MONDADORI, Arnoldo
– Nacque a Poggio Rusco, in provincia di Mantova, il 2 nov. 1889, terzogenito di Domenico Secondo e di Ermenegilda Cugola.
Il padre, «piccolo artigiano tuttofare» come lo definì il M., oltre ai figli nati prima di lui, Ermete e Thea, ebbe successivamente Remo, Dina e Bruno. In cerca di lavoro spostò la famiglia prima a Gazzo Veronese, poi definitivamente a Ostiglia dove nel 1897 aprì un’osteria.
Le gravi ristrettezze familiari costrinsero il M. ad abbandonare gli studi, dopo aver compiuto le elementari, per dedicarsi a mille mestieri: venditore ambulante, poi a 14 anni garzone di bottega. Con un racconto patetico pubblicato nel 1906 in Letture per la gioventù, diretto da Yambo (E. Novelli), vinse un premio di 5 lire in libri che segnò l’inizio di un faticoso ma appassionato apprendimento da autodidatta che contraddistinse tutta la sua esistenza. Nel frattempo si era accostato al movimento socialista, tanto da essere eletto nel 1907 nel comitato federale di Mantova. Tuttavia la militanza non durò a lungo poiché, per curare la pubblicazione del giornaletto popolare Luce, iniziò a lavorare presso una piccola azienda tipografica, la Tipografia e cartolibreria L. Manzoli di Ostiglia. Gli esordi nell’attività furono da lui rievocati successivamente con accenti commossi seppure non privi di una certa retorica.
«Mi offersi di fare il garzone tipografo in una vecchia antiquata tipografia ostigliese dove la polvere copriva completamente le casse dei caratteri, dove il torchio a mano giaceva quasi sempre immobilizzato, perché il padrone non aveva voglia alcuna di lavorare; e io mi misi a rispolverare, a imparare a comporre, a stampare» (Decleva, p. 8). Le pesanti difficoltà economiche iniziali e la fatica per un’affermazione individuale raggiunta a prezzo di duro lavoro segnarono profondamente i comportamenti successivi del M.; accanto all’orgoglio tipico del self made man partito da una situazione di oggettivo svantaggio, conservò infatti nel tempo una concezione fortemente verticistica e autocratica dell’impresa, nel quadro di una organizzazione aziendale che, pur conquistando progressivamente sempre maggiori livelli di modernità, manteneva tratti artigianali sia nella gestione dei rapporti con gli autori, definiti «la nostra grande famiglia», sia con le stesse maestranze, spesso trattate con ambigui atteggiamenti paternalistici per evitare rivendicazioni eccessive e aspri conflitti interni.
Ben presto, anche con l’aiuto di un benefattore, in cui forse si può riconoscere il direttore della locale Banca agricola mantovana, F. Pasini, la piccola impresa, specializzata nella stampa su commissione di moduli, bollettini e carta intestata, con la denominazione La Sociale, passò nelle mani del M. che ne fece sin dall’inizio un’azienda familiare, chiamando a sé la sorella Dina per la vendita libraria e il fratello Remo all’officina. L’acquisto di macchinari più moderni e l’aumento delle commissioni resero necessaria la trasformazione dell’impresa in società in accomandita, nella quale entrarono oltre Pasini, anche alcuni parenti del M. – E. Mantovani, G. Raimondi e A. Cugola – confermando quella tendenza alla gestione familiare già evidenziata.
Ma la vera svolta, resa possibile anche dalla maggiore disponibilità finanziaria, fu l’approdo all’attività editoriale vera e propria, con la pubblicazione nel 1912 di Aia Madama, considerato tradizionalmente come il primo volume pubblicato dal M., un libretto di racconti e usanze popolari del letterato ostigliese T. Monicelli, divenuto amico e collaboratore prezioso del M. che ne sposò la sorella Andreina il 6 ott. 1913.
A questa prima opera, il M. accostò nello stesso anno una collana di letture per l’infanzia («La Lampada», 1912-27), cui collaborarono presto autori di notevole prestigio, come A. Beltramelli, Vamba (L. Bertelli) e G. Gozzano, probabilmente convinti dalla vivacità e l’intraprendenza dell’editore. Nello stesso periodo del resto, il M. aveva iniziato con il marchio La Scolastica e il motto illuminante «Semper et ulterius progredi» la produzione di numerosi volumi per le scuole, sussidiari, grammatiche e libri di lettura.
Quantunque l’esile veste tipografica fosse assai poco curata e i risultati ancora modesti, il M. mostrava chiaramente di volersi inserire sin dagli esordi nel più ampio e redditizio mercato di libri per la scuola, entrando in competizione aperta con gli editori che ne detenevano le quote più consistenti, come Paravia di Torino, Bemporad di Firenze e Sandron di Palermo.
