LIMENIANI, Arnaldo (Arnaldo da Limena)
Nacque intorno al 1185 probabilmente a Padova. Il L. apparteneva alla famiglia capitanale dei da Limena - dal nome della località ai margini del territorio pievano di Padova -, entrata a far parte della curia episcopale e profondamente radicata nella vita cittadina; un fratello del L., Olderico, è ricordato come giudice del podestà Iacopo de Andito nel biennio 1217-18 e compare spesso nelle fonti con il titolo di dominus.
Il L. è menzionato come "Arnaldus", abate di S. Giustina, o come "Arnaldus de Limena"; il cognome Limeniani è presente solo nella letteratura posteriore, in particolare è così indicato da Botteghi, curatore del Chronicon Marchiae Tarvisinae.
Non è certo se il L. abbia compiuto un corso di studi di carattere giuridico presso lo Studium patavino. Il suo nome compare nella matricola del Collegio dei dottori con il titolo di "decretorum doctor" (Monumenti, p. 148) in una lista che comprende anche i nomi di Gerardo Offreducci, futuro vescovo di Padova, e di Giordano Forzatè, altra figura di rilievo della locale vita pubblica e religiosa.
Nonostante le riserve avanzate dagli studiosi in merito a tale fonte, specialmente nella sua sezione più antica (cfr. Hyde, pp. 145 s.), è senz'altro probabile che il L. abbia conseguito una solida cultura, confermata indirettamente dalle parole dell'anonimo autore del Chronicon Marchiae Tarvisinae che lo ricorda come "scientia et moribus decoratus" (p. 12).
Il primo documento in cui compare il L., in qualità di monaco di S. Giustina, risale al 5 dic. 1207: in tale occasione il potente visdomino episcopale Forzatè di Tanselgardino rinunciava, per volere dell'abate Stefano, all'avvocazia dell'importante cenobio patavino. Nemmeno due anni dopo, tra il maggio e l'ottobre del 1209, il L. fu eletto abate in seguito alla rinuncia alla carica abbaziale di Stefano, intenzionato a condurre una vita eremitica.
Il L. si trovò quindi molto giovane a governare la più importante istituzione monastica patavina, in un periodo in cui si affermavano nuove esigenze spirituali - delle quali la vicenda dell'abate Stefano è un chiaro indizio - e nuove realtà ecclesiastiche come l'Ordo monachorum S. Benedicti, più noto come movimento degli "albi", nel quale erano destinate a confluire, per iniziativa di Giordano Forzatè, comunità religiose diverse riunite in un'unica congregazione. Se il L. fu in primo luogo impegnato a riaffermare i diritti vantati dal suo monastero nei confronti di altre istituzioni ecclesiastiche nonché a rafforzarne e a svilupparne il patrimonio fondiario, egli, come altri esponenti della vita cittadina, fu coinvolto nelle vicende che culminarono, nel 1237, nella dominazione ezzeliniana.
Fin dal primo documento che testimonia la sua attività di abate di S. Giustina emergono le linee della gestione patrimoniale da lui intrapresa: poco tempo dopo la sua elezione, il L. si rivolgeva alle autorità cittadine per autenticare un placito, emesso nel 1077, con il quale erano stati concessi al monastero il Prato della Valle e le aree circostanti (cfr. Rigon, 1980, pp. 61 s.). Dal 1210 il L. compì una serie di operazioni finanziarie volte ad accrescere e a razionalizzare il vasto complesso fondiario detenuto da S. Giustina nell'area meridionale del Padovano.
I documenti d'archivio, oggetto di attenta analisi da parte di Rigon (1980), attestano per esempio la concentrazione degli interessi del L. sui beni e sulle persone della "curia" di Concadalbero, destinata a diventare il centro dell'intero patrimonio di S. Giustina, nonché il cuore dell'azione politica del Limeniani. Identiche finalità il L. perseguì a Maserà, sempre in territorio padovano, e a Mason nel Vicentino.
