ARPI (Arpi, Argyrippa, 'Αργυρίπποι, "Αργος ἵππιον)
Antica città apula, di cui restano scarse vestigia e il nome nella masseria Arpi, sulla destra del torrente Celone, a otto chilometri a NE. di Foggia. La sua importanza e grandezza era dimostrata ancora al tempo di Strabone dall'ampiezza delle sue mura, per cui la città appariva, come e più che Canosa, una delle maggiori degl'Italioti. Posta, come poi Foggia, nel cuore del Tavoliere di Puglia, vi ebbe preponderante importanza; ed ebbe il suo sbocco sul mare non già a Salapia, ma - come sembra - a Sipontum, nell'ansa del Gargano, dove poi sorse nel Medioevo e fiorì il più importante porto di Capitanata, Manfredonia. La sua alleanza con Roma contro i Sanniti (che miravano a conquistar la Puglia per trovarvi pascoli alle loro greggi) determinò l'esito della lotta tra Oschi e Latini pel primato d'Italia.
Arpi, nella 2ª regione augustea (Apulia et Calabria), fu la più notevole città dei Dauni, popolazione appartenente come gli affini Peucezî e quelli che i Greci chiamarono Messapî, alla stirpe degli Iapigi, che, venuti dall'Illiria, occuparono la costa adriatica dal Gargano al Capo S. Malaria di Leuca, e l'arco del golfo tarantino fino alle foci del Bradano.
Arpi fu chiamata dai greci 'Αργυρίπποι, o, come suonava meglio per un orecchio greco, "Αργος ἵππιον; da ciò la favola della fondazione dovuta al re argivo Diomede, il quale, respinto dalla moglie Egialeia dopo la caduta di Troia, andò, lungi dai suoi cari, errando in cerca d'una nuova patria. La leggenda (che legò il mito di Diomede principalmente con Arpi, e che fu verosimilmente favorita dal diffondersi del culto di qualche divinità indigena assimilata a Diomede) testimonia la larga efficacia che esercitarono su Arpi le vicine colonie elleniche.
Il nome di Arpi comincia a mescolarsi alle vicende politiche dell'Apulia nel sec. IV a. C. Avendo le stirpi italiche e iapigie cominciato a premere più fortemente sui Greci dell'Italia meridionale dopo la distruzione dell'impero siracusano di Dionisio il giovane, i Tarantini chiesero dopo il 338 a. C. l'aiuto del re di Epiro Alessandro: il quale poté avanzare fin presso Arpi ed occuparne persino il porto, Siponto.
Minaccia più grave per gli Iapigi e i Greci Italioti divennero le stirpi sabelliche. Dopo la sconfitta e la morte presso Pandosia di Alessandro d'Epiro, i Sanniti, i quali erano penetrati circa quel tempo dal N. nella Daunia, ripresero i tentativi di espansione nel l'Apulia. Gli abitanti di Arpi compresero che per salvare il Tavoliere dagl'invasori oschi occorreva chiedere aiuto ai naturali nemici dei Sanniti, i Romani. E la sicurezza acquistata contribuì largamente al fiorire di Arpi, la quale divenne, dopo Capua e Taranto, la città forse più importante dell'Italia meridionale. Di tale floridezza è testimone, fra l'altro, la larga monetazione di Arpi, in argento e in rame, da assegnare soprattutto al sec. III a. C.
In ricambio, Arpi tenne fede a Roma nel pericolo, e specialmente durante la guerra di Pirro. Ma al tempo della guerra annibalica, Arpi, dapprima fedele a Roma, sì che Annibale venuto in Puglia dopo la battaglia del Trasimeno ne mise a ferro e a fuoco il territorio, disperò poi della salute di Roma, e aperse ad Annibale le porte dopo la battaglia di Canne (216 a. C.). Non piccolo ne fu il guadagno del vincitore, che vi svernò sul finire del 215 a. C. Tuttavia, se svanito era ormai il ricordo del pericolo sannita, viva e in armi era ancora Roma, che preparò sin dal 214 l'investimento di Arpi: investimento che non si ebbe ragion di condurre, perché gli Arpani, perduta la fiducia nel definitivo prevalere di Annibale, si diedero nel 213 a Q. Fabio Massimo, abbandonando ai Romani il presidio punico che fu massacrato. L'infedeltà di Arpi ai Romani fu pagata con la perdita del territorio sul mare, sul quale nel 194 a. C. i Romani condussero la colonia di Siponto. Dopo di allora la città decadde sino a divenire una borgata senza importanza nell'età irnperiale.
Bibl.: Th. Mommsen, Corp. Inscr. Lat., IX, p. 83; E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico di antichità romane, Roma 1895, I, s. v.; Ch. Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, coll. 1217-18; E. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, Torino 1894, passim; G. De Sanctis, Storia dei Romani, Torino 1907 segg., passim.