Armi nucleari: tipi e tecnologia
Un’arma nucleare è costituita da una testata, da un vettore e da un sistema di comando e controllo. La prima deriva la sua forza esplosiva da una reazione nucleare a fissione, a fusione o da una combinazione delle due.
Le armi nucleari a fissione sono di due tipi: a uranio arricchito (U235) e a plutonio (PU239). La massa critica (un tempo di circa 25-30 kg di uranio o di 4-5 kg di plutonio, oggi molto inferiore), necessaria per una reazione nucleare, è realizzata con esplosivi chimici: nelle bombe a U235, essa unisce due masse sub-critiche; in quelle a PU, comprime il nucleo radioattivo con dispositivi molto sofisticati.
Le bombe a fusione – dette anche termonucleari o all’idrogeno o H – sono formate da un innesto, costituito da una bomba A e da un involucro (spesso di U238 o impoverito) e da un nucleo con deuterio e trizio. L’esplosione dell’innesco li comprime e li scalda a temperatura tale da provocarne la fusione, producendo elio.
La potenza delle armi nucleari viene misurata in kilotoni – KT (mille t di tritolo) – o in megatoni, MT (un milione di t di tritolo). Varia da qualche decimo di KT a 500 KT per le bombe a fissione. Quelle H non hanno limiti teorici di potenza. Quella più potente da 58 MT fu fatta esplodere nel 1961 in URSS.
Sinora sono state effettuate ca. 2000 esplosioni sperimentali. Un’esplosione nucleare produce effetti diversi: oltre a quello esplosivo o di urto, radioattivi – immediati o persistenti –, di calore, acustici, ottici, elettromagnetici ecc. Sono state sviluppate armi specializzate, come le bombe al neutrone (o N), che massimizzano l’emissione di radiazioni immediate, efficaci contro i carri armati, ma che non distruggono gli edifici; le bombe a impulso elettromagnetico (EMP), che neutralizzano o distruggono i circuiti elettronici; le bombe di penetrazione, per distruggere bunker corazzati a grande profondità ecc. Secondo la gittata dei vettori, le armi nucleari sono classificate in: 1) «strategiche», in grado di colpire il territorio delle due superpotenze della Guerra fredda; 2) «di teatro», con gittata pari alla profondità dell’intero teatro operativo euro-atlantico; 3) «tattiche», a minor gittata, destinate a sostenere le operazioni convenzionali.
Un termine spesso utilizzato e quello di «armi sub-strategiche». I vettori strategici possono essere missili intercontinentali, bombardieri o missili lanciati da sommergibili; e quelli sub-strategici missili balistici e da crociera, cacciabombardieri, artiglierie, lanciarazzi, siluri e mine terrestri.
Gli arsenali nucleari. La prima bomba nucleare, sviluppata dagli USA con il «progetto Manhattan», esplose nel luglio 1945 ad Alamogordo nel New Mexico. Il 6 e il 9 agosto vennero lanciate due bombe su Hiroshima e Nagasaki. La prima esplosione H da parte USA avvenne nel 1952 sull’atollo di Eniwetok, nell’Oceano Pacifico. Alla fine degli anni Quaranta, gli USA possedevano circa 50 testate. Dopo la creazione della NATO e il primo esperimento nucleare sovietico – entrambi nel 1949 – gli Stati Uniti aumentarono rapidamente il loro arsenale.
Nel 1953 gli USA iniziarono a schierare in Europa armi tattiche: la consistenza dell’arsenale nucleare crebbe rapidamente. Alla fine degli anni Settanta raggiunse 32.000 testate, di cui 7000 tattiche in Europa e 11.000 strategiche. L’URSS effettuò il primo esperimento di bomba A nell’agosto del 1949 e di bomba H nel marzo 1953, solo cinque mesi dopo la prima bomba H americana.
Alla fine della Guerra fredda, il suo arsenale ammontava a circa 33.000 testate, di cui 13.000 strategiche, 4200 per le difese antimissili e antiaerei e 15.800 sub-strategiche.
A partire dagli anni Novanta, tale arsenale è stato fortemente ridotto. La Russia tende a mantenere la parità con gli USA nel settore delle armi strategiche. La sua dottrina militare attribuisce inoltre grande importanza a quelle sub-strategiche, per compensare l’inferiorità delle sue forze convenzionali rispetto a quelle americane e cinesi. La Gran Bretagna, che aveva partecipato al «progetto Manhattan», effettuò il primo esperimento A nel 1952 e H nel 1957. Oggi dispone di circa 200 testate, schierate a bordo di tre sommergibili lanciamissili.
La Francia ha effettuato il suo primo esperimento nucleare nel 1960 e ha sviluppato rapidamente una forza nucleare strategica (force de frappe) e una tattica. Alla fine della Guerra fredda, disponeva di quasi 550 testate, all’inizio del sec. 21° in corso di riduzione a circa 250.
Il programma nucleare cinese iniziò nel 1955 con il supporto sovietico, poi annullato. Effettuò il primo esperimento di bomba A nel 1964 e di bomba H nel 1967. Attualmente, l’arsenale nucleare cinese comprende circa 450 testate ed è in corso di rapido ammodernamento, sia come testate sia come vettori, compresi sommergibili lanciamissili e missili intercontinentali. Paesi nucleari, non previsti dal Trattato di non-proliferazione, sono: 1) Israele, dotatosi della prima arma nucleare nel 1969; nel 1973 disponeva di ca. 20 testate, oggi si ritiene ne possegga 200; 2) l’India, che effettuò la prima esplosione nucleare, detta «pacifica», nel 1974 e cinque esplosioni sperimentali nucleari nel 1998; sembra che possegga ca. 100 testate e missili in grado di colpire Pechino; 3) il Pakistan, che dimostrò la sua capacita nucleare con cinque esplosioni sperimentali nel 1998; dovrebbe disporre di ca. 60 testate; 4) la Corea del Nord, che ha effettuato un esperimento nucleare nel 2007 replicandolo nel 2009.
