CARRARA, Ardizzone da
Figlio naturale del condottiero Conte, fu canonico della cattedrale di Padova dal 1399; probabilmente ricoprì tale carica fino al 1405, anno in cui suo zio Francesco Novello, principe di Padova, fu imprigionato e ucciso dai Veneziani. Sembra che allora il C. e suo fratello Obizzo, fuggiti dalla città trovassero rifugio a Firenze.
I due fratelli raggiunsero ben presto il padre Conte, al servizio di Ladislao, re di Napoli; furono impegnati nel presidio di Perugia e presero parte ai numerosi scontri che le milizie napoletane ebbero con Braccio da Montone, rimanendone prigionieri durante la battaglia di Marsciano (1411). Liberati dallo stesso Braccio e inviati con ricchi doni al padre, il C. ed Obizzo ritornarono al servizio di Ladislao contro Luigi II d'Angiò e parteciparono alla battaglia di Roccasecca, durante la quale furono fatti prigionieri insieme con il padre.
Quando, nel 1413, Ladislao infeudò Conte della contea di Ascoli, il C. ed Obizzo affiancarono il padre nel governo della città, contribuendo ad aumentarne il dominio con la conquista di alcuni territori. Nel 1421 il C. fu consegnato in ostaggio a Braccio da Montone, che, voltosi temporaneamente in favore della regina Giovanna II, voleva in tal modo assicurarsi della fedeltà di Conte verso la sovrana napoletana. Il C. divenne da allora uno dei più fidati e valorosi uomini del condottiero perugino. Nel 1423 fu mandato da Braccio, come suo luogotenente, in Abruzzo insieme con Nicolò Piccinino per preparare l'assedio dell'Aquila, con facoltà di stringere alleanze o dichiarare guerre.
Prese parte attiva all'assedio dell'Aquila (1423-1424), acquistandosi fama di spietato e coraggioso guerriero. Si racconta che, quando gli Aquilani catturarono e uccisero un suo cancelliere, egli fece incendiare e distruggere per rappresaglia numerosi villaggi nei dintorni della città. Fu inoltre protagonista di un'azione che poteva decidere l'esito dell'assedio; approfittando infatti della sortita di un drappello di assediati, usciti in cerca di rifornimenti, il C. con i suoi uomini si precipitò sulla porta rimasta aperta, riuscendo a entrare nella città; ma, dopo un sanguinoso combattimento, fu costretto a ritirarsi, per la valorosa resistenza oppostagli dagli Aquilani.
Nel 1424 dovette abbandonare l'assedio; Braccio, dietro le richieste di Firenze, gli aveva ordinato di raggiungere Ascoli con quattrocento cavalieri, per impedire il congiungimento delle milizie di Filippo Maria Visconti, operanti in Romagna sotto il comando di Angelo della Pergola, con quelle della regina Giovanna II.
Morto Braccio da Montone (giugno 1424), il C. passò al servizio di Firenze; la Repubblica guardava con preoccupazione l'espandersi del dominio visconteo e stava preparandosi all'offensiva contro il duca di Milano. Il C. incontrò però difficoltà da parte della Curia di Roma, che aveva negato agli uomini del C. rimasti ad Ascoli il lascia passare per raggiungere il resto dell'esercito. Risolta la questione con l'assicurazione che i suoi uomini non avrebbero provocato disordini nei territori della Chiesa, il C. poté prendere parte alle operazioni di sostegno dei Malatesta in Romagna; ma, durante la battaglia di Zagonara, che vide la sconfitta degli antiviscontei, fu fatto prigioniero e portato a Milano.
Liberato nel settembre del 1424, fu costretto ad entrare al servizio del duca Filippo Maria, che - così si giustificò il C. con la Repubblica fiorentina - lo aveva minacciato di morte se non si fosse messo a sua disposizione. Egli mantenne tuttavia contatti con Firenze e, nel 1425, ritornato al soldo della Repubblica, partecipò agli scontri contro le milizie viscontee, guidate da Guido Torello, ad Anghiari e alla Faggiola, rimanendo nuovamente prigioniero nelle mani dei Milanesi.
Liberato per la seconda volta, continuò a militare nella lega antiviscontea. Nel 1426, mentre erano in corso trattative di pace tra la Repubblica e il duca di Milano, i Dieci di balia mandarono il C. in Liguria, perché tentasse di conquistare Genova; si sperava in tal modo di imporre al Visconti dure condizioni di pace. Il progetto fallì e il C. fu accusato di tradimento, come principale responsabile dell'insuccesso riportato dalla lega nelle operazioni in Riviera. Egli infatti aveva improvvisamente abbandonato il campo antivisconteo ed era passato al servizio del duca di Milano.
Divenuto condottiero del Visconti, fu da questi infeudato di alcuni territori nel contado di Pavia e di Asti e, alla ripresa delle ostilità con la lega antiviscontea (1431), militò al fianco del duca contro Venezia. Fu poi, nel 1432, tra i capitani che il Visconti aveva concesso a Sigismondo come scorta nel viaggio che lo doveva condurre a Roma per l'incoronazione imperiale.
Nel 1435, quando il duca di Milano, con un improvviso voltafaccia, da oppositore divenne sostenitore di Alfonso di Aragona, il C. militò al suo fianco per la conquista del Regno di Napoli.
Sposatosi nel 1418 con Antonia Sforza, figlia di Muzio Attendolo, e sorella del futuro duca di Milano, Francesco Sforza, il C. ebbe una figlia, che sposò Giosia d'Acquaviva, duca d'Adria.
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