ARMONIA (fr. harmonie; sp. armonía; ted. Harmonie; ingl. harmony)
È una delle due inseparabili manifestazioni della tonalità, cioè dell'ordine dei rapporti fra suoni di varia altezza. Quando i suoni si combinano simultaneamente, ha luogo l'armonia; invece quando si combinano in successione, ha luogo la melodia (v. ritmo, tonalità, melodia). Per ciò l'armonia è la scienza delle combinazioni musicali simultanee. C'è chi vi scorge i suoni combinati in ordine di spazio, ovvero di combinazione verticale, mentre nella melodia i suoni si presentano in ordine di tempo, o di combinazione orizzontale. In pratica, spesso, armonia vale accordo (v.) ossia singola combinazione di suoni contemporanei.
Cenni storici sulla pratica armonica. - Il primo concetto d'armonia fu quello d'ordine, di buona logica. Così l'intesero gli Assiro-babilonesi - padri dell'astrologia - con la loro armonia delle sfere che passò in Egitto, in Grecia, e attraverso il Medioevo fino ai nostri giorni (J. M. Hauer, Sphärenmusik). Tra l'ordine degli astri e quello dei suoni s'istituirono rapporti d'analogia. Pei Greci a monia equivalse a modo o scala modale.
Origine e primo sviluppo pratico. - Forse germi d'armonia sono sempre esistiti inseparabili dalla melodia; p. es. un suono tenuto mentre si svolge una melodia; oppure una contro-melodia più o meno indipendente. Uno dei più antichi scritti sanscriti insegna ad accordare gruppi di 3 tamburi così che uno dia un suono grave, un altro la 2a o la 3a, un altro la 5a, e talvolta un quarto dia ancora un "suono supplementare" (Grosset). Ciò nonostante, la musica indiana oggi ancora non conosce vera armonia. È verosimile che negli strumenti a due canne (come nell'αὐλός doppio dei Greci, le tibiae geminae dei Romani), diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo orientale fino dal tempo della civiltà assiro-babilonese, le due canne non dessero gli stessi suoni ad un tempo. Un documento babilonese interpretato da C. Sachs pare sia un inno dell'800 circa a. C., composto d'una melodia accompagnata da accordi di più note strappati da un'arpa. I Greci non pare usassero armonia con le voci, ma l'eterofonia combinava, sopra (non sotto) il canto, note sonate da strumenti. Varî passi di scrittori cristiani, come S. Agostino (354-430), S. Isidoro di Siviglia (570?-636), ecc., accennano ad armonia in termini che, senza escludere l'antico concetto di ordine, spingono a supporre che il concetto di simultaneità di suoni fosse loro noto e abbastanza chiaro.
Nel Medioevo altri scrittori riferiscono che i cantori romani, allievi di S. Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), eseguivano già il canto gregoriano a più voci; pratica di cui si ha notizia precisa soltanto nella Musica Enchiriadis attribuita al monaco benedettino Ucbaldo di Saint-Amand (v.) in Fiandra (840?-930-32?). Questi insegna a sottoporre al canto gregoriano una seconda voce, che con esso principia all'unisono, procede per 4e parallele (la 4a è tuttavia consonanza preferita anche nuda da Orientali, come intervallo più spontaneo), poi per 5e parallele, e si conclude in unisono. È l'organum (forse perché imita con le voci l'effetto dello strumento), o diafonia, di cui Ucbaldo parla come di cosa a tutti nota. Nei secoli X-XII si sviluppò la polifonia o intreccio di più voci senza deliberata base armonica: si faceva in modo che le voci producessero date combinazioni armoniche, per evitare urti, ma senza curare che ne risultasse un'armonia piuttosto piena che vuota, o governata da una qualche logica. L'armonia era un risultato, una conseguenza della polifonia (che dal sec. XIV in poi si disse contrappunto), ma non era uno degli scopi da raggiungere, come invece fu più tardi. Questo concetto "non armonico" durò - nella teoria - fino al sec. XVI; ma in realtà andava attuandosi una continua evoluzione dell'armonia. I rapporti più semplici e spontanei, come quelli di 4a, 5a e 8a, l'orecchio li aveva potuti discernere fin dalle forme armoniche più rudimentali; presto si avvertì che i suoni in battere del ritmo erano, per così dire, principali, e quelli in levare secondarî: poi ('300) si usarono correntemente la 3a e la 6a. Fino non si sa da quando, s'incominciò ad alterare certi suoni delle scale modali, per produrre la sensibile alterata (come p. es., sol diesis in la minore) nei modi a base minore, e una sensibile imposta ai modi a base maggiore, che non avevano per tonica o finale melodica la tonica armonica (musica ficta), e si produssero in tal modo i trasporti dei varî modi in toni diversi lungo il corso d'un pezzo (cioè a fare vere modulazioni; v. questa voce) con le necessarie alterazioni della scala del tono di partenza (musica falsa). Si vennero così a determinare con certezza i modi e i toni che si toccavano successivamente, mentre nella melodia pura quei movimenti tonali restavano imprecisati. Così pure l'orecchio andava affinandosi, e, da un lato, trovava e gustava sempre nuove gradevoli combinazioni (l'orecchio gradisce ciò che capisce), da un altro lato, avvertiva e faceva evitare urti che prima non erano sentiti come tali; da un altro lato ancora, andava riconoscendo una logica nel seguito delle combinazioni armoniche. Talché già nel '400, si scorgono segni di un sempre più chiaro e logico senso armonico, e nel '500, benché non si avesse ancora il concetto d'armonia quale catena d'accordi, si scrivevano nondimeno musiche fatte proprio di nient'altro che d'un seguito d'accordi concatenati tra loro. (L'unità armonica d'allora, l'accordo, era quello di tre suoni, p. es. do-mi-sol nel maggiore, la-do-mi nel relativo minore). Esempio mirabile l'inizio dello Stabat mater a due cori di G. Pierluigi da Palestrina:
Tutto il complesso della polifonia vocale, specialmente italiana, del '500 prova come, se non il concetto teorico, almeno l'intuito dell'armonia fosse già perfettamente adeguato alle esigenze dell'orecchio.
Prima fase di splendore. - Tutto il valore espressivo dell'armonia si manifestò col cromatismo (v.) entrato nella pratica specialmente coi maestri veneti, e con quelli, anche stranieri, che ne subirono le influenze. Fu tutta una fioritura, specialmente di musiche profane, come i madrigali, dalla metà del '500 a quella del '600 dove l'armonia era quasi l'elemento espressivo essenziale, con un quasi improvviso splendore di potenza, di libertà e d'arditezza da potersi confrontare soltanto a quanto si è prodotto tra la fine del sec. XIX e l'inizio del XX.
Si tentava di far risorgere il genere cromatico degli antichi Greci, e si tentò di far risorgere anche quello enarmonico. Per questo non solo si ravvicinavano quant'era possibile le due posizioni d'una stessa divisione di tono, p. es. re diesis e mi bemolle, ma Nicolò Vicentino (1511-72) voleva introdurre nella pratica strumenti con tasti separati per tali suoni distinti. E la cosa non dovette essere limitata a Venezia, perché F. Salinas (1513-90), spagnolo, accenna nelle sue memorie ad un organo così fatto a Firenze, e dice che era cosa propria degl'Italiani. Mentre ferveva questa vera esaltazione armonica, alla fine del '500 nasceva il basso continuo (v.) che metteva l'armonia come sfondo alla melodia parlata, ed ecco che l'armonia fu l'elemento propulsore della melodia stessa, la quale, d'allora in poi, fu quasi generata dalle combinazioni armoniche. Ne diamo un saggio tratto dal 1° libro delle Arie a una e due voci per sonarsi col chitarrone, di Domenico Belli, fiorentino (Venezia 1616):
È chiaro come in tale fase di splendore, tutto il vigore e tutta la tensione dell'armonia si manifestino col frequente uso di dissonanze, sia nelle combinazioni di suoni, sia nella successione d'accordi lontani e inattesi.
