BRIAND, Aristide
Uomo di stato francese, nato a Nantes il 28 marzo 1862 da famiglia borghese. Compiti gli studî di legge e conseguito il titolo di avvocato, si lanciò giovanissimo nella politica come fautore delle idee più avanzate. Collaborò al giornale anarchico Le Peuple e diresse per qualche tempo la Lanterne. Poi passò alla Petite République e più tardi fondò con Jaurès l'Humanité. Nel 1892 partecipò a Marsiglia al congresso nel quale si trovarono di fronte la federazione dei sindacati e il partito operaio francese: capo del partito operaio era allora il Guesde che voleva attrarre a sé i sindacati. Iniziata la discussione sullo sciopero generale il Guesde lo dichiarò inutile e utopistico, il B., invece, salì alla tribuna e ne fece una difesa eloquente e veemente, e due anni dopo, al congresso di Nantes, riprese vittoriosamente la sua tesi, ponendo al Guesde il dilemma: o accettare lo sciopero generale o staccarsi dai sindacati. La sua parola affascinante gli procurò largo seguito e la sua violenza lo pose di balzo in prima linea tra i capi del socialismo rivoluzionario.
Nel 1898 il Waldeck Rousseau chiamò il Millerand, allora socialista militante, a far parte del suo ministero: il Guesde lo dichiarò traditore del partito, ma, con generale meraviglia, il B. si unì al Viviani nel difenderlo. Il B. inizia così la sua evoluzione con una contraddizione stridente: in un congresso socialista difende la partecipazione del Millerand al governo, ma torna a propugnare lo sciopero generale e incoraggia i soldati a tirare contro gli ufficiali, il che doveva poi essergli più volte rinfacciato.
Pertanto, quando nel 1902, dopo alcuni tentativi infelici, fu eletto deputato del dipartimento della Loira, giunse alla camera con la duplice fama di oratore rivoluzionario e di uomo politico opportunista. Dopo aver osservato e studiato in silenzio durante sei mesi l'ambiente parlamentare, prese la parola la prima volta in difesa degli scioperanti della Loira e questa fu l'ultima vampata del suo estremismo. Eletto relatore della commissione che esaminò il disegno di legge per la separazione tra lo Stato e la Chiesa, nella discussione, che si protrasse durante 50 sedute, spiegò le infinite risorse dell'oratore che ha in grado sommo il senso dell'opportunità e del giurista cui nessuna sottigliezza è ignota, riuscendo anche a dimostrare uno spirito più sereno di quello del massone anticlericale Combes, ideatore del progetto. Fu questo lo sgabello della sua assunzione al potere che segnò la sua irreparabile rottura col partito socialista. Si delineò così quasi contemporaneamente l'uscita dal partito socialista di tre eletti ingegni e sommi oratori, Millerand, Briand e Viviani, divenuti in seguito uomini di governo e il primo anzi addirittura segnacolo in vessillo della parte conservatrice che vorrebbe limitati i poteri del parlamento. Grave fu per il partito socialista la perdita di uomini così valenti. Lo Jaurès ne esprimeva il rammarico in un suo discorso dicendo che gli operai i quali ricordavano gli eccitamenti rivoluzionarî rivolti loro un tempo dal B. con la sua parola affascinante, dal Millerand con la sua veemenza tanto più irresistibile quanto più contenuta, dal Viviani con la sua eleganza che l'emozione non turbava ma animava d'un soffio più ardente, vedendoli opporsi risolutamente allo sciopero generale credevano di fare un cattivo sogno.
Nel 1906 il B. entrò nel gabinetto Sarrien come ministro della pubblica istruzione e conservò tale portafoglio nel ministero Clémenceau (1909). Come presidente del Consiglio dei ministri represse con mano ferma e con severe sanzioni lo sciopero ferroviario del 1910 e ribatté con grande energia e coraggio gli attacchi dell'estrema sinistra: giustamente il senatore Gervais esclamava: "Nous sommes sauvés, mais pour réussir si parfaitement le sauvetage il a fallu quelqu'un; oui vraiment quelqu'un".
