ARIALDO
Abate del monastero di S. Dionigi in Milano all'inizio del secolo XII, A. favorì nel 1102 l'insediamento di Grossolano, già vicario dell'arcivescovo Anselmo (IV), nell'episcopato milanese. Quando, nello stesso anno, l'arcivescovo intese affermare la propria autorità nei riguardi di Liprando, prete patarino milanese, che già ne aveva ostacolato la nomina e che rappresentava il partito a lui avverso, A. riuscì a comporre momentaneamente la contesa, inducendo Liprando, che rivendicava la sua indipendenza dal potere di Grossolano, a porgere a costui la "manum oboedientiae" (Landulphi Historia, p. 8). Nella primavera del l'anno 1103, allorché Grossolano, per far tacere le voci che in città si levavano contro di lui, proclamò la sua purezza davanti a clero e popolo, A. gli fu di nuovo accanto e ne confermò con giuramento la dichiarazione (ibid.p. 10).A. fu quindi trasferito, non sappiamo in che anno, dal monastero di S. Dionigi a quello di S. Pietro in Civate. Landolfo Iuniore, che, come nipote di Liprando, riversava su A. parte del risentimento per Grossolano, vide nel trasferimento alla più ricca abbazia il premio e quasi la ricompensa dell'aiuto prestato a Grossolano nell'elezione e nella lotta contro Liprando.
Forse questa non è tutta la verità: probabilmente l'arcivescovo mirava anche ad assicurarsi, attraverso persona a lui legata, l'appoggio di una abbazia importante dal punto di vista strategico. Comunque, si può osservare che, se Liprando esercitava nei riguardi di Grossolano quel diritto di critica verso l'operato del vescovo che era stato consentito dai pontefici riformatori, A. invece rappresentava il nuovo atteggiamento della Chiesa romana che, già con Urbano II e con Pasquale II, tendeva a rafforzare i vincoli della disciplina e a consolidare la gerarchia carismatica, sostenendo in particolare il prestigio e i poteri vescovili . In questa visuale la personalità di A. potrebbe assumere, se pur con le dovute riserve, un particolare rilievo.
Nel 1107 A. manteneva immutato il suo atteggiamento di favore verso Grossolano: diede infatti ospitalità, secondo la regola di s. Benedetto, a Liprando reduce dalla Valtellina e malato, ma, non appena sopraggiunse il nipote Landolfo, glielo affidò affinché lo conducesse ad almeno due miglia dal monastero. A. non voleva dunque venir meno al giuramento di fedeltà prestato all'arcivescovo, ospitando il suo avversario.
Dell'abate A. non conosciamo altro: ne ignoriamo anche l'anno di morte.
Fonti e Bibl.: Landulphi Iunioris Historia Mediolanensis ab anno MXCV usque ad annum MCXXXVII, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., V, 3, a cura di C. Castiglioni, pp. VIII, XV, XIX, 7, 8, 10, 15; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano nei secoli bassi, II, Milano 1854, pp. 720-726, 753 s.; M. Magistretti, Appunti per la storia dell'abbazia di Civate, in Archivio storico lombardo, s. 2, XV (1898), fasc. 17, pp. 80-114; C. Castiglioni, Il cronista Landolfo e la storia della Chiesa milanese, in La scuola cattolica, LXII (1934), pp. 284-99; G. L. Barni, Milano verso l'egemonia, in Storia di Milano, III, Milano 1954, pp. 258-262, 276.