METROPOLITANE, AREE
Sempre più elevata è la percentuale di popolazione mondiale che è insediata in aree di tipo metropolitano. L'organizzazione di tali aree è conseguentemente diventata un problema fra i più importanti in termini di implicazioni sulla qualità della vita e fra i più complessi e articolati in termini di assunzione di strategie appropriate. La problematica delle a.m. viene qui descritta accennando prima al quadro evolutivo della sua pianificazione e trattando poi gli aspetti essenziali delle tematiche concernenti da una parte la qualità e la sicurezza dell'ambiente urbano, dall'altra gli interventi di recupero e riqualificazione.
Quadro evolutivo della pianificazione dell'area metropolitana. − Lo sviluppo di un territorio si realizza attraverso interventi urbanistici il cui obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita di un gruppo di individui o dell'intera collettività. Tali interventi riguardano il sistema delle attività umane che si esplicano sul territorio: attività di residenza, di produzione, di servizi, di trasporto, ecc., che costituiscono il contenuto del Piano urbanistico. L'esigenza del piano urbanistico nasce verso la metà dell'Ottocento a seguito del fenomeno di espansione urbana conseguente alla rivoluzione industriale. Il piano rappresenta, in questo contesto, un efficace strumento di regolazione dei conflitti sociali che nascono tra singoli individui e collettività. Verso la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, in Italia i piani urbanistici hanno contenuti prevalentemente di risanamento igienico (Napoli) o di espansione della città storica (Firenze). Successivamente assumono il nome di Piano regolatore generale.
La Legge Urbanistica (LU) 1150 del 1942 introduce e stabilisce i livelli della pianificazione, i contenuti dei vari piani e le procedure per la loro formazione e approvazione. Questi livelli (Piano territoriale di coordinamento, Piano regolatore generale, Piano particolareggiato) corrispondono ad altrettanti definiti livelli istituzionali di governo (nazionale, regionale, comunale). A livello nazionale la LU istituisce i Piani Territoriali di Coordinamento (PTC) e i Piani Intercomunali (PI), cui avrebbe dovuto uniformarsi, secondo un principio gerarchico, il Piano Regolatore Generale (PRG), la cui attuazione è affidata ai Piani Particolareggiati di esecuzione (PP). La pianificazione territoriale si è esplicata, negli anni 1950-60 e poi nel corso degli anni Sessanta, in alcune esperienze di elaborazione di PTC le cui potenzialità vengono sperimentate soprattutto nell'esperienza dei Comitati regionali per la programmazione economica (1960-70). Tuttavia tali esperienze sono rimaste a livello teorico, poiché nessuna di queste elaborazioni è mai stata resa attuativa anche a causa della scarsa definizione legislativa di questi piani.
Negli anni Settanta vengono elaborate altre esperienze di pianificazione territoriale alla scala regionale e intercomunale attraverso i Piani delle comunità montane, i Piani comprensoriali, i Piani intercomunali. Contemporaneamente si amplia, in questi anni, il quadro normativo e legislativo con la l. 167/1962, la l. 765/1967, la l. 865/1971, la l. 10/1977, la l. 457/1978 per l'equo canone. Tali leggi introducono ulteriori strumenti urbanistici, quasi sempre di tipo particolareggiato. Le esperienze attuative di pianificazione territoriale vengono svolte quasi esclusivamente a scala comunale con l'utilizzo del PRG e dei PP. Nel corso degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta si manifesta l'esigenza di superare la scala comunale in conseguenza della perdita di efficacia della pianificazione territoriale che si è quasi esclusivamente identificata con il piano comunale.
I motivi principali dell'insuccesso della pianificazione vanno ricercati, in sintesi, nella crescente complessità dei nuovi sistemi urbani (metropolitani), nella nuova rilevanza dei temi ambientali tradizionalmente esclusi, nell'esplosione delle reti di infrastrutture di comunicazione (trasporto, servizi, ecc.), fenomeni, questi, non circoscrivibili all'interno dei perimetri comunali.
La scarsa efficacia e la rigidità del postulato gerarchico dei piani stabilito dalla LU (dall'alto verso il basso: dal territorio nazionale a quello regionale, a quello comunale), insieme ad altre motivazioni, spostano l'attenzione della pianificazione verso un nuovo livello concettuale definito di area vasta. Ci si riferisce, con questo termine, ai nuovi piani non contemplati dalla LU, quali i Piani paesistici, Piani di bacino, Piani di parchi, ecc., strumenti urbanistici che solo in parte si riconoscono come appartenenti a un livello superiore o inferiore. Il concetto di area vasta introduce, di fatto, un nuovo processo di pianificazione territoriale svincolato dai livelli istituzionali e, di volta in volta, consente di affrontare i problemi alla scala ritenuta più congrua con gli obiettivi: Piani di bacino per la pianificazione di aspetti connessi con la risorsa acqua, Piani di parco per la pianificazione di aree a particolare vocazione ambientale, ecc.
È in questo quadro evolutivo della pianificazione che nasce il piano dell'a. metropolitana. Tale esigenza corrisponde a un diverso modello di sviluppo tendenziale del territorio schematicamente riassumibile: nella diradazione della maglia urbana precedentemente coincidente con i confini comunali; nella tendenza dei sistemi produttivi e terziari a delocalizzarsi sul territorio anche fuori dai perimetri urbani; nell'estensione delle reti di infrastrutture di trasporto e telecomunicazioni; nell'estensione dei fenomeni di pendolarismo per motivi di lavoro e di studio; nell'ingovernabilità degli effetti provocati sull'ambiente dall'intervento dell'uomo.
In questa ricerca di nuove unità territoriali di pianificazione, le a.m. si configurano come quelle più idonee a supportare un nuovo processo di pianificazione, teso a individuare ambiti e contesti fisici, sociali, ambientali omogenei non riconducibili a perimetrazioni amministrative quali quelle comunali. Secondo quest'approccio l'a.m. si configura come un sistema omogeneo caratterizzato da un'elevata densità territoriale e dalle relazioni tra le parti che la compongono. L'esigenza di pianificare a questa scala è ormai generalizzata a livello planetario. In Italia essa viene istituzionalizzata con la l. 142/1990, che istituisce le a.m. e i livelli istituzionali per il loro governo.
Due aspetti appaiono principalmente rilevanti nel processo di pianificazione di un'a.m.: quello della delimitazione dell'area così come si è venuta storicamente configurando per effetto delle trasformazioni economico-territoriali e quello istituzionale inerente l'efficacia delle politiche dei governi metropolitani che dovrebbero essere dotati di strumenti e poteri adeguati al loro sviluppo e controllo.
In merito al primo aspetto, le prime esperienze sono state condotte dall'Office of Management and Budget (OMB) negli Stati Uniti che introducono le nuove categorie di Standard Metropolitan Area (SMA) nel 1950 e di Standard Metropolitan Statistical Area (SMSA) nel 1960. I parametri alla base delle delimitazioni sono operativamente riassumibili in alcuni indicatori omogenei riguardanti la densità territoriale, la percentuale di occupati extragricoli, la dinamica demografica, ecc., e in altri indicatori di ''relazioni'', quali i flussi pendolari tra centri. Una SMA o SMSA è dunque al tempo stesso un'area omogenea e un'area funzionale.
Agli inizi degli anni Settanta, sulla base di questa metodologia, si sviluppano ulteriori esperienze di definizione di un'a. metropolitana. In Inghilterra vengono identificati i sistemi urbani giornalieri (Daily Urban Systems, DUS). In quest'esperienza l'a.m. può essere funzionalmente definita come uno spazio territoriale autocontenuto, "all'interno del quale, cioè, gli spostamenti giornalieri prevalenti, quelli per lavoro, risultano superiori a quelli diretti verso l'esterno" (Berry 1973). La SMLA (Standard Metropolitan Labour Area) e la MELA (Metropolitan Economic Labour Area) costituiscono configurazioni metropolitane basate sulla pendolarità di lavoro, condotte presso il Political and economic planning (Hall 1973) e continuate presso la London School of Economics. Sulla base di queste esperienze l'a.m. può, di volta in volta (in relazione all'indicatore privilegiato nel metodo di perimetrazione), essere definita come ''sistema complesso di funzioni interrelate'' o ''un'area omogenea caratterizzata da forti interrelazioni tra le parti''. Omogeneità e funzionalità interna costituiscono, dunque, i requisiti intrinseci e i criteri per una sua definizione.
Per quanto riguarda l'esperienza italiana, elaborazioni culturali isolate di definizione e delimitazione di un'a.m. risalgono agli anni Sessanta (Acquarone 1961; Archibugi 1966; Ardigò 1967, ecc.). Inizialmente queste esperienze culturali privilegiano la dimensione demografica (l'a.m. come grande città) o la densità territoriale o gli aspetti socio-economici. Ma la prima grande esperienza applicativa italiana confrontabile con quelle sopra citate condotte negli USA e in Inghilterra, avviene a opera dello SVIMEZ (Cafiero e Busca 1970). L'identificazione delle a.m. viene svolta su tutto il territorio nazionale ricorrendo a indicatori simili a quelli già usati nelle esperienze citate: dimensione demografica, entità e densità delle attività extragricole, gravitazioni. Un'altra esperienza italiana avviene nel 1986 a opera di un gruppo di lavoro congiunto tra ISTAT e IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana), utilizzando i dati di flusso pendolare intercomunale elaborati per la prima volta in Italia dall'ISTAT nel censimento del 1981. Il territorio italiano è stato suddiviso in 955 sistemi locali del lavoro successivamente riaggregati in 177 regioni funzionali del lavoro.