Tale azione si esplicò nonostante il fatto che, al pari dei maggiori enti monastici, anche il cenobio retto dal L. fosse indebolito dall'incrinarsi dei legami personali di fedeltà sui quali aveva fondato e consolidato fino a quel momento il proprio potere. In tale prospettiva devono essere interpretate le numerose liti che videro il L. agire contro alcuni laici, esponenti non di secondo piano della vita cittadina, colpevoli di non aver corrisposto al monastero i dovuti contributi.
Fin dai primi anni del suo abbaziato, il L. rivendicò il suo diritto, quale abate di S. Giustina, di partecipare alle elezioni dei presuli cittadini, opponendosi quindi alla tendenza dei canonici della cattedrale, particolarmente forte nella prima metà del XIII secolo, ad avocare tale scelta esclusivamente a sé. Nel 1213, in seguito alle dimissioni di Gerardo Offreducci dal soglio episcopale, il capitolo della cattedrale procedette, senza il parere del L., alla nomina di Gioacchino, monaco appartenente all'Ordo S. Benedicti e strettamente legato a Giordano Forzatè, al quale gli stessi canonici si erano rivolti per avere indicazioni in merito. In tale occasione l'abate si appellò a papa Innocenzo III ottenendo l'annullamento dell'elezione; entrato quindi il L. a far parte del collegio elettorale, fu infine eletto il preposto di Modena, Giordano. Identico comportamento il L. mantenne successivamente: tra la fine del 1228 e i primi mesi del 1229, venuto a mancare Giordano, il L. intervenne presso il pontefice Gregorio IX per evitare che l'elezione del vescovo fosse di esclusiva pertinenza del capitolo locale. La designazione fu in seguito affidata dal papa, a cui si erano appellati gli stessi canonici, a Giordano Forzatè che indicò nell'arciprete Giacomo di Corrado il nuovo vescovo (cfr. Rigon, 1977, p. 391).
Relazioni strette il L. dovette anche avere con i locali conventi mendicanti, in particolare francescani, testimoniate, fra l'altro, dalla devozione manifestata dal L. nei confronti di Antonio da Padova quando questi, a nemmeno un anno dalla morte, fu canonizzato nel 1232.
Nel quadro dell'accorta gestione patrimoniale del L., un rilievo particolare assunse l'opera intrapresa per sistemare la rete idrica in aree di pertinenza del monastero; l'azione fu sostenuta anche dalle autorità interessate a patrocinare queste iniziative, che indirettamente avrebbero migliorato l'assetto della città e del suo contado.
Già nel 1228, secondo il Chronicon…, il L. avviò lavori di sistemazione dei fossati intorno al monastero ("fecit fieri fossatum et induxit aquas fluvii, qui est iuxta monasterium […], ibique fecit optima molendina", p. 8), opera che fu formalmente sancita il 27 giugno 1230, quando il Consiglio comunale concesse ai monaci di S. Giustina la facoltà di ampliare tale fossato e di condurre l'acqua entro le terre di loro pertinenza fino al canale di Pontecorvo, vietando nel contempo a chiunque di ostacolare il corso dell'acqua e di pescare o costruire lungo le sue rive. Nel 1233 tale iniziativa riguardò tredici "comunia villarum" del Padovano meridionale, ai quali il L. impose di contribuire al riassetto dei fossati e dei corsi d'acqua.
Personaggio di rilievo, quindi, del panorama religioso e istituzionale del territorio veneto, il L. fu coinvolto, pur se non come figura di primo piano, nelle contraddittorie iniziative che l'animata predicazione del domenicano Giovanni da Vicenza aveva suscitato in quegli anni. Il 5 sett. 1233 il L. è ricordato insieme con Giordano Forzatè, in occasione dell'incontro nella piazza dell'episcopio vicentino tra Giovanni e alcuni inviati di Conegliano e della famiglia da Camino, che presentarono formale protesta contro una sentenza pronunciata dall'oratore domenicano nei loro confronti in occasione dell'incontro tenuto a Paquara (28 agosto).
