CANTANI, Arnaldo
Nacque il 15 febbraio del 1837 a Hainsbach (od. Lipova), al confine tra la Sassonia e la Boemia, da Vincenzo, medico oriundo italiano, e da Adelina Jaroschkowa. Terminati gli studi secondari, nel 1854 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Praga: ma la sua vera vocazione era invece lo studio delle scienze naturali, in modo particolare della botanica (e in questo periodo pubblicò alcuni lavori sul giornale praghese Lotos, e più tardi sugli Atti della Società italiana di scienze naturali), così che, dopo appena sei mesi, si trasferì alla facoltà medica. Laureatosi in medicina e chirurgia a Praga nel 1860, fu subito nominato medico astante e coadiutore nell'ospedale di quella città, diretto dal celebre prof. A. J. Jaksch. Successivamente, nel 1864 fu nominato professore straordinario di farmacologia e tossicologia all'università di Pavia, e nel 1867 professore di clinica medica e medico primario dell'Ospedale Maggiore di Milano. La sua carriera universitaria come clinico ebbe inizio nel 1868 quando, vinto il concorso di professore ordinario, si trasferì a Napoli come direttore della seconda clinica medica; nel 1888, morto S. Tommasi, gli succedette nella direzione della prima clinica medica. Ottenne la cittadinanza italiana nel 1887, e il 26 genn. 1889 fu nominato senatore.
L'opera del C. come insegnante e come clinico fu di grande importanza per l'evoluzione del pensiero medico in Italia nella seconda metà del sec. XIX, e rappresentò un valido contributo al rinnovamento degli studi della patologia e della clinica.
Nel 1868, all'inizio del suo insegnamento di clinica medica all'università di Napoli, inaugurava il corso con una prolusione significativa e programmatica, dal titolo Il positivismo nella medicina. Facendo seguito ai concetti già espressi dal Tommasi, che tanto si era battuto e si batteva contro le astratte speculazioni e le correnti filosofiche che avevano fino ad allora dominato nella medicina e in modo particolare contro le teorie di G. Rasori, il C. sostenne la necessità dell'osservazione clinica e sperimentale nello studio della patologia; e, come già faceva G. Baccelli alla Sapienza di Roma, svolse le sue lezioni di clinica medica al letto del malato, educando e affinando le capacità di osservazione e di sintesi degli studenti. Coerentemente con i concetti espressi nell'insegnamento, il C. affrontò con metodi nuovi lo studio di particolari problemi di patologia e di clinica medica: libero da qualsiasi preconcetto scolastico o filosofico, egli basava l'interpretazione dei processi morbosi sui dati forniti dallo studio dei malati e sulla conoscenza dei progressi compiuti dalla batteriologia, dalla biochimica, dalla medicina sperimentale. Fu così autore di interessanti osservazioni sulla patogenesi di alcune malattie, che attribuì ad alterazioni dei normali processi del ricambio materiale, delle quali tentò di individuare la sede: della ossaluria, della gotta, della polisarcia, della calcolosi biliare e renale. In tale settore, tuttavia, lo studio sulla patogenesi del diabete fu il frutto della mirabile intuizione patologica e clinica del Cantani. Egli interpretò la malattia come una alterazione del metabolismo dei carboidrati consistente in una abnorme combustione degli zuccheri, a opera di un particolare "fermento" contenuto nel pancreas, le cui alterazioni istologiche nel diabete osservò e descrisse, indicandone la terapia in un particolare regime dietetico privo di qualsiasi alimento in grado di dar luogo alla produzione di glucosio (Patologia e terapia del ricambio materiale, Milano 1875-1883). Il valore di queste affermazioni del C. è facilmente comprensibile se si tiene conto che, dopo le prime riproduzioni sperimentali del diabete operate da C. Bernard nel 1854 mediante puntura del pavimento del quarto ventricolo, soltanto nel 1889J. Mering e O. Minkowski riuscirono a provocare il diabete negli animali da esperimento con l'ablazione del pancreas, e si dovette giungere al 1922 perché fosse possibile isolare l'insulina e impiegarla nella terapia del diabete, grazie ai lavori di F. G. Banting, C. H. Best, J. B. Collip e J. J. R. Macleod. Va ancora considerato che il C. parlò di un fermento pancreatico capace di operare la combustione degli zuccheri, in quanto il concetto di ormoni, tra i quali deve in realtà essere compresa l'insulina pancreatica, fu introdotto in fisiologia da E. H. Starling nel 1902.
