ARCO
Si dà genericamente questo nome a una struttura edilizia curva predisposta per coprire la distanza (luce o corda) tra due appoggi verticali (piedritti o spalle). Più propriamente in senso statico, è lecito parlare di a. quando tale struttura è costituita (o idealmente assimilabile) da una serie di elementi (conci o cunei) che si reggono per mutuo contrasto, in modo cioè che ciascuno di essi agisca su quelli adiacenti non verticalmente, ma in direzione obliqua; di conseguenza i piedritti a loro volta sono sollecitati da una forza inclinata (risultante di quelle agenti sui singoli conci), la cui componente orizzontale è detta spinta dell'arco. La superficie convessa esterna dell'a. si chiama estradosso, quella concava interna intradosso, la distanza tra le due è lo spessore, che può essere costante o variabile tra il piano d'imposta e il concio più alto (chiave o serraglia), il quale generalmente è in posizione centrale; la distanza tra imposta e chiave è detta monta o freccia o saetta. La costruzione dell'a. viene iniziata contemporaneamente dalle due imposte e si conclude con il collocamento della chiave (chiusura dell'a.), che realizza l'equilibrio della struttura; per sorreggere i conci durante la costruzione ci si avvale di armature lignee provvisorie (cèntine) conformate secondo la curva dell'intradosso. I tratti dell'a. compresi tra il piano d'imposta e un piano obliquo a 30° rispetto all'orizzontale (piano alle reni) corrispondono alla parte in cui la stabilità dei conci durante la costruzione è garantita anche senza l'uso di cèntine; fino alle reni la struttura è solidale con le spalle o piedritti e solo nella parte residua risulta spingente, assumendo il funzionamento-arco. I tratti di muratura soprastanti le reni e più in generale quelli che consentono di raggiungere il piano orizzontale tangente alla chiave sono detti rinfianchi e contribuiscono a diminuire l'effetto della spinta, caricando verticalmente le reni. Un a. privo dei rinfianchi si dice estradossato.In rapporto alla forma si distinguono gli a. con unico centro di curvatura da quelli risultato di curve diverse. Tra i primi particolare rilevanza assume l'a. a tutto sesto (o rotondo o semicircolare), con il centro di curvatura giacente sul piano orizzontale d'imposta, che venne impiegato in modo dominante, ma non esclusivo, nell'architettura del Medioevo occidentale. L'a. a ferro di cavallo (o moresco o a sesto oltrepassato), il cui centro è più alto del piano d'imposta, è documentato, prescindendo dagli esempi scavati nella roccia, intorno alla metà del sec. 4° (battistero di Mār Ya'qūb a Nisibi) e trovò speciale diffusione nell'architettura musulmana di Spagna e dell'Africa del Nord. L'a. a tutto sesto rialzato (o con piedritti rialzati), nel quale i piedritti proseguono oltre il piano d'imposta, venne impiegato nell'architettura bizantina e islamica, ma fu usato sistematicamente anche dai costruttori occidentali nelle arcate del coro aperte sul deambulatorio. L'a. ribassato (o segmentato o bombato o a sesto scemo) ha il centro di curvatura più in basso del piano d'imposta; quando ciò avviene in modo così accentuato che l'intradosso s'approssima a una linea orizzontale, si ha la piattabanda, che conserva la struttura, ma non l'aspetto dell'arco. Simile all'a. ribassato è l'a. depresso (o ribassato policentrico), che non presenta uno, ma generalmente tre centri di curvatura. Questa forma appare raramente in epoca romanica, quasi sempre come frutto della deformazione prodotta da un cedimento dei sostegni. Tra gli a. con più centri di curvatura, l'a. acuto o spezzato, detto comunemente, ma meno bene, ogivale (franc. arc en ogive, da non confondere con arc ogive, termine con il quale si designa l'a. diagonale di una volta a crociera costolonata), è costituito da due archi di circonferenza, i cui centri giacciono sul piano orizzontale d'imposta, a una distanza variabile, che ne determina la forma più o meno allungata. L'a. acuto è detto compresso se i due centri sono interni alla corda, equilatero se coincidono con le sue estremità, a lancetta se sono esterni. Inoltre gli a. acuti possono essere realizzati su piedritti rialzati (a. acuto rialzato) o nella forma a ferro di cavallo (moschea Kutubiyya a Marrakech; cortile dell'antica moschea di Siviglia).L'origine dell'a. acuto viene fatta comunemente risalire all'architettura islamica, ma risulterebbe già presente in un esempio di epoca giustinianea a Qaṣr Ibn-Wardān. Comunque, gli esemplari più antichi sono stati individuati in territorio siriano e indicano un processo evolutivo, sia pure ideale, segnato dal progressivo accrescimento della distanza tra i centri di curvatura, che varia da ca. 1/10 