Nel febbraio del 1237 Padova fu conquistata dalle truppe di Ezzelino da Romano: l'azione militare giungeva a conclusione di una vasta opera politica e militare che aveva visto Ezzelino, già detentore di ampie prerogative nella Marca trevigiana, costruire una realtà politica di carattere sovracittadino anche nel territorio veronese e vicentino.
L'occupazione politica e militare di Ezzelino coinvolse direttamente il Limeniani. L'ultimo documento che attesti la sua presenza a Padova risale al 15 giugno 1237 (Rigon, 1980, p. 181); con tutta probabilità in coincidenza o subito dopo l'arresto di Giacomo Forzatè, il L. fuggì. Secondo le fonti archivistiche il L. fu di nuovo in città solo nell'aprile 1239.
Le fonti cronachistiche forniscono alcuni dati leggermente contrastanti fra loro sia sull'itinerario della fuga sia sul momento del rientro in città. Nella sua Cronica, Rolandino sostiene che il L. si sarebbe subito diretto a Monselice mentre, secondo il Chronicon…, egli avrebbe dapprima fatto tappa a Ferrara. Il Liber regiminum Padue accenna a una successiva presenza del L. in Lombardia presso la corte di Federico II di Svevia, dove avrebbe riottenuto dall'imperatore l'affidamento del suo monastero; questa notizia non è totalmente in disaccordo con quella del Chronicon… (p. 13), che ricorda la presenza a Padova nel 1239 del nunzio imperiale "Gevehardus de Sansonia" (Gebardo di Arnstein) il quale, mosso dalle rimostranze del L., intervenne per riaffidargli il cenobio e per rimuovere i custodi e i procuratori imposti da Ezzelino.
Al di là delle discrepanze fra le testimonianze, si può certamente sostenere che il L. si sia mosso da Padova per timore della spregiudicatezza di Ezzelino, che non esitava a eliminare figure di rilievo in ambito locale e che dunque solo un più diretto sostegno di Federico II abbia favorito la sicurezza del L. in Padova, almeno a partire dai primi mesi del 1239. Nell'inverno di quell'anno lo stesso imperatore risiedette con la moglie Isabella d'Inghilterra nel monastero di S. Giustina con il L., ricevendo preziosi doni in arredi e cibo; proprio il cenobio padovano divenne così, dopo la scomunica comminata al sovrano da papa Gregorio IX, l'epicentro di una intensa attività ("multa et magna fiebant secreta concilia apud monasterium Sancte Iustine singulis noctis et diebus", Cronica, p. 65).
Dopo la morte del vescovo di Padova Giacomo di Corrado, avvenuta il 3 apr. 1239, il L. rivendicò nuovamente un ruolo di primo piano nella scelta del successore (Rigon, 1977). La scomparsa del presule avveniva in un difficile momento per la città ed è probabile che, rispetto ad altre istituzioni ecclesiastiche locali, il L. abbia avuto maggiori margini di intervento anche grazie ai rapporti che aveva comunque saputo garantirsi con Federico II e con lo stesso Ezzelino.
Ne sono prova in particolare due missive relative alla controversia sull'elezione del vescovo che il L. inviò, nel settembre 1240, al canonico Salione Buzzacarini, astrologo di Ezzelino, e a Pietro dell'Abbadessa, anch'egli legato a Ezzelino. La sede vescovile era però destinata a rimanere vacante per le tensioni politiche presenti non solo a Padova. Il cenobio animato dal L. era diventato nel frattempo l'unica forza, non solo spirituale, capace se non di contrastare, di dialogare con piena dignità e legittimità con il potere ezzeliniano; proprio per questo il 13 nov. 1246 il L., insieme con suo fratello (probabilmente il già ricordato Olderico), fu fatto arrestare da Ezzelino, il quale "manum misit ad desiderabile membrum ecclesie, id est Arnaldus" (Chronicon…, p. 18); rinchiuso nel carcere di Asolo come traditore, il L. vi rimase fino alla morte, avvenuta il 10 febbr. 1255, quando era circa "septuagesimum vite sue annum" (ibid., pp. 24 s.).