Lo scoppio della guerra rallentò l’attività editoriale anche a causa degli alti costi di produzione, ma non impedì la continuazione di lavori su committenza, tra i quali si segnalano alcuni giornali di trincea come La Ghirba o La Tradotta, rivistine propagandistiche per le truppe al fronte stampate con finanziamenti governativi, cui collaborarono intellettuali come A. Soffici, R. Simoni o il già noto illustratore A. Rubino.
I primi anni di attività del M. furono caratterizzati da un frenetico attivismo nella creazione di sempre nuovi assetti societari che consentissero, con l’ingresso di altri soci, l’acquisizione di più consistenti disponibilità finanziarie e quindi la realizzazione di nuovi stabilimenti industriali, efficienti e moderni, in grado di rivaleggiare con le più avanzate imprese del settore. In questa direzione si collocò nel 1917 la fusione con la Tipografia di Verona Gaetano Franchini, che comportò l’ingresso dei fratelli Franchini nella società denominata Stabilimenti tipolitografici editoriali A. Mondadori già la Sociale e Gaetano Franchini. Successivamente nacque nel 1921 la Casa editrice Mondadori con sede a Ostiglia, stabilimenti a Verona e amministrazione a Roma dove il M. aveva anche acquisito la Libreria scolastica nazionale.
Spregiudicatezza e intraprendenza caratterizzarono i comportamenti e le scelte del giovane editore che comunque doveva i suoi iniziali successi non tanto al settore editoriale, di cui non erano ancora ben definiti i programmi, ma all’attività di stampa su commissione che rappresentava la quota più consistente dell’intero fatturato.
Contro l’ipotesi dei soci fratelli Franchini che, sottolineando con preoccupazione l’oggettiva debolezza finanziaria dell’azienda, proponevano un’intesa con il concorrente e rivale fiorentino E. Bemporad, il M. riuscì a realizzare nel 1921 un accordo con l’industriale tessile S. Borletti che rappresentò quel definitivo salto di qualità per l’azienda, tale da garantire sia un più stabile accesso al credito sia, soprattutto, un rapporto organico con le nuove classi politiche del nascente potere fascista. Acceso nazionalista, amico personale di G. D’Annunzio di cui favorì l’impresa fiumana, ma soprattutto legato agli ambienti finanziari milanesi (fu consigliere della Banca italiana di sconto) e ai nuovi dirigenti del fascismo, di cui era un fervente sostenitore, Borletti era l’uomo giusto per gli ambiziosi disegni del M.; di qui la scelta, attuata attraverso alcuni passaggi progressivi il 31 maggio 1921, di nominarlo presidente della nuova A. Mondadori. Società anonima per azioni con sede a Milano, di cui lo stesso M. diveniva consigliere delegato.
Raggiunto tale obiettivo che garantiva almeno per qualche tempo stabilità finanziaria e solide relazioni politiche, il M. poté dedicarsi liberamente ai progetti che più lo interessavano, definendo in modo più articolato il programma editoriale in parte già delineato sin dalle prime pubblicazioni.
Convinto della necessità di garantirsi un mercato sicuro anche nei momenti di crisi, il M. in primo luogo confermò quella vocazione allo scolastico che costituì nel tempo l’asse portante della casa editrice, tanto da arrivare a rappresentare circa un terzo dell’intera produzione. Questi incoraggianti risultati furono resi possibili sin dall’inizio dalla politica delle commissioni centrali della Pubblica Istruzione, organi delegati alla scelta dei libri di testo per le scuole, tendenti a favorire in prima istanza le due imprese editoriali più aggressive, la fiorentina Bemporad e la milanese Mondadori. Alla produzione per la scuola, il M. affiancò poi una ricca offerta di libri e periodici per l’infanzia; all'iniziale collana «La Lampada» si aggiunse infatti una nuova collezione di «Filastrocche» (1921-33) e, sin dal 1921, una rivista mensile poi quindicinale denominata Giro giro tondo, diretta da Beltramelli e illustrata da B. Angoletta, che confluì poi nel Giornalino della domenica, storica testata per bambini diretta da Vamba dalle straordinarie copertine, illustrate dai migliori disegnatori dell’epoca, acquistata dal M. nel 1925 e gestita sino al 1927.
Ma il vero successo di vendite venne dall’acquisizione – sempre nel 1921, dall’editore Cogliati – dei diritti dell’Enciclopedia dei ragazzi, traduzione dell’inglese The children’s encyclopedia.
