ARRA
. Voce d'origine semitica indicante diversi istituti giuridici; cioè: a) quel che si dà a garanzia di un'obbligazione, e che, in caso di mancata esecuzione, è perduto a favore dell'altra parte o rispettivamente restituito al doppio, secondo che la responsabilità dell'inadempienza spetta a colui che l'ha data o a colui che l'ha ricevuta; b) quel che uno dei contraenti dà all'altro a prova della conclusione di un contratto. Essa è sempre data da chi è obbligato a prestare danaro o altre cose fungibili.
Negli antichi diritti orientali (fenicio, ebraico, aramaico, siriaco) non è possibile distinguere l'arra dalle altre forme di garanzia (personali e reali), perché queste non si sono ancora differenziate tra loro.
In diritto greco l'arra serviva probabilmente a munire di azione i rapporti nascenti da un accordo di volontà; si dava, ad es., una prima rata di prezzo e, per il fatto di averla data, si era obbligati a pagare il resto (cfr. Pap. Magdola, 36); l'arra obbligava in altri termini il venditore a consegnare la cosa e il compratore a offrire il prezzo entro un certo termine (cfr. Libro Siro-rom., Ar., 32, P. 21): la parte inadempiente era tenuta (il venditore di diritto e il compratore dietro richiesta della controparte) ad eseguire il contratto o a perdere l'arra (o restituire il doppio di quella ricevuta). Nei papiri egiziani queste disposizioni son fatte derivare dalla legge delle arre. In alcuni diritti greci (p. es., dei Turî) la dazione dell'arra obbligava invece il venditore a pagare al compratore una penale uguale all'ammontare del prezzo; è incerta la pena per il compratore (cfr. Teofrasto, De symbol., presso Stobeo, XLIV, 22). Si può perciò dire che in diritto greco l'arra avesse esclusivamente funzione penale.
In diritto romano classico invece l'arra è usata esclusivamente come prova della conclusione di un contratto (Gaio, l. 10, ad edictum provinciale, in Dig., XVIII, 1, de contrahenda emptione, 35 pr.: Quod saepe arrae nomine pro emptione datur non eo pertinet quasi sine arra conventio nihil proficiat, sed ut evidentius probari possit convenisse de pretio); si davano anelli o danaro. L'arra si accompagna ai contratti consensuali (cfr. Agostino, Sermon., 23, 9: Aliquando enim pretium... praeparas dare pro ea re quam tenes bonae fidei contractu, de ipso pretio das aliquid; et erii arra...; cfr. Sermo 156, 16, in Migne, Patr. lat., 38, 378; 39, 1673; per la vendita Gaio, Inst., III, 159) e a quelli formali (sponsio: Plin., Nat. Hist., XXXIII, 6). Quando il contratto ha prodotto tutti i suoi effetti, se l'arra consta di anelli, questi debbono essere restituiti; altrimenti, il ricevente sarà tenuto con l'azione contrattuale, la quale serve anche quando, sciolto il contratto, non si voglia restituire la somma ricevuta a titolo di arra. In questo periodo del diritto romano, l'arra non ha mai avuto funzione penitenziale, come in diritto greco; gli accenni in proposito che si trovano presso autori non giuridici (specialmente nelle commedie di Plauto e di Terenzio e in Varrone, De lingua latina, V, 175), non testimoniano senz'altro un simile uso in Roma, e possono spiegarsi piuttosto come letterali traduzioni di definizioni greche. Soltanto nel periodo ellenico del diritto romano l'arra acquista il carattere di arra penitenziale. Giustiniano, con una sua costituzione di dubbia interpretazione (Cod. Iust., IV, 21, de fide, 17; cfr. Iust. Instit., III, 23, de emptione et venditione, X, 1, 2), stabilisce che la dazione di arre (contractus dationis arrarum; è questa la prima menzione dell'arra come contratto; cfr. Cod. Iust., IV, 49, de actionibus empti et venditi, 3 [a. 290], ex arrali pacto) rende perfetta la compra-vendita cum scriptura e forse anche quella sine scriptura, e nello stesso tempo dichiara inutile la speciale clausola, fin allora necessaria, per render penale l'arra.
Per valutare esattamente la funzione dell'arra in diritto giustinianeo, occorre però tener presente anche che spesso i documenti notarili avevano valore dispositivo.
Nei posteriori testi bizantini (come già nella Lex Burgund., tit. 35, § 6) l'arra ha la doppia natura, penale e confermatoria. Per il diritto moderno v. caparra, obbligazione.