A partire dal 1990 si sviluppano rapidamente e intensamente gli studi e le ricerche sia sui metodi di perimetrazione dei sistemi metropolitani, sia sulle funzioni da attribuire ai futuri governi metropolitani. Quest'esplosione di studi è soprattutto dovuta all'insorgenza dei fenomeni e anche all'approvazione della l. 142/1990 che impone ad alcuni comuni, considerati i nuclei urbani principali delle rispettive a.m., l'obbligo di delimitare le corrispondenti a. metropolitane. Oltre che sull'aspetto statistico-funzionale, l'attenzione della pianificazione d'area vasta è posta sull'aspetto amministrativo gestionale dal quale scaturiscono gli obiettivi e gli strumenti operativi della pianificazione.
Bibl.: A. Acquarone, Grandi città e aree metropolitane, Bologna 1961; F. Archibugi, La città regione in Italia. Premesse culturali e ipotesi programmatiche, Milano 1966; A. Ardigò, La diffusione urbana, Roma 1967; S. Cafiero, A. Busca, Lo sviluppo metropolitano in Italia, Varese 1970; B.J.L. Berry, Growth centers in the American urban system, Cambridge 1973; P. Hall e altri, The containment of urban England, i: Urban and metropolitan growth processes; ii: The planning system, Londra 1973; L. van den Berg e altri, Urban Europe: A study of growth and decline, Oxford 1981; P. Hall, D. Hay, Growth centres in the European urban system, Londra 1986; E. Salzano, La pianificazione in Italia: premesse informative e linee tendenziali di sviluppo, in AA.VV., Strumenti urbanistici e pianificazione ambientale e paesaggistica, Perugia 1991.
Qualità, stabilità e sicurezza dell'ambiente urbano. − Valutazione della qualità dell'ambiente urbano. − Monitoraggio degli inquinanti. Uno strumento di osservazione permanente dei fenomeni d'inquinamento presenti sul territorio (e in particolare nell'a.m.), utile a sviluppare un'adeguata azione di controllo e in taluni casi di prevenzione, necessita di un appropriato sistema informativo che abbia le seguenti caratteristiche: monitoraggio dei differenti parametri d'inquinamento ambientale; una banca dati con adeguate serie storiche aggiornabili in continuo; sistemi di gestione delle informazioni in grado di funzionare da supporto di programmazione e controllo comprendenti, tra le altre, le elaborazioni statistiche e quelle finalizzate alla verifica dei livelli previsionali.
Un valido sistema di monitoraggio della qualità di un ambiente urbano, e in particolare della qualità dell'aria, deve consentire approcci prima di tutto di tipo integrato, cioè in grado di fornire un controllo più esteso possibile delle varie fonti d'inquinamento; poi territoriale, nel senso di non risultare limitato a pochi punti isolati ma in grado di coprire, anche se non contemporaneamente, più punti e di effettuare operazioni di correlazione/previsione tra la sorgente e l'ambiente circostante; e infine sistematico, in quanto in grado di consentire, tramite l'elaborazione, la gestione della qualità dell'ambiente per garantire l'efficienza dei piani di risanamento e/o d'intervento.
Il monitoraggio di un ambiente può infatti essere distinto in due differenti tipologie: controllo delle ''emissioni''; controllo delle ''immissioni''. Nel primo caso vengono misurati i parametri inquinanti direttamente alla fonte (per es. al termine del camino), scelti a priori in base al tipo di processo industriale utilizzato. L'inquinamento atmosferico, prodotto da diversi composti gassosi e particellari che si formano generalmente nei processi di combustione, deve la sua produzione ed esistenza soprattutto a impianti di riscaldamento domestico, centrali termoelettriche, impianti d'incenerimento, grosse industrie e naturalmente al traffico veicolare; è quindi necessario definire differenti livelli d'intervento al fine di un accorto monitoraggio.
Il monitoraggio degli inquinanti primari, come l'anidride solforosa (prodotta da impianti di riscaldamento e centrali termoelettriche), gli ossidi di azoto quali NO e NO2 (traffico autoveicolare e impianti chimici), il pulviscolo totale sospeso PTS (trasporti, centrali termoelettriche e industrie quali cementifici e acciaierie), gli idrocarburi totali non metanici (inceneritori, impianti di raffinazione, traffico veicolare) e il monossido di carbonio (centrali termoelettriche, traffico autoveicolare, acciaierie), risulta fondamentale anche ai fini di una definizione in forma globale della qualità dell'atmosfera in cui viviamo.
I laboratori mobili costituiscono il sistema più economico, veloce e versatile per effettuare campagne periodiche di misura volte al monitoraggio dei fenomeni d'inquinamento di origine naturale o antropica che interagiscono, spesso danneggiandolo, con il patrimonio monumentale, con quello ambientale e con l'uomo. Oltre ai laboratori mobili possono essere impiegati i laboratori fissi di rilevamento dei parametri ambientali; differiscono dai laboratori mobili soltanto perché non comprendono nella dotazione il mezzo di trasporto (furgone coibentato).
I laboratori sono dotati di sistemi in grado di effettuare l'analisi in continuo degli ossidi di azoto (tramite il metodo della chemioluminescenza continua), dell'anidride solforosa (mediante il metodo a fluorescenza) e del monossido di carbonio (tramite il metodo a raggi infrarossi). Un campionatore automatico che utilizza membrane microporose e un analizzatore a raggi beta consentono la determinazione delle polveri. I laboratori sono dotati altresì di sistemi di rilevamento meteorologico (direzione e velocità del vento; altezza delle precipitazioni; temperatura e umidità dell'aria; radiazione solare).
All'interno del laboratorio un sistema computerizzato, oltre a pilotare gli apparati strumentali, controlla i processi di acquisizione, elaborazione e memorizzazione dei dati. Il sistema, pertanto, sarà dotato di software in grado di fornire il passaggio dal dato campionato al valore immagazzinato, di controllare il grado di accettabilità del dato in relazione allo stato di funzionamento dello strumento di misura e verificare l'appartenenza dello stesso al range di valori accettabili, di memorizzare i dati organizzando un archivio storico. Oltre alla strumentazione sopra riportata, i laboratori mobili sono equipaggiati in genere con un sistema fotogrammetrico, un rugosimetro, un riflettometro, un colorimetro, una telecamera IR-UV-visibile e un sistema ecospettrografico (per individuare distacchi di intonaci, in particolare su affreschi, tramite la misura delle risonanze delle cavità).
Effetti dell'inquinamento sulla salute umana. I contaminanti che si riscontrano nell'aria, e a cui l'apparato respiratorio umano è sempre più sottoposto, sono costituiti da particelle solide di varia grandezza, da sostanze allo stato gassoso e di vapore, da goccioline di liquidi.
I contaminanti pulviscolari che provengono per lo più dai processi industriali, da combustioni e dal traffico cittadino, colpiscono il sistema respiratorio; l'accumulo di polveri nei polmoni causa le malattie conosciute come pneumoconiosi. La dimensione della particella ne determina la pericolosità: le particelle di diametro superiore a 5 μm vengono normalmente trattenute dalle mucose, dalle secrezioni nasali e in misura minore dalle mucose del cavo orale; le particelle di dimensioni inferiori, se non vengono trattenute dallo sbarramento rappresentato dall'epitelio vibratile della trachea e dai primi segmenti dell'albero bronchiale, possono giungere fino agli alveoli polmonari. Il materiale corpuscolato che si deposita nella regione alveolare danneggia i polmoni in vario modo; può, disturbando la normale ventilazione polmonare, aggravare malattie croniche e causare infiammazioni, fibrosi e affezioni cancerose. Oltre alla capacità di danneggiare il tessuto alveolare, tali particelle possono produrre effetti tossici su specifici organi bersaglio o sull'intero organismo. Infatti alcune sostanze solubili, come alcune forme chimiche del piombo, passano nel circolo sanguigno e, dopo essere state rapidamente distribuite ai vari organi, si accumulano nelle ossa, nel fegato, nei reni e nel cervello dove possono esercitare la loro azione nociva con gravi conseguenze. Il piombo proveniente dal piombo tetraetile e tetrametile, impiegato come antidetonante nei carburanti, si riscontra soprattutto in corrispondenza di aree urbane a elevato traffico veicolare e lungo le autostrade. Nel caso del piombo, il valore limite di qualità dell'aria attualmente vigente in Italia è pari a 2 μg/m3, valutato come media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate in un anno (Direttiva CEE 82/884).
Per quanto riguarda le sostanze di natura gassosa tossiche per la salute umana va menzionata l'anidride solforosa, uno degli inquinanti più diffusi, dato che praticamente tutti i combustibili e i carburanti contengono una certa percentuale di zolfo. L'anidride solforosa è il componente principale dell'inquinamento atmosferico dei grandi centri urbani ed è riscontrabile nelle aree industriali con presenza di fonderie e raffinerie. Essendo molto solubile, quest'inquinante esplica la sua azione lesiva soprattutto a livello delle prime vie respiratorie, annullando in tal modo anche le barriere per l'ingresso delle sostanze pulviscolari. Adsorbita sul pulviscolo può inoltre causare profonde lesioni agli alveoli polmonari.