Fu questa la sua definitiva consacrazione come uomo di governo che pone al disopra d'ogni cosa il rispetto dell'autorità dello stato e della legge. Difendendo la sua condotta dinnanzi agli elettori della Loira, il B. dichiarava: "Più il governo è orientato verso il progresso, più è suo dovere garantire la sicurezza della nazione contro le violenze e gli eccessi".
Il B. partecipò alla campagna contro il collegio uninominale corruttore che nel discorso di Périgueux chiamò mare stagnante et croupissante, definizione che non fu più dimenticata.
Fu ministro della Giustizia nel gabinetto Poincaré (1912) e in quello Viviani (1914). Scoppiata la grande guerra, dall'ottobre 1913 al marzo 1917 tenne la presidenza del consiglio e il ministero degli esteri e fu uno dei primi a preconizzare l'union sacrée dei partiti di fronte al nemico, e a praticare e promuovere il fronte unico degli alleati. Si deve alla sua energica opposizione se l'abbandono di Salonicco proposto da lord Kitchener non fu attuato.
Dopo la guerra, come presidente di quattro ministeri, fu il primo a riconoscere la necessità d'una politica più conciliante verso la Germania. Al principio del 1922 riprendeva a Cannes col Lloyd George la discussione d'un patto di garanzia che permettesse alla Francia una maggior condiscendenza verso la Germania. Ma nella sua assenza il Poincaré organizzò contro di lui al Senato una manovra che l'obbligò a dimettersi. Però avvenimenti successivi hanno rivendicato la sua politica. Innanzi tutto il patto di Locarno, dovuto a lui tornato al governo, spianò la via al ravvicinamento franco-germanico, e poi, alla vigilia delle elezioni generali francesi, nel discorso pronunciato a Carcassonne, il Poincaré (nel cui ministero d'unione nazionale del 1926 egli era entrato come ministro degli Esteri) ha implicitamente sconfessato la propria politica intransigente che lo condusse all'occupazione della Ruhr e s'è avvicinato alla politica più pacifica e conciliante del B. Dopo la malattia del Poincaré, il B. assunse la presidenza del consiglio. Nella crisi ministeriale del 1929 accettò successivamente le offerte di collaborazione d'uomini di diversi partiti e ne disse loro la ragione: rimanere alla direzione della politica estera con chiunque, per compiere l'attuazione del patto di Locarno. A questa politica si ricollega la sua proposta d'una più intima cooperazione fra gli stati europei specie nel campo economico (nota del 17 maggio 1930).
Il B. non ha pubblicazioni all'infuori dei discorsi e di qualche articolo di giornale. Egli scrive poco e di malavoglia, forse un po' per quella pigrizia che gli è stata più volte rimproverata. In un recente discorso egli ha affrontato francamente l'accusa di pigrizia: -Je pense, messieurs, à cette réputation d'indolence, d'indifférence ou même de paresse qui m'est faite; mais si ma nature me porte à aimer le chômage, les circonstances depuis deux ans et demi ne m'ont guère favorisé. Perciò egli non scrive né prepara i discorsi e ciò, se nuoce qualche volta al loro ordine, li rende però singolarmente efficaci. B. è soprattutto il grande oratore che col fascino della parola domina e soggioga le assemblee. Il Barthou, in La Politique, delinea i tratti dei due grandi oratori così diversi tra loro: Mosanus (Poincaré) scrive tutti i suoi discorsi e li recita aiutato da una memoria portentosa; Namnetus (B.) improvvisa, utilizzando tutte le ricchezze d'una parola incomparabile che va dall'ironia al lirismo, dalla rassegnazione all'indignazione, dalla dolcezza alla minaccia, dalla conversazione all'invocazione. I suoi occhi hanno tutte le espressioni come la sua voce ha tutte le modulazioni. Egli è un grande artista: sta attento al suo uditorio, lo fiuta, lo indovina; sente ciò che può lusingarlo o urtarlo, esaltarlo o calmarlo, provocare i suoi applausi o le sue proteste. La sua parola ha una elasticità sconfinata; egli se ne serve a suo talento e ad essa sottomette le assemblee che ne subiscono l'irresistibile seduzione.
Bibl.: G. Bonnamour, L'Apaisement. Les Services français d'un homme d'état, Parigi 1913; G. Berat, De Gambetta à Briand, ibid. 1914.