Il corpo del L., accolto in un primo tempo nella chiesa francescana di Asolo, fu in seguito traslato nell'abbazia che egli aveva retto per quasi un cinquantennio, dov'era ancora custodito nel Quattrocento. La memoria del conflitto con Ezzelino gli valse la rapida diffusione di una devozione in ambito locale dai forti connotati politici in funzione "guelfa" e antiezzeliniana, tanto da portare alla sua beatificazione. La festa fu stabilita al 14 marzo, anniversario della traslazione dei suoi resti.
Fonti e Bibl.: Rolandinus Patavinus, Cronica in factis et circa facta Marchiae Trivixanae, a cura di A. Bonardi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VIII, 1, pp. 57, 64 s., 125; Liber regiminum Padue, a cura di A. Bonardi., ibid., pp. 312, 322; Chronicon Marchiae Tarvisinae, a cura di L.A. Botteghi, ibid., VIII, 3, pp. 4, 8, 11 s., 18, 24 s.; Annales S. Iustinae, a cura di Ph. Jaffé, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, pp. 149 s.; G.B. Verci, Storia della Marca trivigiana…, I, Venezia 1776, p. 107 n. LXXIII; F.S. Dondi dall'Orologio, Dissertazione settima sopra l'istoria ecclesiastica di Padova, Padova 1813, pp. 104-106 nn. XCV-XCVII; Statuti del Comune di Padova, a cura di A. Gloria, Padova 1873, pp. 424 s.; Monumenti dell'Università di Padova, a cura di A. Gloria, Venezia 1884, p. 148; Acta sanctorum Martii, II, Antverpiae 1668, coll. 370 s.; L.A. Botteghi, Ezzelino e l'elezione del vescovo in Padova nel secolo XIII, in Atti e memorie della R. Acc. di scienze, lettere e arti in Padova, XX (1904), p. 299; R. Zanocco, Il beato A. da Limena (1185-1255)…, in La badia di S. Giustina. Cenni storici-artistici, Padova 1943, pp. 64-67; J.K. Hyde, Padua in the age of Dante, Manchester-New York 1966, pp. 78 s., 145 s.; A. Rigon, Le elezioni vescovili… a Padova tra XII e XIII secolo, in Mélanges de l'École Française de Rome, LXXXIX (1977), pp. 385-398, 401-403; Id., Un abate e il suo monastero nell'età di Ezzelino da Romano: A. da Limena (†1255) e S. Giustina di Padova, in S. Benedetto e otto secoli (XII-XIX) di vita monastica nel Padovano, Padova 1980, pp. 55-86, 181 e passim; S. Bortolami, Fra "Alte domus" e "Populares homines". Il Comune di Padova ed il suo sviluppo prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell'età di s. Antonio. Atti del Convegno internazionale di studi, Padova-Monselice… 1981, Padova 1985, p. 12 e ad ind.; S. Collodo, A. da Limena abate di S. Giustina. Storia di una tradizione agiografica, in Id., Una società in trasformazione. Padova fra XI e XV secolo, Padova 1990, pp. 3-34 (con l'edizione, alle pp. 30-32, del De precioso transitu beati Arnaldi confessoris atque abbatis monasterii Sanctae Iustine de Padua, conservato in Arch. di Stato di Padova, Congregazioni soppresse, S. Giustina, b. 78); A. Rigon, Religione e politica al tempo dei da Romano: Giordano Forzatè e la tradizione agiografica antiezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, II, Roma 1992, pp. 368-413; Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques, IV, coll. 409 s.; Bibliotheca sanctorum, II, coll. 434 s.