Un altro tipico inquinante atmosferico è il monossido di carbonio, gas inodore e non irritante che agisce come potente veleno ematico. Esso infatti, data la sua elevata affinità per l'emoglobina, dopo essere passato dai polmoni nel sangue, sostituisce l'ossigeno fissandosi chimicamente e formando un composto molto stabile, la carbossiemoglobina. Data la sua grande tendenza a diffondere, si raggiungono concentrazioni di monossido di carbonio pericolose per la salute dell'uomo solo in luoghi non sufficientemente ventilati, come per es. le gallerie. L'effetto tossico dell'ossido di carbonio contenuto nell'aria è funzione sia della concentrazione sia del tempo di azione. Alla soglia di 30 mg/m3 (26 ppm) e con un'esposizione di un'ora si determina un livello di carbossiemoglobina di circa il 2%. A tale livello appaiono alcuni casi di alterazioni comportamentali. Tra i gas irritanti vanno invece menzionati gli ossidi di azoto, soprattutto il biossido di azoto che è molto tossico, data la sua capacità di legarsi all'emoglobina. Per questo motivo, oltre alla semplice irritazione degli occhi e delle prime vie respiratorie, l'esposizione a questi composti può determinare lesioni irreversibili.
Nel caso dello smog fotochimico, due componenti dei gas di scarico degli autoveicoli, gli ossidi di azoto e gli idrocarburi non saturi, si combinano per azione della radiazione ultravioletta e formano nuove sostanze ancora più tossiche: i perossi-acil-nitriti (PAN) e l'ozono (O3), che non solo causano lacrimazione e disturbi respiratori nell'uomo, ma sono estremamente tossici anche per le piante. Altri inquinanti fotochimici che vanno sotto il nome generico di idrocarburi aromatici policiclici (PAH) sono noti cancerogeni.
Effetti dell'inquinamento sui manufatti e monumenti. La presenza di sostanze inquinanti nell'atmosfera e il verificarsi di precipitazioni acide sono la causa dell'accelerato deterioramento del patrimonio monumentale, nonché dei manufatti, degli edifici e delle strutture esposte. All'inquinamento atmosferico sono stati attribuiti tre meccanismi di azione distruttiva che comprendono l'attacco fisico, chimico-fisico e quello microbiologico.
Il primo caso comprende tutti quei fattori che conducono al deterioramento dei monumenti per via meccanica e termica, come per es. l'abrasione eolica e le escursioni di temperatura. Questi fenomeni, che normalmente portano alla fessurizzazione delle strutture in marmo o in pietra, vengono esaltati se nell'aria sono presenti particelle sospese e aerosol solidi.
L'attacco chimico-fisico porta alla variazione della composizione chimica e alle trasformazioni strutturali di pietre, marmi e materiali da costruzione, ed è essenzialmente provocato da reazioni di solubilizzazione e di ossidoriduzione. L'anidride solforosa contribuisce alla corrosione di pietre e metalli. Le anidridi solforosa e solforica in presenza di acqua reagiscono con il marmo, che è essenzialmente carbonato di calcio, con i materiali di natura calcarea o tenuti in loco da malte a base di calce, formando solfato di calcio che, essendo più solubile in acqua, viene dilavato con la pioggia. Oltre alla solfatazione, un altro fattore che porta alla trasformazione dei materiali è rappresentato dall'estrazione di ioni alcalini presenti nei materiali argillosi e dalla loro sostituzione con altri ioni che portano alla deformazione delle strutture fino allo sgretolamento. Un altro componente solforato che si riscontra occasionalmente nell'atmosfera è l'idrogeno solforato, che reagisce facilmente con i metalli e altera i colori delle vernici. La corrosione dei metalli avviene per via elettrochimica sia in condizioni umide sia in condizioni secche per attacco acido e ossidazione.
Infine, i fattori microbiologici sono relativi alla crescita di microrganismi come le muffe, i funghi e i batteri, favorita da particolari condizioni ambientali di umidità e di temperatura e dalla presenza di materiali organici o inorganici depositati. I microrganismi adesi formano un vero e proprio ecosistema, utilizzando nella catena alimentare i materiali lapidei e i metalli.
Bibl.: M. Lippmann, R.B. Schlesinger, Chemical contamination in the human environment, New York 1979; G. Cilli, G. Corrao, E. Scursatone, Inquinamento atmosferico e salute, Milano 1986; A.C. Stern, Air pollution, New York 1986; J.H. Seinfeld, Urban air pollution: state of science, in Science, 243 (1989), pp. 745-52; Atmospheric chemistry, a cura di C.S. Sloane e T.W. Tesche, Chelsea (Michigan) 1991.
Problemi di stabilità e sicurezza del territorio urbano.- Il territorio di un'a.m. è particolarmente sensibile a eventi che ne minacciano la stabilità e la sicura praticabilità. Fenomeni calamitosi legati a franamenti di versanti, a esondazioni di corsi d'acqua, a terremoti ed eruzioni vulcaniche, possono facilmente incidere sulla funzionalità e sul benessere dell'area. Tali eventi, infatti, possono distruggere beni, interrompere sistemi di comunicazione e trasporto, e minacciare la vita e la sicurezza dei cittadini. In tutti i casi essi comportano che risorse importanti e non previste vengano destinate a interventi di risanamento e recupero. Gli eventi calamitosi sono per lo più conseguenza di fenomeni naturali, spesso considerati eccezionali, imprevedibili e inevitabili, tanto da essere definiti, in modo improprio, ''catastrofi naturali''. In realtà tali eventi trovano ampia giustificazione se collocati in un quadro più ampio di continua modellazione e trasformazione della superficie della terra. Il fatto che essi producano effetti negativi e catastrofici è dovuto non tanto al loro carattere di eccezionalità, ma piuttosto al fatto che interagiscono con opere e insediamenti disposti in modo improprio sul territorio. Una corretta progettazione degli interventi, basata sulla preventiva analisi della tendenza evolutiva di un'area, deve costituire pertanto elemento indispensabile di prevenzione e controllo.
Il territorio, inteso come ambiente fisico nel quale s'interviene e si opera, è costituito da terreni disposti in modo da formare zone ad andamento pianeggiante, oppure rilievi delimitati da versanti in pendenza. Il tutto come risultato di una continua evoluzione e trasformazione della parte più superficiale della crosta terrestre. I diversi terreni e le rocce, per caratteristiche genetiche intrinseche e per successive trasformazioni subite, presentano proprietà fisiche e meccaniche diverse. Per cui si possono avere terreni più o meno resistenti e deformabili e, di conseguenza, versanti sicuramente stabili oppure potenzialmente o effettivamente sottoposti a movimenti franosi. Qualsiasi intervento sul territorio implica inevitabilmente una modifica più o meno importante delle condizioni iniziali dei terreni sui quali esso viene eseguito, per effetto, per es., dell'introduzione di carichi conseguenti alla collocazione di edifici o infrastrutture, o per variazioni apportate alle forme iniziali del territorio stesso. Allo stato attuale si dispone di conoscenze consolidate che consentono di prevedere e verificare tali effetti attraverso il confronto tra tipo di azione indotta dall'intervento e caratteristiche dei terreni interessati, per cui una progettazione delle opere preceduta e sostenuta da specifici studi preliminari nell'ambito della geologia, della geotecnica, della meccanica delle terre e delle rocce consente di fare previsioni significative sulla stabilità delle opere e dei terreni sui quali esse andranno a gravare.
I caratteri climatici di una zona e il sistema idraulico naturale che regola il movimento delle acque sul terreno e nel sottosuolo, rappresentano fasi importanti di un complesso equilibrio naturale. Per cui è evidente che interventi sul territorio dovranno armonizzarsi con lo svolgersi del processo idraulico complessivo, in modo da interferire in modo accettabile con esso. Viceversa, interventi che modificano in modo improprio un reticolo idrografico o che, peggio, ignorano l'esistenza di un sistema di circolazione idrica, sono inevitabilmente destinati a subire effetti di esondazione, erosione e scalzamento che, se non previsti, possono avere conseguenze fortemente negative. Anche in questo caso, pertanto, qualsiasi intervento sul territorio dev'essere preceduto da uno studio preliminare delle caratteristiche idrauliche della zona, basato su una stima dei massimi eventi possibili e da una verifica della compatibilità idraulica dell'opera. Le drammatiche esondazioni di corsi d'acqua, tra i quali l'Arno a Firenze (1966), sono state, in questo senso, esempi negativi di uso improprio del territorio.
Anche sui terremoti e sugli effetti che essi possono causare è possibile fare significativi interventi di prevenzione. Sulla base dello studio dei caratteri geostrutturali di una regione e sull'analisi degli episodi avvenuti in passato è possibile individuare zone a maggiore o minore pericolo sismico. Le caratteristiche stratigrafiche e geotecniche locali dei terreni possono inoltre esaltare o attenuare gli effetti di onde sulla superficie del suolo e, quindi, sui manufatti. La scienza e la tecnica delle costruzioni, infine, consentono di progettare opere e strutture adatte a contenere entro limiti accettabili eventuali danni sulle cose e sulle persone.