L’opera, definita «il libro che spiega tutto nel modo più facile, più chiaro e più divertente», era presentata nella vasta campagna pubblicitaria come il corredo indispensabile per ogni scolaro; pubblicata a dispense con periodicità quindicinale e con un ricco apparato iconografico, conteneva non solo filastrocche e storielle per i più piccoli, ma soprattutto informazioni utili relative agli avvenimenti storici, alle scoperte scientifiche, alla vita quotidiana. Non contento di pubblicare quella che di fatto era una ristampa, pur se più curata, dell’edizione Cogliati, il M. decise l’edizione di una traduzione interamente rinnovata nella veste tipografica e nei contenuti, affidandone la cura a E. Fabietti; la nuova opera, edita nel 1935, ebbe circa 40 tra edizioni e ristampe sino all’ultima edizione del 1979.
Contrario a confinarsi in un ambito specialistico, pur se in grande espansione come lo scolastico, il M. aspirava a divenire l’editore per tutti, coprendo, e in molti casi orientando, le esigenze di informazione e di «diletto» di tutte le fasce di lettrici e lettori, sottraendo quindi settori di mercato a concorrenti già affermati.
L’affermazione «Io, sapete, ingoierò casa Treves» rivolta a M. Moretti (per cui v. M. Moretti, Il giovane A., in Il cinquantennio editoriale di A. M. 1907-1957, Verona 1957, p. 13), uno dei numerosissimi autori sottratti alla storica impresa milanese, non deve essere intesa semplicisticamente come frutto della giovanile baldanza di un editore alle prime armi, ma come l’esplicitazione di un preciso programma imprenditoriale, volto ad assicurarsi l’egemonia nel campo della narrativa, settore che con le alte tirature garantiva le entrate più consistenti.
Fin dai primi anni infatti il M., più che puntare sulla sperimentazione di opere nuove, lavorò per accaparrarsi, anche con le lusinghe di contratti remunerativi, autori già affermati in grado di assicurare sin dalle prime edizioni stabili successi di vendita; a V. Brocchi, celebrato romanziere per tutti, col quale siglò nel 1923 un contratto in esclusiva chiamandolo anche a dirigere, dal 1° luglio del 1920, la prima collana di narrativa vera e propria, «Le Grazie» (1920-24), si aggiunsero presto altri nomi prestigiosi come Moretti, A. Panzini, G.A. Borgese, Ada Negri. Più complessa e travagliata fu, invece, la trattativa con G. D’Annunzio per la pubblicazione dell’Opera Omnia.
Per il M. si trattava di un obiettivo ambizioso per onere finanziario e vastità di impegno che, dato il grande prestigio di cui godeva «il vate d’Italia» e i suoi rapporti con le più alte cariche dello Stato, costituiva anche la definitiva consacrazione tra gli editori affermati e più vicini al regime. In quest’ultimo caso furono fondamentali le mediazioni di Monicelli e soprattutto di Borletti, buon amico di D’Annunzio il quale d’altronde, preoccupato delle continue dilazioni di casa Treves, era desideroso di sciogliere definitivamente i rapporti con la casa milanese, considerata troppo attardata e «passatista». L’accordo finale, arrivato nel giugno 1926 dopo cinque anni di non facili trattative, comportò la costituzione dell’Istituto nazionale per l’edizione di tutte le opere di D’Annunzio, patrocinato da Vittorio Emanuele III, con presidente onorario B. Mussolini e presidente di fatto il ministro della Pubblica Istruzione P. Fedele, Borletti vicepresidente e il M. amministratore delegato. Il capitale di 6 milioni era garantito per 3 milioni e mezzo dallo Stato, per un milione e mezzo dal M. e per il rimanente milione dallo stesso D’Annunzio, come apporto dei diritti d’autore. Per l’occasione, fu allestita nello stabilimento di Verona un’apposita sezione chiamata Officina Bodoni, frutto dell’accordo con il raffinato stampatore H. Mardersteig che diede all’intera opera una veste tipografica di rara eleganza, dai caratteri bodoniani ricavati dai punzoni fatti venire appositamente dalla Biblioteca Palatina di Parma, alla carta di Fabriano con un motto dannunziano in filigrana. I primi volumi furono particolarmente apprezzati da D’Annunzio e costituirono anche un ottimo affare commerciale, destinato a concludersi solo nel 1936 con l’uscita del volume degli Indici.
Non altrettanto remunerativo, almeno sul piano finanziario, l’altro affare condotto in questi anni sempre per iniziativa di Borletti, cioè l’acquisto nel 1923 del quotidiano milanese Il Secolo che da giornale radical-democratico nell’era Sonzogno, divenne nelle mani dei nuovi proprietari un organo fiancheggiatore del regime fascista, lanciando dalle sue colonne aspre campagne contro il Corriere della sera diretto dall’inviso liberale L. Albertini.
