ARISTARCO di Samotracia
Allievo d'Aristofane di Bisanzio e senza dubbio successore suo nella direzione della celebre biblioteca d'Alessandria, è, col maestro, l'uomo più rappresentativo della scuola alessandrina. Non arriva certamente a lui per originalità di concezioni e varietà d'interessi; più che creatore, è perfezionatore d'idee e di metodi altrui, sino però ad acquistarsi fama di γραμματικός per eccellenza: al che contribuì l'azione straordinariamente efficace della scuola e anche la celebrazione dei discepoli. Nato in Samotracia e morto di 72 anni a Cipro, fiorì nella città che fu culla dell'ellenismo sotto il regno di Tolomeo Filometore (181-147 a. C.), di cui istruì anche i figli. Il suo nome è legato specialmente alla critica di Omero. Della quale possiamo farci un concetto abbastanza preciso dagli scolî, primissimi i celebri all'Iliade, della Marciana di Venezia (codici A e B), contenenti fra le altre cose, che non vanno esse pure trascurate (A. Roemer, in Blätter f. bayr. Gymnasien, XLIV, 1908, p. 494 seg. e Die Homerexegese Aristarchs, Paderborn 1924), il materiale di due Aristarchei, Aristonico e Didimo il Calcentero. Essi nella seconda metà del secolo I a. C., dalla tradizione rimasta nella scuola, dai commentarî, dalle monografie, dalle due edizioni omeriche di Aristarco ricostruirono le norme direttive della sua critica, le lezioni accolte o rigettate del testo omerico, i motivi che via via in questo lavoro lo guidarono. Giacché A. stesso non aveva dato intera alla luce la sua esegesi di Omero; ed è problematico se anche le edizioni, che scomparvero così presto, fossero realmente pubblicate o si limitassero piuttosto a un solo esemplare (U. v. Wilamowitz, Einleitung in d. griech. Tragödie, Berlino 1921, p. 139). Queste, in ogni modo, si rivolgevano esclusivamente ai dotti: coi loro segni critici, indicanti senza spiegazioni il parere del ricostruttore di Omero, con i brevi cenni marginali di carattere ortografico, prosodico o che altro. Rigorosità di metodo, delicato senso linguistico e grammaticale erano i pregi eminenti che valsero al critico un posto unico nella considerazione degli antichi; ampia l'indagine diplomatica, al che dava modo la biblioteca d'Alessandria; profondo il rispetto per la tradizione, fin dove possibile (A. Ludwich, Aristarchs Hom. Kritik, II, Lipsia 1886): un complesso di qualità, che, nonostante gl'immancabili difetti ed errori, ebbero il gran merito di rimettere ordine, ancor più che prima non si fosse riusciti, nella tumultuarietà dei testi omerici. Onde a noi è giunto di Omero un esemplare fluidamente leggibile, se pure non proprio quello di A. (A. Ludwich, Die Homervulgata als voralexandrinisch enwiesen, Lipsia 1898; Homer. Hymnenbau, Lipsia 1908, p. 198 segg.). Gli scolî ci dànno un'immagine di tutto il lavoro che accompagnò la recensione critica, per via di numerosissimi ὑπομνήματα o commenti e di σιγγγράμμαγα o monografie particolari: un'esegesi che aveva per principio di spiegare Omero con Omero, e il cui merito primo stava nell'interpretazione verbale, non di glosse soltanto, ma del linguaggio in genere, troppo spesso frainteso dai precedenti studiosi di Omero. Di qui gli attacchi polemici nei σιγγράμματα contro i glossografi e i poeti più recenti, come Fileta, di Omero cattivi intenditori. Dalle questioni di lingua, di dialetto, d'ortografia, di prosodia (spiriti e accenti), di stile, A. allargava anche lo sguardo a dati di fatto, ad usi e costumi dell'età eroica (K. Lehrs, De Aristarchi studiis homericis, Lipsia 1882, p. 328 segg.; E. Rohde, in Rhein. Mus., XXXVI, 1881, p. 569 segg. = Kleine Schr., I, p. 107 segg.), a genealogie di dei e di eroi, alla geografia omerica. Anche al suo sentimento poetico faceva ricorso: qui con maggiori manchevolezze. Nessuna traccia di esegesi allegorica alla maniera di Cratete il Mallote; e, sempre in contrapposto alla scuola pergamena, a fissare più sicuramente i suoi testi, o almeno in casi d'incertezza, A. si valeva del principio d'analogia, dell'eguaglianza cioè e della regolarità delle forme, pur riconoscendo il valore dell'uso vivo del parlare (συνήϑεια, consuetudo; Varr., De lingua lat., IX, l. 43), dove Cratete, in questo più unilaterale di A., negava ogni razionalità al linguaggio e tutto dava al capriccio e al caso (H. Steinthal, Gesch-. d. Sprachwiss., II, Berlino 1891, p. 93 segg.). Per cui molto contribuì A. allo sviluppo della scienza e terminologia grammaticale, se pure non della sintassi; a lui si deve, p. es., nella sua forma definitiva, la distinzione delle otto parti del discorso (Quintil., I, 4, 20; Schömann, Die Lehre v. d. Redeteilen, Berlino 1862, p. 12; L. Ieep, Geschichte der Lehre von d. Redeteilen b. d. lat. Gramm., Lipsia 1892). A. non si fermò ad Omero: anche ad Esiodo, ai lirici - Archiloco, Alceo, Pindaro, Anacreonte -, ai tragediografi - Eschilo, Sofocle, Euripide, Ione -, ad Aristofane, consacrò le sue cure critiche di editore - Esiodo, Alceo, Pindaro, Aristofane - o di interprete; e come esegeta invase anche il campo della prosa, di solito riserbato ai retori, per illustrare Erodoto (Grenfell-Hunt, The Amherst Papyri, II, 1901, 3, 12; L. Radermacher, in Rhein. Mus., LVII, 1902, p. 139 segg.; H. Diels, Didymus Comment. zu Demosthenes, Berlino 1904, p. XXXII, xli). Noi qui conosciamo l'opera sua segnatamente in riguardo a Pindaro e ad Aristofane, e le qualità e le manchevolezze a lui proprie vi si rivelano intere: ottimo linguista, non troppo felice chiosatore in materia mitica e storica (U.v. Wilamowitz, op. cit., p. 155 segg.). A. toccò pure l'alta critica sulle orme di Aristofane di Bisanzio, dando il suo contributo ai cosiddetti Canoni, per i quali v. aristofane.