In presenza di vulcani potenzialmente attivi, infine, è possibile fare previsioni significative sull'eventualità e i caratteri dei possibili fenomeni esplosivi o eruttivi. La misura e il controllo di fattori precursori e premonitori, messi in relazione alle caratteristiche geostrutturali del vulcano, consentono di prevedere, entro ampi limiti, i connotati dell'evento e i caratteri della sua effettiva pericolosità.
Si può pertanto concludere che la stabilità e la sicurezza di un territorio nei confronti di eventi catastrofici è fortemente connessa con gli esiti di studi preliminari in relazione ai diversi tipi d'intervento. Nei casi a maggior rischio, l'impiego di sistemi di monitoraggio e controllo diretto sul territorio potrà facilitare la predisposizione e l'attivazione di tempestive azioni di protezione civile, di pronto intervento e di recupero.
Bibl.: Progetto finalizzato ''Conservazione del suolo'', Atti del Convegno conclusivo, CNR, Roma 1983; H. Tazieff, J.C. Sabroux, Forecasting volcanic events, Amsterdam 1983; M. Benedini, G. Gisotti, Il dissesto idrogeologico. Cause, effetti, interventi a difesa del suolo, Roma 1985; La progettazione geotecnica per la stabilizzazione dei Pendii, Atti del xvi Convegno nazionale di geotecnica, Bologna 1986; E. Boschi, M. Dragoni, Aree sismologiche e rischio sismico in Italia, Roma 1987.
Recupero e riqualificazione dell'ambiente urbano. − Interventi sulla circolazione e sulla viabilità. − L'incremento della mobilità in autovettura è stato affrontato con le tecniche dell'ingegneria del traffico e dei trasporti secondo due stili: la gestione dei momenti di crisi per fornire risposte immediate; la previsione, in base alle tendenze in atto, dei problemi e quindi l'attuazione degli interventi per evitarli o contenerli. Gli interventi tipici del primo caso sono i provvedimenti normativi (divieti e limitazioni). Sulle restrizioni al movimento delle autovetture nei centri urbani si possono fare tre osservazioni: il meccanismo di regolazione non è affidato alle leggi della domanda e dell'offerta; le restrizioni non sono accompagnate da interventi per un differente uso del suolo pubblico (per es. pedonalizzazioni o corsie riservate per il trasporto pubblico); le restrizioni discriminano, in base a criteri spesso opinabili, tra varie categorie di cittadini.
Nel secondo stile d'intervento si cerca di anticipare le situazioni di congestione, d'identificare i punti cruciali della rete esistente, e di programmare gli interventi. L'idea è di prevedere i problemi prima che si presentino o che diventino seri, e di concepire un programma di interventi basati generalmente sul senso comune, per es. di costruire nuove strade, se quelle esistenti sono congestionate. Sono politiche parziali, basate sulla definizione di standard e sulla costruzione di infrastrutture di trasporto, principalmente strade e parcheggi che, nei sistemi altamente interdipendenti delle a.m., hanno portato spesso a effetti controproducenti e indesiderati.
Un primo effetto è contemplato dal paradosso Downs-Thomson: "Le velocità sulla strada decresceranno se i miglioramenti portati al sistema stradale comportano un deterioramento del livello di servizio del trasporto pubblico, quale la diminuzione della frequenza o un aumento delle tariffe a causa della diminuzione della domanda" (Downs 1985; Thomson 1977). Ma anche nel caso di interazioni sul solo sistema stradale sono possibili effetti paradossali. Un'opportuna rilettura del paradosso di Knight (1924), riportato e commentato anche in Mogridge (1991), consente di dimostrare che l'investimento addizionale può comportare con particolari configurazioni della rete stradale e dei volumi di traffico un beneficio complessivo degli utenti nullo.
Un secondo effetto, che si manifesta nelle aree suburbane, è stato chiamato ''Teoria dei buchi neri degli investimenti stradali'' (Plane 1986). Inizialmente l'investimento migliora il livello di servizio della rete stradale e, rendendo assai più facili gli spostamenti in autovettura, causa un aumento del loro numero e della lunghezza media dei percorsi, e incoraggia la diffusione degli insediamenti nelle aree periferiche e rurali. Nel tempo quest'incremento di domanda, stimolato dall'investimento iniziale, richiede ulteriori aumenti di capacità della rete stradale. È un processo con effetti moltiplicativi, che una volta iniziato è difficilmente contenibile con soli interventi sui trasporti.
Un'analisi dei paradossi implica che, se si vuole migliorare il livello di qualità del servizio su strade congestionate, il solo intervento efficace consiste nel migliorare il livello di servizio del sistema di trasporto collettivo. Questo punto di vista è confermato da risultati sperimentali (Mogridge 1991), variamente criticati da Bly, Johnston e Webster (1987) e recentemente da Williams e altri (1991). Quest'ultimo ammette la possibilità che gli investimenti in superstrade urbane possano risultare controproducenti, ma la considera in pratica assai remota. In verità siffatti eventi sembra non siano affatto rari, e pongono bene in luce come tutti gli interventi che producono spostamenti di utenza dal trasporto pubblico all'autovettura siano difficilmente governabili per l'andamento rapidamente decrescente della velocità con la portata e per il forte incremento di consumo dello spazio disponibile per la circolazione, fino a 60 volte, considerando anche lo spazio per la sosta. In queste condizioni sono del tutto illusori i tentativi di fluidificazione del traffico e d'innalzamento della velocità su strada. I miglioramenti si traducono in considerevoli aumenti dei consumi di energia per il trasporto, come mostrato da Newman e Kenworthy (1989), in base a un'analisi comparativa condotta su un campione di a.m. in tutto il mondo.
Infatti è un'idea diffusa che un miglioramento del livello di servizio, velocità maggiori, e soprattutto più regolari, della rete stradale si traducono in più bassi consumi per il singolo veicolo. Dal punto di vista tecnologico questo è vero perché il rendimento del motore migliora all'aumentare del numero di giri e si raggiungono consumi ottimali intorno ai 70 km/h tenuto conto delle resistenze al moto. Ma queste condizioni generano un incremento nell'uso dell'autovettura, un decremento nell'uso del trasporto pubblico, un aumento delle distanze medie percorse. Quest'ultimo effetto provoca, come già visto, la dispersione degli insediamenti. L'a.m. si estende, la crescita della città compatta s'interrompe e l'urbanizzazione prosegue nella campagna con insediamenti a bassa densità di popolazione. L'andamento dei consumi totali per il trasporto, nel campione di a.m., risulta dipendere dalla velocità dell'autovettura e del trasporto pubblico e dalla densità di popolazione, con un valore soglia di 30 abitanti/ha. Le aree nord-americane presentano generalmente densità inferiori e le aree europee densità superiori.
Si possono trarre le seguenti prime conclusioni: la diminuzione della densità di popolazione si accompagna sempre a un forte aumento dei consumi, quasi esponenziale; il miglioramento della velocità in autovettura si accompagna sempre a un aumento quasi lineare dei consumi; il miglioramento della velocità del trasporto pubblico si accompagna viceversa a una diminuzione dei consumi. Dai risultati deriva la necessità d'intraprendere politiche d'intervento sul territorio che favoriscano, nelle vaste aree di dispersione degli insediamenti, zone di concentrazione che avvicinino le attività terziarie e produttive alle residenze. È un fenomeno che si sta verificando con le cosiddette Edge Cities (Garreau 1991). Contemporaneamente occorre rafforzare la forma di città compatta, ad alta densità e con un'offerta di trasporto pubblico concorrenziale con l'autovettura.
Aumento della capacità e della qualità del sistema di trasporto. − Negli anni Sessanta e Settanta i pianificatori del trasporto hanno tentato di risolvere il problema della congestione del traffico costruendo strade migliori e più capaci. Gli ingegneri del traffico hanno migliorato i controlli semaforici con l'uso dell'informatica, la normativa e la riprogettazione delle vie e delle intersezioni. Il governo della mobilità è oggi possibile con tecniche di programmazione e tecnologie capaci di risposte a livelli e orizzonti temporali via via più complessi e lontani, che consentono di predisporre gli interventi per conseguire prefissati obiettivi di assetto territoriale di mobilità.
Un primo intervento di politica dei prezzi e tariffaria, reso possibile dalle nuove tecnologie di rilevamento e identificazione dei veicoli, riguarda il cosiddetto road pricing (Newbery 1990) applicato non solo alla sosta dei veicoli, ma per regolare l'accesso a particolari aree o a particolari infrastrutture viarie, capace di facilitare l'integrazione dei servizi di trasporto e l'interscambio tra modi di trasporto, e di predisporre l'utente a un maggior uso del trasporto pubblico. Sono ormai diffusi e hanno raggiunto elevati livelli di sofisticazione gli strumenti per attuare una specializzazione delle vie e delle piazze, anche in presenza di forti condizionamenti derivanti da vincoli architettonici e ambientali. È possibile così realizzare pedonalizzazioni, corsie riservate al mezzo pubblico, parcheggi, piste ciclabili, protezioni dei pedoni dal traffico meccanizzato, con dissuasori fisici della sosta e arredo urbano. È però anche possibile organizzare le aree despecializzate, le cosiddette zone a velocità moderata, dove convivono i pedoni e le automobili. La moderazione della velocità in ambito urbano (30 km/h) comporta i minori consumi di spazio e di energia (Holzapfel 1988); una sua limitazione permetterebbe dunque di recuperare un maggiore spazio per la circolazione di mezzi pubblici. La deregulation delle aziende di trasporto pubblico contrasta i meccanismi che burocratizzano i rapporti con gli enti locali, rafforza l'ingerenza del potere politico e consente l'affermarsi di un monopolio del servizio in una data area. L'obiettivo è di abbassare i costi e diversificare i servizi per allargare il mercato dell'utenza (v. anche trasporto: Trasporti urbani).
