ARCONTE (gr. ἄρχων)
Così si chiamano, in molte città greche, i magistrati maggiori (elenco e fonti in Schoener, col. 565 segg., v. Bibl.); in molte parti la terminologia deriva da imitazione d'istituti ateniesi, mentre è originaria, oltre che in Atene, in Beozia (così per la magistratura federale come per quella delle singole città) e nella Locride opunzia (ivi anche il nome di ἄρχως).
Nell'Atene classica il nome degli arconti ha un duplice significato: indica da un canto tutti i magistrati rivestiti di supremazia (le cui funzioni sono dette ἀρχαί in opposizione ai minori uffici burocratici degli ὐπηρέται), dall'altro la più insigne fra tali magistrature, quella dell'arconte per antonomasia, cui spetta l'onore di dar nome all'anno (arconte eponimo). Accanto ad esso, rientrano nel nome generale l'arconte re (ἄρχων βασιλεύς, o soltanto βασιλεύς), il polemarco, i sei tesmoteti: l'essere tutti chiamati arconti non implica, peraltro, che costituiscano un vero e proprio collegio; anzi una struttura collegiale può riconoscersi (entro certi limiti) ai soli tesmoteti, mentre ciascuna delle magistrature unitarie ha in origine sede e competenza proprie ed esclusive, ed anche nell'età classica la comune sede nel ϑεσμοϑετείον non porta con sé funzioni comuni di qualche rilievo.
Circa l'origine degli arconti, e dell'arconte eponimo in particolare, varie erano le tradizioni correnti nell'età di Aristotele. Secondo quanto narra il filosofo nel libro sulla costituzione degli Ateniesi (ed. Ferrini, III), la monarchia ereditaria, che rappresentò la prima e più antica espressione della sovranità, avrebbe lasciato che le si costituisse accanto, fin da un'età molto remota, la magistratura militare (anch'essa vitalizia) del polemarco: poi, fra il secolo XI e il X a. C., sarebbe sorto l'arconte eponimo. L'occasione per creare la nuova magistratura sarebbe stata, secondo una tradizione assai diffusa, la seguente: quando il sacrificio di Codro ebbe salvato la città dall'invasione dorica, i discendenti del gran re, persuasi che un tal nome non potesse più esser portato da uomini altrettanto degni, avrebbero cambiato il loro titolo in quello di arconti; tuttavia tale magistratura avrebbe conservato, della regalità, oltre la perpetuità e il diritto all'eponimia, anche l'ereditarietà entro la stirpe dei Medontidi, e accanto ad essa sarebbe rimasta una regalità pur sempre vitalizia, ma ridotta alla supremazia delle cerimonie sacre. Aristotele, invece, sembra propendere per l'opinione che l'arcontato abbia avuto origine sotto uno dei re successivi, Acaste; ed ha in ogni modo chiara la percezione di una lenta decadenza della monarchia per assorbimento delle sue funzioni nelle varie magistrature. Più tardi tutte le magistrature predette sarebbero state elettive e decennali, conservandosi la supremazia e l'eponimia a quella dell'arconte: finché, dal 683-82 (o 682-81) in poi, comincia col nome di Creonte la lista degli arconti annuali.
A parte lo scetticismo inevitabile in confronto di eventi anteriori di molto all'età storica (che per Atene non risale oltre il sec. VII), i racconti riferiti sono in contrasto con i dati di altre fonti, come l'iscrizione del Marmo pario, secondo la quale i discendenti di Codro avrebbero sempre conservato il nome regio, mentre quello dello arconte daterebbe soltanto dall'inizio della magistratura decennale. Nemmeno è credibile che la magistratura del polemarco sia sorta, accanto alla regalità, prima dell'arconte: come bene ha rilevato il De Sanctis, i poteri conferiti all'arconte rispondono tutti a funzioni dello stato non originarie ma suggerite da nuove esigenze della civiltà, sicché tale magistratura ha potuto sorgere lasciando formalmente invariato il potere del re, mentre la funzione militare del polemarco è venuta ad abrogare una fra le principali prerogative regie, e non ha quindi potuto innestarsi nella costituzione se non quando il potere politico del basileo era già battuto in breccia. Un'ulteriore limitazione della potestà regia, e definitiva, fu quella derivante dalla creazione dell'ultima fra le ἀρχαί, il collegio dei tesmoteti, che tolse al re la funzione di custode delle leggi di origine divina (ϑέμιστες) onde erano regolati i delitti e le pene: la tradizione che vuole designati in origine i tesmoteti allo scopo di scrivere le leggi, non trova conforto né in ricordi relativi al contenuto della loro eventuale codificazione, né nel carattere ordinario della magistratura, né infine nelle sue funzioni storiche, che sono quasi tutte giurisdizionali. A parte i rilievi generali fatti fin qui, nulla sappiamo intorno ai modi di questo sviluppo e nessun mezzo abbiamo per controllare se le magistrature annuali siano state veramente precedute da magistrature vitalizie o decennali: solo si può tenere per certo che l'involuzione della regalità si è svolta pacificamente, senza quello sfondo di conflitti di nazionalità e di congiure che in Roma diede luogo alla tradizione (anch'essa fallace, del resto) di una violenta sostituzione della repubblica alla monarchia.
