ARNOLFO
Si ignora la data di nascita di questo arcivescovo milanese, che Bernoldo di Costanza denomina A. di Porta Argentea, mentre il cronista milanese Landolfo detto "Iuniore" lo dice appartenente alla famiglia dei capitanei di Porta Orientale. Venne eletto arcivescovo di Milano il 6 dic. 1093,due giorni dopo la morte del predecessore Anselmo III, del quale doveva essere stato il più diretto collaboratore. Il re Corrado II conferì ad A. l'investitura con il pastorale. Non è chiaro come o addirittura se avvenisse una consacrazione. Pare che la consacrazione sia stata compiuta da uno solo dei suffraganei della metropoli ambrosiana, non perché in Milano non fossero presenti altri vescovi (poco prima, infatti, era avvenuta l'incoronazione di Corrado), ma perché questi erano simoniaci e non potevano pertanto consacrare in maniera legittima né (secondo l'opinione degli appartenenti a una certa tendenza) valida. Il legato pontificio, il quale si trovava a Milano probabilmente per incontrarsi con il re, dichiarò deposto Arnolfo. Secondo Pandolfo Pisano, autore della vita di Urbano II nel Liber Pontificalis, ilprovvedimento fu preso perché A. aveva ricevuto l'investitura da Corrado; e non è da escludere che la decisione sia stata anche provocata dall'intervento di cinque sacerdoti i quali, dopo la morte dell'arcivescovo Anselmo da Rho, avevano inviato al pontefice Urbano II una lettera in cui, dichiarandosi discepoli del patarino Arialdo, chiedevano il suo intervento affinché si evitasse alla Chiesa milanese di cadere sub avaro accipitre.
Al principio del 1094A. si ritirò a far penitenza nel monastero di S. Pietro di Civate, dove probabilmente si era alcun tempo segregato anche il suo predecessore Anselmo. Dopo la volontaria segregazione in monastero, A. venne reintegrato da Urbano II nel suo ufficio. A questo punto merita particolare attenzione il problema della sua consacrazione episcopale. Le testimonianze di Bernoldo e di Pandolfo a tal proposito divergono completamente. Secondo Bernoldo, A. sarebbe stato eletto ma non consacrato (validamente, almeno) nel 1093,e pertanto il rito della consacrazione sarebbe stato celebrato per la prima volta (probabilmente nel marzo 1095)dai vescovi Dimone di Salisburgo, Udalrico di Passavia e Gabardo di Costanza, massimi esponenti del movimento riformatore tedesco e presenti al grande concilio di Piacenza.
Secondo Pandolfo, invece, quella conferita nel 1093sarebbe stata valida e, pertanto, unica consacrazione: A., al momento della reintegrazione, si sarebbe limitato a giurare pro more episcoporum al pontefice e alla Chiesa romana.
È impossibile pronunciare un giudizio definitivo sulla questione, sia per la carenza di dati documentari, sia per la incertezza di idee che - proprio al tempo di Urbano II - regnava a proposito della validità delle ordinazioni. Si può, tuttavia, ritenere probabile che A. fosse stato validamente, anche se irregolarmente, consacrato nel dicembre 1093 e che nel marzo 1095 ottenesse soltanto la "riconciliazione" mediante la imposizione delle mani da parte dei tre vescovi tedeschi.
Urbano II, derogando alla prassi romana che richiedeva la presenza dell'interessato presso il papa, concesse ad A. il pallio, inviandoglielo a Milano per mezzo del cardinale Ermanno di Brescia.
Non si sa se A. si recasse a Piacenza o a Cremona per incontrare Urbano II: certo è che dal 6 al 26 maggio 1095 il pontefice fu a Milano. Probabilmente in tale occasione venne effettuata la traslazione del corpo di Erlembaldo e fu murata nella basilica di san Dionigi una lapide che ricordava il martirio dell'agitatore patarino: "Hic Herlembaldus miles Christi reverendus / occisus tegitur qui coeli sede potitur / incestus reprobat simonias et quia damnat / hunc Veneris servi perimunt Simonisque maligni / Urbanus summus praesul dictusque secundus / noster et Armilphus pastor pius atque benignus / huius membra viri tumulant translata beati".