Bibl.: Sulla vita il poco che sappiamo proviene, in massima, da Suida: l'età è fissata tra gli anni circa 216-144 a. C. da G. Busch, De bibliothecariis Alexandrinis, Schwerin 1884; di poco differisce la costruzione di J. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., IV, ii, Berlino 1927, p. 599, che vorrebbe abbassare la data di nascita all'anno 200 o a pochi anni innanzi al 200. Cfr. A. Rostagni, I bibliotecarî alessandrini, in Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, L (1914-15), p. 262 segg.; G. Perrotta, in Athenaeum, n. s., VI (1928), p. 125 segg. Sulle parentele discorre A. Gercke, in Rhein. Mus., LXII (1907), p. 116 segg. In un busto del Museo Capitolino (Ann. Inst., 1841, tab. G) crede di trovare il ritratto di A. il Marx, Ind. lect. Rost., 1888-89, p. 10 seg. Sugli allievi, che Suida fa ascendere a una quarantina, si veda A. Blau, De Ar. discipulis, Jena 1883; Apollodoro d'Atene, Ammonio e Dionisio Trace sono i più rinomati fra essi. Sulla recensione omerica, fondamentale K. Lehrs, op. cit., Lipsia 1833, 2ª ed., 1863, 3ª ed., 1882; quindi il Ludwich e il Roemer già citati: si aggiungano P. Cauer, Grundfragen d. Homerkrit., Lipsia 1909; Munro, nell'App. all'ed. di Odyss., II, Oxford 1901, p. 439 segg.; R. C. Jebb, Homer, Boston 1888, p. 92 segg.; Cohn, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, p. 867 seg. Sui segni critici dell'editore, particolarmente K. Wachsmuth, in Rhein. Mus., XVIII (1863), p. 178 segg.; J. La Roche, Text, Zeichen u. Scholine d. berühmten Cod. Ven z. Ilias, Wiesbaden 1862; A. Ludwich, Die Papyruscommentare zu d. Hom. Gedichten, Königsberg 1902. Sulla esegesi, oltre i già ricordati, si veda F. A. Wolf, Proleg. ad Hom., p. 226 segg.; W. Bachmann, Die ästhetischen Anschauungen Ar., Norimberga 1902, 1904; Ph. Hofmann, Ar. Stud. de cultu et victu heroum, Monaco 1905; K. Bielohlawek, in Gnomon, III (1927), p. 696 segg. Su A. grammatico, nel senso più stretto della parola, K. Barwick, Remmius, Palaemon, Lipsia 1922, p. 269. Sull'opera critica in riguardo ai lirici, U. v. Wilamowitz, Textgesch. d. griech. Lyrik, 1900, p. 17 segg. Sulla critica esiodea, H. Flach, in Fleck. Jahrb., CIX (1874), p. 815 segg.; CXV (1880), p. 433 segg.; H. Waeschke, in Acta Semin. Lips., 1874, p. 149 segg.; Schömann, Opusc., II, p. 510 segg.; III, p. 47 segg. Sulla pindarica, P. Feine, De Ar. stud. Pindaricis, Greifwsald 1883. Sulla aristofanesca, O. Gerhard, De Ar. Aristophanis interprete, Bonn 1850; A. Roemer, in Ber. Münch. Akad., XXII (1904), p. 605 segg. Nuovi frammenti, in Pap. Oxyrh., II (1899), 52-85; in Arch. f. Papyrusforschung, I (1900-1901), p. 535. Si veda altresì Allen, in Pap. Brit. School Rome, (1910), p. 1 segg.