Armonia, catena d'accordi. - Il genere cromatico e le durezze erano singolarità di stile, che si specificavano nei titoli, p. es. ricercare o madrigale cromatico, toccata di durezze e legature (Frescobaldi). La base generale della musica era diatonica, e col basso continuo l'armonia consisteva in un seguito di combinazioni verticali, privo d'una schietta volontà melodica, che l'accompagnatore disponeva a suo gusto. Si andò dunque affermando l'entità dell'accordo e la logica del concatenamento tra accordo e accordo, cioè del moto armonico. Andarono concretandosi così le cadenze (v.), vere formule tipiche dell'armonia nei due modi maggiore e relativo minore.
L'unità armonica è sempre l'accordo di tre suoni, ma le 7e sono ormai d'uso sempre più corrente, e nel '600 la 7a di dominante è già divenuta così ovvia che si adopera senza preparazione. L'orecchio ha dunque già afferrata la combinazione che raggiunge il 7° suono armonico. Nel '700 divenne altrettanto ovvia, quindi senza bisogno di preparazione, anche la 7a diminuita, e se ne fece uso fino allo spreco.
Diminuita di molto la pratica del cromatismo (anzi in Italia quasi scomparsa), nella seconda metà del '600 e in tutto il '700 la vitalità della musica s'affidò soprattutto alla linea melodica e al concatenamento degli accordi del suo sfondo armonico; forse si può dire che il fondo armonico, con le sue cadenze diventate tradizionali, fu quasi il motore anche della melodia, eliminando forse per sempre il concetto ed il senso della polifonia propriamente detta, ossia non armonica. Ciò non ostante, verso la metà del '700 in Germania G. S. Bach scriveva saggi immortali di armonia cromatica mirabile per ricchezza e potenza espressiva, come la Fantasia cromatica in re minore per cembalo, la Fantasia in sol minore per organo, il Crucifixus della Messa ;n si minore. E in Italia Domenico Scarlatti fu esempio insigne d'arditezza armonica nelle rapide e genialissime modulazioni, e nelle combinazioni d'una complessità allora incomprensibile. Valga l'esempio seguente tolto dalla Sonata 415 del vol. IX dell'edizione curata dal Longo:
In genere è notevole la frequenza con cui D. Scarlatti fonde tonica e dominante in una combinazione integrale riassuntiva; p. es.:
È chiaro che in questi esempî è in gioco, oltre che l'armonia vera e propria, anche la sonorità del clavicembalo, dal quale lo Scarlatti si sforzava di trarre la maggiore pienezza possibile; ma quest'intenzione di natura, per così dire, rumoristica, rivolta, cioè, all'intensità del suono, non diminuisce l'interesse delle combinazioni armoniche adoperate a tale scopo. D. Scarlatti usava già la combinazione "integrale" di tutte le note della serie diatonica, senza sentire sempre il bisogno di risolverne il carattere dissonante. Con tutto ciò l'armonia del periodo del basso continuo ('600-'700) rappresenta la fase più concreta, di logica più stretta, in tutta l'evoluzione armonica. Eccetto che in cose di chiesa (dove gli antichi 8 modi non hanno ancor perduto completamente il loro vecchio dominio), non si concepiscono musiche che non si concludano sul riposo della tonica; e il senso tonale è così imperativo, che la chiusa d'un pezzo, e spesso anche solo d'una delle sue grandi parti, viene determinata non da una cadenza unica, ma da più cadenze, d'indiscutibile efficacia conclusiva.
Armonia come base costruttiva. - Già nel periodo dello stile contrappuntistico strumentale col basso continuo (fino alla metà del '700) l'armonia, con le sue modulazioni e con le sue cadenze, talvolta poneva le basi della struttura delle composizioni, specie nello stile "a fantasia": saggio insigne la Fantasia cromatica per cembalo di G. S. Bach. Ma, caduta in disuso la pratica del basso continuo (tranne qualche tarda sopravvivenza), e sparito lo stile contrappuntistico, l'armonia divenne elemento di base nella formazione delle frasi, dei periodi, del complesso delle composizioni, dove le chiare cadenze, ora interrogative, ora di rinvio, ed ora di chiusa, segnavano la forma strofica della musica. Questa funzione formale, nonostante i successivi sviluppi dell'armonia, si può dire che non sia cessata più.
Sviluppo dell'armonia nel sec. XIX. - Nel periodo romantico e più ancora nel seguente la tensione dei sentimenti e le sensazioni, spesso vaghe, evocate, condussero ad una fase d'intenso sviluppo armonico, con sempre più largo uso di dissonanze e di cromatismo. Già con Chopin (1810-1849) nelle combinazioni diatoniche, incomincia a presentarsi la 9a di dominante, usata con speciale efficacia senza preparazione: segno che ormai per l'orecchio è ovvio l'uso del 9° armonico. Con R. Wagner (1813-83), e dopo di lui, tale combinazione va diventando sempre più usuale, finché, soprattutto in Francia, ha una funzione simile a quella delle 7e; nel '700. P. es.:
Di tale combinazione C. Debussy fece uso con maestria probabilmente non uguagliata da altri; dopo di lui gl'imitatori ne abusarono fino a sazietà. Nelle combinazioni cromatiche si produce un'espansione notevolissima; ma, mentre nel Cinque-Seicento (come si è detto) il genere cromatico era qualche cosa di deliberato e abbastanza distinto dal diatonico, ch'era in realtà l'usuale, nell'Ottocento il cromatismo informò di sé tutto lo spirito musicale.
Primo maestro rappresentativo di tale fase fu F. Chopin, la la cui armonia dopo un secolo non è ancora invecchiata; e con lui bisogna ricordare F. Liszt (1811-86) e R. Wagner, che portò anche l'armonia a una mirabile altezza e potenza espressiva, quale la troviamo, elemento importantissimo, nelle sue opere. Già a questo punto dell'evoluzione armonica l'uso delle dissonanze è continuo, mentre l'uso degli accordi consonanti va perdendo il suo carattere di fondamentale necessità, né mancano segni chiarissimi ad attestare diminuita, nella trattazioni delle dissonanze, l'urgenza della risoluzione. Parimenti non mancano esempî di musiche le quali, invece di chiudere sul riposo della tonica (come si faceva, si può dir costantemente, nel Sei-Settecento), rimangono sospese su qualche combinazione dissonante o almeno non scevra da carattere di moto.
Nella seconda metà del sec. XIX la ricerca armonica e il cromatismo andarono sviluppandosi ancora, specialmente con la scuola russa culminante in M. Mussorgski, con E. Grieg e coi musicisti Francesi.
Già in Bizet (1838-75) era frequente la combinazione di 5a eccedente, che poi venne facendosi corrente; dunque l'orecchio andava trovando già ovvio l'uso dell'armonico, tanto rispetto alla tonica quanto rispetto alla dominante. Così l'estensione dell'uso degli armonici aveva fatta svanire la distinzione tra armonia diatonica e cromatica, e l'orecchio aveva già sentito come la seconda non fosse che un'estensione naturale della prima. La ricchezza e la tensione armonica, per via di sempre più frequenti e forti dissonanze, andò accentuandosi tra la fine dell'800 e gl'inizî del '900: maestri rappresentativi di questa fase furono C. Franck, M. Mussorgski, E. Grieg, N. Rimski-Korsakov, C. Debussy, R. Strauss, A. Skrjabin, M. Reger, M. Ravel. Nelle loro opere l'armonia prese una parte sempre più importante, e in taluni assunse quel cómpito prevalente che una volta era proprio della melodia, in questa fase già spesso eclissata.
