'uso di serie.
Sarà bene precisare, tuttavia, che mentre il designer, nel dar forma ai propri oggetti, è sempre svincolato dal riferimento al "luogo" ove essi saranno collocati, l'architetto, nell'ideare gli spazi interni, si riferisce in una qualche misura (quanto meno sotto il profilo funzionale) al tipo di oggetti che quegli spazi dovranno contenere. Usa, cioè, nella sua progettazione anche elementi che altri (il designer appunto) ha progettato.
Si viene così a determinare un rapporto di tipo particolare tra architettura e mobile, visti entrambi come fatti creativi eterogenei fra loro.
Il doppio campo di problemi cui si accennava precedentemente, ha portato a spingere le ricerche verso due obiettivi. Da un lato si tende sempre più a rendere parte dell'architettura tutta una serie di arredi facendoli, così, divenire attrezzature "fisse": per quanto riguarda la casa di abitazione, per es., armadiature, blocchi di servizio per cucine e bagni (che sono anche prodotti in un sol pezzo, in plastica) sono progettati e realizzati come parti integranti dell'edificio.
Esemplare, in tal senso, il progetto del giapponese N. Kurokawa per una casa ad appartamenti nella quale le cellule abitative sono caratterizzate da zone serventi (armadi, nicchie, blocchi bagno e blocchi cucina) e da zone servite (ambienti di soggiorno e letto). In definitiva una gran parte di arredi viene a far tutt'uno con l'architettura. Oppure, come nel caso degli uffici, dove ricordiamo l'edificio delle pensioni di A. Aalto a Helsinki, nel quale è realizzato un grande spazio a doppia altezza con al centro, opportunamente disposte a fare un blocco unico, tutte le attrezzature di arredo necessarie per gl'impiegati: esse sono visibili anche dal ballatoio del primo piano che si affaccia su questo grande ambiente, diventando così un vero e proprio elemento architettonico, fruibile visivamente da più punti prospettici, di questo bellissimo spazio.
Più recentemente, in modo concettualmente simile, O. Niemayer ha proposto, per gli uffici della sede Mondadori a Milano, una soluzione in cui gli arredi (considerando come tali anche le pareti attrezzate), visibile da qualsiasi punto dell'ambiente, ne costituiscono la necessaria integrazione formale.
Dall'altro lato le attrezzature mobili, proprio perché sempre più diffusamente prodotte dall'industria e perché devono soddisfare esigenze funzionali diverse e mutabili nel tempo, vengono proposte sempre più spesso per settori specializzati (mobili per la casa, per gli uffici, per le scuole, ecc.) e basati su elementi componibili: si pensi, per es., ai più recenti mobili per ufficio che, composti da elementi modulari, a seconda dei vari modi con cui questi sono combinati, possono dare luogo a un elevato numero di soluzioni funzionali e formali. Oppure ad alcuni mobili per la casa d'abitazione ove le diverse combinazioni degli elementi possono consentire anche usi diversi (scaffalature, contenitori da soggiorno, contenitori da pranzo, ecc.).
Connessa con la componibilità (e quindi con la necessità di sovrapporre e giustapporre i vari pezzi, che necessitano, perciò, di particolari incastri tra loro) è anche la diffusione di un materiale come la plastica che, colata nello stampo, può essere modellata in forme più libere di quelle che, data la sua struttura, consente il legno.
L'indipendenza stilistica del mobile rispetto all'ambiente e la sua assunzione di valori formali autonomi ha determinato, in questi ultimi anni in particolare, la "riscoperta" di molti mobili moderni considerati ormai dei pezzi quasi a livello antiquario sia per il loro valore formale che per essere prodotti in quantità limitate.
Così sono stati nuovamente riproposti i mobili dei grandi architetti moderni come Le Corbusier, M. Breuer, W. Gropius e, andando indietro nel tempo, anche di C. R. Mackintosh, una delle prime e più significative personalità del movimento moderno. Tuttavia, se si è messa sempre più in evidenza la separazione disciplinare (che del resto affonda le proprie radici nella storia dell'architettura moderna e nella nascita dei modi di produzione industrializzati del mobile) tra architettura e industrial design, è anche vero che esiste un campo, sia pure limitato, che è quello della progettazione dei soli spazi interni e delle loro attrezzature, autonoma sia dall'architettura, intesa come unità dell'interno con l'esterno, che dall'industrial design.
Si tratta di ambienti a uso particolare e ubicati in particolari "luoghi" (si pensi, soprattutto, ai negozi) che spesso hanno durata relativa e per i quali è possibile ricreare uno spazio interno che non abbia riferimento alcuno con le forme esterne dell'architettura che lo contiene, che modifica quello preesistente e dove anche i singoli elementi di arredo sono, in genere, progettati e realizzati in unico esemplare per quella specifica situazione. Salvo alcuni esempi (e citiamo qui, soprattutto, alcuni negozi di C. Scarpa per la società Olivetti) in cui si tratta di opere ad alto livello qualitativo, molto spesso in questi a. predomina l'aspetto consumistico, con concessioni ai fatti transitori della moda, e prevale l'uso solo appariscente di materiali opportunamente scelti allo scopo (alluminio, specchi, vetri, ecc.).
Oltre ai negozi, altri casi particolari in cui esiste questa "autonomia" dell'interno a tutti i livelli (dallo spazio al dettaglio più minuto) sono quelli relativi alle mostre, sia temporanee che permanenti, agli allestimenti museografici e alle architetture sotterranee: si devono ricordare, negli ultimi anni, alcune realizzazioni esemplari di C. Scarpa (in particolare a Venezia, per es., con la mostra "Venezia e Bisanzio"), o di F. Albini e F. Helg (come le stazioni della metropolitana milanese). Caso, quest'ultimo, assimilabile non certo come tema ma come condizione, appunto, di architettura senza "esterni", a un'opera altamente qualificata che lo stesso Albini aveva già realizzato nella seconda metà degli anni Cinquanta: il Museo del tesoro di S. Lorenzo a Genova.
Bibl.: A. Comolli-Sordelli, Enciclopedia illustrata dell'arredamento moderno, Milano 1962; M. Praz, Filosofia dell'arredamento, ivi 1964; Autori vari, Le case nel tempo, Roma 1964; Grande enciclopedia dell'antiquariato e dell'arredamento, ivi 1968; F. Spar, Décoration, tradition et renouveau, Parigi 1973; A. Demachy, Interior architecture and decoration, Friburgo 1974; Decorative art and modern interiors, a cura di M. Schofield, Londra 1974. Quasi tutte le riviste di architettura contengono articoli e servizi sull'a.; in Italia particolarmente utili in questi campi sono tuttora le riviste Domus e Casabella-Continuità, di Milano, e Architettura, di Roma.