Arrae sponsaliciae. - Istituto sorto all'epoca del Basso Impero, che risulta sconosciuto nell'antico diritto romano e nel diritto classico e che presenta molti punti di contatto con istituti semitici (tirhâtu babilonese; mohar ebraico). Consiste in una dazione da parte dello sposo in occasione del fidanzamento, a prova e garanzia dell'avvenuta promessa di matrimonio, dazione che, innovando il sistema degli sponsali classici, liberi da ogni vincolo, funziona come pena per lo scioglimento degli sponsali. È ricordato per la prima volta in costituzioni del 380 (Cod. Th., 3, 5, 11; 3, 6, 1; Cod., V, 1, de sponsalibus et arris sponsaliciis, 3; la menzione in Dig., XXIII, 2, de ritu nuptiarum, 38, appartiene ai compilatori), una delle quali (Cod. Th., 3, 5, 11) si riferisce ad una vetus constitutio, a noi sconosciuta, e in fonti letterarie non anteriori alla fine del sec. III e quasi esclusivamente ecclesiastiche. Nel Cod. Th., (dove la terminologia non è ancora definitivamente fissata: sponsalia, pignora lucrativa, arrae) è stabilita la perdita delle arre o il pagamento di esse al quadruplum, secondo che il recesso degli sponsali avvenga da parte del fidanzato o della fidanzata (o della famiglia di lei). Si fa inoltre una serie di distinzioni per determinare chi sia costretto al quadruplum, esentando dalla pena quando lo scioglimento avvenga: 1) prima che la fanciulla compia 12 anni; 2) per morte del fidanzato. Più tardi una legge di Leone (Cod., V, 1, de sponsalibus et arris sponsaliciis, 5 intp.; v. anche Schol. Sin., § 2 intp.) abbassa la pena al duplum e fissa una serie di iustae causae di scioglimento incolpevole, basate su speciali condizioni degli sposi, sorte o giunte a conoscenza degl'interessati dopo la conclusione degli sponsali. A queste Giustiniano ne aggiunge altre (Cod., I, 3, de episcopis, 54; Nov., 123, 39; Dig., XXIII, 2, de ritu nuptiarum, 38). Se le nozze sono vietate da un impedimento previsto dalla legge, allora lo scioglimento non è sottoposto a pena, e lo stesso avviene quando le arrae sono state accettate dalla donna o dai genitori di lei, minori di 25 anni. L'istituto, ricordato anche nel Libro siro-rom. (L., 91; P., 45 ,46 e corrispondenti) e in due papiri del sec. VI (Corpus Pap. Raineri, 30; Cairo, 67.006), appare nel diritto bizantino strettamente connesso con il fidanzamento religioso delle chiese cristiano-orientali. Come dimostrano i documenti eucologici, l'arra ha speciale importanza nel rito religioso. I canoni ecclesiastici del sec. VII sembrano riferirsi ad essa (cfr. Sinodo Trullanico, can. 98 nei commenti di Blastare, di Matteo Monaco e nelle Nov. di Leone il Filosofo). Del resto anche le fonti laiche provano questa correlazione (v. Ecloga, I,1; Prochiron, 2,1, seguiti dalle altre fonti: Epanag., 14, 15; Harmen., IV, 1-3. ecc.), più evidente ancora nella legislazione di Leone il Filosofo (Nov., 22, 74; 109; 93) e di Alessio Comneno (Nov., 24).
Bibl.: v. le opere cit. in P. Jörs, Römisches Recht, in Kohlrausch e Kaskel, Enzyklopädie d. Rechts- u. Staatswiss., II, III, Berlino 1927, p. 148; aggiungi E. Popesco, La fonction pénitentielle des arrhes dans la vente sous Justinien, Parigi 1925; G. Cornil, Die Arrha im justinianischen Recht, in Zeitschrift d. Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Romanistische, Abteilung, XLVIII (1928), pp. 51-87.
Per le arrae sponsaliciae, v. S. Riccobono, Arra sponsalicia secondo la cost. Cod. V, 1, 5, in Studi in onore di F. Pepere, Napoli 1900; P. Krueger, Cod. V., 1, 5, in Zeitschr. d. Savigny Stiftung, XXII (1901); P. Koschaker, Zur Geschichte d. Arrha sponsalicia, ibid., XXXIII (1912); F. Brandileone, Contributo alla Storia della subarrhatio, in Saggi sulla storia della celebrazione del matrimonio in Italia, Milano 1906; E. Volterra, Studio sull'arrha sponsalicia, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, s. 2ª, II (1927), IV (1929).