È certo che A. non accompagnò Urbano II in Francia né partecipò al concilio di Clermont. Egli riaccolse invece, nell'autunno 1096, a Milano il pontefice reduce dal lungo giro compiuto in Francia. Nella basilica di S. Tecla il papa rivolse al popolo un discorso nel quale dichiarò che i seguaci di Arialdo e di Erlembaldo erano stati i difensori delle direttive romane, e affermò che il più umile chierico della Chiesa di Dio è superiore a ogni re.
Le parole di Urbano II intendevano probabilmente essere al tempo stesso un riconoscimento dell'opera dei riformatori milanesi e una smentita per coloro i quali nei rapporti amichevoli stabilitisi fra il papa e il re Corrado vedevano un pericolo di abbandono dei principi gregoriani. Esse, inoltre, ponendo l'accento sulla dignità sacerdotale, indipendentemente dal grado di perfezione morale dei singoli chierici, e sottolineando la preminenza dell'"ordo" sacerdotale su quello laicale, suonavano quasi un implicito omaggio, oltre che un'abile rassicurazione, per il clero tradizionalista ambrosiano dfffidente ed ostile all'azione dei movimenti laicali di tipo patarinico.
Il discorso di Urbano II fu accolto con grande entusiasmo dal popolo: alcuni colsero l'occasione allora per scacciare dalle loro chiese vecchi sacerdoti e per prenderne il posto: così fece Nazario Mauricola per le chiese di S. Romano e di S. Babila, imitato poi da Alberto di Magenta, Giovanni Aculeo di Vimercate e Manfredo di Limito. Pare che tutti costoro ricevessero in seguito la protezione di Arnolfo.
Dell'episcopato di A. si conoscono solo due atti. Con un diploma solenne, redatto il 2 nov. 1095 nel palazzo arcivescovile alla presenza di alcuni canonici del duomo e di chierici della pieve di Arcisate, egli regolava la condizione della chiesetta e dell'ospizio fondati sulla tomba di S. Gemulo in Valganna. Questo piccolo nucleo monastico, fedele alla corrente riformatrice, era forse già allora (come lo era certo poco dopo) alle dipendenze di Fruttuaria e costituiva un baluardo avanzato verso il territorio comense controllato allora dal vescovo imperiale e scismatico Landolfo da Carcano, che deteneva la diocesi di Como. In un placito celebrato l'agosto 1096 l'arcivescovo A. concedeva al prevosto Landolfo da Baggio e ai canonici di S. Ambrogio la chiesa di santa Maria Greca. Il presule ambrosiano ricevette da Urbano II facoltà di dirimere controverse questioni pendenti appunto fra i canonici e i monaci di S. Ambrogio.
A. morì nel 1097 e, per suo desiderio, fu sepolto in S. Pietro in Civate.
Fonti e Bibl.: Bernoldi Chronicon, in Monum. Germ. Historica, Scriptores, V, Hannoverae 1844, pp. 457, 462 s.; Pandulphi Pisani Vita Urbani II,in Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne), II, Paris 1955, pp. 293-294; Landulphi Iunioris Historia Mediolanensis, ibid., 2 ediz., V, 3, a cura di C. Castiglioni, pp. 3 s.; P. F. Kehr, Italia Pontificia, VI: Lombardia, 1, Berolini 1913, pp. 53 s.; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano, II,Milano 1854, pp. 599-613; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia: La Lombardia, I, Milano, Firenze 1913, pp. 449-452; A. Ratti, Bolla arcivescovile milanese a Moncalieri ed una leggenda inedita di S. Gemolo in Ganna, in Arch. stor. lombardo, XXVIII(1901), pp. 5-36; C. Pellegrini, Fonti e memorie storiche di S. Arialdo, ibid., XXIX (1902), pp. 60-98; A. Bosisio, Origini del Comune di Milano,Messina-Milano 1933, pp. 150-155; E. Cattaneo, Il santo e la basilica,in La basilica di S. Babila,Milano 1952, pp. 62 ss.; G. L. Barni, Dal governo dei vescovi a quello dei cittadini,in Storia di Milano,III,Milano 1954, pp. 224-236; G. P. Bognetti, I primordi ed i secoli aurei della Abbazia benedettina di Civate, in L'Abbazia benedettina di Civate, Civate 1957, pp. 74 ss.; C. Violante, L'età della Riforma della Chiesa in Italia,in Storia d'Italia, diretta da N. Valeri, I, Torino 1959, pp. 193 s.