La tecnologia delle telecomunicazioni e del trattamento delle informazioni (telematica) consente interazioni sostitutive e complementari con il sistema di trasporti. Le applicazioni dirette sui trasporti collettivi possono aumentarne l'efficienza e la sicurezza attraverso il monitoraggio, la regolazione e l'informazione agli utenti. La piena utilizzazione delle potenzialità di queste tecnologie richiede una forte integrazione tra le case produttrici di veicoli, i costruttori e i gestori delle infrastrutture, e le amministrazioni pubbliche.
Metropolitane leggere. Il trasporto in sede propria incentiva l'aumento di densità lungo i corridoi serviti e costituisce dunque elemento per la concentrazione delle attività e delle residenze, che, come si è visto, è uno degli elementi principali su cui agire per ridurre la dipendenza della città dall'automobile. Gli studi di molti sistemi a guida vincolata presenti sul mercato sono iniziati negli anni Sessanta e hanno richiesto mediamente una decina di anni di ricerche e sviluppi prima della commercializzazione in impianti di normale esercizio. I nuovi sistemi sono caratterizzati dall'aumento del comfort, dall'automazione, dalla riduzione delle dimensioni delle infrastrutture e quindi dei costi di costruzione, dall'uso di materiali leggeri e di veicoli di dimensioni più contenute, da una maggiore flessibilità nel tracciato, dalla modularità per un potenziamento progressivo degli impianti.
Secondo tali indirizzi sono state proposte nell'ultimo decennio le metropolitane leggere, una forma di trasporto che si pone a metà strada tra l'autobus e il tram da una parte e la metropolitana propriamente detta dall'altra, con portate massime di circa 20.000 posti/h e con velocità commerciali dell'ordine di 25 km/h. Alcuni esempi possono chiarire le caratteristiche di alcuni sistemi innovativi di metropolitana leggera. Il People mover di Miami in Florida ha una portata compresa tra 2000 e 18.000 posti/h per direzione di marcia. I convogli possono essere costituiti di 1, 2 o 3 veicoli con capienza massima variabile tra 100 e 300 passeggeri per treno. La velocità commerciale è compresa tra 25 e 30 km/h, con punte di 60 km/h, e le frequenze possono arrivare a un massimo di 60 convogli l'ora. Il rumore non supera i 70 dB. Il raggio minimo di curvatura ammesso è di 20 metri con pendenza longitudinale massima consentita del 10%.
Lo Scarborough rail transit system di Toronto in Canada ha una portata massima di 9600 posti/h con velocità commerciale di 25÷30 km/h a distanziamenti temporali minimi di 60 secondi e velocità di punta di 80 km/h. Due particolarità tecnologiche sono i carrelli con ruote sterzanti per ridurre le usure e il livello del rumore e i motori lineari per la propulsione. Il Vehicul Automatique Léger (VAL) di Lille in Francia è con automatismo integrale (senza conducente). Le vetture, di dimensioni limitate (100÷200 posti), sono dotate di pneumatici e di guide laterali su entrambi i lati e al centro della linea. La velocità commerciale conseguita in queste condizioni si aggira sui 35 km/h con velocità di punta di 80 km/h.
Parcheggi periferici. Il traffico pendolare in autovettura, fonte principale di congestione delle grandi a.m., può essere contenuto con la realizzazione di parcheggi d'interscambio auto-trasporto pubblico nelle aree periferiche. Il parcheggio dev'essere situato adiacente a una linea di trasporto pubblico radiale, rapida e frequente, con una buona accessibilità dalla rete stradale e all'esterno di aree congestionate. La priorità spetta alle stazioni ferroviarie suburbane e periferiche e del trasporto collettivo urbano in sede propria (metropolitane), prossime ai grandi assi stradali e autostradali.
L'accoglienza favorevole da parte dell'utenza all'interscambio dipende dall'ottimizzazione delle operazioni di trasferimento da un mezzo all'altro. La disposizione dei parcheggi, delle banchine delle autolinee, della stazione ferroviaria deve rendere minime le distanze che è necessario percorrere per effettuare lo scambio. Le perdite di tempo nei trasbordi possono essere minimizzate con un adeguato coordinamento degli arrivi, mentre l'integrazione delle tariffe dei parcheggi e dei mezzi pubblici evita l'accodamento alle biglietterie e perdite di tempo. Monitor e pannelli touch-sensitive (tipo Digiplan), accanto a forme d'informazione classiche (mappe, tabelle orarie, paline attrezzate), consentono di fornire al passeggero un efficace sistema informativo articolato su più livelli.
L'integrazione tra rete portante e di adduzione del trasporto pubblico e parcheggi può richiedere alcune connessioni di modesta lunghezza per ridurre i tempi o per superare difficoltà altimetriche. In questo caso sono utilizzabili i sistemi continui quali tappeti mobili, i sistemi semicontinui (teleferiche con cabine poggiate sul suolo, tipo il sistema SK francese) e i sistemi discontinui (a navetta).
Sviluppo di tecnologie per la riduzione delle emissioni inquinanti. − Premessa. Una fonte dell'inquinamento atmosferico nelle a.m. è, come si è visto, il traffico, e deriva dai gas di scarico, dalle perdite per evaporazione dei combustibili, dalle perdite di olio e dalle polveri provocate dall'usura, principalmente dei freni e dei pneumatici (Watkins 1991). Uno studio dell'OCSE ha stimato che in un centro urbano medio il traffico è responsabile del 100% di monossido di carbonio CO e di piombo, di almeno il 60% di ossidi di azoto (NOx) e idrocarburi (HC), di circa il 10% di composti solforosi e del 50% di particolato.
In un motore ideale con una perfetta combustione i soli prodotti sarebbero acqua e anidride carbonica, a parte impurità e additivi del combustibile. In pratica i motori a benzina emettono, oltre agli inquinanti già visti, anche composti di piombo, zolfo e fosforo provenienti dagli additivi del carburante e dall'olio del motore. Il motore diesel emette principalmente ossidi di azoto, andride solforosa e particolato. Le quantità di emissioni di un veicolo dipendono da molteplici fattori (Martin e Michaelis 1992). I principali sviluppi tecnologici per contenere le emissioni riguardano il post-trattamento dei gas di scarico, l'ingegneria del veicolo, i sistemi di propulsione e i carburanti alternativi (per notizie di maggior dettaglio, v. anche motore: Motori termici, in questa Appendice). Le emissioni dipendono anche dalla manutenzione del veicolo. Controlli periodici sono già previsti in molti paesi, ma spesso sono inefficaci. Un'indagine ha mostrato che una soddisfacente manutenzione può portare a una riduzione fino al 13% dei consumi. Le riduzioni di consumi e di emissioni ottenute non sono però la somma dei contributi dati dai singoli interventi, poiché tra loro interagiscono in modo complesso.
Post-trattamento delle emissioni. Nei motori a benzina la combustione incompleta viene ultimata da post-combustori di tipo termico o catalitico. Questi ultimi, più noti come marmitte catalitiche, realizzano ossidazioni e riduzioni dei gas con un catalizzatore di metallo nobile (v. anche autoveicolo, in questa Appendice). Sono disponibili quattro tipi di marmitte catalitiche: tre, dette ''a due vie'', abbattono solo HC e CO; l'ultima, ''a tre vie'', rappresenta il sistema più completo di trattamento, abbattendo contemporaneamente i tre inquinanti principali: HC e solventi, CO e NOx.
I catalizzatori a due vie sono più semplici e non richiedono sistemi di regolazione elettronica. Alcuni modelli che possono essere installati su vetture non predisposte sono anche denominati retrofit. L'effetto sulle emissioni risulta mediamente intorno al 50%. La marmitta catalitica a tre vie consente di agire nel modo migliore sui tre inquinanti principali, ma esige una composizione della miscela aria-benzina rigorosamente stechiometrica pari al rapporto 14,7/1. Una ''sonda Lambda'' collegata alla centralina elettronica, che regola l'iniezione, rileva indirettamente la composizione dei gas di scarico dalla misura del tenore di ossigeno. Per l'efficienza della marmitta occorrono temperature superiori a 280 °C, raggiungibili dopo qualche chilometro da una partenza a freddo. L'efficienza può essere compromessa in modo permanente dal surriscaldamento e dal piombo della benzina. Il surriscaldamento può aversi durante i transitori del motore, allorché non viene rispettata la composizione stechiometrica. Per le marmitte catalitiche occorre utilizzare benzina ''verde'', priva di additivi a base di piombo. La conversione dei tre gas nocivi può arrivare con la marmitta catalitica fino al 95%, ma in pratica la riduzione media è dell'ordine del 70÷80%, con un incremento dei consumi che può arrivare fino al 16%. L'uso delle marmitte catalitiche per i motori diesel è discutibile, in quanto non abbatte l'emissione principale rappresentata dal particolato. Le emissioni di particolato dei motori diesel vengono abbattute mediante un dispositivo denominato ''trappola del particolato''. Dispositivi di grande efficacia sono realizzati con filtri in ceramica porosa oppure con filtri a candela. La rigenerazione dei filtri viene realizzata con sistemi interamente automatici di post-combustione. Il costo e gli ingombri limitano l'impiego delle trappole negli autobus e negli autocarri.