Un altro campo particolarmente studiato dal C. fu quello delle malattie infettive, sia per quanto riguarda l'etiopatogenesi sia in riferimento alla terapia: egli ritenne che la causa di molte malattie dell'uomo dipenda dalla penetrazione di particolari "agenti" nell'organismo (ipotesi che espresse per la prima volta nelle note alla sua traduzione di Terapia e patologia speciale di F. Niemeyer, del 1866) e che i batteri così penetrati possano esercitare potere patogeno non solo per le tossine secrete, ma anche per i veleni contenuti nel loro corpo. Il meccanismo patogenetico, sostenuto dal C. per spiegare l'evoluzione delle malattie infettive, era quello di una fenomenologia generale della infezione determinata dal riversarsi nel torrente circolatorio dei prodotti morbosi elaborati dai batteri localizzati nei tessuti. Il C. ebbe anche il merito di aver saputo individuare un altro grande problema delle malattie infettive, quello cioè della loro diffusione, estendendo la sua indagine dai singoli casi clinici al fenomeno più complesso delle epidemie, per spiegare le quali egli ammetteva l'esistenza di veicoli rappresentati da casi latenti, oggi definiti portatori sani. Egli organizzò nella sua clinica di Napoli un laboratorio di batteriologia, il primo in Italia, e, entusiasta seguace delle idee di L. Pasteur, un primo vero istituto per la cura della rabbia. Nello studio delle malattie infettive, il C. rivolse particolare attenzione alla grave fenomenologia generale determinata da tali forme morbose, indipendente dalle manifestazioni specifiche proprie di ciascuna di esse, individuando nello stato di disidratazione una delle condizioni più gravi e più frequentemente responsabili degli esiti letali. La soluzione di tale problema, che si presentò più volte drammaticamente in occasione delle epidemie di colera che afflissero Napoli, fu indicata dal C. nella reidratazione dell'organismo: a questo scopo egli ideò ed eseguì la enteroclisi e la ipodermoclisi. Soprattutto questo secondo metodo, che illustrò in una lettera indirizzata al dr. Perli e pubblicata nel Giornale internazionale delle scienze mediche del 1884, e del quale già aveva propugnato la necessità nella seconda edizione italiana di Terapia e patologia speciale di F. Niemeyer, egli impiegò largamente e con successo, determinandone una estesa diffusione anche all'estero: iniettava sottocute, in sedi particolari, soluzione fisiologica con aggiunta di bicarbonato di sodio come alcalinizzante e di una piccola quantità di fenolo per combattere la vitalità degli agenti patogeni. Altro merito del C. fu il primo tentativo di curare certe infezioni con l'impiego di germi meno patogeni capaci di ostacolare l'azione di quelli responsabili della malattia in atto: dopo che L. Pasteur nel 1877 aveva dimostrato che lo sviluppo dei microrganismi patogeni può essere inibito dalla presenza nelle colture di altri microrganismi non patogeni, il C. tentò di applicare alla pratica clinica il dato sperimentale iniettando il Bacterium termo non patogeno in un portatore di infezione tubercolare (Un tentativo di batterioterapia..., in Giorn. intern. delle scienze mediche, VII [1885], p. 496).
Tra i vari altri argomenti di patologia e di clinica studiati dal C. merita ancora di essere ricordato l'isterismo, fino ad allora considerato una neuropatia, che egli interpretò come l'effetto di un esaurimento del centro volitivo, prospettandone una cura psichica.
Fu autore di numerose pubblicazioni, delle quali si ricordano qui: traduzione della Terapia e patologia speciale di F. Niemeyer, Milano 1862-63, 1864-66, 1871; Patologia e terapia del ricambio materiale, Milano 1875-1883; Manuale di farmacologia clinica, Milano 1884-92; Trattato italiano di patologia e terapia medica, in collaborazione con E. Maragliano, Milano 1892-99.
Membro di numerose società scientifiche, dell'Accademia di medicina di Parigi (su proposta di L. Pasteur), del Consiglio superiore di Sanità e del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, il 31 dic. 1885 ricevette la medaglia al merito per l'opera svolta durante l'epidemia di colera che infierì a Napoli nel 1884.
Fu un appassionato cultore delle scienze naturali e una sua pubblicazione, edita a Torino nel 1893, Pro sylvis, fu una dotta e documentata esposizione per la salvaguardia del patrimonio boschivo.
Morì a Napoli il 30 apr. 1893.
Bibl.: E. De Renzi, Sulla vita e sulle opere di A. C., in Atti dell'Accademia medico-chirur. di Napoli, XLIX (1895), pp. 3-18; L. Colucci, Pro silvis (del prof. A. C.), in Rivista agr. romana, XXIV (1895); T. Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 216; A. Cantani jr., Della vita e delle opere di A. C., Firenze 1905; E. Greco, L'opera di A. C. con partic. riguardo agli stati di essiccosi..., in Il Policlinico, LXVIII (1961), pp. 1587-1592; F. Bazzi, A. C., in Castalia, XVIII (1962), pp. 35 s.; A. Hirsch, Biographisches Lex. der hervorragenden Ärzte..., I, München-Berlin 1962, p. 820; Enciclopedia medica italiana, I, coll. 1394-95, sub voce antibiotici; Enc. Ital., VIII, p. 772.