FOLPERTI, Ardengo
Nacque l'11 giugno 1360 a Pavia da Giovan Pietro e da Andriola della Volta, figlia di un ricco notaio. La famiglia Folperti era antica e facoltosa: fin dal primo Trecento gestiva un banco di credito e cambio, nel cuore della Pavia commerciale; inoltre possedeva in Lomellina, a Sannazzaro e Scaldasole, cospicui beni fondiari.
Seguendo la tradizione della famiglia materna, il F. intraprese gli studi notarili e il 20 giugno 1383 fu ascritto alla matricola dei notai pavesi. Non esercitò tuttavia la professione: essendo nel frattempo intervenuta la morte del padre, si dedicò agli affari del banco di famiglia. Nel 1386, ventiseienne, faceva parte della magistratura cittadina del Consiglio di provvisione di Pavia. Tre anni più tardi ricoprì la carica di ragioniere (rationator) nell'amministrazione del Comune. In seguito alternò l'ufficio di ragioniere con l'attività di appaltatore di dazi: nel 1391, con alcuni soci, prese in appalto il dazio della mercanzia per la città e per il distretto. Nel 1393 fece parte della commissione per la riforma degli statuti della sua città, voluta da Giangaleazzo Visconti: non essendo un giurista, si può supporre che il suo contributo fosse soprattutto rivolto all'elaborazione delle materie finanziarie e fiscali. Nel 1397 fu tra i cittadini pavesi prescelti per accompagnare il baldacchino del duca Giangaleazzo durante la sua visita a Pavia.
Dopo la morte di Giangaleazzo Visconti, avvenuta nel 1402, si aprì per la città di Pavia un decennio di lotte civili e di sconvolgimenti portati dalle guerre. Dietro il debole governo del giovanissimo Filippo Maria Visconti, succeduto al padre nella signoria di Pavia, agiva la potente famiglia dei Beccaria, il cui esponente più in vista, Castellino, con un atto del 28 dic. 1403 riformò l'amministrazione del Comune: tra gli officiali riconfermati vi era anche il Folperti. Nel febbraio 1403 la duchessa reggente ordinò la riforma degli estimi di Pavia e nel corso dello stesso anno impose una tassa sui focolari. Per chiedere sgravi, i Pavesi inviarono al governo milanese un'ambasciata di cui fece parte il F. che si trovava già a Milano. In questi anni la Contea pavese fu pesantemente colpita dalle incursioni, accompagnate da stragi e rapine, degli eserciti di Facino Cane. Nell'aprile del 1404 il conte di Pavia concesse al F. l'autorizzazione a fortificare Scaldasole, dove aveva molte delle sue proprietà, per difenderlo dai saccheggi. Attorno ai fondi ereditati dalla famiglia siti a Sannazzaro e a Scaldasole il F. fece altri acquisti tra il 1390 e il 1410, arrivando a possedervi oltre 1.000 pertiche di terreno.
Il 1404 fu un momento importante nella vita del F.: da quell'anno lasciò le cariche finanziarie del Comune per passare definitivamente al servizio del conte di Pavia. Molto probabilmente egli mise a disposizione del signore non solo la sua competenza finanziaria, bancaria e amministrativa, maturata in anni di attività, ma anche i suoi cospicui capitali. Come maestro delle entrate comitali, dal 1404 al 1408 il F. fu uno dei più stretti collaboratori di Filippo Maria Visconti. Tra le iniziative da lui adottate, vi fu nel 1407 una riforma generale dei bilanci del Comune di Pavia intesa a realizzare maggiori economie. Nel 1405 stilò un regolamento per gli appalti delle tesorerie.
La situazione patrimoniale del F. era assai florida, nonostante i tempi travagliati e difficili attraversati dalla sua città. Proprio nel 1404, anno di guerra e di epidemie, il F. finanziò un'opera edilizia e artistica di grande rilievo: la costruzione della cappella maggiore nella chiesa dei frati domenicani dedicata a S. Tommaso. In novembre sottopose al capitolo dei frati il progetto. Intendeva dotare la cappella, ornarla di opere artistiche da lui scelte e commissionate e riservarsene in perpetuo la proprietà. Sarebbe stata destinata ad accogliere le sepolture della famiglia Folperti-Mezzabarba.
