PUNGILUPO, Armanno
PUNGILUPO (Pungilupus, Punçilupus, Puçilupus, Punzilovus), Armanno. – Nulla si conosce sulla sua famiglia di origine e sulla sua nascita, se non che visse a Ferrara, in contrada San Paolo, e che era sposato con una donna di nome Maria. Nemmeno il secondo elemento onomastico che lo individua (qui convenzionalmente mantenuto come secondo elemento del sistema onomastico, ma si tratta in realtà di un soprannome: Armanno, detto Pungilupo) ha grafia unitaria.
La complessa e lunga vicenda giudiziaria che lo vide protagonista, soprattutto post mortem, mostra l’ambiguità dell’uso dell’accusa di eresia in un contesto di controllo della santità laicale da parte degli Ordini Mendicanti tramite l’intervento degli inquisitori dell’eretica pravità. La ricostruzione di un’esperienza religiosa non univoca risulta difficoltosa, a causa delle testimonianze esclusivamente retrospettive trasmesse in un dossier contenente due procedimenti opposti e paralleli (per santità l’uno e per eresia l’altro). Alla complessa stratigrafia della memoria documentaria, si aggiunge il peculiare stato redazionale delle testimonianze raccolte in forme e fasi diverse.
La prima notizia risale al 1247 e sappiamo di spostamenti in Romagna, soprattutto a Rimini, a Vicenza, Verona, Sirmione e Mantova. Per certo, il 2 marzo 1254, «Armannus qui prenomine dicitur Punzilovo» (Zanella, 1986, p. 67) venne interrogato a Ferrara e abiurò alla presenza dei frati Predicatori e inquisitori Aldobrandino ed Egidio. L’ostilità tra Armanno e frate Aldobrandino risulta in molteplici testimonianze: l’inquisitore era un «lupo rapace» che lo fece persino torturare. «Ecce demones, ecce lupi rapaces», così avrebbe apostrofato i frati accompagnando gli eretici – i «boni homines» – al rogo (ibid., p. 64). Un contrasto così aspro e pubblico non dovette favorire un’equilibrata azione giudiziaria.
Il suo comportamento cristiano non conformista fa di lui «un militante della misericordia cristiana» (Merlo, 20112, p. 121). Pungilupo non ebbe una dottrina, un pensiero più o meno coerentemente elaborato, e per quanto paradossale «non ci sono fatti: contano le interpretazioni» (ibid., p. 119). Le vicende biografiche nel quindicennio intercorso tra il momento dell’abiura e la morte, avvenuta il 16 dicembre 1269, sono contraddittorie: risulta che Pungilupo frequentò i buoni cristiani dualisti, altrimenti detti catari, fu credens, addirittura ricevette il consolamentum, ma nel contempo – e in modo discordante – viene definito Povero di Lione o Valdese (Zanella, 1986, p. 97).
Le azioni e le intenzioni di Armanno, detto Pungilupo improntate alla religiosità ‘del fare’, delle ‘buone opere’, si riflettono in specchi documentari divergenti: agiografico e inquisitoriale, da cui derivano rispettivamente le immagini di un santo e di un eretico. Due linee interpretative del messaggio cristiano, coerenti in sé, ma contrapposte, costituiscono il dilemma storiografico di questo ‘caso’, in cui non secondario è il ruolo degli inquisitori nelle più ampie dinamiche del controllo del fenomeno della santità laicale, contesa da istituzioni ecclesiastiche diverse, in un sistema di coercizione all’ortodossia della vita religiosa. Non a caso sviluppi assai simili si riscontrano nella vicenda contemporanea di Guglielma: sepolta nel cimitero dell’abbazia cisterciense di Chiaravalle presso Milano nel 1281 (o 1282), venerata come santa per vent’anni, in seguito a un intervento degli inquisitori, anch’essa fu condannata post mortem come eretica nel 1300. Nel caso di Armanno trascorsero addirittura quasi cinquant’anni dal momento dell’abiura (1254) alla condanna ereticale (1301).
Deposto il corpo in un antico sepolcro nella cattedrale di Ferrara, Armanno non solo attrasse le folle, ma immediatamente si trovò al centro di un culto sostenuto dai canonici e da un gran numero di uomini e donne. La volontà di promuovere un nuovo santo si manifestò con il palese sostegno del clero e dei cittadini.
