BUZZACARINI, Arcoano (Arcuano, Arquan, Rachuan, Recoan)
Nacque con molta probabilità nel terzo decennio del sec. XIV, unico figlio maschio di Pataro e di Francesca Gonzaga. La sua famiglia, una delle più nobili e influenti di Padova, nel 1345, per il matrimonio di Fina, sorella maggiore del B., con Francesco il Vecchio da Carrara, s'imparentò con quella dei Carraresi che, sin dai primi decenni del secolo, deteneva praticamante la signoria della città. Questa parentela condizionò tutta la vita del B., che divenne uno dei più stretti collaboratori del cognato in tutte le vicende politiche, ma soprattutto militari, del suo lungo governo.
Durante il conflitto del 1372-73 con Venezia, occasionato da questioni di confine, ma la cui vera causa si deve ricercare nell'antico antagonismo tra la Signoria carrarese e la Repubblica veneziana, il B. prese parte attiva alle operazioni di guerra. Quando nel luglio del 1372, nell'imminenza dello scoppio delle ostilità, Francesco da Carrara convocò un "gienerale consiglio" per discutere le misure difensive, egli figura tra i notabili più in vista dell'assemblea. Poco tempo dopo, il 10 agosto, fu nominato, dal signore suo cognato, capitano e rettore di Bassano e del suo distretto, carica che tenne per tutta la durata del conflitto. In questa qualità partecipò al primo grande scontro tra le milizie veneziane, al comando del conte Raniero Vasco da Siena, e quelle padovane, guidate da Simone Lupi, avvenuto il 16 nov. 1372 alle Brentelle, dove i Padovani riuscirono ad arrestare l'avanzata veneziana diretta contro il "serraglio" di Padova. Nel novembre era impegnato, con altri, nella difesa della Riviera. Sempre a Bassano, ai primi di gennaio del 1371 poté accogliere le truppe ausiliarie ungheresi, 1.600 uomini, mandate in soccorso a Francesco da Carrara dal suo alleato Ludovico d'Ungheria. Nel febbraio si unì a una spedizione contro Treviso, guidata dal podestà di Padova Federico Lavellongo, nel corso della quale fu saccheggiato il territorio di Montello e, infine, il 31 luglio, fu presente ad un altro combattimento di rilievo intorno ad una fortificazione eretta dai Veneziani (la bastita di Medicina), che fu distrutta dai Padovani. In quel momento erano però già in corso trattative di pace che fu poi pubblicata il 21 sett. 1373: le condizioni erano durissime per il Carrarese, costretto a mandare il figlio Francesco Novello a Venezia per chiedere pubblicamente perdono al doge. I capitoli stabilivano tra l'altro anche che il B., insieme ad altri tre gentiluomini padovani, restasse come ostaggio a Venezia fino al ritorno, avvenuto poi il 10 nov. 1373, di alcuni nobili veneziani prigionieri in Ungheria.
Secondo la versione fornita dalla cronaca di Galeazzo e Bartolomeo Gatari (pp. 130 s.) ragioni di rivalità con il B. avrebbero indotto Alvise Forzaté, zio di Francesco il Vecchio ma anche cognato del B. stesso (aveva sposato una sua sorella, Imperatrice), e suo nipote Filippo Forzaté ad aderire ad una congiura contro il signore di Padova ordita nel dicembre 1373 da Marsilio da Carrara, fratello di Francesco il Vecchio, che costò la vita ai due Forzaté. In quegli anni, come è attestato da molti documenti, il B. era infatti diventato uno dei consiglieri più fidati del Carrarese ed è comprensibile che la sua posizione abbia suscitato rancori e invidia tra gli altri consiglieri e parenti di Francesco il Vecchio da Carrara.
