Arnaldo da Brescia
Riformatore, nato a Brescia verso la fine del secolo XI o al principio del secolo XII; fu giustiziato a Roma nel 1155.
Discepolo di Abelardo, a Brescia divenne canonico regolare e preposito, forse, di S. Pietro a Ripa. Un suo intervento nelle lotte patariniche fu causa del suo allontanamento dalla diocesi. Condannato al concilio di Sens con Abelardo (1140) a perpetuo silenzio in un monastero, si recò invece a Parigi, dove si diede a insegnare " divinae litterae ", insistendo sulla difformità della vita ecclesiastica dai precetti evangelici. Espulso dalla Francia, tornò in Italia nel 1145 dopo un breve periodo a Zurigo, e a Viterbo ottenne il perdono di Eugenio III. Portatosi a Roma per un pellegrinaggio penitenziale, si trovò invece in mezzo alla ribellione antipapale: le velleitarie e ricorrenti pretese di autonomia cittadina cercavano allora altra direzione, nel mito imperiale di Roma, sollecitando Corrado a ricevere da Roma la corona imperiale (1149). Alla ribellione antipapale A. portò il respiro e il suggello dell'ideale religioso. Predicatore eloquente e appassionato, condannava la Chiesa mondana e, con radicalità eversiva, negava, in una richiesta pauperistica di imitazione evangelica, la gerarchia, opponendo la sacerdotalità di tutti i cristiani. Ma la convergenza con la politica del comune, che gli aveva promesso assistenza e protezione, non durò. Di fronte al pericolo di un cedimento del comune, di un compromesso, per il morso dei problemi concreti, con il pontefice, gli arnaldiani si volsero ad appoggiare la soluzione imperiale nella speranza che questa stabilizzasse la ribellione antipapale di Roma. E invece i Romani nel 1152 facevano pace con il pontefice. Federico Barbarossa si preparava a scendere in Italia per ricevere la corona imperiale. Un attentato, attribuito ai seguaci di A., contro il cardinale Guido di S. Pudenziana, persuase Adriano IV a colpire la città di interdetto; che fu tolto nel marzo 1155, quando i Romani espulsero A. e i suoi seguaci. A. lasciò Roma e si diresse verso il nord. Catturato nei pressi di S. Quirico d'Orcia, l'ambasceria dei cardinali, che si era recata a incontrare il Barbarossa, ne ottenne la consegna come segno di buona volontà e di alleanza. Forse in conseguenza di certi tumulti che si ebbero il giorno dell'incoronazione imperiale a Roma, A. fu impiccato e bruciato, e quel che rimase del suo corpo fu gettato nel Tevere. A Roma, nelle vicende che seguirono, complesse di dissensi ancora con il pontefice, di esplosioni anticlericali ma senza consistenza sociale ed economica, il movimento arnaldiano si dissolse. L'esempio di A., della sua radicale polemica contro la gerarchia ecclesiastica, che a Roma aveva trovato un occasionale incontro, poté fissarsi là dove le istanze riformatrici evangeliche avevano vera tradizione, cioè nell'Italia settentrionale. Nel ricordo di A., arnaldisti si chiamarono gli eretici che il concilio di Verona del 4 dicembre 1184 condannava per la prima volta.
Né ad A. né agli arnaldiani è riferimento alcuno nell'opera di Dante. La soluzione imperiale, proposta a un certo momento da A., è del tutto marginale nella sua riforma, che è religiosa. Perciò inaccettabile, sostanzialmente, è l'affermazione del Nardi (Nel mondo di D., p. 132): " il sogno di Arnaldo è già, nelle linee essenziali, il sogno di Dante ". Certo, nell'impegno della lotta, proprio al centro della Chiesa romana, che pareva offrire l'occasione di colpire e vincere nel capo la corruzione ecclesiale, la soluzione imperiale, che del resto era stata già prospettata dal comune a Corrado, offrendogli Roma come sede dell'Impero, fu ripresa, di fronte ai possibili cedimenti della ribellione, dagli arnaldiani (e però fu proposta, nella preoccupazione che l'autonomismo romano ripiegasse sull'accordo col pontefice, pare, anche una diversa soluzione: consiglio di cento membri, e due consoli, uno dei quali avrebbe avuto titolo di imperatore). Arnaldiano quel Wetzel - sul quale si basa, in parte, il confronto Arnaldo-Dante -, forse zurighese, dalle relazioni cospicue, di buona cultura, di formazione ecclesiastica, che in una lettera scritta dopo l'elezione a re dei Romani del Barbarossa (1152), denunciava una completa alleanza tra le istanze di riforma religiosa e la più esasperata coscienza del diritto imperiale di Roma, in quanto la lex regia, tuttora operante, consentiva al Senato e al popolo di creare essi l'imperatore; inconsistenti erano le pretese del pontefice che si basavano sulla donazione di Costantino - " mendacium et fabula haeretica " -, da D. invece considerata fatto reale. Ma l'assunzione del discorso di Wetzel a quasi " eine Quintessenz von Arnolds Lehre ", come si esprime lo Hampe, non è possibile. Imperialista convinto, quel Wetzel da A. aveva avuto la giustificazione religiosa della mostruosità dell'Ecclesia imperatrix e a Roma aveva scoperta un'ulteriore giustificazione, culturalmente suggestiva, della sua fede politica appunto nell'idea imperiale di Roma, che i Romani, sensibili ai richiami pratici della vita cittadina, traducevano invece in richieste di concreti privilegi. Ma se la riforma arnaldiana sollecitò alleanze politiche (a Zurigo, l'appoggio dei " divites et potentes " contro la ‛ restaurazione ' del vescovo Ermanno, a Roma la rivoluzione autonomistica antipapale, e l'intervento imperiale), la convergenza delle testimonianze dimostra che la riforma arnaldiana voleva essere evangelica, antigerarchica, rinnovatrice, nella sacerdotalità di tutti i fedeli, della Chiesa.
Bibl. - K. Hampe, Zur Geschichte Arnolds von Brescia, in " Historisches Zeitschrift " (1924) 58-69; E. Dupré Theseider, L'Idea imperiale di Roma nella tradizione del Medio Evo, Milano 1942, 143-162; B. Nardi, Nel mondo di Dante, Roma 1944, 122, 131-133; A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, ibid. 1954; Id., Una nota arnaldiana e una nota sublacense, in " Boll. Ist. Stor. Medio Evo " LXVII (1955) 289-291; Id., in Dizion. biogr. degli Ital. IV (1962) 247-250.