SPADINI, Armando
Pittore, nato a Firenze il 29 luglio 1883, morto a Roma il 31 marzo 1925. Non frequentò accademie, ma una scuola professionale; si occupò qualche tempo come pittore ceramista, e fu aiuto e collaboratore di A. de Karolis in lavori decorativi. Vinta la prova del Pensionato nazionale di pittura, nel 1910 si stabilì a Roma, dove rimase quasi sempre. Raramente soddisfatto della propria opera, poco partecipò ad esposizioni; finché, quasi alla vigilia della morte, fu rivelato dalla XIV Biennale di Venezia, 1924, con una cinquantina di dipinti. Gli ultimi anni furono penosissimi, ma ancor laboriosi e fruttuosi. Fu accademico di S. Luca. Suoi dipinti: nelle gallerie d'arte moderna di Roma, Firenze, Milano, Venezia; Museo del Lussemburgo a Parigi; museo di Lima; Palace of the Legion of Honour (S. Francisco di California), ecc.
La produzione, catalogata, dello S. comprende circa cinquecento dipinti; ai quali vanno aggiunte alcune centinaia di disegni, specialmente del tempo giovanile. Neanche sugl'inizî fiorentini si notano rapporti con il naturalismo d'impronta "macchiaiola" che tuttora vigeva in Toscana in forme di vario compromesso. La fase formativa dello S., conclusa intorno al 1910, è piuttosto venezianeggiante e spagnoleggiante; annuncia, cioè, gl'ideali cui l'artista restò fedele tutta la vita: antesignano della ripresa tradizionale della pittura italiana negli ultimi decennî.
A Roma, ancora impegnato in vasti progetti compositivi (quale il primo Mosè ritrovato, 1911, coll. R. Bastianelli, Roma), lo S. Cominciò ad essere sempre più attratto dal lavoro all'aria aperta; dal problema di legare figura e paese in effetti di violenta resa luminosa. È il suo periodo cosiddetto "impressionista" che nulla però ha che vedere con l'impressionismo francese. Tale periodo impressionista va fino circa al 1918; ed è frequente d'opere pregiate, anche se il pulviscolo solare talvolta sciama nel paesaggio, in contrasto con le figure trattate alla larga maniera veneta; e se il desiderio della luce s'esprime in una predilezione violacea e madreperlacea non sempre convincente, ma che tuttavia non degenera in manierismo.
A un diffuso apprezzamento dell'arte dello S., nuoce che la quasi totalità dei lavori si trovi ancora in collezioni private. Soltanto in queste raccolte private si può rendersi conto dell'evoluzione dello S. Tipici della fase formativa: il Ritratto della madre, l'Autoritratto con la moglie (collezione Fiano, Roma) e il Cappello di paglia (già nella collezione Gualino, Torino).
Della seconda fase, che include circa metà della produzione complessiva, ci limitiamo a indicare: paesaggi con figure: Villa Borghese, Piazza del Popolo, Musica al Pincio (coll. Signorelli, Roma, soggetto quest'ultimo che più volte è stato ripreso dallo Spadini); Bimbi al sole, Conversazioni (collezione Fiano); e inoltre alcuni ritratti.
Per tutta la vita, il tema del Mosè ritrovato stimolò la fantasia dello S.; come quello che si prestava a fondere il leggendario e il familiare in un'azione di dignità classica, popolata di belle donne, su uno scenario d'alberi e d'acque. Continuamente lo S. elaborò questo tema; e l'affrontò; a tre riprese: nel primo Mosè già ricordato; in altra versione, distrutta nel 1925; infine nel Mosè (metri 2,67 × 2,13) ora alla Galleria d'arte moderna di Milano, tralasciato nel 1920 circa, e al quale s'accompagna, in varie collezioni, un'importantissima serie di studî, bozzetti e "modelli" di singole figure.
Se questo, rimasto incompiuto, è il dipinto più impegnativo e sudato dello S., in altri, tra il 1918 e il 1925, appare luminosamente come egli si fosse ormai liberato da ogni eccesso e parzialità "impressionista", e avesse trovato nuova e austera armonia fra la semplicità dei mezzi espressivi, gl'intenti costruttivi e monumentali, la virile dolcezza dell'ispirazione. La tavolozza perde il violastro e metallizzato. Grigi argentei sommessi, rosa umidi e placidi si stendono e gonfiano, nei quali non più la luce si frange o si specchia, perché sono essi stessi ad emanare luce. Tutto è colato in una sostanza lieve e compatta, capace di ogni interpretazione dell'intima qualità delle cose, eppure omogenea e unitaria, come un nativo elemento. Lo schema formale, il riferimento figurativo, sono diventati la stessa fibra e inflessione della pennellata: una sorta di disegno molecolare e lievitante, dal quale la realtà sembra colta nella tranquilla e infinita palpitazione del suo assiduo formarsi.
Si vedano, di questi anni gloriosi: alcuni grandi Nudi muliebri (coll. Fiano, coll. Gualino); il Ritratto di Maria piccola (coll. Fiano); la Macchina da cucire (coll. Gualino), il Tobiolo (già coll. Malagodi, Roma) e varie composizioni di Bagnanti. Non è azzardato pensare che in tali dipinti, benché in tutt'altra sfera estetica, lo S. debba essere considerato, con A. Mancini, il più forte temperamento pittorico sorto in Italia dopo la fine del sec. XVIII; e di lui si potrebbe dire anche più, se non gli avesse troncato l'opera la morte precoce.
V. tavv. XXV II e XXVIII e tav. a colori.
Bibl.: A. S., 16 tavole con prefazione di U. Ojetti, Roma 1920; A. Baldini, E. Cecchi e C. E. Oppo, A. S., Roma 1924; A. Colasanti, A. S., con 48 tavole, Roma 1925; V. Mariani, A. S. disegnatore, in Boll. Min. pubbl. istr., sett. 1925; A. Soffici, S., con 38 tavole, Roma 1926 (i dipinti riprodotti furono indicati dallo S. stesso, nell'inverno 1924-1925); A. Venturi e E. Cecchi, A. S., con 256 tavv., Milano 1927; M. Tinti, A. S., ivi 1928; scelta di lettere e appunti in N. Antol., 16 febbraio 1934; E. Cecchi, Carattere di Spadini, ibid., 1° agosto 1934.