Fin dal 19 dicembre 1269, una commissione variamente composta dal vescovo Alberto Pandoni, da membri del capitolo e da molti laici, raccolse testimonianze di coloro che, soffrendo da anni di infermità (cecità, gotta, claudicazione, tumori, paralisi, fistole), erano stati guariti per intercessione di Armanno dopo essersi recati presso il suo sepolcro a pregare. A tale scopo, comparvero numerosi ex voto. Nel gennaio del 1270 l’inquisitio pro sanctitate proseguì nel palazzo episcopale alla presenza di un numero crescente di testimoni e miracolati. La velocità di diffusione ed efficacia del culto è dimostrata da una testimonianza di febbraio riportante un miracolo di liberazione di un uomo incarcerato per omicidio a Capodistria avvenuta dopo aver pregato il santo di cui aveva sentito narrare i miracoli nella piazza antistante la prigione. Redatti da un notaio e corredati da testimonianze di conferma, anche da parte di un medico, tali costituti ci sono giunti in una copia del 4 ottobre 1286 voluta dal vescovo Guglielmo, a indicare che l’iniziativa del vescovo Alberto, quindici anni dopo, non aveva perso vigore.
Nel contempo, il 7 giugno 1270, iniziò la raccolta di testimonianze da parte di frate Aldobrandino, inquisitore di Ferrara, che si concluse con l’ingiunzione di esumare il corpo di Armanno e di gettarlo lontano dalla chiesa in quanto eretico. Il rifiuto da parte del clero cattedrale portò alla scomunica dei canonici e all’interdetto sulla cattedrale. In seguito all’appello inviato dall’arciprete del capitolo al papa, la vertenza venne affidata al cardinale Giovanni Gaetano Orsini. Figura di raccordo tra pontefice e inquisitori (a posteriori definita inquisitor generalis per qualificare un’anomala convergenza di poteri) con la funzione di risolvere i contrasti nello svolgimento dell’officium fidei, intimò a frate Aldobrandino di levare sia la scomunica sia l’interdetto. In un contesto locale favorevole alla promozione del nuovo santo laico, l’intervento del cardinale Orsini si risolse a favore dei canonici mostrando come il consolidamento del culto nella cattedrale sostenuto dal vescovo e dai canonici fosse, evidentemente, appoggiato anche dal papa. Tale esito potrebbe essere stato favorito dai rapporti personali, non dimostrabili, ma altamente probabili, tra Gregorio X (il canonico Tebaldo Visconti) e Alberto Pandoni, vescovo di Ferrara dal 1257 al 1274 e, in precedenza, di Piacenza, città natale del papa. Il pontefice dovette essere sensibile alle istanze di santità provenienti da ambienti canonicali. Il vescovo dimostrò una propensione alla promozione della santità (Savinio, antico vescovo di Piacenza, poi protettore della città, e Raimondo Palmerio, un santo laico): fu lui infatti a condurre le prime inquisitiones miraculorum e ad accogliere il corpo di Armanno nella cattedrale. Il 27 aprile 1272 vennero registrate sette testimonianze di sacerdoti sull’ortodossia di Armanno («Armannus qui dicebatur vulgariter Pungilupus»: Muratori, 1741, col. 111) e inviate in forma epistolare al cardinale Orsini.
Sappiamo che nel 1284 è frate Florio da Vicenza il titolare dell’inchiesta che verrà in seguito inviata a Onorio IV. Ragionevolmente, fu per rispondere a tale nuova fase giudiziaria che, nel 1286, vennero riprodotte le inquisitiones miraculorum del 1269-70 e la lettera del 1272. A fasi alterne i rappresentanti dell’officium fidei proseguirono le inchieste fino al 1288. Iniziative in contrasto tra loro, trovarono un momento convergente nel 1300 quando, nella contingenza speciale del giubileo, Bonifacio VIII sollecitò la chiusura di alcuni processi di lungo periodo. Il papa nominò una commissione cardinalizia, composta dai cardinali Giovanni Monaco, Guglielmo Longo e Niccolò di Boccassio, per emettere un giudizio e terminare il lungo contenzioso. È ragionevole che il dossier sopravvissuto sia stato creato in questa occasione per sanare un conflitto pro sanctitate (da parte dei canonici) e pro heresi (da parte degli inquisitori), come mostra la caratteristica struttura dimorfica.
Gli atti originali delle due inchieste (inquisitiones) risultano perduti. Il dossier si è salvato perché riprodotto dall’umanista Pellegrino Prisciani nelle sue Historiae Ferrariae e, in seguito, pubblicato da Ludovico Antonio Muratori nella sessantesima dissertazione delle Antiquitates Italicae Medii Aevi dedicata alle eresie medievali. Se la natura del dossier non permette una lineare e coerente ricostruzione logico-cronologica, la modalità di trasmissione ed edizione ha generato errori di trascrizione difficilmente superabili, oltre a dati cronologici talvolta incerti. Si noti inoltre che nei processi inquisitoriali le testimonianze, ordinate per frammenti in 16 tesi accusatorie, furono rilasciate per lo più da ex eretici che, in seguito all’abiura, erano vincolati alla delazione perpetua.