Ingegneria del veicolo. La scelta dei materiali, i metodi di fabbricazione e di assemblaggio, la forma del veicolo, gli equipaggiamenti ausiliari come i pneumatici modificano il peso e le resistenze al moto e quindi i consumi di energia e le relative emissioni. Il peso del veicolo influenza i consumi energetici per le resistenze al rotolamento e nei moti vari di accelerazione e frenatura. Una riduzione del 10% del peso di un generico veicolo riduce approssimativamente del 5% i consumi. Il peso di un veicolo può essere diminuito agendo in quattro modi: la riduzione delle dimensioni, l'uso di materiali più leggeri, il miglioramento del progetto e il miglioramento dell'assemblaggio.
Le resistenze al moto più importanti in ambiente urbano sono le resistenze al rotolamento che misurano l'energia perduta nel contatto strada/pneumatico, per l'isteresi delle deformazioni del pneumatico e per gli scorrimenti dell'impronta. Queste resistenze sommano a circa 1/3 dello sforzo di trazione di un veicolo. I miglioramenti dipendono dall'uso di pneumatici più leggeri ed elastici. La riduzione degli scorrimenti dipende dal miglioramento dell'assetto del veicolo e della sterzatura. La società Honda ha prodotto un'autovettura con un coefficiente di resistenza al rotolamento dello 0,009 rispetto a un valore medio dello 0,013. La riduzione nei consumi per il solo effetto dell'abbassamento della resistenza al rotolamento è di circa il 10%.
Nuovi sistemi propulsivi. I motori a combustione interna operano in ambiente urbano con parzializzazioni, che non sono le più efficienti per fornire una data forza di trazione. Le trasmissioni automatiche a variazione continua possono ottimizzare il funzionamento del motore, se sono dotate di un numero sufficiente di rapporti. L'ottimizzazione della trasmissione della forza di trazione è raggiungibile con l'uso di computer di bordo. Altri miglioramenti delle prestazioni, risparmio di energia e riduzione delle emissioni, possono conseguirsi con l'impiego delle seguenti misure: rapporti di compressione variabili, iniezione e tempi con regolazione elettronica, ricircolo dei gas di scarico, motore ridotto con coppia elevata a basso numero di giri, combustione con miscela magra, combustione con carica stratificata, spegnimento del motore nelle soste temporanee, motore a due tempi. Gli interventi sul motore e sulla trasmissione possono complessivamente conseguire un risparmio di carburante del 30÷35% nelle autovetture.
Sistemi di trazione, alternativi al motore a combustione interna, sono rappresentati dai motori a combustione esterna. Questi sono i motori a vapore, i motori Stirling e le turbine a gas. Solo il motore Stirling ha raggiunto e anche superato l'efficienza del motore diesel. Lo sviluppo delle batterie al sodio-fluoro ha notevolmente migliorato le prestazioni dei veicoli elettrici, e il rendimento globale è ormai comparabile ai motori diesel. Il riciclo delle batterie esauste non ha però avuto ancora risposte soddisfacenti.
Di particolare rilevanza nei sistemi innovativi di trazione sono i veicoli ibridi, i sistemi modulari e le celle di combustibile. La trazione ibrida sembra la più promettente tecnologicamente ed economicamente. È costituita da un convertitore principale di energia, generalmente un motore termico (a combustione interna o esterna), da un sistema di accumulazione (spesso in forma elettrochimica o cinetica), e da un sistema di erogazione di potenza alle ruote (quasi sempre tramite un motore elettrico). Tale descrizione è solamente indicativa: gli studi condotti su veicoli alternativi hanno definito infatti un elevato numero di soluzioni, ugualmente rispondenti alla definizione data, ma estremamente diverse come tipologia concettuale. La soluzione ibrida è particolarmente adatta in campo urbano, dove la richiesta media di potenza è decisamente inferiore rispetto alla potenza nominale installata per garantire le previste prestazioni di accelerazione, ripresa e velocità massima. Questa sproporzione tra la potenza media utilizzata e la potenza installata (nel caso di una vettura utilitaria, indicativamente 5 e 30 kW) è sfavorevole al funzionamento del motore a combustione, che risulta più inquinante a carico parziale. La soluzione ibrida è costituita da un motore elettrico per la trazione di 30 kW, da un pacco ridotto di batterie e da un gruppo generatore connesso con un motore termico di 5 kW, dimensionato per la potenza media necessaria nel ciclo urbano. L'autonomia elettrica di tale veicolo diventa funzione dell'autonomia del motore termico, adeguatamente dimensionato, per consentire solo la ricarica degli accumulatori e funzionare a punto fisso e carico costante; questa caratteristica permette così di avere il minor consumo specifico (combustione in condizioni di pieno carico, pressoché costanti e note), di ridurre la cilindrata e, di conseguenza, di limitare le emissioni dei gas inquinanti.
In tali condizioni di funzionamento gli interventi per migliorare la combustione − in particolare per i motori diesel, indirizzatisi verso un accurato studio della geometria della camera di combustione, con l'ottimizzazione del rapporto aria/combustibile, l'adozione della sovralimentazione e di trappole del particolato − consentono infatti il funzionamento del motore endotermico con bassissimo impatto ambientale, tale da soddisfare le norme ULEV californiane (Ultra Low Emission Vehicle) previste per il 1997. Risultati ancora migliori potrebbero essere conseguiti con l'adozione nel gruppo generatore di un motore a combustione esterna (Stirling), motore che nell'impiego a punto fisso esprime al meglio le sue caratteristiche di semplicità e minime emissioni inquinanti.
Carburanti alternativi. La benzina e il gasolio possono subire processi chimici e termici per rimuovere i composti con basso e alto peso molecolare e lo zolfo, con l'obiettivo di ridurre le emissioni degli inquinanti e l'evaporazione dei componenti volatili. Un vantaggio particolare di questi combustibili trattati è un'immediata riduzione dell'inquinamento, senza necessità di modificare il parco veicolare. Grande interesse hanno anche i carburanti alternativi (v. carburanti, in questa Appendice).
Le modifiche per l'uso di questi carburanti nei motori convenzionali possono essere modeste, ma spesso a scapito di una perdita in prestazioni che può raggiungere il 10%, mentre maggiori possono essere le modifiche nella produzione, trasporto e vendita. Gli effetti sulle emissioni non sempre sono soddisfacenti; così, gli esperimenti condotti sull'uso del gas naturale e del GPL hanno posto in evidenza, accanto a una forte riduzione della fumosità, un deciso aumento degli idrocarburi incombusti.
Riduzione dell'inquinamento acustico. − Nel traffico le fonti principali di rumori sono: l'aspirazione, il gas di scarico e la ventola del motore, le trasmissioni, il contatto ruota-pavimentazione stradale, i freni e le vibrazioni della scocca. Il rumore prodotto dal contatto ruotapavimentazione è generalmente quello dominante per le velocità oltre i 40÷50 km/h. Diverse misure possono essere prese per contenere il rumore del traffico: la riduzione della rumorosità dei veicoli, la concentrazione del traffico sulle arterie principali, la costituzione di spazi liberi attorno alle principali arterie e la progettazione degli edifici.
I veicoli negli ultimi venti anni hanno ridotto notevolmente i rumori, e quindi ulteriori riduzioni sono molto costose. I miglioramenti più consistenti si possono ottenere nei riguardi dei motocicli che finora hanno goduto di una legislazione particolarmente tollerante. Nel caso dei veicoli pesanti la riduzione dei rumori dev'essere accompagnata da incentivi fiscali, stante la difficile situazione economica del settore del trasporto merci e del trasporto pubblico. La concentrazione del traffico riduce sensibilmente la popolazione esposta al rumore, poiché il livello del rumore è poco sensibile all'incremento del traffico.
Gli ultimi due interventi possono essere adottati in zone di nuova edificazione. Gli spazi liberi consentono un'attenuazione del rumore con la distanza. Gli edifici possono essere isolati con l'uso di particolari materiali, infissi e vetri, l'esposizione degli ambienti può essere studiata per proteggere la zona notte, le strutture possono essere progettate per ridurre la trasmissione delle vibrazioni dalla strada (per notizie di maggiore dettaglio v. acustica, in questa Appendice).
