ARGO (gr. "Αργος; A. T., 82-83)
È la città più popolosa della provincia di Argolide e Corinzia (νομὸς 'Αργολίδος καὶ Κορινϑίας - Peloponneso), poiché conta 9038 abitanti (9810 col territorio). È posta nel luogo dove sorgeva la città antica, nella piana che si estende a nord del Golfo di Nauplia, a circa 7 km. dalla costa. Argo è oggi il centro agricolo dove convergono tutti i prodotti della regione. Vi passa la ferrovia del Peloponneso ed è allacciata con un tronco secondario al porto di Nauplia. Fino alla guerra mondiale fu capoluogo di uno dei sette circondarî (ἐπαρχίαι) in cui era divisa allora la provincia. Oggi è semplice comune (κοινότης). È sede di un tribunale di pace (1ª istanza), di un eforato dell'economia, di una borsa, e di un importante consorzio agrario. Vi sono due scuole medie inferiori, un ginnasio e un museo civico, contenente alcuni vasi geometrici, rilievi di tarda età greca e iscrizioni. Il commercio è basato esclusivamente sui prodotti del suolo (tabacco per una media annuale di 9500 tonn., uva passa per una media di 150 tonnellate, formaggio, grasso di montone, ecc.). Vi si esercita anche una piccola industria tessile con cotone e seta di produzione locale.
La città antica. - A testimonianza concorde degli antichi, Argo era la più vetusta città della Grecia; e la tradizione è suffragata dalle recenti scoperte archeologiche specialmente sulla collinetta Aspis accanto alla meglio nota Larissa. In origine però il vocabolo ἄργος aveva un significato più generale, a denotare pianura (forse con qualche analogia etimologica con la radice del latino ager) e in tale senso, di pianure presso il mare, s'era diffuso (Strabone, VIII, 372; Esichio, s. v. ἄρχος). Omero distingue Argo Pelasgico (Il., II, v. 681) in Tessaglia da Argo Acheo (Il., IX, v. 141; Od., III, v. 251) o semplicemente Argo, con cui indica sia la città su cui regnò Diomede (Il., II, v. 559; VI, v. 224; XIV, v. 119), sia il regno di Agamennone con capitale Micene (Il., I, v. 30; II, v. 108, 287; III, v. 75; VI, v. 152), sia l'intero Peloponneso in opposizione all'Ellade o Grecia a nord dell'istmo di Corinto (Od., I, v. 344; IV, v. 726; Il., IX, v. 283; Strab., VIII, v. 369-370). In analogia con quest'ultimo senso si trova poi in scrittori greci, e più comunemente presso i poeti romani, l'etnico Argivi per indicare tutti i greci; come pure Argo per il territorio complessivo della città (Sofocle, Oed. Col., v. 378; Strab., VIII, 388) invece di Argolide (Erod., I, 82), Argeia (Tuc., V, 75; Strab., VIII, 371) o Argolica (Strab., VIII, 376). L'antica città di Argo sorgeva a un dipresso ov'è l'attuale borgata nella pianura che ne prende il nome, a circa 5 km. dal mare, poco a occidente del Caradro (Xeriâs) affluente dell'Inaco (Panítsa), e tutta la regione era in età classica assai fertile e famosa per i suoi cavalli. Erodoto (I,1) apre il suo racconto storico con la viva pittura d'una scena argiva antichissima, il mercato di sei giorni delle merci fenicie, assire, egizie. Gli abitanti di Argo si consideravano autoctoni. Le leggende attribuivano la fondazione della città al capo pelasgico Inaco o al figlio Foroneo (Pausania, II, 15,5) o al nipote Argo; dopo alcune generazioni, Gelanore sarebbe stato privato del potere da Danao che si diceva proveniente dall'Egitto (Apollodoro, II,1) e che lasciò il governo di tutta l'Argolide a Linceo e ad Abas. Acrisio e Preto, figli di Abas, ressero Argo