Con la mentalità pratica dell'affarista, il F. concepì l'iniziativa della costruzione della cappella pensando sia alla salvezza nell'aldilà, sia alla gloria terrena. Infatti il finanziamento dell'opera si ricollega a un'altra parallela iniziativa del F.: il 17 nov. 1404, dichiarandosi pentito per i peccati di usura commessi nella sua attività di banchiere e prestatore, si sottopose volontariamente alla procedura del perdono ecclesiastico. Il vescovo, di Pavia seguì la prassi usuale in questi casi: si accertò delle sincere intenzioni dei penitente e promulgò una grida per invitare chi fosse stato danneggiato dalle sue attività feneratizie a presentare la nota dei danni subiti. Il F. risarcì i danni documentati e destinò una somma ulteriore, che venne fissata in 3.000 fiorini, a copertura dei danni non più accertabili. Secondo la prassi la somma avrebbe dovuto avere come destinazione elemosine e beneficenze a favore dei poveri e della Chiesa, ma, invece, il F. impiegò la somma nella costruzione della cappella, con una decisione che il vescovo e il clero pavese cercarono invano di contrastare.
L'opera più nota della cappella Folperti esistente ancora nel XVII secolo è il sepolcro terragno che il F. ancora vivo fece realizzare e che oggi si trova nella certosa di Pavia. Nella lastra sepolcrale, di ottima fattura e pregevole qualità artistica, si fece ritrarre vestito di una lunga cappa e con una spada tra le mani per ricordare l'investitura a cavaliere concessagli da Filippo Maria nel 1404. A lato figurano due stemmi della famiglia Folperti e un'iscrizione che porta il nome del defanto e la sua data di nascita mentre la data di morte fu lasciata in bianco: nessuno poi si curò di completarla.
Dopo il periodo vescovile il F. cessò di esercitare l'attività di banchiere e prestatore, mentre continuò ad incrementare il suo patrimonio fondiario, con acquisti nelle tenute della Lomellina, e si dedicò agli incarichi pubblici presso Filippo Maria Visconti, dal 1412 duca di Milano.
Nel 1411 cinquantatreenne, rimasto vedovo con quattro figli adulti avuti dalla prima moglie Maddalena da Corte (uno dei figli, Gian Pietro, era morto nel frattempo) si risposò con un'altra nobile pavese, Andriola di Olevano, che gli portava una dote di trecento fiorini. Dalla seconda moglie ebbe - almeno fino al 1424, data del testamento - altri cinque figli. Nel 1418, con patente del 3 agosto, il F. ricevette l'incarico di seguire e amministrare i lavori di ampliamento e abbellimento del castello di Vigevano, intesi a trasformarlo in una sontuosa residenza per la corte ducale. Per due anni seguì i lavori, riscosse i tributi dalla comunità e amministrò le spese. Nel 1419 il duca lo nominò familiare e commensale ducale e gli concesse l'esenzione dagli oneri reali e personali. Dal 1420 ricoprì la carica di podestà a Vigevano, dove, durante la peste del 1424, dettò il suo testamento. In esso nominava eredi universali, senza distinzioni, i suoi sette figli maschi, dividendo tra loro il castello di Scaldasole e la vasta possessione di Sannazzaro. Nel 1428 il figlio Stefano fu ascritto al Collegio dei giuristi della città di Pavia.
Dell'ufficio svolto dal F. a Vigevano si hanno poche notizie, tutte di ordinaria amministrazione. Nel 1429, cessato il suo mandato più volte rinnovato, fu sottoposto, secondo gli statuti, a sindacato. Il vicario generale Bonifacio Guameri accertò alcune irregolarità e condannò il F., con una sentenza del 29sett. 1429, a risarcire alla Camera ducale una certa somma di entità non conosciuta. Il F. si oppose alla sentenza e rifiutò di pagare la somma per cui era stato condannato. Secondo il Maiocchi, la condanna fu un grave colpo per il F. al punto di condurlo alla morte.
All'inizio del 1430 cadde infermo e morì intorno alla fine di gennaio.
Fu sepolto in S. Tommaso, dove aveva predisposto la sua sontuosa tomba. Il 4febbraio il duca ordinò al podestà di Pavia di requisire i beni del F. ma i figli Stefano, avvocato e giurista di fama, e Nicolò impugnarono la sentenza, adducendo difetti di forma; in qualche modo riuscirono a far sì che la questione restasse indecisa per anni. Nel 1451Stefano, divenuto avvocato concistoriale, si appellò a Francesco Sforza, che fece riesaminare il processo e revocò la sentenza rimasta inapplicata.
Fonti e Bibl.: Registri missive, II, a cura dell'Arch. di Stato di Milano, s.n.t., pp. 138-141; Cod. diplom. dell'Università di Pavia, a cura di R. Maiocchi, II, Pavia 1905-1915, ad Indicem; Z. Volta, Un giuramento di fedeltà a Beatrice di Tenda, in Arch. stor. lombardo, s. 3, IV (1895), pp. 320 ss., 325; R. Maiocchi, A. F. maestro delle entrate di Filippo Maria Visconti, ibid., XIII (1900), pp. 267-322; P. Ciapessoni, Per la storia della economia e della finanza pubblica pavesi, in Boll. della Soc. pavese di storia patria, VI (1906), pp. 200, 202.