D'altra parte, nella stessa seconda metà dell'Ottocento, specialmente coi musicisti russi, si pronunciò la tendenza ad un'armonia fondata su modi antichi o esotici; ciò recava freschezza e novità, in senso diverso dalla crescente complessità delle combinazioni armoniche; ne nacque una corrente che si sviluppò nel sec. XX. In questo insieme d'armonia spesso complicata, con combinazioni ora taglienti ora inattese, perdevano ragion d'essere le vecchie esclusioni, p. es. di quelle 5e, 8e, 7e, 2e parallele che in un'armonia calma e quasi trasparente riuscivano urtanti. Così pure la preparazione e la risoluzione delle dissonanze divennero a poco a poco superflue per l'orecchio ormai bene allenato. A questo punto si può dire che la dissonanza sia l'elemento costitutivo dell'armonia, quello che attrae la sensibilità, l'ingegno, l'attenzione di chi compone e di chi ascolta. Segno, questo, che l'orecchio sente sempre meno il bisogno di risolvere le dissonanze su consonanze relative; e cioè che la dissonanza va modificando il suo valore.
Fase culminante nei primi anni del sec. XX. - L'evoluzione continuò intensa e sempre più rapida, con ulteriore arricchimento delle combinazioni armoniche, che prendevano carattere ora tagliente ora vago, a seconda delle note combinate e delle tendenze dei singoli maestri, e la nuova armonia raggiunse negli anni immediatamente precedenti alla guerra mondiale un elevatissimo grado d'efficacia espressiva e di perfezione tecnica. Eccone uno dei saggi più squisiti:
L'uso dell'armonia basata su scale e modi antichi o esotici fece sì che l'orecchio si sviasse da quel senso del moto armonico che s'era andato concretando nelle cadenze imperanti nel '700-800. Poi l'armonia con combinazioni ricche e cromatiche avvolgeva quei movimenti cadenzali in un complesso di movimenti secondarî tale da renderne sempre meno palese l'andamento. Così andava diventando sempre maggiore il numero dei pezzi che, invece di chiudere sul riposo della tonica, restavano più o meno apertamente sospesi sul moto della dominante o della sottodominante, con le rispettive irradiazioni armoniche; e in conclusione diminuiva l'efficacia costruttiva dell'armonia.
Il momento che segna il vertice di questa fase si può indicare forse intorno al 1914; e gli uomini rappresentativi di tale momento sono Debussy, Skrjabin (nelle composizioni posteriori al 1906), Strawinski e Schönberg. Allora venne manifestandosi la tendenza a usare il cosiddetto "accordo di 4e". Se si tratti d'una idea teorica deliberata o d'un'intuizione armonica, poco importa; fatto sta che, sostituendo l'intervallo di 4a a quello di 3a nella costituzione dell'accordo, risulta la combinazione seguente:
che sottintende quest'altra:
che riassume tutto il meccanismo diatonico in quella combinazione integrale "tonica-dominante" che D. Scarlatti aveva profeticamente adoperata già nella prima metà del '700. Difatti, anche quando la combinazione integrale dominante-sottodominante non è interamente espressa, di fatto però vien pur sempre evocata per via d'allusione. P. es.:
E le combinazioni di quattro e, ancor più, quelle di cinque 4e chiariscono ancor meglio tale giuoco d'allusioni, sì che la differenza tra l'una e l'altra combinazione resta affidata alla maggiore o minore chiarezza o precisione delle rispettive allusioni, e quindi anche alla differenza delle vie per le quali tali accenni, tali allusioni si producono. Ora, facendo uso di combinazioni simili fondate su ogni grado della scala, si viene a incatenare, quindi a collegare, tanti toni diversi, ognuno col proprio intero meccanismo armonico sottinteso. In tal modo si giunge a un così grande numero di combinazioni che è bene spiegabile il fatto dell'avere alcuni teorici, come J. M. Hauer, connesso a un siffatto sistema l'abolizione della tonalità (v. atonalità). Se poi simili combinazioni si adoperano con andamento cromatico, è chiara la grande estensione dell'orizzonte armonico che così viene ad essere rapidamente abbracciato, diremmo quasi concentrato. Un esempio:
La forma più complessa di tale genere di combinazioni per 4° sovrapposte si trova nel cosiddetto accordo del Prometeo (l'ultima opera dello Skrjabin, 1909): do-fa diesis-si bem.-mi-la-re, combinazione che riassume l'accordo maggiore con gli armonici fino all'11°, cioè la tonalità diatonica estesa cromaticamente fino ad un grado, tanto verso dominante (col fa diesis) quanto verso sottodominante (col si bemolle).
Usare questa combinazione come unità armonica significa adoperare un'armonia grandemente estesa e condensata, che combina note abbastanza lontane tra loro, e di cui l'orecchio va afferrando e gustando sempre meglio le relazioni reciproche e le relazioni con le note diatoniche. A tale lontananza è dovuto il carattere di tensione, ossia di spinta dissonante, che è ormai divenuto elemento quasi decisivo dell'armonia e, quindi, della musica. Finché, presto o tardi, più o meno chiaramente, si fa sentire (cioè l'orecchio capisce) l'estensione che va dall'accordo diatonico verso la regione cromatica più o meno lontana, e si prova la sensazione d'arricchimento, d'amplificazione, ma sempre a base d'un tono centrale o principale.
Si considerino i due esempî che seguono:
In Italia tale evoluzione armonica penetrò per opera di quel gruppo di maestri che formano oggi la cosiddetta giovane scuola italiana, prendendo atteggiamenti diversi e rispondenti alle tendenze delle singole personalita. Il Pizzetti fa, p. es., largo uso di modi greci, e intona la sua armonia ad austera nobiltà.
A. Casella mostra chiari segni d'assorbimento d'influenze francorusse, con speciale predilezione per piccanti e non di rado felici conglomerati armonici in 11ª (v. l'esempio nella p. precedente). L'armonia di G. F. Malipiero, derivata spesso da un libero contrappunto, giunge ad effetti vivacemente dissonanti:
mentre G. Puccini seguì mirabilmente l'evoluzione, adattandone i procedimenti alla sua raffinata sensibilità.
Ma, già negli ultimissimi anni del sec. XIX, col largo uso di note cromatiche, s'incominciava a presentare qualche elemento melodico in un tono che non era quello generale, cioè veniva preparandosi la cosiddetta armonia politonale, sovrapposizione di due o più toni diversi. Forse la più memorabile affermazione di tale pratica fu il balletto Petruèka d'Igor Stravinski (1910-11), confermatasi nella Sagra della Primavera (1911-13), ed estesasi poi all'uso generale, dove rimase e rimane tuttavia, mentre lo Stravinski se n'è allontanato. Un solo esempio:
Mentre l'armonia e la polifonia traversavano queste fasi laboriose, si ripresentarono le forme armoniche e polifoniche primordiali, come l'organum a 4e ed a 5e del sec. IX, e la predilezione per le armonie vuote appunto di 5e e d'8e, spesso incatenate così a nudo.