In tutti e due i casi comunque, la logica sottesa alle scelte imprenditoriali del M. era la volontà di assicurarsi la benevolenza del regime e in particolare di Mussolini, garanzia utilissima per l’espansione dell’impresa e il raggiungimento dei propri obiettivi di egemonia editoriale. Risulta quanto mai appropriato il giudizio di Decleva che afferma che «Il fascismo costituiva senza dubbio una realtà cui naturalmente aderire e in cui identificarsi senza riserve: ma era anche un tramite per possibili affari editoriali, l’occasione per libri d’attualità di sicuro successo. Poter ostentare la piena legittimazione da parte del regime sarebbe diventato d’altro canto un fattore sempre più essenziale e indispensabile di avallo e di penetrazione rispetto a ministeri e amministrazioni pubbliche, per ordinazioni e commesse» (Decleva, p. 75).
Se appare priva di riscontri l’affermazione dello stesso M. che negli anni Trenta, per retrodatare la sua adesione al fascismo, dichiarava di aver stampato nella propria tipografia di Verona manifestini della marcia su Roma, è certa la data della iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF), sezione di Verona, il 27 febbr. 1924. In ogni caso, sin dai primi anni Venti, il M. cercò di stringere rapporti più stretti con i capi del fascismo e lo stesso Mussolini. Una delle prime occasioni fu la pubblicazione della biografia del duce scritta da Margherita Sarfatti, Dux.
Già uscita in Inghilterra con il titolo più neutro The life of Benito Mussolini, l’opera, essenzialmente apologetica, dopo un’accurata e non formale revisione del protagonista, uscì nel giugno 1926 con la prefazione dello stesso Mussolini, ed ebbe uno straordinario successo vendendo già nel primo anno 25.000 copie. A essa, l’editore accostò sin dallo stesso anno alcuni discorsi tenuti dal capo del fascismo riuniti nella collana «Politeia» e successivamente le opere teorico-programmatiche di quasi tutti i gerarchi del regime, da P. Farinacci a I. Balbo, da G. Bottai a De Marsico e A. Starace, alcune delle quali vennero inserite in una apposita collana «Panorami di vita fascista» nata nel 1933 e diretta da A. Marpicati.
In questo quadro, che di fatto accredita il M. come un pedissequo stampatore di regime, si colloca una scelta editoriale a prima vista rischiosa: la decisione, nel 1932, di affidare la redazione di un’ampia biografia dello statista Mussolini allo scrittore ebreo tedesco E. Ludwig, di orientamento liberale, ben conosciuto dal grande pubblico per aver pubblicato nella collana mondadoriana «Le Scie» (1926 -) alcuni ritratti di personaggi del passato, da Guglielmo II a J.W. Goethe.
L’opera, intitolata Colloqui con Mussolini (1933), sia perché fondata in gran parte sugli incontri dell’autore con il biografato, sia perchè voleva dare un’immagine di assoluta veridicità, fu contestata duramente dai fascisti più intransigenti, malgrado la revisione fatta ancora una volta sulle bozze dallo stesso Mussolini che aveva provveduto a limarne i contenuti troppo scabrosi soprattutto in materia di rapporti con il Vaticano. Non volendo o potendo bloccare l’edizione, molti gerarchi attaccarono la sciatteria della traduzione italiana; l’opera venne quindi tradotta di nuovo e, nel giro di pochi mesi (ottobre 1933), venne approntata una nuova edizione, questa volta edulcorata dai brani più controversi, che non solo fu presto esaurita ma ebbe anche numerose ristampe. Nonostante l’oggettiva difficoltà, il M. era riuscito a evitare lo scontro e anzi era apparso come un editore più che ossequiente ai desideri del capo del governo.
Fu soprattutto nel settore scolastico, comunque, che il M. riuscì a lucrare i maggiori favori dal regime fascista, tanto da raggiungere una posizione di oggettivo monopolio. In verità, l’avvento nel 1928 del libro di Stato, cioè del libro di testo unico per le scuole elementari, sembrò danneggiare duramente in un primo tempo l’editore milanese, come del resto tutti gli imprenditori, da Bemporad a Sandron, che si erano impegnati massicciamente nella produzione scolastica per la prima infanzia. Tuttavia, in breve tempo il M. riuscì a ottenere, grazie ai buoni rapporti con i dirigenti del ministero della Pubblica Istruzione e alla modernità dei suoi impianti industriali, di stampare e commercializzare dapprima il 30% dei testi per le elementari, poi dal 1938 con l’eliminazione di fatto del concorrente Bemporad, la quasi totalità.
