SAITTA, Armando
– Nacque a Sant’Angelo di Brolo (Messina) il 15 marzo 1919, ultimo di quattro figli, da Francesco Paolo, proprietario di una piccola fabbrica di sapone, e da Maria Teresa Caldarera, insegnante elementare.
In seguito alla chiusura dell’impresa familiare e alla morte del padre, abbreviò il corso degli studi conseguendo la maturità classica da privatista nel 1934 a Messina, e l’anno seguente vinse il concorso per la Scuola Normale superiore di Pisa. I suoi primi punti di riferimento alla Normale furono Luigi Russo – del quale seguì un seminario sul Vittorio Alfieri politico che, rievocando l’odio dell’astigiano per la tirannide, fece lievitare in lui il germe dell’antifascismo – e Guido Calogero, grazie al quale si legò ai gruppi di orientamento liberalsocialista attivi negli ambienti universitari pisani. Proprio per incarico di Calogero si trovò, nel 1936 in uno dei viaggi fra Pisa e la Sicilia, a far visita a Napoli a Benedetto Croce. Ma fondamentale fu soprattutto, per la sua formazione di storico, il legame con Carlo Morandi, titolare della cattedra di storia moderna nella facoltà di lettere, che va considerato il suo vero maestro; Saitta gli avrebbe espresso la sua riconoscenza pubblicando i suoi Scritti storici (I-IV, Roma 1984).
Nel 1938 una grave malattia lo costrinse a interrompere gli studi e lo obbligò a un lungo soggiorno presso il sanatorio gestito dall’Arciconfraternita dei rossi a Messina e poi presso L’Alpina ad Alpemugo (Sondrio). Fu costretto perciò a rinunciare a una ricerca su Alexis de Tocqueville che aveva avviato con Calogero e si laureò su Andrea Luigi Mazzini. Trasferitosi nel frattempo Morandi a Firenze, discusse la tesi con lo stesso Calogero e con Walter Maturi il 16 giugno 1940. Quella tesi fu anche l’occasione per entrare in contatto, per il tramite di Morandi, con Delio Cantimori, che da tempo aveva avviato ricerche sul riformatore toscano. Da quel lavoro ricavò un saggio pubblicato nel 1941 negli Annali della Normale (Sull’opera di Andrea Luigi Mazzini “De l’Italie dans ses rapports avec la liberté et la civilisation moderne”, ora in Momenti e figure, I, 1991, pp. 45-91). Negli anni della malattia, e poi nei tentativi di trovare una sistemazione dopo la laurea, ebbe il costante sostegno dei suoi professori pisani, in particolare di Morandi e Cantimori. Vinse il concorso per la scuola media e nel 1942 ebbe la cattedra di filosofia e pedagogia presso l’Istituto magistrale Giosue Carducci di San Miniato (Pisa).
Nel dicembre del 1943 sposò a Roma Maria Fogliano, dalla quale ebbe il figlio Paolo. Nel 1947 ottenne il comando alla Scuola storica presso l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea di Roma, del quale divenne segretario nel 1949. Rimase costante però in lui l’attenzione per la scuola secondaria, per la quale scrisse i manuali di storia medievale, moderna e contemporanea Il Cammino umano (Firenze 1952, 1953, 1954) e le corrispettive antologie di critica storica, testi che ebbero larghissima diffusione.
Nel dopoguerra Saitta si dedicò innanzitutto a due temi nei quali appare evidente l’influenza di Morandi: l’interesse per la Francia, considerata come nazione guida della libertà europea, e l’ideale dell’unità dell’Europa. Anche per offrire materiale di riflessione all’opinione pubblica italiana negli anni della Costituente, dedicò alla storia costituzionale francese diversi studi poi ripresi nel volume Costituzioni e costituenti della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), pubblicato a Milano nel 1975. Quanto all’ideale europeo, esso gli ispirò la riedizione in traduzione italiana di un opuscolo pubblicato nel 1814 da Claude-Henri de Saint Simon e Augustin Thierry (Della riorganizzazione della società europea, Roma 1945) e il volumetto Dalla «Res publica christiana» agli Stati uniti d’Europa. Sviluppo dell’idea pacifista in Francia nei secoli XVII-XIX (Roma 1948). Quest’ultimo uscì per le Edizioni di storia e letteratura di Giuseppe De Luca, nel quale Saitta, dopo il suo trasferimento a Roma, trovò sempre sostegno e incoraggiamento per i suoi studi. Questi argomenti si ricollegavano evidentemente alle aspirazioni di rinnovamento della società italiana ed europea che indussero Saitta ad aderire al Partito d’azione. Nel contempo il suo lavoro di ricerca si orientò verso le correnti democratico-radicali del Risorgimento. Le numerose ricerche svolte in questo ambito culminarono nella pubblicazione della sua opera più importante, il volume Filippo Buonarroti. Contributo alla storia della sua vita e del suo pensiero, che apparve nel 1950 ancora per le Edizioni di storia e letteratura, seguito l’anno successivo da un secondo volume di documenti.