Dissoluzione dell'armonia. - Già verso la fine del secolo scorso l'intensificata evoluzione armonica aveva preso carattere di reazione contro le leggi tradizionali, e l'uso di scale e modi antichi o esotici veniva dal senso e dall'idea che il sistema tonale ed armonico maggiore-minore fosse esaurito, come si diceva spesso, specialmente nella fase culminante di tale movimento. In realtà l'uso di conglomerati armonici ricchi di note d'opposta volontà tonale, faceva sì che la combinazione armonica risultante avesse una volontà complessi; va imprecisa. L'uso, fattosi corrente, di tali combinazioni non poteva non offuscare il senso tonale ed armonico in tutte le sue manifestazioni: carattere delle combinazioni, logica del loro concatenamento, funzione formale dell'armonia. L'alleviamento del bisogno di risoluzione delle combinazioni, ormai tutte più o meno fortemente dissonanti, era arrivato a produrre una specie di ripugnanza per la risoluzione, cosicché ormai molto spesso le musiche finivano senza chiudere su di un accordo di riposo, rimanendo invece come sospese, cioè in dissonanza. Era la fine della distinzione tra consonanza e dissonanza, e pareva la fine della cadenza (cioè della logica armonica e formale) e della tonalità stessa. Difatti si disse che le leggi armoniche che avevano retta la musica per tanti secoli, ed erano il frutto dell'esperienza di tante generazioni di musicisti, non erano che arbitrî di teorici e di pedagoghi, perché in realtà qualunque combinazione di suoni sarebbe stata indifferente per l'orecchio. Già in Petruèka e anche più nella Sagra della Primavera Igor Stravinski dava, p. es., una stessa frase a due strumenti a un semitono di distanza, perché si sentisse essenzialmente l'ondulata linea melodica, escludendo ogni precisa sensazione armonica; e allora il maestro diceva di essersi "liberato" dall'armonia, realizzando una polifonia anti-armonica. (Idea di ritorno al '400?). D'altra parte Arnold Schönberg, già nei primi anni del sec. XX, spingeva tant'oltre il cromatismo, da arrivare allo smarrimento del senso tonale ed armonico, sostenendo a parole, e (che vale di più), mostrando coi fatti, la negazione dell'armonia tonale. Era la cosiddetta atonalità (v.), che confessa chiaramente il disorientamento armonico: l'evoluzione era stata troppo rapida, e l'orecchio non la seguiva più. Opere rappresentative di questa fase, svoltasi parallelamente a quella culminante, sono Pierrot lunaire (1912) e le altre dello stesso Schönberg, che vennero in seguito. Dopo la guerra l'atonalità si diffuse abbastanza largamente, specie in Francia e in Germania.
Un ritorno sta attuandosi proprio in questi tempi, ed appunto per ciò non lo si può ancora precisare. Notiamo, come indizî, che lo Stravinski, nella sua recente sonata per pianoforte, e anzi già nel precedente concerto, anch'esso per pianoforte, è già volutamente tonale, mentre in Edipo re, in Apollo Musagete, ecc., è arrivato ad un'armonia ostinatamente tonica, cioè proprio legata all'accordo di tonica del tono in cui opera.
Armonia a frazioni di tono. - Uno degli effetti della convinzione che il sistema tonale e armonico fosse esaurito, fu la ricerca (suggerita però, è bene avvertirlo, dalla mente e non dall'orecchio) d'una base nuova: già nel 1912 Ferruccio Busoni proponeva di dividere l'intervallo di tono in 3 parti; altri pensarono invece di ritornare alla divisione in 4 parti di cui si ha notizia dall'antichità greca. L'idea venne attuata specie da Alois Haba, che tratta i quarti di tono come un nuovo campo cromatico, tendente a risolversi sul cromatismo a semitoni, il quale a sua volta tende a risolversi sulla serie diatonica. Nessun lavoro apparso finora mostra che tale attuazione esca dall'ordine dei tentativi; e del resto esperienze psicofisiche hanno mostrato che l'orecchio è, almeno adesso, quasi insensibile a simili intevalli.
Cenni storici sulla teoria armonica. - Per quanto si consideri che la teoria è il risultato dell'esperienza, e quindi segue alla pratica con un certo ritardo, non si può non osservare l'insufficienza complessiva della teoria armonica rispetto alla pratica. Il ritardo e l'incompletezza sono talora assai grandi, e talvolta, proprio in periodi di fioritura artistica, la teoria non spiega punto ciò che sta avvenendo, e non lo spiega neanche nei secoli successivi.
Origini. - Le origini della teoria dell'armonia (che è una manifestazione della tonalità, inseparabile, quindi, dalla melodia) sono naturalmente la teoria della tonalità e dell'armonia, da sola e intrecciata nel contrappunto. Fino a tutto il '500 le leggi armoniche non sono che una conseguenza, anzi un aspetto delle contrappuntistiche, e oggi ancora una certa interferenza continua, e continuerà, perché, come si è detto, armonia e contrappunto sono inseparabili per natura. Già i teorici greci distinguevano le consonanze (sinfonie) dalle dissonanze (diafonie), cioè partivano dall'idea che i suoni acquistassero carattere consonante o dissonante secondo l'intervallo in cui si univano tra loro; il carattere dipendeva dunque dall'intervallo. Questi studî continuarono in tutto il Medioevo, e nel dividere il monocordo, si era arrivati presto a notare il rapporto di suoni, che costituisce quell'accordo maggiore di cui si era ancora lontani dall'avere il concetto; p. es., si sapeva che, prendendo una corda che dia un do grave, se la si divide per 2, 3, 4, 5, si ottengono verso l'acuto le note do, mi, sol. D'altra parte, nella pratica, le regole, della diafonia dapprima, poi del discanto, erano fondate sugl'intervalli di 4a, di 5a e d'8a, a cui nel '300 s'aggiunge la 3a col suo rivolto, la 6a; dunque l'udito, come il raziocinio, era partito dai rapporti più semplici ed ovvî e andava gradatamente estendendoli. L'evoluzione delle leggi del discanto e poi del contrappunto preparò inconsapevolmente la futura armonia, precisando sempre più la distinzione tra combinazioni consonanti e dissonanti, e la volontà di moto di queste ultime; volontà già così percettibile, che ogni dissonanza doveva essere preceduta dalla "preparazione" e seguita dalla "risoluzione"; cioè ogni intervallo dissonante doveva partire da un intervallo consonante e ad un intervallo consonante metter capo. Si era anche riconosciuta la volontà di moto della sensibile ascendente, ed è volontà che non dipende dalle combinazioni dissonanti, dunque è una qualità propria del grado (il 7° della scala maggiore) nei rapporti tonali. Fin da un tempo remoto si procedeva alle alterazioni necessarie per produrre le sensibili alterate nei modi a base minore, oppure una sensibile imposta ai modi a base maggiore, che non avevano per finale o tonica melodica la tonica armonica (musica ficta) e per produrre i trasporti dei varî modi in toni diversi lungo il corso d'un pezzo (musica falsa). Questi fatti armonici venivano considerati dalla teoria soltanto dal lato pratico, cioè si davano regole per evitare urti o successioni sgradevoli, e per produrre conclusioni che soddisfacessero l'orecchio; ma in maniera così imprecisa ed empirica, che finora quelle regole non si sono ritrovate, e il confronto delle varie versioni rimaste di quelle musiche mostra che non doveva esservi una dottrina sicura: gli esecutori nella loro pratica usavano le cosiddette "sensibili sottintese", ma tutto fa credere che non le sottintendessero sempre alla stessa maniera. Questo durò fino agl'inizî del '600. D'altra parte sfuggiva la sostanza tonale ed armonica delle piccole, sì, ma continue modulazioni prodotte dalle sensibili alterate; tanto che, per la teoria, quelle sensibili (come più anticamente il si bem.) non mutavano il carattere del modo diatonico in cui venivano introdotte. Il concetto di modulazione non si formò che alla metà del '500. Così il concetto d'accordo non si concretò che con l'avvento del basso continuo mentre già da un secolo si scriveva musica ad accordi palesi.