il primo e Tirinto il secondo. Perseo figlio di Acrisio fondò Micene che fu con gli Atridi centro principale sino a che, con Oreste, Argo riprese il primo posto. Regnando il successore Tisameno sarebbe avvenuta la tripartizione del Peloponneso fra gli eraclidi Terneno (Argo), Aristodemo (Lacedemone) e Cresfonte (Messenia), tornati nella penisola a capo dei Dori; ma si sa che il racconto sorse tardi nel Peloponneso quando i tre stati avevano già da un pezzo svolta la loro individualità, e varî critici moderni negano fede non solo alla leggenda degli Eraclidi, ma anche alla migrazione dorica. Agli albori storici, gli Argivi facevano risalire la loro dinastia a un eroe locale Temeno; gli Achei s'erano imposti all'originaria popolazione preellenica e l'elemento dorico s'era progressivamente affermato dalla costa verso l'interno. Erodoto (I, 82) dice che in antico la costa orientale del Peloponneso sino al capo Mele, compresa Citera e altre isole, apparteneva ad Argo. Centro della contrada era considerato il famoso tempio di Era tra Argo e Micene; e la sua amministrazione passò col predominio politico da Micene ad Argo. Le città doriche Fliunte, Sicione, Trezene, Epidauro, Corinto, Ermione, Egina ed altre ancora facevano parte d'una lega religioso-politica con a capo Argo; e l'Anfizionia (Paus., IV, 5,2) pur avendo nelle singole città un tempio ad Apollo Pizio, doveva forse raccogliersi ancora attorno all'Heraion come centro ormai tradizionale, nonostante che qualche notizia sembri indicare il tempio d'Apollo sulla Larissa quale centro federale. Un sintomo di disgregazione di tale federazione lo possiamo cogliere solo nel 514, quando (Erod., VI, 92) gli Argivi debbono condannare Sicione ed Egina a pagare 500 talenti di multa per aver fornito navi al re spartano Cleomene invasore dell'Argolide; ma le notizie d'una supremazia religioso-politica esercitata da Argo continuano anche nell'età della guerra del Peloponneso (Tuc., V, 53). Tra i sovrani che regnarono in Argo dal sec. VIl al V, le antiche fonti concordano nell'esaltare specialmente la figura di Fidone, che sembra aver dominato anche in Corinto (Plut., Amat. Narrat., 772 b. e.); egli sarebbe vissuto verso la metà del sec. VII a. C. e la sua fine va messa in relazione col sorgere di Cipselo. Attuò una forte politica interna accentrando i poteri e volle far sentire la sua autorità nelle cose peloponnesiache intervenendo a fianco dei Pisati contro Eleati e Lacedemoni in occasione della competizione per la presidenza del culto comune di Giove Olimpico. Allo stesso Fidone è attribuita l'origine delle misure di capacità usate nel Peloponneso, nelle colonie corinzie e, secondo Aristotele, prima di Solone anche nell'Attica, e che erano più piccole di quelle ivi posteriormente in uso. La monarchia in Argo è già caduta praticamente prima delle guerre persiane; la caratteristica della storia di questa città, nei primi secoli come nei successivi, è piuttosto l'antagonismo con Sparta. sorto per questioni di confini e di predominio peloponnesiaco e poi perpetuatosi anche attraverso un'antitesi di forme costituzionali. Il duello con Sparta s'inizia già dalla prima metà del sec. VIII dopo l'affermazione egemonica argiva sulle riottose Sicione, Corinto, Asina. Dopo l'eta di Fidone pare che Sparta abbia avuto il sopravvento. La tradizione c'informa di una battaglia presso Hysiae (Paus., II, 24,7) e d'una singolare tenzone fra