VOLPICELLI, Arnaldo
– Nacque a Roma il 30 luglio 1892 da Giosafat e da Giuseppina Colabucci ed ebbe un fratello minore, Luigi (v. la voce in questo Dizionario), che sarebbe divenuto un noto pedagogista.
Svolse il servizio di leva a Roma e si congedò il 27 luglio 1912. Richiamato alle armi nel 1915, partecipò alla prima guerra mondiale come sottotenente di complemento e nel 1918 ricevette la croce al merito di guerra.
Laureatosi in giurisprudenza a Roma il 21 luglio 1920 e in lettere e filosofia il 2 marzo 1923, fu supplente di filosofia e storia nel liceo classico del Collegio militare di Roma per l’anno scolastico 1922-23 e nel 1923 vinse il concorso a cattedra di filosofia e storia nei licei. Nel dicembre del 1925 ottenne la libera docenza in filosofia presso l’Università di Pisa e nello stesso anno si iscrisse al Partito nazionale fascista. Incaricato di filosofia del diritto e diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza di Urbino dal novembre del 1927 all’ottobre del 1928, Volpicelli ricevette l’incarico di dottrina generale dello Stato e la supplenza di filosofia del diritto nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa dal novembre del 1928 all’ottobre del 1930. In quest’ultimo anno vinse il concorso a cattedra di filosofia del diritto bandito a Catania e fu nominato professore straordinario di dottrina generale dello Stato presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa il 16 dicembre. Prestato giuramento al regime fascista nel 1931, fu nominato ordinario della stessa disciplina il 16 novembre 1933 presso l’ateneo pisano e nel 1935 passò alla cattedra di diritto costituzionale della medesima università. Nel 1938 fu chiamato alla cattedra di dottrina dello Stato della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Napoli e nel 1939 a insegnare filosofia del diritto presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma.
Gli atti della commissione giudicatrice del concorso a professore ordinario del 1933 (composta da Santi Romano, presidente, Sergio Panunzio, relatore, Donato Donati e dai supplenti Maurizio Maraviglia e Gaspare Ambrosini), riportano, tra l’altro, quanto segue: «mentre la commissione fa sue le precise riserve circa talune idee sostenute dal candidato e i dati tecnico-giuridici su cui esse si fondano, riconosce la vivacità dell’ingegno e la passione posta nella elaborazione del proprio pensiero. Tale passione gli fa preferire la forma polemica della trattazione che spesso toglie l’obbiettività alle valutazioni e ai giudizi» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Professori ordinari, b. 485).
Tra le sue prime pubblicazioni scientifiche si segnala Natura e spirito (Roma 1925), la traduzione e l’introduzione dell’opera di Immanuel Kant, Fondamenti della metafisica dei costumi (Firenze 1925), la cura del volume di Agostino La vera religione (Roma 1925). Nel 1927 fondò e diresse le riviste Nuovi studi di diritto, economia e politica con Ugo Spirito e, con Giuseppe Bottati, Archivio di studi corporativi (1933-1935). Con questi due autori fondò e diresse la collana, presso i tipi di Sansoni, Classici del liberalismo e del socialismo. Insieme a suo fratello Luigi e a Spirito scrisse Benedetto Croce (Roma 1929). Sotto la guida di Giovanni Gentile, si dedicò inoltre a problemi di tipo pedagogico e istituzionale (L’educazione politica dell’Italia e il fascismo, Palermo 1929).
Tra il 5 e l’8 maggio 1932 partecipò all’importante Secondo Convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara, in cui presentò il corporativismo come una dottrina non solo economica, ma di politica universale. Negli anni Trenta, «l’enfant terrible della giurisprudenza fascista» (Costa, 1986, p. 117), si interessò alla teoria dell’ordinamento giuridico di Romano, si occupò della traduzione e del commento dell’opera di Hans Kelsen (Lineamenti di una teoria generale dello Stato ed altri scritti, Roma 1933) e nel 1935 redasse la prefazione ai Principi politici del nazionalsocialismo di Carl Schmitt, curata da Delio Cantimori. In particolare, tra le due guerre mondiali, in sintonia e collaborazione scientifica con Spirito, si dedicò alla teorizzazione del corporativismo (I fondamenti ideali del corporativismo, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, IV (1930), 3-4, pp. 161-172; Corporativismo e scienza del diritto, Firenze 1934; Il problema della rappresentanza nello stato corporativo, Firenze 1935). Volpicelli sostenne l’identità dell’organizzazione statale e di quella sociale, del potere legislativo e di quello amministrativo (o corporativo) e criticò la tripartizione dei poteri e l’idea di rappresentanza di stampo liberale (Rappresentanza: critica del concetto di rappresentanza, in Enciclopedia italiana, XXVIII, Roma 1935, ad vocem). L’individuo, così come inteso dalla tradizione giuridica borghese, a suo avviso era un «feticcio» (I fondamenti ideali del corporativismo, cit., p. 169) che portava a una concezione atomistica della società. Al contrario il singolo, in una società organizzata e unificata, doveva coincidere con lo Stato corporativo. Il suo pensiero si inseriva nella tradizione antidemocratica di rifiuto dell’eguaglianza, dei diritti dell’uomo e dei principi dell’Ottantanove. Egli infatti, in polemica con Giorgio del Vecchio, considerava i valori della Rivoluzione francese come la consacrazione di una concezione astratta e atomistica dell’individuo e della società, e di conseguenza difese, nella sua costruzione scientifica e nel suo impegno politico, un corporativismo gerarchico.