Teoria di Zarlino. - Nel 1558 G. Zarlino, sempre rimanendo sul terreno della misura acustica degl'intervalli, riconosceva che, prendendo una corda che dia, p. es. un do grave, se la si divide (in serie armonica) per 2, 3, 4, 5, 6, si ottengono all'acuto i suoni do-mi-sol, cioè l'elemento maggiore; e prendendo la porzione ottenuta dalla divisione per 5 (la quinta parte della lunghezza di base) porzione che dà il mi, se la si moltiplica (in serie aritmetica) per 2, 3, 4, 5, 6, ne risultano al grave del mi i suoni mi-do-la, cioè l'elemento relativo minore. I due elementi, dunque, nascono dalla stessa nota do di base, e s'intrecciano attorno alla terza maggiore do-mi a cui si aggiunge nel maggiore una terza minore al disopra, nel minore ugualmente una terza minore ma al disotto:
È la spiegazione della connessione del modo maggiore col suo relativo minore, e la sola base positiva nota finora del modo minore. Ne risulta che l'elemento (e quindi l'accordo) maggiore è costituito di sotto in su con la nota generatrice al grave, mentre l'elemento (e quindi l'accordo) minore è costituito d'alto in basso con la nota generatrice all'acuto.
Teoria del basso continuo. - La pratica del basso continuo, che metteva tutto in rapporto alla nota grave, impedì per quei tempi di scorgere la feconda verità della teoria di Zarlino; e fece prevalere il concetto di distinguer gli accordi maggiori dai minori misurando il primo intervallo di 3a partendo dal basso. Su questa base, quasi per due secoli, si andarono concretando le leggi armoniche, ma non tanto a sé, quanto sotto forma di regole per accompagnare sul basso continuo, indicando la miglior pratica caso per caso, secondo le condizioni e i movimenti del basso. Per avere un'idea di quanto scarsi e quanto incompleti, fossero i criterî teorici che servirono sino alla fine del '700, basta guardare le poche norme date da G. Sebastiano Bach a sua moglie Anna Maddalena, nel suo Klavierbüchlein, e, da un altro lato, i Partimenti e regole musicali per i principianti di cembalo (1775) di F. Fenaroli, che riassumono la teoria armonica della morente scuola napoletana. Di tutta la mirabile fioritura del cromatismo svoltasi come improvvisa tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, la teoria non seppe che una cosa sola: che si tentava di ritornare ai generi cromatico ed enarmonico degli antichi Greci; ma dei fatti armonici, dell'arditissimo arricchimento dell'armonia, delle leggi che vi presiedevano, la teoria non seppe nulla, e si può dire che nulla cercò di sapere. La teoria considerava soltanto il genere diatonico, del quale invero incominciava appena a conoscere la sostanza; difatti le cadenze (vere formule tipiche della tonalità e quindi dell'armonia) si andarono formando per via empirica, come conseguenza della percezione della volontà degli accordi, la quale veniva avvertita nella pratica, ma restava ignorata dalla teoria. E poiché la volontà di moto della dominante è l'elemento più forte e palese di tutto il meccanismo armonico, la "cadenza perfetta" si concretò così da soddisfare (ossia risolvere) sulla tonica sempre e soltanto la dominante con la sua nota decisiva: la sensibile. Quindi: la cadenza perfetta è formata dal seguito S D T, tanto nel maggiore quanto nel relativo minore. Si noti che, per imporre al modo relativo minore il moto risolutivo del maggiore, si è dovuto alterare la dominante rendendola accordo maggiore anche nel modo minore, divenuto così minore alterato. Fatto, questo, determinatosi fin dalla musica ficta.
Prima teoria armonica. - Si ebbe nel 1722 col Traitéde l'harmonie reduite à ses principes naturels di J. Ph. Rameau. Quivi si spiegava: 1. come l'orecchio senta anche la melodia sulle stesse basi dell'armonia; 2. come le combinazioni dissonanti tendano a risolversi su quelle consonanti; 3. la teoria dei rivolti; 4. come tutta l'armonia nasca dal gioco di tre accordi: tonica, sottodominante, dominante; 5. come la modulazione avvenga per via di mutamento di funzione di tali accordi; 6. come la combinazione si-re-fa-la non sia altro che sol-si-re-fa-la col sol sottinteso. Cioè Rameau intuiva già che lo stesso intervallo di moto si-fa si può mettere tanto in rapporto con sol quanto con la, restando immutata la sua volontà di risoluzione (cioè di moto tonale ed armonico) tendente verso l'intervallo di riposo do-mi. D'altra parte Rameau, seguendo G. Sauveur, che pochi anni prima aveva scoperto i suoni armonici superiori, li considerò come generatori naturali dell'accordo e quindi dell'armonia. Era la sanzione teorica dell'unica costituzione di sott'in su dell'accordo tanto maggiore quanto minore, e di tutto il meccanismo armonico maggiore imposto anche al relativo minore. G. Tartini, nel suo Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia (1754) e nelle altre opere teoriche che vi tennero dietro, confermò il complesso delle teorie di Rameau, e la superiorità armonica del modo maggiore rispetto al minore, adducendo anche la prova del "terzo suono" da lui scoperto.
Fusione delle teorie di Zarlino e di Rameau. - Nel sec. XIX, scomparso il basso continuo, l'importanza della teoria di Zarlino andò prendendo luce nuova e collocandosi a fianco alle leggi riconosciute da Rameau. Parecchi studiosi, tra cui F. J. Fétis, M. Hauptmann, A. von Oettingen e H. Riemann, connettendo la teoria di Zarlino col "terzo suono" scoperto da G. Tartini, pensarono che, simmetricamente alla serie dei 12 suoni armonici superiori generatori dell'accordo e di tutto il modo maggiore, esistesse una serie corrispondente d'armonici inferiori, serie generatrice dell'accordo e di tutto il modo minore.
Si andò formando così una teoria che avvicina, senza compenetrarli, gli elementi della pratica e della teoria medievale, quelli del basso continuo, e quelli proprî (e derivati) delle teorie di Zarlino e di Rameau. Eccone le basi principali: a) L'armonia (benché indissolubile dalla melodia e retta dalle stesse leggi) viene isolata, sia dai movimenti melodici, sia dalla struttura della frase e del periodo. b) Il meccanismo armonico è quello della tonalità diatonica; la tonalità cromatica non è che un'amplificazione ottenuta alterando le combinazioni diatoniche. c) Il meccanismo tonale, e quindi armonico, è costituito, non da un sistema unico, bensì da due sistemi simmetrici, relativi l'uno all'altro e tra loro connessi. Nella posizione naturale della serie diatonica i due sistemi sono imperniati, l'uno (maggiore) sul do e costituito di sott'in su; l'altro (relat. minore) è imperniato sul mi e costituito d'alto in basso. E il cosiddetto dualismo o bipolarismo. d) Nonostante ciò, v'è un solo tipo di "cadenza perfetta", ed è quello del modo maggiore, costituito da sottodominante, dominante, tonica, anche pel modo minore. e) Il moto armonico è il gioco di tre funzioni: sottodominante, dominante, tonica, rispettivamente nei due modi relativi. f) Ma la funzione decisiva, risolutiva, è la dominante, in tutt'e due i modi, perché conosce una sola sensibile: il 7° grado della scala, tanto maggiore, quanto rel. minore (alterata). g) E, benché il moto armonico nasca dal rapporto fra le tre funzioni, e benché la volontà di risoluzione (ossia di moto) della sensibile sia virtù propria e non dipendente da combinazioni, la secolare distinzione tra consonanza e dissonanza continua a essere uno dei capisaldi, e presiede alle leggi di risoluzione, cioè alle leggi del moto. h) Queste leggi si seguitano a fondare soltanto sulla risoluzione, fuori della quale non vi sono che possibilità imprecise o eccezionali. Ma risoluzione è soddisfazione della volontà di moto, quindi passaggio da moto a riposo; rimangono dunque da chiarire le leggi che presiedono alle altre due possibilità altrettanto fondamentali e legittime: passaggio da riposo a moto, e passaggio da moto ad altro moto, ora più ed ora meno intenso.