Ancora una volta, attraverso un’abile sinergia tra casa editrice e stabilimenti di stampa su commissione, il M. era riuscito a superare un momento di oggettiva difficoltà raggiungendo altissimi livelli di fatturato, come egli stesso afferma in un colloquio con Mussolini del maggio 1940 (Galfré, 2008, pp. 12 s.). Alla stampa del libro di Stato del resto, il M. accostò intensificandola la produzione dei libri di testo per le scuole secondarie che furono inseriti nei programmi d’esame, su precisa indicazione dei ministri dell’Istruzione. Non a caso nel 1941, quasi a consacrazione di un continuato scambio di favori, il M. ricevette da Bottai la medaglia d’oro dei benemeriti dell’Educazione nazionale per l’attività svolta «nel campo della scuola elementare, media e superiore, a mezzo delle sue accurate edizioni di testi rispondenti nel più efficace dei modi ai criteri di rinnovamento con cui il Regime potenzia e perfeziona la scuola italiana» (ibid., p. 28).
Tutte queste vicende disegnano il quadro di un editore del tutto organico alla cultura del regime fascista, della quale fu divulgatore attento, abile e interessato. Tuttavia il complesso delle scelte editoriali di questi anni ci offre un panorama assai più complesso e variegato. Infatti, accanto alle opere dichiaratamente fasciste e ai libri scolastici, comparvero dagli anni Trenta, anche per l’iniziativa e suggerimento del nuovo condirettore L. Rusca, numerose collane che mostrano un’autonomia non formale dalle direttive del regime, frutto della sperimentazione di nuovi generi editoriali di largo consumo, già affermatisi in particolare negli Stati Uniti.
Si iniziò nel 1929 con la prima serie de «I Libri gialli» (1929-41; Nuova serie, 1946 -), opere poliziesche in traduzione da scrittori stranieri che imposero sul mercato italiano un modello letterario del tutto innovativo, seguita dalla «Biblioteca romantica» (1931-42), sorta di contenitore per famiglie dei migliori romanzi ottocenteschi di ogni Paese, sino alla più sofisticata «Medusa» (1933-71), che portava nelle case degli Italiani la grande narrativa straniera contemporanea. Ma l’elenco potrebbe continuare, aggiungendo «I Libri neri. I romanzi polizieschi di George Simenon» (1932-33), «I Romanzi della Palma» (1932-43) e, infine, nel 1935 l’accordo con la Walt Disney per la pubblicazione di Topolino. Con queste numerose collane si definiva ulteriormente l’offerta libraria del M., che tendeva a divenire l’editore per tutte le fasce di età e per tutti i livelli di alfabetizzazione; ma certo in quelle scelte si poteva leggere anche la sconfessione di quella cultura autarchica, cui secondo il fascismo si sarebbe dovuto ispirare ogni editore italiano, come del resto non mancarono di sottolineare alcuni gerarchi. Da queste accuse il M. si difese appellandosi come sempre ai suoi meriti di «buon milite fascista» ma soprattutto affermando che con le traduzioni si compiva «alta opera di italianità, contribuendo efficacemente a liberare il nostro paese dalla soggezione verso altre lingue» (cfr. Almanacco della Medusa, Milano 1934, p. 11).
Se queste affermazioni bastarono a metà degli Trenta a tacitare nemici e detrattori, alla fine del decennio l’orizzonte si fece molto più cupo e fu necessario ridimensionare molti progetti editoriali. La bonifica fascista della cultura, i cui documenti furono editi dal M. nel 1938, ebbe effetti devastanti per molti editori costretti a eliminare dai loro cataloghi moltissimi autori ebrei. Pur in una condizione di privilegio, motivato anche dalla pubblicazione contemporanea del Primo libro del fascista, sorta di catechismo del regime commissionato dal PNF, anche il M. si vide costretto a chiedere al ministero della Cultura popolare (Minculpop) il permesso per la pubblicazione di opere in traduzione e a rinunciare a numerose edizioni considerate troppo pericolose.
Gli anni della guerra ebbero conseguenze drammatiche per la casa editrice. I primi bombardamenti alleati a Milano nel 1942 costrinsero il M. a spostare la direzione amministrativa a Verona e quindi ad Arona. La divisione delle varie sedi rendeva più difficile il controllo da parte del M. e la continuazione del lavoro editoriale. Successivamente gli stabilimenti di Verona vennero requisiti dal Comando tedesco che li utilizzò per la propaganda; il M., che il 26 luglio 1943 all’indomani della caduta di Mussolini aveva scritto un telegramma a Badoglio per formulare gli auguri più fervidi e mettersi a disposizione dei nuovi governanti, preferì, al fine di evitare conflitti o compromessi con un regime ormai sconfitto, rifugiarsi in Svizzera l’11 nov. 1943, dove nel frattempo si erano già recati i due figli Alberto e Giorgio e dove venne raggiunto in seguito dagli altri componenti della famiglia.