Ai nove arcontati erano eleggibili, in origine, soltanto i membri dell'aristocrazia degli eupatridi, e fra essi si usava scegliere, a detta di Aristotele, in ragione della dignità sociale e della ricchezza (ἀριστίνδην καὶ πλουτίνδην): l'elezione era, a quanto pare, di competenza dell'Areopago. Nella costituzione timocratica di Solone eleggibili sono i pentacosiomedimni (cittadini che producano annualmente 500 misure di cereali o di olio o di vino), elettori tutti i cittadini convocati per ϕυλαί (v. per i modi della votazione, e per le pratiche successive, la voce archeresie). La tendenza democratica prevalente nello sviluppo ulteriore della città portò a diminuire sempre più le esigenze circa l'eleggibilità; una riforma ordinata intorno al 500 a. C. distribuì i posti fra gli eupatridi, gli agricoltori e gli operai; un'altra del 457-56 rese eleggibili senza limiti di posti tutti i possessori fondiarî; e in pratica neppur questo requisito fu osservato, perché anche industriali e commercianti furono eletti e confermati in base alla dichiarazione di non pagare l'imposta dei proletarî (ϑητικὸν τέλος). L'ordinamento del popolo in dieci ϕυλαί, e la massima che ognuna dovesse fornire uno dei magistrati supremi, portò ad un arcontato di dieci (anziché nove) magistrati: ma in realtà il posto di segretario dei tesmoteti, creato per consolazione della ϕυλή meno favorita dalla sorte, non fu mai seriamente compreso fra le ἀρχαί.
Ma l'opera più tenace, e la più deleteria, delle riforme democratiche fu diretta a diminuire sempre più le funzioni delle magistrature supreme, e di conseguenza il loro prestigio politico. Il diritto di convocare l'assemblea popolare per la presentazione di proposte di legge, che era stato in origine fra le maggiori prerogative dell'arcontato, gli viene tolto per investirne il consiglio dei cinquecento, che prende così in sostanza il primo posto fra le ἀρχαί; il potere di giudicare si risolve nella presidenza di mastodontiche giurie popolari, messe insieme mediante sorteggi rinnovati di seduta in seduta; si creano accanto alle magistrature tradizionali innumerevoli uffici, che riducono di anno in anno la competenza di quelle; le armi della calunnia e del pettegolezzo si avventano contro i migliori, impedendo lo sviluppo di personaggi politici di primo piano e la formazione di una classe dirigente.
Tuttavia le magistrature costituenti l'arcontato permasero fin nell'epoca romana: anzi l'egemonia della città imperiale, eliminando il sorteggio, ridiede agli antichi capi della repubblica qualche barlume di potere. Ma anche in Atene, come in tutte le città soggette a Roma, le magistrature sono oppresse sotto gli oneri pecuniarî, che le rendono le più temibili fra le liturgie. L'ultimo arconte databile è del 485 d. C.
Le liste degli arconti eponimi, fondamento di ogni cronologia e perciò oggetto delle più accurate ricostruzioni da parte dei dotti non sono degne di credito - come si è detto - per il tempo che precede l'arcontato annuale di Creonte: anzi la Costituzione degli Ateniesi dimostra che Aristotele non osava indicare in termini precisi l'intervallo fra due avvenimenti, se non a decorrere dall'arcontato di Solone (594-93 a. C.). A noi la lista integrale è di Diodoro Siculo e di Dionigi di Alicarnasso: per il tempo prima e dopo, i sussidî per ricostruirla sono forniti, più o meno abbondanti secondo i periodi, da fonti letterarie ed epigrafiche.
Caratteri comuni di tutti gli arconti sono la giurisdizione - o meglio la presidenza del tribunale (ἡγεμονία τοῦ δικαστηρίου) - e il potere d'imporre multe ai cittadini per le minori violazioni delle leggi pertinenti alla competenza di ciascuno. Ma i tribunali ai quali ogni arconte sopraintende sono diversi: sicché l'unica funzione notevole che gli arconti compiono in comune è di costituire, mediante sorteggio fra i cittadini iscritti nelle diverse ϕυλαί, i tribunali popolari; funzione che si riporta piuttosto alla loro designazione entro le ϕυλαί che alle competenze di magistratura.