Anche durante la cosiddetta guerra di Chioggia (1378-1381) che vide il Carrarese alleato di Genova, dell'Ungheria, del patriarca di Aquileia e del duca d'Austria contro Venezia, il B. dimostrò notevoli capacità militari: insieme a Gerardo da Manteloro, capitano generale dell'esercito padovano, partecipò a due spedizioni contro Treviso, il principale obiettivo dei Padovani, saccheggiandone il territorio nel settembre del 1378 e tentando addirittura di scalare le mura della città nel marzo del 1379, ma senza successo. Sempre insieme con il Manteloro diresse tra l'aprile e il giugno le operazioni contro il castello di Romano, arresosi il 2 giugno 1379, e successivamente quelle contro il castello di Noale, che allora però non poté essere conquistato (il B. se ne poté impadronire solo nel 1381). Nel frattempo i Veneziani erano stati duramente sconfitti davanti a Pola dalla flotta genovese comandata da Luciano Doria (7 maggio 1379) e gli alleati si prepararono ad attaccare la stessa Venezia, concentrando le loro forze contro Chioggia. Nella battaglia risolutiva del 16 ag. 1379 che dette Chioggia ai nemici di Venezia, il B. comandò la seconda schiera padovana. Tornato a Padova il 26 agosto, in seguito a contrasti con i Genovesi che occupavano Chioggia, il 28 dello stesso mese il B. fu nominato capitano generale delle truppe padovane, in sostituzione del Manteloro che aveva presentato le dimissioni. Da allora s'impegnò soprattutto nella lotta contro Treviso, senza peraltro riuscire a conquistarla nel corso delle alterne vicende della guerra che si concluse l'8 ag. 1381 con la pace di Torino. Tuttavia continuò anche in seguito, e con l'attiva partecipazione del B., la guerriglia per il possesso di Treviso, ceduta nel 1381 da Venezia al duca Leopoldo d'Austria, finché quest'ultimo non la vendette nel 1384 a Francesco da Carrara per il prezzo di 100.000, ducati.
Quando nel 1385 il signore di Verona, Antonio della Scala, sovvenzionato e aizzato da Venezia, invase il territorio padovano con il pretesto di voler soccorrere Udine, in aspro contrasto con il patriarca d'Aquileia, Filippo d'Alençon, sostenuto dal Carrarese, il B. fu immediatamente mandato a difendere i confini tra Cittadella e Bassano. Partecipò con tutta probabilità anche alla battaglia delle Brentelle (25 giugno 1386), dove fu inflitta una prima, gravissima sconfitta all'esercito scaligero. La guerra tuttavia continuò, e l'11 marzo 1387 Antonio della Scala fu nuovamente battuto dalle truppe carraresi al comando del famoso condottiero inglese Giovanni Acuto, a Castelbaldo sull'Adige presso Castagnara. Il B. è ricordato anche in quest'occasione come uno dei capi dell'esercito padovano, insieme con i figli Pataro e Francesco, che furono armati cavalieri da Francesco Novello da Carrara poco prima dell'inizio della battaglia. Al B. stesso fu affidata la difesa del carro con il gonfalone dell'esercito.
L'infausta alleanza con il conte di Virtù, Gian Galeazzo Visconti signore di Milano che, conclusa poco dopo (19 apr. 1387), avrebbe privato di lì a poco i Carraresi del dominio di Padova, puntava sulla spartizione dello Stato scaligero: Verona sarebbe toccata al Visconti, Vicenza al Carrarese. Così durante tutta la primavera e l'estate del 1387 le truppe padovane, delle quali nel luglio il B. assunse il comando al posto di Ugolotto Biancardo rimasto ferito in uno scontro, operarono nel Vicentino. Il B. costrinse alla resa le torri di Novaglia (16 agosto), assediò, ma senza successo, i covoli di Costozza e mise a sacco tutto il territorio. Le cose, tuttavia, presero ben presto un'altra piega: i Vicentini, alla notizia che Verona si era sottomessa al dominio visconteo (ott. 1387), decisero di offrire la loro città al conte di Virtù che accettò l'offerta senza preoccuparsi dei patti stabiliti con il da Carrara e in più si mise d'accordo con la Serenissima a danno di Francesco il Vecchio che si trovò così all'improvviso completamente isolato. Tradito anche dai suoi sudditi, stanchi delle continue guerre e pronti a sfruttare il momento favorevole per liberarsi dalla sua oppressione, Francesco da Carrara decise di convocare il suo consiglio particolare, composto da tredici suoi stretti collaboratori, con al primo posto il Buzzacarini. Gli consigliarono di cedere al Visconti Padova e Treviso e di tenersi solo Cividale e Feltre; poi, vista l'opposizione di Francesco Novello, di trasferire al figlio il governo dello Stato carrarese. Francesco Novello fu acclamato signore di Padova il 29 giugno 1388.