In quest’opera, giudicata da Cantimori «di alta penetrazione e interpretazione storiografica» (Studi di storia, III, Torino 1976, p. 606), Saitta, analizzando un vastissimo materiale documentario in buona parte inedito, gettò nuova luce sul complesso universo di sette segrete organizzato da Buonarroti e dimostrò che il rivoluzionario pisano, rimasto sempre fedele al robespierrismo e all’egualitarismo settecentesco, aveva avuto un ruolo di primo piano sia nella tradizione democratica del Risorgimento sia nello sviluppo del movimento socialista in Francia.
La pubblicazione del Buonarroti non valse però a farlo entrare nella terna dei vincitori del concorso a una cattedra di storia medievale e moderna bandito dall’Università di Cagliari nel 1951. Saitta decise allora di accogliere l’offerta di un posto di lettore di italiano presso l’Università di Granada. Mentre era in Spagna gli fu offerta da Gastone Manacorda, su suggerimento di Cantimori, la direzione della rivista Movimento operaio, che egli tenne per tre anni a partire dal 15 febbraio 1954. Nel 1955 fu chiamato a dirigere la collezione storica dell’editore Laterza. Nel frattempo, risultato vincitore del concorso bandito nel 1954, aveva ottenuto la cattedra di storia moderna all’Università di Pisa, dove rimase fino al 1968.
Con le sue ricerche Saitta si propose di rinnovare la storiografia italiana, legata soprattutto alla grande eredità dell’idealismo, attraverso la linfa vitale che poteva venire dal materialismo storico. In relazione alla storia del Risorgimento ciò voleva dire valorizzare le forze politiche democratiche e i gruppi sociali subalterni che, pur sconfitti, rappresentavano però un’alternativa per gli sviluppi futuri della storia nazionale: nella prolusione al suo primo corso pronunciata all’Università di Pisa il 16 febbraio 1955 egli ricordò che «nella sua aurora, il Risorgimento italiano conobbe una vastità e complessità, un afflato di rigenerazione quale successivamente stentò a ritrovare» (Il robespierrismo di Filippo Buonarroti e l’idea dell’unità italiana, ora in Momenti e figure, II, 1991, pp. 821-838). In questa prospettiva si pone anche la polemica con Franco Venturi e Furio Diaz a proposito della definizione del giacobinismo italiano: allo storico torinese, che negava la possibilità di parlare propriamente di giacobinismo in Italia e ricollegava il Risorgimento all’età delle riforme, Saitta oppose il ruolo decisivo della rivoluzione francese nella genesi del processo risorgimentale e ribadì l’esistenza di un gruppo di democratici italiani che, anche nell’età del Direttorio, aveva continuato a ispirarsi al modello giacobino e alla costituzione del 1793 (La questione del «giacobinismo» italiano, in Momenti e figure, II, cit., pp. 629-690).
La Civiltà cattolica accusò i suoi manuali di avere introdotto il marxismo nelle scuole, ma sarebbe sbagliato considerare Saitta, come sovente è accaduto, uno storico marxista. Non si ingannava Cantimori nel definirlo «uno studioso tipicamente italiano di antica scuola» (Studi di storia, cit., p. 748). Egli incontrò l’opera di Antonio Gramsci quando la sua formazione era già compiuta. Commemorando Russo nel novembre 1961 (Momenti e figure, V, 1997, pp. 137-148) egli affermò che lo studioso siciliano aveva avuto il merito nel dopoguerra di navigare dalla sponda dell’idealismo verso il marxismo, ma non era mai diventato marxista: questo giudizio sembra valere anche per lui. Del resto basterà ricordare lo scontro durissimo che Saitta, spalleggiato da Cantimori, sostenne come direttore di Movimento operaio con il gruppo dei giovani storici marxisti guidati da Ernesto Ragionieri.
