SOFFICI, Ardengo
Scrittore e pittore, nato a Rignano sull'Arno il 7 aprile 1879. Presto lasciate le scuole, studiò liberamente pittura. Dal 1903 al 1907 visse a Parigi. Tra i principali collaboratori della prima Voce, fondò con G. Papini Lacerba. Interventista, fu volontario, due volte ferito, decorato nella guerra mondiale; collaboratore dall'inizio del Popolo d'Italia, fu dei primi fascisti. "Premio Mussolini" dell'Accademia d'Italia per la pittura (1932).
Al fondamento della personalità di S. (cfr. il libretto d'esordio: Ignoto toscano, 1909), è un che di foscoliano: del Foscolo di Didimo Chierico, romantico scudiero dei classici, cinico e idealista. L'impronta tradizionale si riconosce anche dove il S. sembia più sbizzarrirsi in cerebralismi e funambolismi, di marca simbolista e futurista. E alla conclusione di molteplici esperienze, gli avvenne d'esprimersi più altamente, come poeta, nella malinconica compostezza neoclassica dell'Elegia dell'Ambra.
La prima, vistosa attività del S., come di parecchi della sua generazione, fu critica; e diede frutti saporiti nella pittoresca demolizione di certe fame scroccate; più ancora, nell'interpretazione d'alcune fra le maggiori personalità dell'impressionismo e postimpressionismo francese, ch'egli illustrò non con la curiosità del dilettante, ma in funzione di quegli essenziali valori figurativi che, nella critica e nell'arte, in Italia, erano allora più obliati. Sagace e generosa la sua rivendicazione di M. Rosso (v.).
Alla pittura S. ha atteso con più costanza negli ultimi anni; il suo temperamento pittorico è oggi in più alacre fermento. S. ha più d'una volta dichiarato esser la pittura la sua arte più vera; e rimpianto di aver dovuto, per necessità di vita e di polemica, scrivere oltre il proprio gusto. Egli sta sul ceppo toscano di Fattori e Signorini, innestatovi quanto poté trarre da Degas e Cézanne, più vicini al suo temperamento; e, con più robusta ispirazione, affini per varî aspetti a quegli ottocentisti italiani.
Non è invece probabile che egli possa mai superare, almeno in freschezza di colore e grazia sbarazzina, quanto ha dato in pagine della sua letteratura più tipica. A parte Kobilek (1918), magnifico libro di guerra, più rappresentativi di S. restano i suoi diarî, sfoghi, vagabondaggi sentimentali, ricordi: Arlecchino (1914), Giornale di bordo (1915), d'una spontaneità e fermezza di parola e di ritmo, che ricorda il miglior Fucini e il Carducci bozzettista. Vedere, a confronto: Taccuino d'Arno Borghi (1933), ch'è un nuovo "giornale di bordo": la giovanile tracotanza mutata in piglio burbero e brontolone.
Capitoli gustosi sono in Lemmonio Boreo (1912), romanzo mutilo, poi ripreso, di nuovo interrotto: sorta di bonario Don Chisciotte toscano, nel quale potrebbe anche scorgersi un'ingenua anticipazione dello squadrismo e del fascismo.
Opere di S., oltre alle citate: Il caso M. Rosso e l'impressionismo (Firenze 1909); A. Rimbaud (ivi 1911; che rivelò all'Italia il poeta francese); Cubismo e oltre (ivi 1913); Chimismi lirici (ivi 1915; 2ª ed., ivi 1919); La giostra dei sensi (ivi 1919); Scoperte e massacri (ivi 1919); La ritirata del Friuli (ivi 1919); Primi principi di una estetica futurista (ivi 1920); Battaglia tra due vittorie (ivi 1923); Ricordi di vita artistica e letteraria (ivi 1931); Ritratto delle cose di Francia (Roma 1935), ecc. Molti scritti del S. sono tradotti in parecchie lingue.
Bibl.: R. Serra, Le lettere, Roma 1914; E. Cecchi, in Anglo-Italian Review, Londra, febbraio 1918; G. Prezzolini, Amici, Firenze 1922 G. Papini, Stroncature, ivi 1924; L. Russo, I narratori, Roma 1925, pp. 193-195. - Su S. pittore: P. M. Bardi, Carrà e S., Milano 1930; C. Carrà, A. S., Roma 1922; G. Papini, A S., Milano 1933 (con ampia bibl.).