Nel sec. XIX gli studî d'acustica ebbero mirabile sviluppo anche in rapporto alla teoria musicale; ma non si arrivò a scoprire i supposti suoni armonici inferiori quali realtà positiva, né si poté trovare una base alla distinzione tra consonanza e dissonanza. Tale distinzione oggi si considera un fatto non d'acustica ma di sensibilità.
Stato odierno della teoria. - Nonostante queste due gravi deficienze di solidità, tale teoria armonica è la migliore corrente ai nostri giorni, e, poiché la pratica dell'arte ha fatto passi rapidissimi nell'evoluzione dell'armonia, la teoria fa continui ed evidenti sforzi per adeguarsi alla realtà odierna. Così si va allargando sempre più il concetto della preparazione, che già almeno dal '600 si riteneva superflua per la 7a di dominante, poi per la 7a diminuita, mentre oggi, nell'arte viva, la preparazione non esiste più. Difatti l'orecchio va abituandosi a connettere, quindi a trovare ovvie, combinazioni di suoni sempre più lontani, senza bisogno d'aiuti o di precauzioni preliminari. Parimenti il criterio della risoluzione si va allargando nella teoria, mentre nell'arte viva odierna quasi non c'è più. Le dissonanze possono venire sì e no preparate e risolte; in un caso il loro effetto dissonante è attenuato, nell'altro caso è pieno, quindi tagliente. Ciò che distingue il maggior numero dei trattati è che su queste basi comuni si vanno cercando e studiando sempre nuove simmetrie e nuovi sistemi di rapporti nell'inesauribile rete delle relazioni tonali e armoniche, diatoniche e cromatiche. Il maggior numero di tali studî viene dalla Germania, dove pare che il problema della teoria armonica sia più vivo ed attivo che altrove. Invece in Francia sono d'uso corrente i trattati come quelli di N. H. Reber, M. G. Savard, T. Dubois, ecc., che continuano con la teoria di Rameau quasi inalterata; la parte riguardante l'armonia nel trattato di composizione di V. d'Indy assimila le idee principali del Riemann; l'Étude sur l'harmonie moderne di René Lenormand e gli scritti di Ch. Koechlilin sull'armonia odierna sono i migliori saggi di spiegazioni teoriche dei fatti armonici oggi in uso, tra quelli che non accennano a dubitare del buon fondamento di tutta la teoria tradizionale. Fra i lavori teorici che tentano nuove vie, apparsi dopo quelli del Riemann, ricorderemo la Organische Harmonielehre di R. Mayrhofer, che studia acutamente la meccanica risultante dai due modi relativi, partendo dai suoni armonici superiori, e indicando cosiddette "cellule" contenenti ognuna elementi maggiori e relativi minori intrecciati secondo lo schema di Zarlino; e la Nuova teorica dell'armonia di A. Gentili, che crede dedurre dallo sviluppo storico dell'armonia il principio che ogni tetracordo melodico sia una funzione tonale ed armonica, e viceversa (principio vagamente connesso col concetto di moto-riposo), e distingue dissonanze armoniche da dissonanze acustiche. Intanto, in Germania, altri tentarono di scoprire i rapporti fra la teoria armonica e la sensibilità umana rivelata dalla psicologia sperimentale; indirizzo che sarebbe fecondo, se avesse per base una teoria armonica di sicura solidità. Nel 1927 A. Haba pubblicò un trattato d'armonia a base di quarti di tono, dove le combinazioni a quarti di tono dànno origine a un supercromatismo, di cui i movimenti si risolvono, come si disse a proposito della pratica armonica moderna, sulle combinazioni semitonali, che alla lor volta si risolvono su quelle diatoniche. È dunque una nuova amplificazione dell'armonia che diremo tradizionale, ma è fondata sull'arbitraria divisione del semitono in due parti.
All'infuori di questi tentativi si andò avvertendo sempre più l'importanza del rapporto fra le tre funzioni, di cui la tonica è il riposo, e dominante e sottodominante sono due elementi di moto in senso opposto. Intanto il ritmo, specialmente grazie a H. Riemann, veniva studiato nella sua essenza come catena di connessi slancio-(moto)-riposo, e come risultante dei suoi 4 coefficienti (v. ritmo), tra i quali la varia altezza dei suoni, quindi la tonalità coi suoi due aspetti gemelli: melodia e armonia. Si sentiva dunque come le stesse leggi debbano reggere ritmo, tonalità, melodia, armonia, forma della frase, del periodo, delle intere composizioni, tutte manifestazioni di un unico principio: il moto. D'altro lato si andava ingrandendo tanto la parte delle cosiddette "risoluzioni eccezionali" e di quelle addirittura negate, cioè diventava così grande la distanza fra la pratica e la teoria, da non poter escludere l'idea che anche in questo campo dovessero vigere leggi non ancora conosciute, ma accessibili all'intuizione dell'orecchio dei pratici. Poiché l'armonia anche più ardita e complessa viene dall'orecchio e torna all'orecchio, questo deve essere retto da una legge naturale, e perciò semplice, completa, costante. Si arrivò a concretare una teoria (G. Bas) fondata sulle basi seguenti:1. discernere e notare le sensazioni armoniche che l'orecchio prova udendo una melodia; 2. riferirle alla frase e al periodo musicale; 3. riconoscere così che l'armonia è il gioco delle due funzioni di moto: dominante (sulla base della serie diatonica in posizione normale e nell'ambito dei toni di do magg.-la min.) rappresentata dal si "sensibile ascendente" che tende a do; e la sottodominante rappresentanza dal fa "sensibile discendente" che tende a mi. Le due funzioni di moto tendono dunque tutt'e due in senso opposto verso la tonica rappresentata dalle due note di riposo do-mi. Ognuna delle tre funzioni è fatta di 2 accordi di 3 suoni, uno maggiore e uno relativo minore, intrecciati secondo lo schema di Zarlino.
Queste volontà di moto della dominante e della sottodominante, e questo carattere di riposo della tonica, nell'economia del meccanismo armonico si possono, e si devono, tanto soddisfare, cioè risolvere, quanto non soddisfare o magari contrariare, cioè contrastare. Tutte le combinazioni hanno dunque una volontà propria, derivante dalla volontà delle note di cui sono composte, ch' è il loro stesso valore, e si può prestare tanto alla risoluzione (verso il riposo) quanto al contrasto (verso il moto), con effetti esattamente opposti. I contrasti sono un campo perfetiamente simmetrico a quello delle risoluzioni, dove si vedono regolate tutte le cosiddette risoluzioni eccezionali. Il nocciolo del meccanismo tonale e armonico è dunque questo:
Il moto e la sensibile ascendente con la dominante che ne scaturisce sono proprî del do maggiore, e dànno origine alle cadenze
Invece il moto e la sensibile discendente con la sottodominante che ne scaturisce, sono proprî del modo relativo minore e dànno origine alle cadenze:
Nelle due cadenze perfette l'ordine in cui si presentano le due funzioni di moto è opposto, nel tipo maggiore S D T, e nel tipo minore d s t. La prima è fatta delle 3 funzioni maggiori, la seconda dalle 3 funzioni relative minori.