La sua riflessione filosofica e giuridica dunque si inserì pienamente in quella crisi dello Stato moderno e più in generale dello ius publicum europeum, individuata all’inizio del XX secolo da Romano come la vera sfida della cultura giuridica e politica italiana ed europea. Muovendo dalla rivoluzione metodologica e scientifica dell’istituzionalismo romaniano, egli ne sviluppò le intuizioni cercando di superarle e di portarle a compimento in chiave apertamente statualistica, in contraddizione, tuttavia, con le premesse teoriche dell’istituzionalismo (il quale a sua volta riconduceva la pluralità degli ordinamenti giuridici nell’alveo dello Stato).
Durante la seconda guerra mondiale Volpicelli prestò servizio presso l’ufficio prigionieri di guerra della Croce rossa italiana. Sospeso dall’insegnamento, dal grado e dallo stipendio dal 1° agosto 1944 fino al 31 gennaio 1945, sottoposto a procedimento di epurazione, fu prosciolto da ogni addebito e riassunto in servizio attivo dal 1° febbraio 1945. Tra i capi di imputazione della commissione di epurazione vi erano quelli di aver compiuto con scritti e pubblicazioni ripetute manifestazioni di apologia fascista (in particolare con gli scritti Lo Stato fascista, L’educazione politica dell’Italia e il fascismo, Il corporativismo e la scienza giuridica) e di aver dato prova di faziosità fascista, accusando, chiaramente benché non esplicitamente, di antifascismo un candidato a un concorso a cattedra universitario nel quale egli era commissario (il riferimento è a Flavio Lopez de Oñate, che vinse il concorso malgrado la relazione di minoranza di Volpicelli). Le motivazioni del proscioglimento consistettero, in sintesi, nel mancato riscontro da parte della commissione di comportamenti che avrebbero impedito di servire ulteriormente lo Stato italiano e nell’aver compiuto l’apologia del fascismo in ‘buona fede’. Per quanto riguardava il caso Lopez de Oñate, quello di Volpicelli fu considerato un giudizio scientifico e non un pregiudizio ideologico.
Negli anni del dopoguerra la sua produzione scientifica diminuì significativamente, ma egli mantenne una certa coerenza con i suoi studi precedenti, in un alveo culturale meno legato all’ideologia del passato regime, ma sempre dedicato alla crisi dello Stato e dei partiti politici, alla critica del modello liberale e borghese di rappresentanza e all’illusione della certezza del diritto (La certezza del diritto e la crisi odierna, in Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Milano 1952, pp. 705-716). Si dedicò tuttavia assiduamente all’insegnamento e alla direzione dell’Istituto di diritto pubblico e di dottrina dello Stato dell’Università di Roma.
Continuò a insegnare filosofia del diritto presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma fino al 1950, mentre dall’anno successivo passò alla cattedra di dottrina dello Stato, sino a quel momento ricoperta da Giuseppe Capograssi. Sebbene fosse stato collocato fuori ruolo nel novembre del 1962, fu confermato direttore dell’Istituto di diritto pubblico e dottrina dello Stato dell’Università di Roma e posto a riposo per raggiunti limiti d’età il 1° novembre 1967.
Morì a Roma il 6 agosto 1968.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Professori ordinari, b. 485; P. Costa, Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano 1986, ad ind.; Id., Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 4. L’età dei totalitarismi e della democrazia, Roma-Bari 2001, ad ind.; G. Franchi, A. V. Per una teoria dell’autogoverno, Napoli 2003 (con bibliografia completa delle opere alle pp. 121-130); G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2007, ad ind.; I. Stolzi, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell’Italia fascista, Milano 2007, ad ind.; A. Gagliardi, Il corporativismo fascista, Roma-Bari 2010, pp. 7 e 21; C. Latini, V., A., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, Roma 2012, pp. 509-512; M. Fioravanti, V., A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 2066 s.