Nella successiva guerra che Viscontei e Veneziani gli mossero a partire dal luglio del 1388, il B. non riuscì a impedire che le milizie milanesi comandate da Iacopo Dal Verme rompessero le fortificazioni erette dai Padovani presso il castello di Stra (13 novembre), permettendo loro in tal modo di congiungersi con le truppe veneziane e di puntare insieme contro Padova; "e questo fu per mala guardia", secondo il giudizio della Cronaca di Galeazzo e Bartolomeo Gatari (p. 324). Accuse ancora più gravi furono mosse al B. da Andrea Gatari, secondo il quale egli avrebbe sconsigliato a Francesco Novello di tentare un'ulteriore difesa "et andò di longo a casa sua a provedere a' suoi fatti lasciando l'affannato signore" (ibid.).
Sempre secondo il racconto delle cronache dei Gatari, l'atteggiamento del B. in questo frangente, quando Padova era circondata dai suoi nemici, non fu privo di ambiguità. D'altra parte il giudizio dei cronisti, che non nascondono la loro antipatia per gli "iniqui consiglieri" del signore, va preso con cautela. Le cronache riferiscono che i consiglieri convocati da Francesco Novello gli suggerirono unanimemente di arrendersi al conte di Virtù, vista la situazione disperata; il B. avrebbe addirittura proposto di condizionare la resa ad una contropartita finanziaria, proposta che il Novello respinse sdegnosamente. Il 20 nov. 1388 chiese invece l'armistizio, firmato poi il 21, al condottiero Iacopo Dal Verme e si apprestò ad abbandonare Padova. Prima di lasciare la città nominò suoi luogotenenti il B., Bonifacio Lupi e Romeo Pepoli; ma, sempre secondo il racconto di Andrea Gatari, il B. non si sarebbe adoperato per evitare il saccheggio del palazzo signorile, rispondendo al rimprovero del Novello: "Io non posso vietare, né meno mi voglio fare tagliare a pezzi" (p. 330).
II B. aveva forse sperato di guadagnarsi il favore del popolo con il suo lasciar fare, senza considerare che era troppo compromesso come uno dei più stretti parenti dei Carraresi e uno dei principali responsabili del loro malgoverno. I Padovani, vista la necessità di ristabilire l'ordine, decisero di ripristinare gli antichi organi del Comune e, convocato il Gran Consiglio, elessero un capitano generale, il Lupi, otto anziani e il podestà. Il nome del B. non appare ovviamente tra i membri di questo governo provvisorio, che nel dicembre sottopose al conte di Virtù i patti della resa. In essi si chiedeva per il B. e i figli, come per altri ventotto cittadini, la maggior parte dei quali aveva fatto parte del Consiglio del signore, l'esilio e la confisca dei beni.