campioni delle due parti (Erod., I, 82) nel 547; la Cinuria, contesa regione di confine, rimase a Sparta, e una clamorosa vittoria fu riportata da Cleomene re spartano presso Tirinto. Sarebbero caduti, secondo Erodoto (VI, 76 segg.) ben 6000 Argivi; scrittori posteriori aggiungono che la città fu salvata dal patriottismo delle donne argive che, al comando della poetessa Telesilla (Paus., II, 20, 8: Polieno, VIII, 33; Plut., De virt. mul., 245; Suida, s. v. Τελέσιλλα), ricacciarono il nemico dalle mura; ma sta di fatto che, siccome allora gli Spartani non usavano né conoscevano l'assedio, Cleomene non attaccò neppure la città. La cifra delle perdite è certo esagerata; ad ogni modo comprendeva tutta la lega argiva, non la sola metropoli; ma secondo Erodoto il colpo fu tale che i servi avrebbero governato sino alla maggior età dei figli dei caduti: nel che forse è da vedere, anziché un vero potere negli schiavi o gimnesî; (γυμνήσιοι), il forzato temporaneo prevalere dei perieci ai quali fu poi definitivamente riconosciuta la cittadinanza (Arist., Polit., V, 2, 8). Durante le guerre persiane Argo rimane neutrale sia per la propria debolezza, avendo da poco subita la grave disfatta (Erod., VII, 148), sia per la gelosia verso Sparta; si sospettò di segrete profferte da parte di Serse. La crisi demografica e politica di Argo al tempo delle guerre persiane è documentata dal fatto che Tirinto e Micene, quali città indipendenti, seguono Sparta senza il consenso di Argo, e dall'estensione della cittadinanza ai perieci. La immissione di questi nella cosa pubblica determina una radicale trasformazione costituzionale con l'affermarsi della democrazia, e un rigoglio di forze che permettono ad Argo, verso il 468, di assalire e distruggere Micene, Tirinto, Isia, Midea con altre borgate infedeli e di ripresentarsi ben presto minacciosa di fronte a Sparta per la rivincita. Le tre precedenti classi della popolazione (cittadini, perieci e schiavi) risultano più affiatate e forti nella democrazia; mentre la forza della tradizione conserva la partizione dei cittadini nelle quattro tribù degli Illei, Dimani, Panfili e Irnazî (Inscr. Graec., IV, 488, 506, 517, 553, 596; Stefano Biz., s. v. Δυμᾶνες). Il declinare dei Temenidi aveva posto sostanzialmente fine alla monarchia col nipote di Fidone, Melta (Erod., I, 127; Strab., VIII, 358; Arist., Pol., V, 1, 310, 6; Paus., II, 19, 2); il ricordo successivo di Egone, Erato, Damocratida, Melanto e le accennate conseguenze della battaglia di Tirinto inducono a credere che il re abbia conservato per qualche tempo il supremo comando in guerra, continuando a essere l'eponimo; non molto a lungo però, poiché nel 418, durante la guerra del Peloponneso, troviamo l'esercito argivo comandato da cinque strateghi (Tuc., V, 59, 5), non solo, ma la sacerdotessa di Era figura come eponima (Tuc., II, 2), e, nel trattato del 420 tra Atene ed Argo, il re non è più menzionato tra le autorità prese in considerazione per il giuramento. Si parla invece dell'Assemblea, degli Ottanta e degli Artini; e forse questi ultimi erano i presidenti del Senato degli Ottanta (Arnold, ad Thuc., V, 47). Espressione della democrazia è pure l'ostracismo (Arist., Pol., V, 2, 5; Schol. ad Aristoph. Eq., v. 851) e la corte marziale che i soldati di ritorno dalla guerra tenevano presso il fiume Caradro per esaminare l'operato dei generali prima di entrare in città (Tuc., V, 60,6).