Fu proprio in Svizzera che si delineò quel contrasto col primogenito Alberto, già collaboratore della casa editrice e direttore della rivista mondadoriana Tempo, che avrebbe caratterizzato gli anni del dopoguerra e della ricostruzione.
Come afferma Ferretti: «Se per Alberto la fuga e il soggiorno in Svizzera significano ricominciare tutto da capo, con un travagliato processo autocritico rispetto al passato e con un progetto completamente nuovo, per Arnoldo significano invece abbandonare realisticamente una compromissione ormai improduttiva e preparare la difesa su una linea di sostanziale continuità con la strategia passata» (G.C. Ferretti, Alla sinistra del padre, in A. Mondadori, Lettere di una vita 1922-1975, p. XLII). Il rapporto col figlio Alberto rappresentò uno fra i nodi più problematici e dolorosi della vita del Mondadori. Desideroso di garantire all’azienda una continuità di gestione nell’ambito familiare, il M. caricò sin dall’inizio il primogenito di aspettative di efficienza, affidabilità e soprattutto piena adesione al proprio progetto imprenditoriale, cui Alberto non si sentì di aderire. Di qui, per entrambi, conflitti e frustrazioni che incrinarono più volte il rapporto personale e che ebbero un riflesso anche sul piano aziendale.
Il primo conflitto emerse già alla fine della guerra. In una lunga lettera programmatica al padre del 9 febbr. 1945, Alberto, che aveva maturato una sincera scelta antifascista, esplicitando apertamente il proprio dissenso con la linea editoriale sino allora seguita, affermò la necessità di una svolta militante che ponesse apertamente la casa editrice nell’ambito politico progressista, dando spazio in particolare a pubblicazioni saggistiche di dibattito culturale e di impegno civile. L’immediata risposta del M. anticipava e chiariva gli orientamenti degli anni della ricostruzione; mentre si dichiarava nettamente contrario ad «ingerirsi in cose politiche», riaffermava anche la vocazione essenzialmente commerciale dell’impresa, tesa all’egemonia in tutti i campi della produzione editoriale, senza rinchiudersi in troppo angusti specialismi ideologici o in steccati politici.
Di fatto Alberto e Giorgio Mondadori furono i primi a tornare a Milano nell’aprile del 1945, riprendendo faticosamente i rapporti con autori e maestranze. Dopo una complessa trattativa con il Comitato di liberazione nazionale (CLN) aziendale e la nomina di un commissario nella persona del socialista U.G. Mondolfo, un’assemblea dell’ottobre 1945 ratificò il rapido ritorno alla presidenza dell’azienda del M. che si impegnava a dare all’attività editoriale un indirizzo utile «all’elevazione culturale del Paese e alla formazione di una coscienza civile» (Decleva, p. 333).
Se l’epurazione tanto paventata non vi era stata, anche a causa degli appelli pilotati di scrittori e maestranze per il suo ritorno a capo dell’impresa, il M. mostrò fin dall’inizio di non volersi in alcun modo discostare da quella linea di cauto equilibrio delineata nella lettera al figlio.
La difesa degli interessi aziendali portava l’editore a collocarsi quasi naturalmente su una linea filogovernativa, o, come egli stesso ebbe a dire, «nell’area dei partiti di centro» attraverso la quale era più facile trovare appoggi per l’accesso al credito o eventuali committenze ministeriali, indispensabili in tempi di gravi difficoltà finanziarie. Così, malgrado la nomina di Alberto alla direzione editoriale, i progetti militanti sostanzialmente non andarono in porto mentre ripresero vita le storiche collane, a cominciare da «La Medusa» o dai popolari «Libri gialli», e si approntarono nuove iniziative nell’alveo delle precedenti, come «La Medusa degli Italiani» (1947-61).
In realtà le innovazioni non furono di poco conto per ciò che riguarda assetto aziendale e programmi editoriali. In primo luogo, con una scelta già maturata durante la permanenza in Svizzera, il M. decise di liberarsi dallo scolastico, creando una società a responsabilità limitata affidata al fratello Bruno, il quale comunque continuava a far parte del consiglio di amministrazione della casa madre. Nell’azienda, oltre ad Alberto, che svolgeva funzione di direttore editoriale, acquistò intanto sempre più rilevanza la figura del figlio minore Giorgio, cui il padre affidò la direzione tecnica e gli stabilimenti industriali veronesi, messi a dura prova dall’occupazione tedesca. Mentre si cristallizzava fra i due fratelli un dualismo che successivamente sfociò in aperto conflitto, Giorgio venne inviato negli Stati Uniti per studiare sia le innovazioni industriali sia quelle più propriamente commerciali. Il filoamericanismo del M., già evidenziato nei tempi del fascismo e del resto condiviso negli anni della ricostruzione dai ceti dirigenti italiani, divenne una scelta strategica; di qui, dal 1949, i viaggi negli USA dello stesso M., gli accordi miranti al rinnovamento del catalogo con gli editori americani – da Walt Disney a Henry Luce – proprietario di Life e marito dell’ambasciatrice in Italia Claire Boothe – ma soprattutto il progressivo ampliarsi dell’orizzonte produttivo che, oltre ai libri, si aprì anche ai periodici, da Bolero Film a Grazia, e ad altri prodotti dell’industria grafica. Con l’acquisto di nuovi macchinari importati dagli USA, fu possibile realizzare negli anni Cinquanta tra l’altro l’elegante rotocalco Epoca.