Bibl.: F.H. Knight Some fallacies in the interpretation of social cost, in Quarterly Journal of Economics, 38 (1924), pp. 582-606; J.M. Thomson, Great cities and their traffic, Londra 1977; A. Downs, The law of peak-hour expressway congestion, in Trasportation Quarterly, 14 (1985); D. Plane, Urban transportation: policy alternatives, in The geography of urban transportation, a cura di S. Hanson, New York 1986; P.H. Bly, R.H. Johnston, F.V. Webster, A panacea for road congestion?, in Traffic Engineering and Control, 28 (1987), pp. 8-12, 19-20; H. Holzapfel, K. Traube, O. Ulrich, Traffico 2000, trad. it., Padova 1988; P.W.G. Newman, J.R. Kenworthy, Cities and automobile dependence: a sourcebook, Aldershot 1989; D.M. Newbery, Pricing and congestion: economic principles relevant to pricing roads, in Oxford Rewiev of Economic Policy, 6, 2 (1990), pp. 22-38; J. Garreau, Edge City, New York 1991; M.J.H. Mogridge, Travel in towns: jam yesterday, jam today and jam tomorrow, Londra 1991; L.H. Watkins, Air pollution from road vehicles, Her Majesty Stationery Office, ivi 1991; H.C.V. Williams, W.M. Lam, J. Austin J., K.S. Kim, Transport policy appraisal with equilibrium models, iii, Investment benefits in multimodal systems, in Transportation Research, B, 5 (1991), pp. 296-316; D. Martin, L. Michaelis, Road transport and the environment, Policy, technology and market forces, in Financial Times Business Information 1992.
Ruolo dell'innovazione tecnologica. − Infrastrutture viarie. − Fra i procedimenti costruttivi innovativi e i materiali di nuova concezione che l'evoluzione della tecnica stradale ha messo a disposizione dei costruttori e dei gestori delle infrastrutture viarie, particolarmente interessanti ai fini di interventi di recupero e riqualificazione nell'ambiente urbano risultano da una parte le tecniche d'intervento che tendono a migliorare le caratteristiche funzionali delle infrastrutture esistenti, dall'altra quelle che tendono a eliminare, o quanto meno a mitigare, gli effetti negativi della circolazione sull'ambiente.
Fra le prime ricadono le tecniche di costruzione delle pavimentazioni stradali, che devono presentare la caratteristica di assicurare adeguati standard di sicurezza e comfort agli utenti per lunghi periodi di tempo, riducendo così al minimo gli interventi di manutenzione soprattutto in zone a forte intensità di traffico; in tali zone la preferenza dev'essere data a soluzioni costruttive robuste, le cosiddette ''pavimentazioni permanenti'' (o pavimentazioni a manutenzione zero).
Per quanto riguarda la manutenzione delle pavimentazioni in conglomerato bituminoso, sempre più usate risultano le tecniche di riutilizzazione dei materiali delle pavimentazioni esistenti che, oltre alle economie a livello di costo di trasporto (soprattutto nel caso in cui si proceda al trattamento in sito dei materiali costituenti le pavimentazioni), permettono di ridurre il bisogno di leganti bituminosi vergini e le richieste di inerti di prima qualità, oltre a offrire evidenti vantaggi sul piano ecologico (riduzione del numero delle cave, minori quantitativi di materiali da smaltire in discarica).
I metodi di riutilizzazione adottati sono essenzialmente di due tipi, a seconda che sia prevista o meno l'introduzione nella miscela da riutilizzare di componenti nuovi, tali da portare alla costituzione di una nuova miscela. I due metodi possono essere definiti:
a) di ''rigenerazione'', che comporta il ripristino delle caratteristiche superficiali di una pavimentazione, quali la regolarità e l'aderenza, senza rimiscelare il conglomerato bituminoso dello strato superficiale; tale trattamento può avvenire a caldo (termoprofilatura, termorigenerazione) o a freddo;
b) di ''riciclaggio'' propriamente detto, che consiste nel rinnovare o migliorare le caratteristiche dei materiali costituenti gli strati superficiali e di base di una pavimentazione flessibile attraverso la ricostituzione dei materiali che la compongono (aggiungendo in tutti i casi materiali nuovi); il trattamento si può dividere in due categorie in rapporto agli strati della pavimentazione interessati dall'intervento: il riciclaggio superficiale riguarda esclusivamente gli strati della pavimentazione legati a bitume, mentre il riciclaggio profondo riguarda anche gli strati profondi non legati a bitume.
Per quanto riguarda gli interventi che tendono a eliminare o quantomeno a mitigare gli effetti negativi della circolazione sull'ambiente, si vanno particolarmente diffondendo quelli che riducono l'inquinamento acustico. Fra le misure adottate a questo scopo si distinguono interventi intesi a ridurre l'emissione alla fonte come, nel caso stradale, le pavimentazioni fono-assorbenti (che possono ridurre il livello dell'inquinamento acustico di 3,5÷4,5 dB), e nel caso di tramvie, metropolitane e ferrovie le ''sovrastrutture innovative'' (l'attenuazione delle emissioni acustiche è di circa 7÷10 dB), e interventi che agiscono nella fase di propagazione, come l'installazione di barriere naturali, artificiali o miste.
Le barriere naturali sono costituite da una combinazione di alberi e cespugli disposti parallelamente all'infrastruttura da schermare in fasce di circa 6÷7 m di profondità; utilizzando particolari specie arboree è possibile ottenere un abbattimento del rumore di 5÷10 dB. Le barriere artificiali sono indispensabili quando gli spazi a disposizione sono esigui; dal punto di vista acustico è possibile individuare: pannelli a funzionamento congiuntamente fonoisolante e fonoassorbente; pannelli a funzionamento prevalentemente fonoassorbente. A seconda del tipo di pannello adottato l'isolamente acustico risulta superiore a 30 dB o a 24 dB. Le barriere miste sono costituite essenzialmente da una struttura artificiale portante che si ricopre di vegetazione (biomuri, barriere vegetative, muri verdi); dal punto di vista delle prestazioni presentano proprietà simili alle barriere vegetali ma hanno il vantaggio rispetto a queste ultime di un ingombro ridotto; come le barriere vegetali richiedono tempi di attesa e cure per raggiungere la piena efficienza funzionale (v. anche acustica, in questa Appendice).
Edifici. Gli edifici sono stati dotati nel tempo di un insieme sempre più vasto e complesso di attrezzature e impianti con l'obiettivo di offrire agli utenti condizioni sempre migliori in termini di comfort ambientale, di sicurezza e di possibilità di comunicazione. L'adozione negli edifici delle innovazioni prodotte nel campo della micro/elettronica e dell'informatica ha consentito d'incrementare i livelli di prestazioni e l'affidabilità degli stessi e, allo stesso tempo, ha reso possibile lo scambio di informazioni tra sistemi diversi. Tale possibilità ha avviato la ricerca di sistemi a gestione integrata con l'obiettivo di ottimizzare il funzionamento delle diverse dotazioni tecnologiche dell'edificio.
L'edificio stesso sta diventando quindi un sistema tecnologico in grado di produrre un ambiente gradevole e di proteggerlo (edificio intelligente). Il criterio seguito è quello di dotare l'edificio di un sistema di cablaggio in grado d'interconnettere tutte le attrezzature e le reti tecnologiche installate (rete elettrica, informatica, telefonica, video, di condizionamento termico, di allarme, ecc.) in modo da consentire la gestione centralizzata delle diverse parti. I sistemi di gestione integrata degli edifici si distinguono a seconda che siano rivolti all'edilizia residenziale (home automation) o a quella non residenziale (building automation). Nel caso della building automation l'obiettivo è quello di gestire al meglio il funzionamento fisico di un intero edificio, ottimizzando le interrelazioni tra le diverse parti e pochi operatori umani specializzati (manutentori e gestori). La home automation è destinata invece alla gestione di singole unità abitative da parte di utenti non specializzati (i componenti della famiglia; v. anche casa: Tecnologia per la casa, in questa Appendice). Le due tipologie di sistemi presentano quindi importanti differenze in termini di dimensioni, di funzioni da integrare, di soluzioni ergonomiche e di soluzioni tecniche per l'alloggiamento dei cablaggi e dei sensori.
Bibl.: P. Giannattasio, A. Marchionna, Réutilisation des matériaux bitumineux-Recyclage, Rapport du Comité tecnique des routes souples, xviii Congrès mondial de la route, Bruxelles, settembre 1987; Commissione Anas, Ente Ferrovie dello Stato, Società Autostrade, Aiscat, Ministero dell'Ambiente: Istruzioni per l'inserimento ambientale delle infrastrutture stradali e ferroviarie con riferimento al controllo dell'inquinamento acustico, gennaio 1992.
Raccolta, trattamento e smaltimento delle acque di scarico e dei rifiuti solidi urbani. − In un'a.m. i problemi relativi allo smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti solidi (v. anche acqua, e rifiuti, in questa Appendice) sono, se possibile, amplificati a causa delle particolari condizioni ambientali dovute all'intensa urbanizzazione.
Acque reflue urbane. Lo smaltimento deve, da un lato, realizzare il rapido allontanamento delle acque reflue attraverso la rete di fognatura e l'avvio all'impianto di depurazione dei liquami e, dall'altro, assicurarne il trattamento prima del loro sversamento nei corpi idrici ricettori. Tuttavia questi obiettivi devono tener conto della morfologia e dell'idrografia del territorio, dell'urbanizzazione, delle caratteristiche dei corpi idrici ricettori, nonché dell'economicità dell'intero sistema di depurazione. Per questi motivi il territorio di un'a.m. si suddivide spesso in ''comprensori di depurazione'' che riuniscono i bacini idraulici e le unità urbanistiche le cui acque raggiungono un impianto di depurazione centralizzato. Se nell'a.m. esistono zone a scarsa densità edilizia e demografica, si adottano impianti piccoli e reti locali.