Alla distruzione di Micene, Sparta aveva risposto con le vittorie di Tegea e Dipea nel 466. Argo, alleata di Atene, vinse gli Spartani ad Enoe nel 460 e combattè poi contro Corinto durante la controversia per Megara. Nel 451-450 Argo concluse una tregua trentennale con Sparta, mentre l'alleanza decennale (462-452) con Atene era scaduta senza rinnovo, probabilmente per la politica di raccoglimento voluta iniziare da Pericle rinunziando a imperniare su Argo la propaganda democratica ed egemonica ateniese nel Peloponneso; certo per riflesso della situazione generale tra Sparta, Atene e Persia. Le condizioni della tregua con Sparta non erano favorevoli per Argo in quanto la contesa Cinuria restava a Sparta; ma non si poteva fare diversamente senza l'appoggio d'Atene. La tregua poi fu benefica anche con la conseguente neutralità nel primo decennio della guerra del Peloponneso, perché permise ad Argo di rifiorire e far propendere verso di sé i Peloponnesiaci malcontenti di Sparta, proprio per quella pace di Nicia (421) conclusasi quasi allo spirare del patto tra Argo e Sparta. Argo raccolse intorno a sé Mantinea, Elea e, solo in un primo tempo, anche Corinto (Tuc., V, 27-31) in una epimachia, mentre i Beoti, per il loro contrasto istituzionale oligarchico con la democrazia ateniese, s'appoggiarono a Sparta. Nel 420 Atene, Argo, Elea e Mantinea si allearono regolarmente (Tuc., V, 39-41); ma la vittoria spartana a Mantinea (418) spezzò la lega facendo ricadere Argo nell'orbita dell'impero lacedemone. Il partito aristocratico in Argo aveva già propugnata da tempo una politica d'alleanza con Sparta; le vicende della battaglia e soprattutto l'appoggio del corpo scelto di mille opliti, nobili e ricchi, affermatisi valorosamente sul campo (Diodoro. XII, 75; Tuc., V, 67) permisero all'aristocrazia di ottenere il sopravvento sulla democrazia nel 417 (Tuc., V, 71-81): fu stipulata con Sparta pace e alleanza per 50 anni. Il partito democratico, in una città borghese-commerciale com'era Argo, aveva per natura più salde basi e poderosi mezzi; dopo pochi mesi rovesciò a forza l'oligarchia (Tuc., V, 82, 2) e tenne a bada con lunghe trattative gli Spartani subito intervenuti. Alla fine Argo si alleò con Atene e, a imitazione di questa, intraprese la costruzione di "lunghe mura" per unire la città al mare e parare ogni pericolo da Sparta; la quale si limitò a impedire tali lavori e a fare qualche scorreria. Nel 416 trecento oligarchici argivi furono confinati per opera di una flotta ateniese comandata da Alcibiade (Tuc., V, 84,1). Le ulteriori vicende della guerra del Peloponneso conservarono sempre Argo a fianco di Atene (Tuc., VI, 29; VII, 57; VIII, 25). La nota dominante in politica estera fu sempre l'avversione a Sparta; contro Sparta è Argo anche quando Atene e Sparta si trovano alleate nel combattere Tebe (362; Sen., Hell., VII, 5). In politica interna verso quest'età le lotte civili assumono una violenta, tragica esplosione: tale stato di cose fu detto scitalismo o legge del bastone (Diod., XV, 58; Plut., Praec. reip. ger., 814 b) e si concluse fatalmente col ritorno a una forma di tirannide. Nel periodo macedone le notizie si vanno facendo sempre più rare poiché anche l'importanza della città è scemata e il governo è retto da tiranni appoggiantisi alla monarchia macedone. Un passo di Plutarco (Pirro, 34) ci ricorda il tentativo infruttuoso del re d'Epiro per sorprendere la città. Nel 229 a. C. la Lega achea accoglie anche gli Argivi e pare che Arato, dopo la liberazione di Sicione e Corinto, abbia indotto Aristomaco, tiranno d'Argo, a rinunciare spontaneamente al potere (Polib., II, 46,6; Plut., Arato, 35). Una breve parentesi rappresenta l'occupazione di Argo da parte degli spartani Cleomene (Polib., II, 52) e Nabide (Polib., XVII, 17; Livio, XXXII, 18). Del resto Argo fece parte della Lega achea fino alla sua distruzione nel 146, per essere poi ridotta, con tutta la Grecia, alla dipendenza di Roma.