Curata da B. Munari per la grafica, direttore Alberto e collaboratori C. Zavattini, E. Vittorini, G. Spadolini, più tardi I. Montanelli; al di là dai contenuti politici, saldamente atlantici anche se aperti a innovazioni e contributi di scrittori di sinistra, il periodico si segnalò sin dall’inizio per la raffinatezza dell’impianto grafico, la nitidezza delle immagini fotografiche che ne fecero un unicum nel panorama giornalistico italiano, tanto da arrivare a 400.000 copie di tiratura nel 1954.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, arrivarono al M. alcuni riconoscimenti significativi.
Il primo fu la celebrazione nel 1957 del cinquantenario della nascita della casa editrice, un’occasione per esaltare, con un volume alla cui stesura non priva di retorica parteciparono i più fedeli collaboratori, non solo gli obiettivi raggiunti dall’impresa, ma anche il suo presidente, definito «il re degli editori» che con sagacia e prudenza era riuscito a superare difficoltà e ostacoli, raggiungendo traguardi prima impensabili. A distanza di due anni nel maggio 1959 venne la laurea honoris causa della facoltà di Lettere dell’Università di Pavia; questa volta fu lo stesso M., nel discorso di ringraziamento, a disegnare il suo personaggio, ponendo l’accento sui valori che avevano determinato il successo, ma anche sull’apporto dato in cinquant’anni di attività editoriale alla diffusione della cultura in Italia.
Questi pubblici apprezzamenti non mitigavano la preoccupazione di padre e di capo dell’azienda per le sorti del figlio Alberto il quale, già minato nel fisico dall’alcolismo e desideroso di una maggiore autonomia progettuale, ridimensionò il proprio ruolo nel consiglio di amministrazione per fondare nel 1958 una nuova casa editrice, Il Saggiatore, di cui egli stesso era presidente e G. De Benedetti direttore editoriale.
Malgrado la ricchezza del catalogo, tutto dedicato alla saggistica, che spaziava dalla psicanalisi all’antropologia con l’obiettivo di «sprovincializzare e laicizzare la nostra cultura», Il Saggiatore non riuscì mai a raggiungere l’obiettivo di una vera autonomia finanziaria dalla Mondadori, costringendo il M. a periodici interventi per evitarne la fine.
Gli ultimi dieci anni di vita del M. furono segnati da una sorta di ambivalenza tra nuovi progetti editoriali e preoccupazioni per il futuro dell’impresa, ormai divenuta, anche con l’acquisizione della cartiera di Ascoli nel 1965 e le innovazioni nella distribuzione, come la nascita del Club degli editori e delle librerie Mondadori per voi, un’azienda a ciclo integrale. Per venire incontro alle esigenze del pubblico di massa, poco abituato a entrare nelle librerie, il M. progettò una nuova collana economica tascabile diffusa attraverso il collaudato e più accessibile canale delle edicole: gli «Oscar».
La collana, fra le più conosciute e celebrate negli anni tanto da divenire tutt'uno con il marchio della casa editrice e mai dismessa, iniziò le pubblicazioni nel 1965 con Addio alle armi di E. Hemingway, ed ebbe subito uno straordinario successo di vendite, segno ancora una volta della lungimiranza del M. che riteneva possibile l’ampliamento del numero dei lettori italiani, abbattendo i prezzi e soprattutto innovando radicalmente la distribuzione libraria.
Nello stesso anno il M. predispose un nuovo organigramma dei vertici dell’azienda che fosse abbastanza solido da superare senza traumi il proprio progressivo allontanamento.
Mentre si riconosceva al M. la carica di presidente onorario, veniva affidato al figlio Giorgio il ruolo di presidente e ad Alberto e M. Formenton, marito della figlia Cristina, quello di vicepresidenti. Era di fatto una fotografia delle funzioni sino allora svolte, che riconosceva anche sul piano formale quel ruolo di preminenza assunto da Giorgio già da molti anni. Ma ad Alberto, che vedeva prolungarsi una situazione di oggettiva subalternità, quella soluzione apparve inaccettabile poiché non garantiva l’autonomia di scelte operative cui aveva sempre aspirato. Per tali motivi, dopo numerosi e inutili tentativi di mediazione dei familiari, si allontanò definitivamente dall’azienda Mondadori per assumere la responsabilità del Saggiatore, che diveniva finalmente una casa editrice del tutto autonoma, mentre il consiglio di amministrazione del 26 luglio 1968 confermava l’assetto direzionale ma senza la presenza di Alberto.
