ARIA APERTA
. Termine artistico che traduce il francese plein-air usato dall'impressionismo per indicare gli effetti pittorici nella piena luce solare, diretta o indiretta: ciò che Leonardo chiamava vedere alla campagna. Non è da confondere il plein-air con l'atmosfera. Il primo riguarda principalmente il colore: la seconda, le alterazioni del chiaroscuro e del rilievo, attraverso il medio aereo.
L'assenza di complementarismo nelle pitture egizie sembra indicare predilezione per i rapporti di colori in ombra, quali li amarono i Veneziani del sec. XVI. Presso i Greci lo splendore della luce fu oggetto di ricerche pittoriche, attestate da alcuni passi di Plinio e dalla presenza di rapporti complementari nelle architetture e nelle statue dipinte. Nel peripatetico De coloribus, attribuito ad Aristotele e divulgato nel '500 da Celio Calcagnini, il mutar del colore nella luce solare e il gioco dei riflessi sono descritti con precisione degna di un impressionista moderno. La pittura ellenistico-romana, sebbene non ci abbia lasciato che rare rappresentazioni in luce solare diretta, dimostra nelle sue ombre calde e violette, quanto essa fosse esperta nell'osservazione degli effetti in piena luce. Come per la prospettiva aerea e lineare aveva adottato una gradazione convenzionale dell'impiccolimento e del perdersi dei termini, così pare adoperasse scale di riduzione nei passaggi cromatici dal lume all'ombra. Non tanto però che nella veste della suonatrice di cetra, delle Nozze Aldobrandine, non traspaia l'osservazione verissima del bianco con i riflessi del sole. Il gusto del colore luminoso e trasparente trasse la pittura ellenistico-romana a modi non dissimili dal moderno impressionismo e divisionismo; e il trionfo del musaico parietale, nella prima età cristiana, indica lo studio e la ricerca della massima tensione cromatica. L'entusiasmo per la luce, attestato dalle iscrizioni musive, poggiò sulla tradizione secolare del color luminoso. In S. Agnese fuori le Mura, a Roma, si legge: "L'aurea pittura si svolge dagli smalti commessi, e tiene insieme imprigionata quanta luce del giorno essa abbraccia. Sembra che dalle nivee sorgenti l'aurora discenda tra le insinuantisi nebbie ad irrigare i campi di rugiada e che un purpureo pavone, tutto fulgido di colore, mostri la luce delle sue iridi gemmate". L'esperienza classica sui riflessi cromatici che accompagnano la visione in raggio solare diretto è raccolta nel sec. XIII dal Witelo, compilatore di Alhazen (Ibn al-Haitham; v.) che derivò a sua volta da Tolomeo: "Ogni corpo colorato sotto l'azione della luce riflette il suo colore e spande luce sugli oggetti che rimandano il riflesso o totalmente o parzialmente. Il riflesso indebolisce la luce e i colori e in genere ogni forma".
Nel cangiantismo di Giotto e dei trecentisti (Cennini) si può supporre una reminiscenza di remote e ormai fraintese osservazioni sui riflessi, che l'Alberti notava nel suo Trattato della pittura. Ma nella pittura del Quattrocento si ritrova come nuova conquista la luce solare diretta, variamente temperata: Masaccio, Domenico Veneziano, Piero della Francesca per primi ne fecero studio e mezzo d'espressione artistica. Il Mantegna, nella vòlta della Camera degli Sposi, evita l'effetto del sole, velando il cielo con una nuvola chiara. Leonardo riprende, nel suo Trattato della pittura, i problemi della visione all'aria aperta, distinguendo gli effetti del lume particolare, "com'è sole, luna o fiamma", da quelli del lume universale, "com'è il lume del nostro emisfero, essendo senza sole", e del lume ristretto, che "deriva da porta, finestra o altra apertura". Biasima coloro che, avendo eseguito una pittura in lume ristretto o particolare, la pongono in opera "ad un lume universale dell'aria di campagna", poiché "ciascun lume esige diversa mistione d'ombre".