Potenza demografica ed economica, religiosità, cultura e arte hanno assicurato la gloria di Argo. La popolazione nell'età della guerra del Peloponneso era valutata uguale all'ateniese (Lisia, 34, 7) ed è quindi da ritenere che i cittadini fossero circa 20.000. All'inizio del sec. II a. C. le Nemee si celebravano in Argo. Era godeva di un culto antichissimo (Livio, XXXIV, 24) e il suo tempio principale sorgeva tra Argo e Micene. La sacerdotessa era a vita e si computavano le date degli anni in base a quelli della sua carica (Tuc., II, 2). Una volta ogni quattro anni e probabilmente nel secondo di ogni Olimpiade, in una solenne processione tutto il popolo di Argo si recava al tempio e la sacerdotessa procedeva su di un cocchio trainato da due bianchi buoi (Erod., I, 31; Cic., Tusc., I, 47). Altri due templi della stessa dea sorgevano (Paus., II, 22,1; 24,1) in città, Era Ακραία nella salita all'acropoli ed Era "Ανϑεια nella parte bassa della città. Il tempio di Apollo Liceo, non meno famoso, sorgeva in un lato dell'agorà e quello di Apollo Pizio sull'acropoli accanto a quelli di Zeus Larisseo e di Atena (Tuc., V, 47, 53). Concordi testimonianze ci documentano il culto per l'arte; nel sec. V Argo era famoso centro d'arte statuaria con Agelada, il maestro di Fidia, con Mirone e Policleto: Sacada, musico e poeta del sec. VI, era argivo come Telesilla, detta la nona musa lirica. Il vino, oltre ai cavalli, figurava tra i prodotti celebrati della regione (Eliano, Var. hist., III, 15, Ateneo, X, 442). Importante centro ellenico ai tempi di Augusto, più tardi, nell'età delle incursioni barbare, Argo fu due volte presa e saccheggiata dai Goti nel 267 e nel 365. In secoli ancor più recenti i Veneziani ne fecero una loro base fortificata nella Morea e solo nel sec. XIX durante l'insurrezione contro i Turchi fu sistematicamente distrutta. Ora è una grossa borgata, in piano, di poco più di 10.000 abitanti, ai piedi della maggiore acropoli, Larissa, sulla quale restano visibili i ruderi di un forte veneziano, sotto cui furono ritrovate mura ciclopiche (cfr. Eur., Troad., v. 1087; Herc. fur., v. 15). Livio (XXXIV, 25) parla di due cittadelle; e la prima è Larissa, l'altra Aspis (Plut., Pyrrh., 32; Cleom., 17, 21) elevantesi a un terzo circa della prima, a forma tondeggiante di scudo. Le due alture limitano Argo a ovest e a nord. L'Aspis fu la prima residenza; scoperte recenti hanno messo in luce avanzi di una città fortificata anteriore all'epoca micenea, del duemila, a giudicare dalle ceramiche; e sul pendio inferiore (Deirás) è apparsa una necropoli micenea. L'occupazione della vicina Larissa dovette avvenire successivamente per ragioni di sicurezza. Argo, favorito centro naturale della pianura dell'Inaco, fu limitata nel suo sviluppo verso est dal corso del Caradro (Xeriâs) torrente sovente asciutto, ma pericoloso per le sue piene le quali, forse verso il sec. V d. C., in epoca di maggior abbandono, coprirono gran parte delle vecchie costruzioni ancora visibili al tempo di Pausania, nel sec. II. Tra le rovine venute in luce annoveriamo parte delle mura della Larissa, perché se ne servirono i Veneziani, la gradinata del teatro maggiore e a sud di esso l'orchestra semicircolare di un teatro minore con 27 m. di diametro e pavimento in mosaico; avanzi d'un acquedotto romano (proveniente da Epánō Bélesi nella valle dell'Inaco) su materiale poligonale preesistente; e poche tracce dei molti templi. Le prime chiese cristiane erette verso il sec. VI sul pendio sud-ovest dell'Aspis, come altre tardive costruzioni private, contribuirono a far scomparire i ruderi antichi per la scarsità locale del materiale da costruzione. Sulla Larissa, acropoli quasi inespugnabile, oltre alle mura poligonali, si notano una grande cisterna per l'acqua, i ruderi del tempio di Zeus Larisseo sotto il cortile del forte veneziano, e quello di Atena a est nella terrazza inferiore della collina. In un primo periodo solo la Larissa dovette essere circondata di mura; poi quando lo fu tutta