Vedi ARGO dell'anno: 1958 - 1958 - 1973 - 1994
ARGO (῎Αργος, Argus)
Più d'una sono le figure mitiche di questo nome tramandateci dal mondo antico, ma in realtà esse sono strettamente collegate fra di loro sì da sovrapporsi quasi completamente. Le fonti ne dànno una diversa genealogia (figlio della Terra, di Zeus, di Inaco), ma lo mettono sempre in rapporto con la città di Argo e con l'Argolide. Di gigantesca corporatura, A. compie, secondo una tradizione, grandi imprese (come l'uccisione dell'Echidna e la liberazione dell'Arcadia dal Toro) e viene collegato con la spedizione degli Argonauti. Ma il suo aspetto più importante e più sfruttato dall'arte figurata è quello di custode di Io, affidatogli dalla gelosa Hera e che egli adempie attentamente con i suoi numerosi occhi (πανοπτής, l'onniveggente, è infatti il suo epiteto abituale).
Nel repertorio delle pitture vascolari, A. appare spesso come testimonio degli amori di Zeus ed Io (v. io) o, più frequentemente, come custode di Io, da Hera trasformata in giovenca, assalito da Hermes e da questi ucciso. Sui vasi più arcaici viene rappresentato come un essere mostruoso, il corpo ingenuamente disseminato di occhi (cfr. lo stàmnos Castellani), e, talvolta, bifronte (anfora di Bomarzo). Il gusto ellenistico lo trasforma poi in un giovane efebo dalle forme atletiche o in veste da pastore senza riferimento alla molteplicità degli occhi; e così A. compare in molte pitture pompeiane, ove la favola d'A. ebbe particolare fortuna (Casa del Citarista, Casa d'Argo, Tempio d'Iside). Una variante del mito, derivata da un'ulteriore elaborazione della leggenda, presentano le pitture della Casa del Meleagro, del Macellum di Pompei e della Casa di Livia al Palatino, ove è rappresentato A. che viene ucciso da Hermes con l'inganno, dopo averlo addormentato al suono della zampogna.
Bibl.: J. Overbeck, Zeus, p. 465; Blondel, in Dict. Ant., p. 417, s. v. Argus; R. Engelmann, in Roscher, I, cc. 537-540, s. v.; id., Die Io Sage, in Jahrbuch, 1903, p. 37 (lo stàmnos Castellani, cit., è qui pubblicato al n. 11 del catal.; l'anfora di Bomarzo, pure cit., al n. 10); K. Wernicke, in Pauly-Wissowa, s. v.; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1914, p. 739; O. Elia, Le pitture del Tempio d'Iside, Roma 1944; R. Carpenter, Argefointes, in American Journal of Arch., LIV, 1950, p. 177; A. Rocco, in Arch. Class., V, 1953, p. 170 ss.