Sommando la dominante maggiore-relativa minore con la sottodominante rispettiva, risulta la combinazione di tutte le sette note diatoniche:
Aggiungiamo a chiarimento il seguente schema di movimento di combinazione integrale:
Ogni altra combinazione non è che un frammento di questa, e qualunque moto armonico non è che una parte di quelli indicati in tale schema, che riassume tutta l'armonia diatonica. D'altra parte tutti i toni situati dal lato di dominante (tutti quelli diesati partendo dalla posizione naturale della serie diatonica do maggiore-la minore) sono dominanti rispetto al tono centrale, da cui si distinguono con sensibili ascendenti; e tutti i toni situati dal lato di sottodominante (tutti quelli bemollizzati) sono sottodominanti rispetto allo stesso tono centrale da cui si distinguono con sensibili discendenti. La modulazione non fa che estendere i movimenti delle cadenze oltre i limiti del tono di partenza e, sempre secondo le stesse leggi, condurre dalla cadenza d'un tono a quella d'un altro. Il cromatismo non altera gli accordi, ma arricchisce l'armonia diatonica, introducendovi in più le sensibili dei toni laterali; sensibili che si muovono sempre come nei rispettivi toni, secondo l'unica legge dell'armonia diatonica. Il cromatismo è dunque il meccanismo dei toni laterali, che si risolve sul meccanismo diatonico del tono centrale, come, nell'armonia diatonica, gli accordi di dominante e sottodominante si risolvono sulla tonica. Tale amplificazione è un arricchimento senza limiti, perché, con l'affinarsi dell'orecchio, si vanno connettendo note cromatiche, cioè sensibili rispettivamente diatoniche, di toni sempre più, indefinitamente, lontani. Il doppio movimento, espresso dall'esempio schematico che qui riportiamo,
appare dunque come la sola sostanza di tutta l'armonia, e la norma costante dell'orecchio umano. Il principio moto-riposo ha superata la distinzione tra consonanza e dissonanza; cioè la legge fondamentale del moto ha eliminato ciò che non aveva base positiva. A questo punto la teoria armonica pare risponda alla definizione datane dal Riemann: la dottrina del significato degli accordi, ossia la spiegazione dei fatti mentali provocati dall'udire musica.
Nello studio della composizione l'armonia è disciplina d'importanza grandissima, sia che la si ponga a fondamento e a condizione della melodia (e quindi del periodo e della struttura architettonica non meno che della polifonia) sia che - come oggi sempre più si vien facendo - si segua il criterio opposto, trovando nella melodia la prima, intima ragione del tessuto armonico.
La didattica quindi può - seguendo il primo o il secondo dei suesposti criterî teorici - riservare all'apprendimento e all'esercizio dell'armonia, considerata come scienza avente un proprio intrinseco principio ed a sé sufficiente, il primo periodo degli studî di composizione, oppure far sorgere dallo studio della frase melodica le conseguenze armoniche da essa frase suggerite e volute, in modo da restituire allo studio della composizione quell'unità, sintesi di ritmo, melodia e armonia (e delle conseguenze: polifonia e contesto timbrico) che si trova in atto, poi, nell'opera d'arte concreta.
Bibl.: G. Zarlino, istituzioni harmoniche, Venezia 1558-73; J. Ph. Rameau, Traité d'harmonie réduite à ses principes naturels, Parigi 1722; G. Tartini, Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia, Padova 1754; id., De' principi dell'armonia musicale contenuta nel diatonico genere, Padova 1767; F. J. Fétis, Traité complet de la théorie et de la pratique de l'harmonie, Parigi 1844 (traduzione ital. di A. Mazzuccato, 2ª ed., Milano s. a.); M. Hauptmann, Die Natur der Harmonik und der Metrik, Lipsia 1853; A. von Oettingen, Harmoniesystem in dualer Entwicklung, Dorpat 1866 ristampato a Lipsia nel 1913 sotto il titolo di Das duale Harmoniesystem); H. Riemann, Handbuch der Harmonielehre, 7ª ed., Lipsia 1920; id., Die Natur der Harmonik, Lipsia 1880 (Sammlung musikalischer Vorträge, n. 40); id., Das Problem des harmonischen Dualismus, Lipsia 1905; id., Geschichte der Musiktheorie im IX-XIX Jahrhundert, Lipsia 1898; R. Mayrhofer, Die organische Harmonielehre, Lipsia 1908; id., Der Kunstklang, I, Vienna 1910; D. Alaleona, I moderni orizzonti della tecnica musicale, Torino 1911; A. E. Hull, Modern Harmony: its Explanation and Application, Londra 1914-23; R. Lenormand, Étude sur l'harmonie moderne, Parigi 1912; A. Vinée, Principes du système musical, Parigi 1909; T. Dubois, Traité d'harmonie théorique et pratique, Parigi 1921; A. Schönberg, Harmonielehre, Vienna 1921; E. Kurth, Romantische Harmonik, Berlino 1922; G. Bas, Trattato d'armonia, Milano 1924; A. Gentili, Nuova teorica dell'armonia, Torino 1925; A. Machabey, Histoire et évolution des formules musicales du Ier au XVIe siècle de l'ère chrétienne, Parigi 1928; C. Koechlin, le tendances de la moderne musique franç., in Encycl. de la Mus., Parigi 1927; id., Nouveau traité d'harmonie, Parigi 1929.
Armonia vocalica.
Il fenomeno noto sotto il nome di armonia vocalica è uno dei più importanti che s'incontri nel vocalismo delle lingue uralo-altaiche; secondo alcuni autori (Adam, Szinnyei, Winkler, ecc.) si tratta d'un fenomeno puramerite fonetico o psicologico (Böhtlingk), secondo altri (Baudouin de Courtenay, Radloff, ecc.) d'un fenomeno fonetico-morfologico; secondo alcuni (Castrén, Radloff, Simony, ecc.) l'armonia vocalica risalirebbe a un'antichità remotissima e al periodo unitario delle lingue uralo-altaiche, secondo altri (Adam, Winkler, ecc.) si tratterebbe invece d'un fenomeno relativamente recente. Essa non si trova in tutte le lingue uraloaltaiche, né in tutti gl'idiomi in cui compare si presenta con la medesima perfezione e ricchezza; è più completa nelle lingue altaiche che nelle uraliche, e fra le prime è più perfetta in alcuni gruppi di dialetti turchi (iacuto, altaico, kara-kirghiso). Nelle lingue uraliche si trova in qualche dialetto samoiedo (kamassino), e nell'ugro-finnico è ben conservata nel magiaro, nella maggior parte degl'idiomi finnici (finnico, carelico, dialetto di Olonec, ingrico, voto e dialetto estonico meridionale o di Tartu [Dorpat]) e nel ceremisso montano; abbastanza bene nel mordvino e in alcuni dialetti voguli, mentre non si trova affatto nel lappone e nell'ostiaco e sirieno. Quanto alla natura dell'armonia vocalica, è assai difficile darne una chiara idea generale, presentandosi essa sotto diversi aspetti nelle varie lingue; in generale si può dire che tutte le lingue in cui l'armonia si presenta distinguono le vocali in anteriori e posteriori (con la presenza in alcune lingue, ove l'armonia è meno perfetta, anche di qualche vocale neutrale). La regola più comune dell'armonia è che se nella sillaba accentata c'è una vocale anteriore, nelle disaccentate susseguenti ci debbono essere solo vocali anteriori; se c'è una posteriore, solo posteriori. Laddove esistono (come nelle lingue ugrofinniche) anche vocali neutrali, una parola può contenere ad un tempo vocali anteriori e neutrali, o posteriori e neutrali, ma non anteriori e posteriori. Naturalmente le cose non sono sempre così semplici; ci sono casi di armonia assoluta (dell'intera parola), tematica (delle parole derivate), desinenziale (dei suffissi), e infine di armonia complessa quando oltre alla distinzione fra vocali anteriori e posteriori, si ha anche un'ulteriore distinzione, fra vocali pesanti e leggiere, che viene a complicare le leggi dell'armonia.