la città, forse verso il sec. VI, vi fu compresa l'Aspis, ove s'osserva un precedente muro ciclopico, una cisterna e, a sud verso la città, una scala intagliata nella viva roccia, forse per le più rapide comunicazioni in caso d'allarme. Una piccola galleria ha fatto favoleggiare della camera di bronzo in cui fu racchiusa Danae dal padre Acrisio. La prima costruzione delle mura della città, che dovevano proteggerla specialmente a est e a sud, fu forse in tufo, di cui si sono scoperte tracce parallele al muraglione posteriore in calcare, un po' a nord della porta di Deirás e sull'Aspis (o "collina del profeta Elia" dalla chiesa bizantina sortavi). Il tempio di Apollo Pizio e lo stadio appaiono identificati, da scarsi ritrovamenti, secondo l'esposizione di Pausania (II, 24,1). L'agorà, che dovrebbe trovarsi nella sua metà sud all'infuori dell'attuale abitato, è stata solo in parte esplorata dagli scavi a est della strada di Mýloi, mettendo in luce gran parte del colonnato dorico in tufo, ruderi del tempio di Artemide Peito e qualche iscrizione; misurava m. 108 per 23,30 e la costruzione non rimonta oltre il sec. IV. Il famoso ginnasio Κυλάραβιος (Plut., Cleom., 17-26; Pyrrh., 32; Livio, XXXIV, 26) sorgeva ov'è la chiesa di S. Costantino. Il tempio più famoso nei dintorni, fra i ricordati dagli antichi e identificati dai moderni, è certamente l'Heraion che venne scavato da archeologi americani. Nel 1831 ne scoperse per primo i ruderi il generale Gordon, comandante le forze greche nel Peloponneso, sul pendio inferiore del monte Eubea, tra i torrenti Eleuterio ed Asterio, più vicino a Micene che ad Argo. Bruciato nel nono anno della guerra del Peloponneso (423) per negligenza della sacerdotessa Criseide (Tuc., IV, 133), l'aveva ricostruito Eupolemo facendovi porre la grande statua criselefantina di Era, opera di Policleto (Paus., 11, 17, 7). Gli scavi hanno messo in luce i ruderi dell'antico e del più recente Heraion, non solo, ma hanno anche confermata l'esistenza d'un villaggio nell'età del bronzo, a NO. del tempio.
La tradizione considerava quale colonia d'Argo peloponnesiaca la città d'Argo Anfilochio, centro principale all'estremità occidentale del golfo d'Ambracia. Altre tradizioni narravano che Diomede avesse fondato Argos Hippium (Arpino) nell'Apulia e Oreste Argos Oresticum nell'Orestiade Epirotica, come pure che il nome d'Argo fosse attribuito ad altre località certo meno note, sovente non identificate, come a Portoferraio e a un castello della Cappadocia presso il Tauro (Strab., X, 460, 21 segg.).
Bibl.: Per le vicende storiche, oltre le maggiori storie greche, come quelle del Busolt e del Beloch e, da ultimo, quella del Glotz (Histoire grecque, I, Parigi 1925), v. Kophimiotis, ‛Ιστροία τοῦ "Αρνους, Atene 1892-93; Trieber, Pheidon von Argos, in Hist. Ausf. für Waitz, Hannover 1886; G. Lilie, Quae ratio intercesserit inter singulas Argolidis civitates, Breslavia 1862. Per la topografia e le scoperte archeologiche si vedano: E. Curtius, Peloponnesos, Gotha 1851-1852, II, p. 350 segg.; W. M. Leake, Travels in the Morea, Londra 1835; Ch. Waldstein, The Argive Heraeum, Boston e New York 1902-905; W. Gell, Itinerary of Greece Londra 1811; B. Bursian, Geogr. von Griech., Lipsia 1862-73; E. Tilton, in Encycl. Britannica, XXV (1902), 10ª ed., p. 624 segg., e, su Pausania, il Robert e il Blümner; per le iscrizioni, Corp. Inscr. Lat., III, 531, 7625, 420314 e Inscr. Graec., IV, 454-663, 1608; I, 1389, 1625. Sia per la storia sia per gli scavi molti sono gli articoli sparsi in riviste; citeremo American Journal of Archaeology, 1892 segg.; Journal of Hellenic Studies, XXI (1901), p. 30 segg.; W. Volgraff, in Bulletin de corresp. hellénique, 1903, 1904, 1906, 1908, 1909, 1910, 1915, 1916, 1920, 1923; Ath. Mitt., 1911, p. 124 segg.; A. Francotte, in Musée Belge, XIII (1909); così Herzog, in Philol., LXXI (1912), p. 1; K. Müller, in Ath. Mitt., XLVIII (1923); W. Wrede, in Jahrbuch d. deutsch. arch. Inst., 1926; L'Acropole, dic. 1926 e marzo 1927.