Anche se la carica di presidente onorario lo dispensava dagli impegni quotidiani, il M. continuò a lavorare fino all’ultimo, non solo recandosi ogni giorno negli uffici di via Bianca di Savoia, ma anche progettando nuovi traguardi per un’azienda che ormai aveva nel 1968 un bilancio di 52 miliardi e più di 4000 dipendenti.
Il M. morì a Milano l’8 giugno 1971.
Fonti e Bibl.: I documenti del M., sia quelli strettamente familiari sia quelli riguardanti l’attività dell’azienda, sono conservati presso l’Archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, istituto voluto dalla terzogenita del M., Laura (Mimma) per onorare la memoria del padre e del fratello, e al contempo costituire un polo per la valorizzazione della memoria editoriale italiana. Di tale documentazione e dei lavori pubblicati in precedenza ha potuto giovarsi direttamente E. Decleva per la redazione del volume A. M. (Torino 1993), che costituisce quindi lo studio più organico ed esaustivo sulla vita del M. e sull'azienda negli anni della sua gestione. Per questo motivo, si citano qui di seguito soltanto i volumi e gli studi pubblicati successivamente. Sui rapporti familiari e in particolare sul complesso rapporto tra il M. e il figlio Alberto cfr. Lettere di una vita, 1922-1975, a cura e con un saggio introduttivo di G.C. Ferretti, Milano 1996; A. Mondadori, Carteggio 1938-1974. Arnoldo e Alberto Mondadori, Aldo Palazzeschi, a cura di L. Diafani, Roma 2007; C. Mondadori, Le mie famiglie, a cura di L. Lepri, Milano 2007; L’ultima è sempre la migliore: carteggio 1967-1975. Antonio Pizzuto - Alberto Mondadori, a cura di A. Pane, introduzione di C. Vela, Firenze 2007. Sul M. e sulla casa editrice si vedano inoltre: A. Riosa, Borletti, Senatore, in Diz. biografico degli Italiani, XII, Roma 1970, pp. 794-796; Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze 1997, ad ind.; N.Tranfaglia - A. Vittoria, Storia degli editori italiani: dall’Unità alla fine degli anni Sessanta, Roma-Bari 2000, ad ind.; I. Pivetti, Comprate il mio libro. Aldo Gabrielli e la Mondadori negli anni Trenta, Firenze 1996; Editori e lettori. La produzione libraria in Italia nella prima metà del Novecento, a cura di L. Finocchi - A. Gigli Marchetti, Milano 2000, ad ind.; Valentino Bompiani. Il percorso di un editore artigiano, a cura di L. Braida, Milano 2003, ad ind.; A. Gimmi, Mondadori: collane, autori e tendenze dagli esordi agli anni Quaranta, in Editori e piccoli lettori tra Otto e Novecento, a cura di L. Finocchi - A. Gigli Marchetti, Milano 2004, pp. 159-172; P. Landi, Il libro dei libri. Ottant’anni di Enciclopedia dei ragazzi, ibid., pp. 83-105; I. Piazzoni, Valentino Bompiani. Un editore italiano tra fascismo e dopoguerra, Milano 2007, ad ind.; Album Mondadori 1907-2007, Milano 2007; G. Ragone, Classici dietro le quinte. Storie di libri e di editori. Da Dante a Pasolini, Roma-Bari 2009, ad indicem. Sulla produzione scolastica del M. si vedano: A. Scotto di Luzio, L’appropriazione imperfetta. Editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo, Bologna 1996, ad ind.; M. Galfré, Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo, Roma-Bari 2005, ad ind.; Id., L’inarrestabile ascesa di Mondadori tra scuola e mercato, in Mondadori. Catalogo storico di libri per la scuola (1910-1945), a cura di E. Rebellato, Milano 2008, pp. 9-29; Id., M. A. editore, in Teseo '900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento, Milano 2008, ad vocem. In generale sulla produzione editoriale nel secondo dopoguerra cfr. G. Turchetta, Dalla «Medusa» agli «Oscar». La produzione letteraria della casa editrice Mondadori dal 1945 al 1965, in Storia in Lombardia, 1994, 2, pp. 119-150; G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia 1945- 2003, Torino 2004, ad ind.; Libri e scrittori da collezione: casi editoriali in un secolo di Mondadori: con illustrazioni e documenti, presentazione di G.C. Ferretti, Milano 2007.