Non pare tuttavia che il Visconti abbia dato esecuzione a questi capitoli: alla fine dell'anno mandò i suoi ufficiali a Padova e nel distretto; ma non si ha notizia che il B. e i figli siano stati effettivamente colpiti da una sentenza di bando. Anzi, da una documento del 16 sett. 1389, con il quale il B. costituiva suo procuratore il figlio Ludovico "absentem tamquam presentem" risulta che egli allora si trovava a Padova. La supposizione che non fosse stato costretto a prendere la via dell'esilio è avvalorata anche da un passo della cronaca dei Gatari, dove si racconta che il Novello nel 1389 mandò in tutta segretezza un suo fiduciario a Padova per sondare la situazione. Costui ebbe contatti anche con il B., che rinnovò l'assicurazione della massima fedeltà al nipote e si dichiarò pronto ad insorgere insieme ad altri notabili cittadini per restaurare la sua signoria in Padova.
Infatti, il 10 luglio 1390, mentre Francesco Novello stava concentrando truppe in Friuli per tentare di rientrare in patria, fu scoperta a Padova una congiura filocarrarese della quale, insieme con vari altri vecchi partigiani dei signori spodestati, facevano parte anche il B. e i suoi figli. Questa volta non sfuggì alla pena dell'esilio e, a quanto pare, fu confinato, se non addirittura incarcerato, a Milano, da dove poté tornare a Padova solo nel marzo del 1392 dopo la proclamazione della pace tra il Visconti e Francesco Novello da Carrara. Non c'è da prestare fede dunque al racconto tramandato da due codici, tardi, della stessa Cronaca carrarese, secondo il quale il B. avrebbe partecipato alla riconquista di Padova nel giugno del 1390.
Da allora non pare che il B., ormai già avanti negli anni, abbia più partecipato attivamente alla vita politica della sua città. È ricordato ancora nel 1401 quando, insieme con il signore e altri nobiluomini padovani, accolse solennemente l'imperatore Roberto al suo ingresso in Padova. Il 7 nov. 1402 fece testamento e morì certamente non molto tempo dopo. Fu sepolto nella cappella di S. Stefano nella chiesa del convento di S. Agostino, a Padova.
Aveva sposato Nobilia, figlia di Francesco Manfredi signore di Faenza, e dal matrimonio erano nati sette figli: quattro maschi, Francesco, Pataro, Venceslao e Ludovico, e tre figlie.
Fonti e Bibl.: I libri commemoriali della Repubblica di Venezia,Regesti, a cura di R. Predelli III, Venezia 1883, ad Indicem;A. Gloria, Monumenti della Università di Padova, II, Padova 1888, ad Indicem; G.Mazzatinti, L'obituario del convento di S. Agostino di Padova, in Misc.di storia veneta, s. 2, II [4] (1894), p. 16; G. e B. Gatari, Cronaca Carrarese, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ediz., XVII, 1, a cura di A.Medin e G. Tolomei, ad Indicem;Padova, Biblioteca civica, ms. B.P. 1619: Alberi genealogici delle famiglie nobili padovane,sub voce;Ibid., ms. B.P. 1418 IX: B. Bertoldo, Cronica delle famiglie di Padova antiche e moderne, f.27v; Ibid., ms. B.P. 1618 XI: A. Buzzacarini, Mem. stor. generali sulla nobile famiglia marchesi Buzzacarini, f.9; Ibid., ms. B.P. 384: A.Dotto de Dauli, Cronica di Padova e delle sue nobili famiglie, f.175; Ibid., ms. B.P. 1232: G. B. Frizier, Origine della nobilissima et antica città di Padova et cittadini suoi, f. 87; B. Scardeonii De antiquitate urbis Patavii,et claris civibus Patavinis, Basileae 1560, p. 321; I. Salomonii, Urbis Patavinae inscriptiones sacrae et profanae, Padova 1701, pp. 45, 534, 535; A. M. Fabris, Opuscoli padovani. Per le nobilissime nozze Dalle Ore-Buzzacarini, Padova 1839, pp. 6, 16; G.Cittadella, Storia della dominazione carrarese in Padova, Padova 1842, I, pp. 340 s., 344, 391; II, pp. 83, 101; E. Pastorello, Nuove ricerche sulla storia di Padova e dei Principi di Carrara, Padova 1908, pp. 44, 53, 58.