Altri Stati, come l’Iran, stanno acquisendo una capacità nucleare almeno «di soglia». Si mettono cioè in condizioni di nuclearizzarsi in tempi brevi. L’unico Stato che si è sinora denuclearizzato è il Sudafrica, che disponeva di sei testate.
Riduzioni degli armamenti nucleari. Gli accordi fra USA e URSS/Russia sulla riduzione degli armamenti nucleari strategici (START 1, Strategic arms reduction treaty, del 1991 e SORT, Strategic offensive reductions treaty, del 2002) prevedono una riduzione delle testate strategiche per ciascuna delle due superpotenze rispettivamente a 6000 e tra 1700 e 2200. Il nuovo trattato tra gli USA e la Russia che sostituisce lo START 1, la cui validità è terminata nel dicembre 2009, considera ulteriori riduzioni, a 1650 testate e a 800 vettori di cui solo 700 possono essere mantenuti operativi. Ulteriori negoziati sono in corso per limitare il numero delle armi sub-strategiche, per coinvolgere anche gli altri Stati nucleari, per aumentare la sicurezza degli impianti e dispositivi e per contrastare la proliferazione nucleare. A fine 2009, gli USA possedevano 3696 testate strategiche operative e un totale di 10.000 bombe, di cui sub-strategiche da 200 a 400 in Europa. La Russia disponeva di 4337 testate strategiche operative e un totale fra 15 e 17.000 fra strategiche e sub-strategiche, parte operative e parte in deposito.
La strategia nucleare. La «strategia nucleare» riguarda sia l’impiego delle armi nucleari sia la loro utilizzazione potenziale a fini dissuasivi. Ha sempre avuto caratteristiche peculiari data l’enorme potenza distruttiva delle armi nucleari, considerate da taluni esperti «armi da non guerra», cioè utili solo per la dissuasione e parzialmente per effettuare pressioni (deterrence and compellence). All’inizio, la strategia nucleare fu una semplice estensione della dottrina del bombardamento aereo strategico, e riguardò soprattutto la scelta degli obiettivi da colpire. Tale strategia prevalse fino a quando gli USA godettero di una netta superiorità rispetto all’URSS e il loro territorio era invulnerabile a un attacco.
Ispirò la dottrina della «rappresaglia massiccia», sostituita negli anni Sessanta da quella della «risposta flessibile».
Anche la dottrina della risposta flessibile assegnava alle armi nucleari un ruolo soprattutto di dissuasione, anche se prevedeva la possibilità di una guerra nucleare limitata all’Europa. Per essere credibile, non poteva escluderla. Era basata sull’assunto che una guerra nucleare fosse politicamente controllabile e quindi potesse essere limitata. La dissuasione nucleare veniva considerata stabile con l’esistenza di una «capacità di secondo colpo» (second strike), cioè d’infliggere danni inaccettabili all’avversario dopo averne incassato un attacco di sorpresa (first strike). Dalla consapevolezza dell’impossibilità di ottenere una capacità decisiva di primo colpo, derivo l’adozione della MAD (Mutual assured destruction), che permise accordi fra USA e URSS prima sulla limitazione, poi sulla riduzione delle armi strategiche. Il principale problema della strategia della NATO della risposta flessibile fu quello di realizzare una «dissuasione estesa»; di rendere cioè credibile il collegamento (coupling) delle difese in Europa con le forze nucleari strategiche americane. Esso era centrale per la coesione della NATO. La soluzione adottata venne fondata su logiche e assunti apparentemente paradossali. Presupponeva, infatti, che si distruggesse quanto si intendeva difendere, cioè l’Europa occidentale; inoltre, che gli USA fossero realmente disposti a porre in gioco la propria sopravvivenza per mantenere i loro impegni; infine, che il Cremlino credesse che la NATO ricorresse veramente alle armi nucleari e rischiasse una reciproca distruzione. L’intera strategia era fondata su una scommessa, non su un calcolo razionale di benefici, costi e rischi. Era una scommessa non solo sull’irrazionalità propria – di essere cioè pronti a distruggere quanto si voleva difendere – ma anche sulla razionalità del Cremlino, che cioè la ritenesse credibile e non un semplice bluff.
Nonostante le sue apparenti illogicità, tale strategia – basata sul collegamento strategico fra l’Europa e gli USA e fra le forze nucleari e convenzionali – ebbe successo, contribuendo a mantenere «freddo» il confronto strategico fra i due blocchi.
Il suo meccanismo essenziale era il «primo uso» (first use) delle armi nucleari. Esso consisteva nell’impegno USA di far ricorso al nucleare in caso di crollo delle difese convenzionali europee, anche qualora l’URSS non avesse impiegato armi nucleari, ma usato solo la sua superiorità convenzionale.
Una strategia analoga a quella della risposta flessibile è oggi codificata nella dottrina militare della Russia, mentre il ruolo delle armi nucleari della NATO sta divenendo marginale, data la superiorità militare complessiva dell’Occidente del mondo.
Unitamente alla miniaturizzazione delle testate, alla maggiore precisione dei vettori e alla pratica eliminazione del fallout, la disponibilità di nuovi tipi di testate ha indotto a elaborare dottrine nucleari d’impiego effettivo, e non solo potenziale o dissuasivo, dominanti durante l’«equilibrio del terrore» della Guerra fredda. Tali dottrine operative caratterizzano la cosiddetta «seconda era nucleare».