Grosse difficoltà si rilevano tuttora nella gestione degli impianti di depurazione anche a causa dell'elevato numero di enti di gestione dei servizi (acquedotto, fognatura, depurazione, ecc.) spesso privi di adeguato coordinamento. La rete fognaria afferente all'impianto di depurazione, in particolare, può essere causa di un suo cattivo funzionamento. In quasi tutti i grandi centri urbani italiani le fognature sono di tipo misto, cioè adducono contemporaneamente le acque nere provenienti dalle abitazioni e le acque di pioggia. Questo comporta una notevole variabilità dei carichi inquinanti e idraulici a cui è soggetto l'impianto. Dati i costi proibitivi, non appare proponibile la separazione delle reti miste esistenti, mentre è auspicabile che nelle nuove urbanizzazioni siano realizzate reti separate, nonostante le difficoltà a mantenerle effettivamente tali (possibilità di infiltrazioni nella fognatura nera e di allacci abusivi in quella bianca).
Nelle grandi aree urbane italiane, specialmente in quelle antiche, il problema gestionale si complica, in quanto alle infiltrazioni nei collettori obsoleti si aggiunge l'elevata dotazione idrica. Per tali motivi il liquame addotto agli impianti di depurazione ha una concentrazione di inquinanti molto bassa e portate medie e di punta molto elevate; tutto questo in contrasto con gli originali criteri progettuali. Di conseguenza, tutti i grandi impianti hanno dovuto subire interventi di ristrutturazione e di ampliamento. Attualmente, mentre ancora sussistono le difficoltà menzionate per rendere effettivamente operativi gli impianti esistenti di tipo tradizionale, va sempre più affermandosi la necessità di trattamenti avanzati per la rimozione dei nutrienti (azoto e fosforo).
Altre difficoltà sono provocate dalla presenza all'interno del tessuto urbano di attività piccolo-industriali e artigianali. I loro scarichi possono in taluni casi modificare sensibilmente le caratteristiche qualitative e quantitative degli affluenti all'impianto con notevoli ripercussioni sul processo depurativo che, essendo spesso di tipo biologico, risulta estremamente sensibile alle condizioni ambientali.
Un cenno va fatto anche ai problemi d'impatto ambientale che questi impianti presentano quando sono inseriti in un contesto urbano: gli impatti più immediati, che spesso creano problemi con i residenti delle zone limitrofe, sono dovuti alla propagazione di cattivi odori, di aerosol, di rumori molesti.
Per i cattivi odori è opportuno ricoprire alcune unità dell'impianto collegandole a una centrale di deodorizzazione. Gli aerosol, costituiti da gocce microscopiche di liquido che possono trascinare anche batteri e virus, sono introdotti nell'atmosfera soprattutto dai sistemi di aerazione superficiale dei reattori biologici; tali sistemi devono essere sostituiti con quelli a insufflazione d'aria o, per lo meno, dovrebbero essere creati schermi o coperture di protezione delle zone di turbolenza.
I rumori molesti, prodotti prevalentemente dal funzionamento continuo dei macchinari utilizzati nell'impianto, possono essere limitati, oltre che con una particolare attenzione durante la fase progettuale, con un'insonorizzazione dei macchinari stessi o dei locali in cui risultano installati. Il degrado estetico può invece essere ridotto realizzando semplici barriere arboree di protezione. Il fango, infine, richiede un trattamento che risulta troppo oneroso se effettuato per singolo impianto; nelle grandi aree urbane un sistema centralizzato di smaltimento dei fanghi prodotti dai vari impianti può risultare più affidabile del singolo trattamento.
Rifiuti solidi urbani. La produzione pro capite di rifiuti solidi urbani è in continuo aumento, mentre si evolve la loro composizione merceologica; in particolare si riscontra una diminuzione del contenuto di sostanza organica rispetto a un aumento di carta e plastica, con conseguente diminuzione del peso specifico. Il fenomeno è legato al cambiamento di abitudini e in particolare al notevole sviluppo del settore terziario, ma anche all'introduzione sul mercato di nuovi prodotti. Tali considerazioni inducono a prevedere un sistema ottimale di smaltimento dei rifiuti che, nel rispetto delle esigenze di carattere ambientale, realizzi elevati recuperi di materia ed energia come previsto dalla legge. L'orientamento attuale è quello di realizzare sistemi integrati di smaltimento che, introducendo la raccolta differenziata di alcuni materiali riciclabili o pericolosi, prevedano per la restante parte una semplice selezione che renda possibile il trattamento diversificato (attraverso impianti di compostaggio o digestione anaerobica, forni d'incenerimento, discarica controllata) delle varie frazioni con il massimo rendimento e un minimo impatto ambientale.
Risulta utile istituire la raccolta differenziata della frazione umida dei rifiuti solidi urbani e assimilabili (scarti mercatali, utenze di ristorazione ed eventualmente domestiche). Il rifiuto così raccolto, a contenuto molto elevato di sostanza organica e sicuramente non contaminato da sostanze pericolose, è inviato a un impianto di compostaggio dove avviene la digestione aerobica e la trasformazione in ammendante da utilizzare in agricoltura.
La raccolta differenziata deve tener conto delle effettive condizioni locali relative ovviamente alle caratteristiche quali-quantitative dei rifiuti, ma anche ai sistemi di conferimento, raccolta e smaltimento finale, nonché alle interazioni con le attività produttive presenti e all'individuazione dei possibili mercati delle diverse frazioni.
Va detto che, se la raccolta del vetro con le tradizionali campane è ormai consolidata, per altri materiali vanno realizzati sistemi diversi (come già detto per la sostanza organica) che prevedano la raccolta presso i grossi centri di produzione. Per la carta va prevista una raccolta presso le pubbliche amministrazioni, i ministeri, le sedi delle grandi società, le copisterie, ecc., in cui il rifiuto prodotto è al 90% costituito da carta, e quindi una sua raccolta avrebbe un elevatissimo rendimento di recupero; analogamente, per l'alluminio, rappresentato in gran parte dalle lattine delle bevande, vanno individuati i centri di maggior consumo per collocarvi appositi raccoglitori.
Per quanto riguarda la restante massa dei rifiuti, dopo la separazione per via magnetica della frazione ferrosa, una semplice selezione per mezzo di vagliatura e classificazione ad aria può portare alla separazione della frazione a più elevato potere calorifico (carta, plastica, tessili) che costituisce il cosiddetto Combustibile derivato dai Rifiuti (CdR). Tale combustibile può essere avviato a un impianto di combustione con recupero di energia. La frazione residua è trasferita alla discarica controllata. La discarica funge anche da volano nel caso di sosta dell'impianto d'incenerimento o di quello di compostaggio, e deve pertanto essere sempre disponibile. Il sistema integrato descritto consente quindi di ottimizzare i vari trattamenti e di ottenere il massimo recupero di materiali e/o energia.
Al di là della raccolta dei materiali riciclabili va comunque sempre eseguita la raccolta dei rifiuti urbani pericolosi (pile, farmaci scaduti, prodotti etichettati T e/o F) ai fini di un loro corretto smaltimento per ridurre la pericolosità dei rifiuti restanti. Connessa alla raccolta di questi rifiuti pericolosi c'è anche quella, che in un grande centro urbano assume notevole rilevanza, dei rifiuti speciali ospedalieri, ovvero di quei rifiuti speciali provenienti da strutture sanitarie pubbliche e private; per la generalità di essi la termodistruzione presso impianti autorizzati resta l'unica forma consentita di smaltimento. Non va poi dimenticato il problema dei rifiuti inerti, derivanti soprattutto da demolizioni, che vanno smaltiti nelle apposite discariche di 2ª categoria di tipo A.
Infine un cenno va dato ai sistemi di trasporto dei rifiuti, oggi completamente affidato ai mezzi su gomma; questi comportano un aggravio dell'impatto ambientale a causa dell'incidenza sul traffico e sull'inquinamento atmosferico (anche e soprattutto all'interno dei centri storici). Almeno per il trasporto periferico, come quello dei rifiuti dalle stazioni di trasferenza agli impianti finali, dev'essere previsto un trasporto su rotaia; mentre, nelle nuove zone residenziali, si possono eliminare i mezzi per la raccolta e quindi anche i contenitori stradali attraverso lo sviluppo di sistemi di trasporto pneumatico in galleria di servizi, finora utilizzati in taluni centri del Nord Europa, Giappone e USA. Tali sistemi prevedono il conferimento del rifiuto in colonne verticali di raccolta, interne agli edifici, tramite appositi sportelli, e quindi il loro trasporto attraverso tubazioni per mezzo di aria aspirata da appositi ventilatori.
Bibl.: Metcalf and Eddy, Inc., Wastewater engineering: treatment, disposal and reuse, New York 1991; L.D. Mackenzie, D.A. Cornwell, Introduction to environmental engineering, ivi 1991.