L'arconte politicamente più elevato, l'eponimo, ha per funzione originaria ed essenziale la protezione dei diritti privati. L'origine del suo ufficio coincide col riconoscimento del piccolo possesso fondiario: e ne è prova il proclama che ancora nell'età di Aristotele (Resp. Athen., 56,2) l'arconte emanava appena assunto alla carica, impegnandosi a far sì che ciascuno conservasse fino al termine del suo ufficio ciò che legittimamente aveva in precedenza. Tuttavia questo bando costituiva, già da lungo tempo, un residuo storico; e non solo perché, consolidatasi la proprietà privata, non rispondeva più al sentimento giuridico una dichiarazione che ne faceva dipendere il destino dall'impegno personale del magistrato, ma perché la competenza nelle controversie insorgenti in tema di proprietà era passata fin dal tempo di Pisistrato al tribunale dei Trenta (o, più tardi, dei Quaranta). Propria dell'arconte rimane, nell'Atene classica, la competenza in materia di diritti di famiglia e di successione, che aveva fatto originariamente tutt'uno con la garanzia dei possessi. Perciò egli è competente in tema di matrimonio, di divorzio, di dote, di patria potestà, di figliazione legittima, di tutela, di adozione, di eredità legittima e testamentaria, con speciale riguardo alle complicazioni cui dava origine la situazione delle ereditiere (ἐπικληροι) e delle vedove. Giurisdizione (secondo la terminologia romana o romanistica) volontaria e contenziosa insieme. Nella prima rientra la cura che all'arconte è affidata della continuità della famiglia e la conseguente protezione dei deboli, che si esprimono col promuovere l'assunzione della qualità di figlio adottivo rispetto a defunti che non abbiano provveduto in proposito; con l'investire del patrimonio ereditario i collaterali più vicini dove manchino i figli e gli adottati per testamento; con l'assegnare l'ereditiera all'erede testamentario del padre o al più vicino dei collaterali; col ricevere le dichiarazioni di divorzio; col registrare le tutele e vigilare sul loro esercizio, fino a sostituirsi al tutore negligente nella locazione dei beni pupillari. La giurisdizione contenziosa trova luogo, ogni qual volta gl'interessati non accettino la decisione presa in sede di giurisdizione volontaria ed inoltre per ogni altra azione giudiziaria in tema di famiglia e di successione: così per le azioni di appartenenza o di divisione dell'eredità; per l'azione intentata dall'adulto contro il tutore che non abbia reso il conto della gestione; per le azioni popolari contro chi maltratti i genitori o gli orfani o le ereditiere, o contro i dilapidatori del patrimonio familiare. In casi analoghi, come il maltrattamento di vedove rimaste incinte, si trova nominata, in luogo dell'azione popolare, un'azione che l'arconte stesso può portare davanti al suo tribunale: è da credere che le due forme siano concorrenti. Comunque, per principio generale di diritto attico, l'arconte non giudica da solo, ma deferisce il giudizio al tribunale da lui presieduto, e costituito mediante i consueti sorteggi fra i cittadini, nel numero, tipico per i processi privati, di duecento giudici. Di suo arbitrio l'arconte non può applicare che pene disciplinari, in forma di multe e dentro limiti prestabiliti.
Non meno importanti delle funzioni descritte sono quelle spettanti all'arconte nella preparazione di certe pubbliche feste, in particolare delle Dionisie, delle Targelie e delle grandi Panatenee: assai delicata, e non sempre scevra di complicazioni politiche, era in queste occasioni la designazione dei cittadini abbienti ai quali incombesse l'onere di apprestare i cori per le tragedie e commedie da rappresentarsi (χορηγοί) o di guidare la processione inviata annualmente a Delo per la festa di Apollo (ἀρχιϑεωροί): le azioni giudiziarie sollevate per scusarsi da siffatte liturgie (σκήψεις) o per designarvi altri cittadini economicamente più idonei (δόσεις, v. antidosi) erano anch'esse di competenza dell'arconte e del suo tribunale.
La competenza dell'arconte re si esplica tutta in relazione alle cose sacre: a lui incombe la direzione dei pubblici sacrifici, la tutela dei luoghi sacri, la difesa della città contro la maledizione divina derivante dal sangue sparso; come successore dei monarchi di un tempo, presiede l'Areopago. La sua giurisdizione nei processi privati si limita alle controversie di diritto sacerdotale (ad es., circa la spettanza dei sacerdozî e circa gli obblighi dei demi di offrir vittime ai templi) e a quelle sorgenti a proposito di coregie di sua competenza (ad es., per le Lenee e le Antesterie); ma più spesso sopraintende a processi criminali, in ispecie a tutte le cause di empietà (ἀσέβεια) e di omicidio: le prime sono decise, almeno nei casi più gravi, dall'Areopago, mentre giudica delle seconde uno dei tribunali popolari consueti, composto di cinquecento giudici.