Il 13 aprile 1300 il canonico Bonfamilio si recò a Roma come procuratore dell’arciprete e del capitolo, ma non venne ricevuto dal pontefice: un manifesto segnale di chiusura. Il 20 dicembre 1300 Bonifacio VIII inviò una lettera al frate Predicatore inquisitore Guido da Vicenza e un’altra ai frati Giovanni, allora vescovo di Bologna, e Ramberto da Bologna, consiliarius, in cui, ripercorrendo la cronistoria della vicenda, ne sollecitava la conclusione. La presenza di così numerosi membri dell’Ordine dei frati Predicatori non permise una soluzione in cui emergesse il «carattere prevalentemente esistenziale del suo [di Armanno] comportamento eterodosso» (Zanella, 1986, p. 35).
Il 23 marzo 1301, nella sala del capitolo dei frati Predicatori di Ferrara, alla presenza di canonici, frati Minori e Predicatori, di rappresentanti di altre istituzioni ecclesiastiche cittadine, l’inquisitore Guido da Vicenza emise la sentenza di condanna e, quindi, di esumazione del corpo di Armanno: sentenza da rendere esecutiva da parte del podestà entro pochi giorni. Armanno non era più santo, ma definitivamente eretico.
Nel 1304, lo stesso inquisitore Guido da Vicenza fu nominato vescovo di Ferrara da Benedetto XI, ossia il confratello Niccolò di Boccassio, uno dei membri della commissione cardinalizia. Non solo il culto era stato eliminato, ma un inquisitore occupava la cattedra vescovile. La damnatio memoriae era completata: «l’ordine religioso a Ferrara era stato ristabilito» (Merlo, 20112, p. 121).
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio capitolare, b. 12, n. 2; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Cl. I, 445: G.A. Scalabrini, Notizia degli uomini e donne illustri per santità e virtù cristiane che o per origine o permanenza hanno illustrate le città e stato di Ferrara, suoi vescovi e regolamento ne’ diversi tempi, II, pp. 318-338; Archivio di Stato di Modena, Biblioteca, manoscritti, n. 132, Pellegrino Prisciani, Historiae Ferrariae liber VIII, cc. 11r-32v; il dossier è stato pubblicato per la prima volta da L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii, V, Mediolani 1741, coll. 96-150; e in seguito da G. Zanella, Itinerari ereticali: patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986, pp. 48-98 (con un’appendice di errata corrige in Id., Hereticalia. Temi e discussioni, Spoleto 1995, pp. 225-229). Il primo a studiare il dossier e la documentazione su Armanno è stato A. Benati, A. P. nella storia religiosa ferrarese del 1200, in Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, IV (1966), pp. 85-123; Id., Frater Armannus Pungilupus. Alla ricerca di una identità, in Analecta Pomposiana, VII (1982), pp. 5-57; un nuovo frammento processuale è stato rinvenuto a Milano, Archivio dell’Amministrazione delle Ipab ex Eca, Comuni. Arti e scienze. Culto, 164, pubblicato in M. Bascapé, In armariis officii inquisitoris Ferrariensis. Ricerche su un frammento inedito del processo P., in Le scritture e le opere degli inquisitori, in Quaderni di storia religiosa, IX (2002), pp. 31-110 (edizione alle pp. 88-96). Le lettere sono in Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard, II, Paris 1890, coll. 871-875, docc. 3807, 3808 (20 dicembre 1300). Sulla costruzione, conservazione e trasmissione del dossier: M. Benedetti, I libri degli inquisitori, in Libri, e altro, a cura di G.G. Merlo, Milano 2006, pp. 26-30. Sulle più ampie dinamiche di storia ereticale e inquisitoriale: M. Benedetti, Inquisitori lombardi del Duecento, Roma 2008, pp. 249-313 (in partic. pp. 296-299); G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 20112, pp. 117-121; L. Paolini, Le piccole volpi. Chiesa ed eretici nel Medioevo, Bologna 2013, p. 137. Sulla santità: D. Solvi, Santi degli eretici e santi degli inquisitori intorno all’anno 1300, in Il pubblico dei santi. Forme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici, a cura di P. Golinelli, Roma 2000, pp. 141-146; P. Golinelli, Culto dei santi e propaganda politica tra Due e Trecento, in La propaganda politica nel basso medioevo, Spoleto 2002, pp. 489-500.