ARGENTO
(IV, p. 253; App. I, p. 147; II, I, p. 248; III, I, p. 130; IV, I, p. 159)
La tendenza a una progressiva divaricazione fra domanda e offerta di a., già delineatasi agli inizi degli anni Settanta, ha trovato conferma nel periodo successivo.
Accanto alla dilatazione dei consumi, dovuta agli usi industriali, in settori che peraltro hanno via via messo a punto innovazioni del ciclo produttivo tendenti a ridurre l'impiego per unità di prodotto, l'espansione della domanda di a. è stata causata dalle tensioni inflazionistiche che hanno caratterizzato il ciclo economico per l'intero arco degli anni Settanta. Il forte rincaro di alcune materie prime, e segnatamente del petrolio e delle altre fonti energetiche, il crollo della produzione industriale, la stagnazione o il regresso dei mercati finanziari, le forti oscillazioni nel mercato dei cambi, che non hanno risparmiato le monete guida quali il dollaro statunitense, il marco tedesco e lo yen giapponese, hanno concorso a esaltare la valenza di bene rifugio attribuita all'argento. Tale fenomeno, che ha definitivamente fatto abbandonare l'utilizzo dell'a. per usi monetari, è ben testimoniato dagli straordinari rialzi delle quotazioni per oncia di metallo fino.
Sulle piazze statunitensi l'a. ha raggiunto, nella media del 1980, 20,63 dollari per oncia contro l'1,77 del 1970 (passando per i 4,70 del 1974 e gli 11,09 del 1979). Negli anni più recenti, in coincidenza con il raffreddamento dell'inflazione e la ripresa della produzione, la tendenza è decisamente al ribasso e la quotazione sulla stessa piazza è scesa alla fine del 1990 sotto i 4 dollari.
In conseguenza della lievitazione dei prezzi, la produzione mondiale di a. ha registrato, nel periodo considerato, un sensibile incremento, passando dalle 9300 t del 1974 alle 14.654 del 1989. L'aumento della produzione è stato ottenuto sia attraverso un maggiore recupero di a. quale sottoprodotto dei processi di metallurgia di altri minerali, sia attraverso il potenziamento dell'estrazione dalle miniere argentifere di alcuni paesi in via di sviluppo.
La produzione di a. di Messico, Perù e Chile è passata, infatti, dal 28% del totale mondiale nel 1974 al 32% nel 1989; nel contempo le nuove prospezioni e la più conveniente valutazione dei costi di coltivazione, in ragione degli elevati prezzi, hanno concorso ad ampliare il ventaglio dei produttori e ad abbassare il livello di concentrazione geografica della produzione: i primi dieci paesi produttori coprivano l'83% del totale mondiale nel 1974 e il 77% nel 1989.
Per quanto riguarda il Messico, le quote maggiori di produzione provengono dalle miniere di Pachuca in Hidalgo e di Parral (Chihuahua), mentre in Perù, oltre alle miniere di Cerro de Pasco, notevoli sono quelle di Huamachuco, Huancavelica e Lircay. Tra gli altri massimi produttori spiccano l'Unione Sovietica, la cui produzione, ottenuta per lo più come sottoprodotto nella lavorazione di altri minerali, è stabile da circa un quindicennio. Più legata all'andamento del mercato la produzione degli USA (sia come sottoprodotto, che nei campi minerari dell'Idaho, dell'Arizona, del Montana e dell'Alasca), del Canada (miniere di Cobalt e Atlin) e dell'Australia (miniere di Silverton, Chillagoe, Herberton).
Nelle condizioni esaminate, il commercio internazionale dell'a. dà luogo innanzitutto a consistenti flussi dai paesi produttori del Terzo Mondo verso quelli a economia avanzata. La maggior parte degli scambi, tuttavia, si svolge tra i paesi industrializzati dell'Occidente. Tra questi spiccano i paesi ove operano le principali piazze finanziarie mondiali; emblematico è il caso del Regno Unito ove transita poco meno di un terzo degli scambi mondiali di argento.