In un passo mirabile Leonardo descrive gli effetti d'aria aperta, in lume solare diretto e diffuso: "Le ombre e i lumi delle campagne partecipano del colore delle lor cause, perché l'oscurità composta dalle grossezze dei nuvoli, oltre alla privazione de' raggi solari, tinge di sé ciò che per essa si tocca. Ma la circostante aria fuori de' nuvoli ed ombre vede ed illumina il medesimo sito, e lo fa partecipante di colore azzurro: e l'aria penetrata dai raggi solari che si trova infra l'oscurità della predetta ombra della terra e l'occhio di chi la vede, tinge ancor essa tale sito di color azzurro, come si prova l'azzurro dell'aria esser nato di luce e di tenebre. Ma la parte della campagna illuminata dal sole partecipa dei colori dell'aria e del sol ma assai partecipa dell'aria, perché fa ufficio di maggiore per essere l'aria più propinqua, e si fa campo di innumerabili soli, quanto all'occhio. E queste campagne partecipano tanto più di azzurro quanto esse sono più remote dall'occhio: e tanto più esso azzurro si fa chiaro, quanto si innalza all'orizzonte e questo esce da vapori umidi". Avverte come nelle composizioni architettoniche con sfondi paesistici si debbano distinguere i tre lumi: "Ai lumi accomodati alle cose da essi illuminate bisogna avere gran rispetto, conciosiaché in una medesima istoria vi accade parti che sono alla campagna al lume universale dell'aria, ed altre che sono in portici, che son lumi misti di particolari e universali; ed altre ai lumi particolari, cioè in abitazioni che pigliano il lume da una sola finestra". Il caso del raggio solare diretto gli ispira una descrizione, che è un vero quadro impressionistico moderno. "Se vedrai una donna vestita di bianco in una campagna, il colore di quella parte di lei che sarà veduta dal sole sarà chiaro in modo, che darà in parte, come il sole, noia alla vista: e quella parte che sarà veduta dall'aria luminosa per i raggi del sole tessuti e penetrati infra essa, perché l'aria in sé è azzurra, la parte della donna vista da detta aria parrà pendere in azzurro: se nella superficie della terra vicina saranno prati, e che la donna si trovi infra un prato illuminato dal sole ed esso sole, vedrai tu le parti di esse pieghe, che possono essere viste dal prato, tingersi per raggi riflessi nel colore di esso prato: e così si va trasmutando nei colori de' luminosi e non luminosi obbietti vicini". Non poteva però Leonardo levarsi tanto sull'opinione del tempo suo, da anticipare in pratica l'impressionismo. "Circa i riflessi (egli dice) sono discordi i pareri", e altrove nota: "Le ombre fatte dal sole e da altri lumi particolari sono senza grazia del corpo, che da quelle è accompagnato, imperocché confusamente lascia le parti di sé con evidente termine di ombra dal lume: e le ombre sono di pari potenza nell'ultimo che nel principio".
Fra i cinquecentisti, Paolo Veronese mostrò di seguire Leonardo nelle sue esperienze "alla campagna". Il quadro di S. Antonio Abate a Brera non solo è ambientato coloristicamente in luce diurna, ma sembra quasi carezzato da un pallido raggio solare. Da Caravaggio a Rembrandt la pittura secentesca si delizia nei giochi mirifici di lumi particolari, che nulla hanno a vedere con gli effetti all'aperto. Né può dirsi attuazione di plein-air la luce di Claudio Lorenese, che distrugge il colore, invece di accenderlo, e vela le cose, come accadde nell'800 all'emulo suo inglese, il Turner. I paesisti olandesi e fiamminghi rappresentarono le loro vedute in lume universale, ed ammisero il raggio solare diretto solo nei secondi e terzi piani, per effetti poetici o scenografici.