Anche per questi contrasti, conditi da ambizioni e rivalità personali, la rivista chiuse nel 1956, in coincidenza con i drammatici eventi ungheresi che indussero Cantimori a non rinnovare la tessera del Partito comunista italiano e Saitta, che non era iscritto al Partito, a lasciare l’Associazione Italia-URSS. Qualche anno dopo poté finalmente dar vita a una sua rivista, Critica storica, che uscì dal 1962 fino all’anno della sua morte.
Nel 1968 si trasferì da Pisa alla facoltà di magistero a Roma, dove visse il traumatico impatto con la contestazione studentesca. Si consumò allora la rottura definitiva con una università che non sentì più sua. Gli ultimi anni furono segnati da aspre polemiche contro la demagogia e le mode imperanti nella cultura e nel mondo accademico: emblematica al riguardo è la causa che intentò e vinse contro La Nuova Italia di Tristano Codignola per le arbitrarie modifiche apportate al suo manuale di storia contemporanea.
Nel 1971 passò alla facoltà di scienze politiche, dove concluse la sua carriera nel 1989 dedicando l’ultimo suo corso a Cantimori. Nel 1973 divenne presidente dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, del cui direttivo faceva parte dal 1960, e nel 1987 fu nominato socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Come presidente dell’Istituto diede prova di grandi capacità di organizzatore di cultura, promuovendo convegni, repertori di testi e documenti, pubblicazioni di studi e di fonti. Ma soprattutto l’Istituto fu un centro di cultura aperto all’Europa e rappresentò, con Critica storica, un rifugio nel quale coltivare il suo ideale di storiografia problematica e critica, insofferente dell’ottica angusta degli specialismi, animata da passione civile ma sempre fedele al rigore scientifico. Nel 1981 fondò l’Associazione degli storici europei, della quale fu presidente; in tale veste promosse il grande convegno internazionale La storia della storiografia europea sulla rivoluzione francese, i cui atti furono pubblicati in tre volumi (1990-1991). Fino all’ultimo lavorò all’edizione delle Œuvres de Babeuf, che aveva curato con il russo Victor Daline e con l’amico di una vita, Albert Soboul, opera rimasta incompiuta.
Morì a Roma il 25 maggio 1991.
Opere. La maggior parte dei suoi scritti è raccolta in Momenti e figure della società europea. Saggi storici e storiografici, I-V, Roma 1991-1997.
Fonti e Bibl.: La carte di Saitta sono conservate presso la Scuola Normale superiore di Pisa; importanti sono anche le Carte Saitta nell’archivio dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea di Roma.
Studi in onore di A. S. dei suoi allievi pisani, a cura di R. Pozzi - A. Prosperi, Pisa 1989; V. Criscuolo, La genesi dell’opera storica di A. S., in Critica storica, XXVIII (1991), pp. 587-658; A. Prosperi, In memoria di A. S., ibid., pp. 561-582 (con altre testimonianze, studi di colleghi e allievi e una bibliografia degli scritti a cura di F.M. Leonardi alle pp. 729-756); P. Simoncelli, Premessa: A. S., in Scritti in ricordo di A. S., Milano 2002, pp. 7-11; Id., Sull’abbandono di Cantimori del PCI, ibid., pp. 465-471; Id., Origine di un’amicizia. A. S. e Delio Cantimori (1938-41), in Europa e America nella storia della civiltà. Studi in onore di Aldo Stella, Treviso 2003, pp. 411-423; Id., A. S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, Roma 2013, pp. 771-775; V. Criscuolo, A. S. e «Movimento operaio», in Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, L (2014-2015), pp. 242-262; A. Guerra, La rivoluzione fra le lettere. Il carteggio fra Albert Soboul e A. S., in Nuova rivista storica, 2017, n. 101, in corso di stampa.