Fra i due tipi di armonia vocalica esaminiamo dapprima il meno perfetto e più semplice che ci presentano le lingue ugro-finniche; qui abbiamo vocali posteriori (o velari), a, o, u, y; anteriori (o palatali), ö, ü; neutrali (e, i). Una parola può contenere solo vocali anteriori o solo vocali posteriori, o quanto meno vocali neutrali e vocali anteriori e vocali neutrali e vocali posteriori; non può contenere vocali anteriori e posteriori; p. es. finnico kana "gallina"; koulu "scuola"; sänky "letto" tytär "figlia"; villa "lana" e nei suffissi: kirko-ssa "in chiesa" (da kirko), ma tölli-ssä "nella capanna" (da tölli); puu-lta "dall'albero" (da puu); pöydä-ltä "dalla tavola" (da pöytä) ecc.; sukulainen "parente"; mesiläinen "ape" (da mesi "miele"), ecc. Magiaro: ember-nek "agli uomini" (da ember); állat-nak "alle bestie" (da állat); arany-ból d'oro (da arany); réz-bol "di rame" (da réz); szep-ség "bellezza" (da szép); jó-sag "bontà" (da jó).
Nel magiaro e in buona parte del ceremisso si aggiunge una complicazione dovuta alla presenza di una vocale labiale nella variazione o / ö rispettivamente o / e. La vocale o alterna con ö se nella sillaba precedente si trova una vocale labiale, con e in caso contrario: p. es. magiaro: akar-tok "voi volete"; ül-tök , "voi sedete"; ma felel-tek "voi rispondete", kér-tek "voi pregate", ecc.
Vediamo ora qualche esempio delle lingue altaiche. Nel tunguso, nel mangiu e nel mongolo buriato troviamo anche vocali neutrali, ma nei dialetti turchi si ha un sistema perfetto: vocali posteriori o gutturali a, o, y, u (con i suoni intermedî) e y; vocali anteriori o palatali, ä, ö, ü, i, e (e varianti). Accanto a questa prima divisione che il Radloff chiama "affinità palatale", ne esiste un'altra che lo stesso studioso denomina "affinità labiale" e che consiste nel distinguere: "vocali dentali" e "vocali labiali". Inoltre si distinguono "vocali larghe" e "vocali strette" (il Böhtlingk le chiamò rispettivamente pesanti e leggiere). Ora gli accordi armonici possono essere perfetti in tutte le serie, oppure ravvicinarsi più o meno a questa perfezione. Il maggiore sviluppo ci è presentato dai dialetti altaici; qui abbiamo: at "cavallo", casi obliqui: at-tar, at-qa, at-tañ; ot "fuoco" ot-tor, ot-qo, ot-toñ; ät "carne" ät-tär, ät-kä, ät-täñ; köl "mare" köl-γ′ö, köl-döñ; nei verbi: aù "prendere" aù-yan, aù-attan, aù-ain; poù "essere" poù-γon, poù-otton, poù-oin; käl "venire", käù-γ′än, käl-ättän, käläin; tök "versare" tök-kön, töγ′-öttön, töγ′-öin. Ma già nel vicino karakirghiso troviamo minore perfezione: p. es. at, at-tar, ecc. ma ot, ot-tar, ot-qa, ot-tan (e non *ot-tor, ecc.). Questo accordo armonico dell'altaico si effettua naturalmente anche quando si susseguono parecchi suffissi, p. es. dati i quattro verbi al "prendere"; tol "riempire" k′äl′ andare, venire"; öl "morire, uccidere", abbiamo le seguenti forme: al-dyr-ys′-ty-bys "noi insieme abbiamo fatto prendere"; tol-dyr-ys′-ty-bys "noi abbiamo riempito insieme"; käl′-tir-is′-di-bis "noi abbiamo latto venir insieme": öl′-d′ür-üs′-tü-bis "noi insieme abbiamo ucciso".
Per quanto l'armonia vocalica sia una spiccata caratteristica delle lingue uralo-altaiche, non sono mancati gli sforzi di trovarne tracce in altri gruppi linguistici. Sono peraltro falliti i tentativi di trovar sistemi di armonia vocalica nel persiano antico (Terrien), nel celtico (Roering), nel telegu (Caldwell) e nel romeno (Storch): si tratta di fenomeni fonetici affini (assimilazione regressiva, metafonesi, ecc.).
All'infuori della famiglia uralo-altaica sembra però che l'armonia vocalica si trovi in un dialetto slavo d'Italia e precisamente in val di Resia (prov. di Udine).
Nei dialetti resiani, secondo gli studî del Baudouin de Courtenay, le vocali si distinguono in chiare, e, i, o, u; scure, ø, y, ö, ü e neutrali, a; e in larghe, e, o, ø, ö, a, e strette, i, u, y, ü, e. Se nella sillaba accentata si trova una vocale chiara, nelle disaccentate seguiranno (o precederanno) vocali chiare; se scura, scure; se una vocale, larga è nell'accentata, larghe saranno anche nelle disaccentate, se stretta strette; p. es. ûanà "moglie" dat. ûønøé, strum. ûanó, gen. pl. ûiní; dö′bar "buono", femm. dobrà, neutro döbrö′, ecc.
Il Baudouin de Courtenay spiegò la presenza dell'armonia vocalica proponendo l'ipotesi di una origine slavo-turanica dei Resiani, ma forse si tratta solo di un fenomeno isolato di natura fonetico-psicologica in dipendenza degli elementi fonetici meno morfologizzati dagli elementi più morfologizzati, come sembra ammettere anche il Baudouin de Courtenay in questi ultimi tempi.
Bibl.: Sull'armonia vocalica in generale cfr. L. Adam, De l'harmonie des voyelles dans les langues ouralo-altaïques, Parigi 1874; Böhtlingk, Über die Sprache der Jakuten, Pietroburgo 1851, p. 120 segg. ed anche nella Jenaer Literaturzeitung, 1874, p. 767, ma specialmente W. Radloff, Phonetik der nördlichen Türksprachen, Lipsia 1883, pp. 2-63; J. Grunzel, Die Vokalharmonie der altaischen Sprachen, in Sitzungsber. Akad. Wien, Ph. H. Kl., CXVII (1889), 3. Per l'armonia vocalica del magiaro in particolare cfr. S. Szabó, A magyar magánhangzóilleszkedés, Budapest 1902 e Losonczi, in Magyar Nyelv, XXIII (1927), p. 27 segg. Per l'armonia vocalica nel resiano cfr. Baudouin de Courtenay, Sull'arm. vocalica nei dialetti resiani, in Atti del IV Congresso intern. degli orientalisti, Firenze 1878, Firenze 1881, II, pp. 1-21; inoltre Baudouin de Courtenay, Materialien zur südslavischen Dialektologie und ethnographie, Pietroburgo 1895 segg. (La più recente opinione del Baudouin de Courtenay si deve a gentile comunicazione personale dell'illustre vegliardo).