La funzione di comandante in guerra, per la quale era stato creato l'ufficio del polemarco, passò fin da epoca molto antica ai suoi ufficiali, gli strateghi; sicché già al tempo della battaglia di Maratona l'intervento del polemarco nel consiglio di guerra e il suo posto di battaglia all'estrema ala destra erano un residuo storico. Ma a lui spettano i sacrifici connessi alla guerra, come quello offerto ogni anno, nell'anniversario di Maratona, ad Artemide Agrotera, e quelli in onore dei caduti. Ma dall'identità che e nel pensiero degli antichi fra nemico e straniero, e più dall'esigenza che le clausole dei trattati stretti in seguito alla guerra fossero custodite nella loro osservanza dallo stesso magistrato che le aveva pattuite, derivò la competenza del polemarco in tutte le controversie nelle quali fosse attore o convenuto uno straniero, residente (meteco) o no, e quindi in prima linea le liti relative ai contratti commerciali e marittimi. Ma anche questa competenza va perdendo, fra il sec. V e il IV, le sue esplicazioni più importanti, per ridursi alle liti intentate dai meteci e contro i meteci, dai libertini e contro i libertini, e per riprodurre rispetto a queste classi inferiori quella tutela dei diritti di famiglia e di eredità che per i cittadini di pieno diritto si è visto esser propria dell'arconte eponimo.
Creati, come si è detto, per la difesa delle leggi, i tesmoteti hanno anzitutto la direzione di tutta l'attività giudiziaria, e perciò spetta a loro fissare le udienze e comporre i tribunali richiesti dai vari magistrati giudicanti. Nella competenza loro propria rientrano soprattutto i reati che danneggiano o minacciano la compagine dello stato e del diritto: così la sicofantia, la corruzione, la perturbazione della santità di certe feste, la proposizione di leggi manifestamente contrarie agl'interessi della città, in progresso di tempo anche l'usurpazione della cittadinanza. Ma è deferita a loro anche la cognizione di altri delitti, come il furto qualificato, l'adulterio, la lesione personale, e perfino di diritti privati, come (assorbendo probabilmente una competenza originaria del polemarco) per i diritti nascenti dai trattati internazionali. Loro compito è inoltre, nel tempo della democrazia, la revisione annuale delle leggi e l'indicazione di quelle meritevoli di essere riformate o coordinate.
Fonte principale per la competenza degli arconti nel sec. IV, e anche per la tradizione relativa alle origini, è l''Αϑηναίων πολιτεία di Aristotele: la integrano, per tutto ciò che ha tratto alla giurisdizione, le arringhe degli oratori, e per la storia dell'arcontato alcune iscrizioni, in particolare quella del Marmo pario, contenente un'ingenua cronaca degli avvenimenti da Cecrope fino all'arconte Diogneto (264-63 a. C.).
Bibl.: Fra le trattazioni moderne, oltre le storie generali della Grecia, e in particolare quella di J. Beloch, va ricordata l'opera di G. De Sanctis, Storia della repubblica ateniese, 2ª ed., Torino 1912, spec. p. 117 segg.; ad essa s'ispira largamente, ma riuscendo a conclusioni non sempre accettabili, A. Ledl, Studien zur älteren athenischen Verfassungsgeschichte, Heidelberg 1914: sul tema dell'origine dell'arcontato v. da ultimo W. Otto, in Sitzungsb. d. Bay. Ak. der Wiss., 1923. La descrizione sistematica dei poteri dei varî arconti può vedersi con particolare compiutezza in G. Busolt e H. Swoboda, Griech. Staatskunde, Monaco 1926, II, p. 1081 segg. (cfr. anche p. 783 segg., 1055 segg.); nonché presso gli studiosi del diritto e del processo attico, come L. Beauchet, Hist. du dr. prive de la Rép. Athénienne, Parigi 1897, e il Lipsius, Attisches Recht und Rechtsverfahren, Lipsia 1905-15. Una buona trattazione riassuntiva è quella del v. Schoeffer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 567 segg. Sulle liste degli arconti cfr., dopo il riepilogo del v. Schoeffer, anche W. S. Ferguson, The Athenian archons of the IIIrd and IInd cent., in Cornell. Univ. studies, X (1899); W. Kolbe, Die athenischen Archonten von 293-2 bis 31-0, in Nachrichten d. gel. Gesellschaft Gött., n. s., X, p. 190 segg.; e per l'età imperiale P. Graindor, Chronologie des archontes athéniens, Bruxelles 1921, col seguito di numerosi articoli pubblicati nel Bulletin de correspondance héllenique, XXXVIII e segg.