Il Du Fresnoy (sec. XVII) raccolse sul lume e sui riflessi preziose osservazioni, commentando le quali il De Piles pose il problema del plein-air in questi termini: "Il cromatismo osserva le masse o corpi dei colori, accompagnati da luci od ombre, secondo gli accidenti: 1. del corpo luminoso, come sole o fiamma; 2. del corpo diafano fra l'occhio e l'oggetto; 3. del corpo solido illuminato; 4. della posizione di colui che guarda, o da vicino, o da lontano, o ad angolo retto, o di sbieco". Però il Du Fresnoy e il suo commentatore giudicavano impossibile rendere la luce del giorno:
Supremum in tabulis lumen captare diei
insanus labor artificum, cum attingere tantum
non pigmenta queant
(De arte graphica, XLIII).
Donner dans la farine dicevasi la biondezza cromatica a cui portano le ricerche di luce solare. Ma la fisica riprendeva frattanto i problemi dell'ottica fisiologica, intuiti dagli antichi, e ne dava con il Helmholtz una trattazione sistematica, che rimane ancora oggi insuperata. L'esperienza dei luministi aveva insegnato come si potesse rappresentare la luce per mezzo di rapporti. Bastava ormai sostituire ai valori chiaroscurati i cromatici, per raggiungere la soluzione totale del plein-air. Ed è quanto fece il sec. XIX, preceduto in molti aspetti dai paesisti del Settecento (Pannini, Guardi). Ammiratore del Veronese, il Delacroix anticipò al riguardo alcune osservazioni importanti. Nel colorito schietto dei preraffaelliti è un accenno al colore solare. Mentre il primo impressionismo predilesse il lume diffuso o universale, l'aria bianca (scuola di Batignolles-Pissaro-Manet-Degas), già in Renoir trema la malia dei riflessi. I massimi effetti di luce-colore furono raggiunti dal neo-impressionismo (Monet-Signac), che chiude il ciclo delle ricerche pittoriche nel lume universale. Rientrato dopo quindici secoli nella pittura, il cromatismo solare vi operò con i suoi riflessi quell'azione disgregatrice della forma, che già aveva dimostrato nell'età ellenistica.
Spingendo a distanza il colorire diviso e il pennelleggiare virgolato (v. divisionismo), la pittura diviene decorazione vetrata.
L'impressionismo solare francese ebbe larga eco e sviluppo in Germania, in Norvegia, in Svezia; in genere nei paesi dove la luce del sole dipinge e non scolora. Con i Faruffini, i Piccio, i Ranzoni, la pittura italiana compié le ricerche del lume universale, in modi più contenuti dei nordici. I macchiaioli toscani, innamorati teoricamente degli effetti di sole, per amor della forma elessero il dipingere in ombra. La pittura italiana contemporanea reagisce contro la tendenza del plein-air, cercando nuovi modi di ambientazione tonale, in cui, attenuati i riflessi, la pittura riposi. Le ricerche cromatiche all'aria aperta sono essenzialmente proprie della pittura europea.
Non ve n'è esempio nelle arti orientali, le quali nelle rappresentazioni all'aperto si attengono al colore locale piatto.
Bibl.: De coloribus, vers. lat. di Celio Calcagnini, in Jodoci Willachi Exercitationes, 1688; Tolomeo, Ottica, in un rimaneggiamento arabo di Eugenio Siculo (sec. XII), edito da G. Govi, Torino 1885; Opticae Thesaurus Alhazeni Arabis libri septem, nunc primum editi, eiusdem liber De crepusculis et nubium ascensionibus. Item Vitellonis Thuringopoloni libri X, Basilea 1572. Cfr. C. Baeumker, Witelo, ein Philosoph und Naturforscher des XIII Jahrhunderts, in Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, Münster 1908; L. B. Alberti, Elementa picturae vulgaria; Leonardo da Vinci, Londra 1883, voll. 2; Du Fresnoy, De arte graphica, a cura di M. De Piles, Parigi 1783; H. Helmholtz, Optique physiologique, Parigi 1867; E. Brücke, Principes scientifiques des Beaux-Arts, Parigi 1878.