della corda (Quṣayr 'Amrā, 712-715), a 1/6 (Ḥammām al-Ṣarakh, 725-730), a 1/5 (Mshattá, 744), fino a 1/3 (Fusṭāṭ, 861-862).Secondo Viollet-le-Duc (1859, p. 29) l'impiego di questo tipo d'a. da parte dei costruttori occidentali, che lo usarono con sempre maggiore frequenza a partire dai primi anni del sec. 12° (Borgogna, Ile-de-France, Champagne), non dipese dall'influenza delle forme arabe, peraltro già penetrate in Italia, in Spagna e nella stessa Francia, ma fu il frutto di osservazioni fatte sulla deformazione degli a. a tutto sesto, a causa della rotazione dei piedritti, cioè del rialzamento delle reni e dell'abbassamento in chiave, cui questi costruttori tentarono di opporsi, operando in senso opposto sulla conformazione della curvatura.In ogni modo, i maestri occidentali ebbero ben presto chiari, per via sperimentale, i vantaggi della forma acuta rispetto a quella circolare, consistenti nel dar luogo, a parità di luce e carico, a una minore spinta sugli appoggi. Infatti, sebbene il problema della determinazione per via teorica della spinta d'un a. sia stato affrontato per la prima volta nel sec. 18° (La Hire, 1712, in Benvenuto, 1981, p. 326 ss.) e abbia trovato soluzione solo in epoca recente, nella letteratura tecnica rinascimentale (Gil de Hontañon, sec. 16°, in Camón, 1940-1941; Derand, 1643) rimane traccia di formule presumibilmente già usate in epoca medievale. Viollet-le-Duc (1859, p. 63) menziona un metodo geometrico per il dimensionamento del piedritto, che evidenzia i vantaggi della forma acuta: si divida l'a. d'imposta AD (a tutto sesto o acuto) in tre parti uguali e si prolunghi la corda CD di un'identica lunghezza DE; la verticale per E determina lo spessore del piedritto. Per dimensionare lo spessore dell'a. è documentata nel sec. 15° la regola pratica (valida nel caso in cui la distanza tra estradosso e intradosso sia costante) di tracciare una linea retta contenuta tra la chiave e l'imposta dell'estradosso.Altri tipi di a. policentrici sono stati impiegati dai costruttori medievali per la loro efficacia decorativa. Tra questi va ricordato l'a. polilobato, in cui la curva d'intradosso (circolare, acuta o di altra forma) è realizzata da una serie di archetti i cui centri si trovano ad altezze diverse. L'a. polilobato può presentarsi in numerose varianti a seconda che gli archetti siano circolari, oltrepassati, rialzati, acuti o di forma diversa; se gli archetti sono convessi prende il nome di a. a dentelli. In alcuni casi poi la curva dell'intradosso è mantenuta continua e gli archetti, scavati o in rilievo, sono applicati sulla fronte dei conci. L'a. trilobato, sagomato secondo una grande varietà di forme, è costituito da tre archi o tratti curvilinei; questo tipo acquista particolare importanza con il Gotico rayonnant, nella variante in cui l'elemento curvilineo centrale è un a. acuto. L'a. inflesso (o a carena o a schiena d'asino), costituito da due elementi curvilinei, ciascuno dei quali sagomato con profilo concavo in basso e convesso in alto, è di origine estremo-orientale. Esso venne isolatamente impiegato in Occidente già prima del sec. 11° e si diffuse, attraverso Venezia, dalla fine del 13° secolo. L'a. inflesso fu impiegato in numerose varianti, determinate dalla presenza di ulteriori lobi curvilinei o di tratti rettilinei, diritti o spezzati, che ne complicano il profilo. Il contrapposto formale di questa curva, con andamento convesso-concavo, usato nei trafori dei finestroni tardogotici, prende il nome di a. a fiamma (franc. arc en doucine). Una variante dell'a. inflesso è l'a. Tudor, che al posto delle curve convesse presenta nella parte superiore due archi di cerchio con raggio molto ampio, o due tratti rettilinei. L'a. a spalla (ingl. shouldered arch), frequente in Inghilterra, non è propriamente un a., essendo costituito da un elemento orizzontale collegato ai piedritti con mensole.La struttura che realizza gli archi, costituita da uno o più anelli di conci (ghiere), eventualmente accentuati mediante fasce, cornici o modanature, prende il nome di archivolto. Se i conci sono di forma parallelepida (come per es. negli a. di mattoni), le connessioni tra due elementi adiacenti (giunti) divengono cuneiformi; perciò, a evitare un eccessivo allargamento dei giunti, è necessario costruire gli a. di maggiore spessore con più anelli indipendenti sovrapposti. Quando è possibile realizzare conci trapezoidali, i giunti risultano paralleli, come negli a. in pietra a vista; in questi casi, per rendere meno acuti gli spigoli delle pietre addossate all'archivolto, vengono usate talora curvature diverse all'intradosso e all'estradosso (Breymann, 1868). Si ha così l'a. lunato, oppure, quando l'intradosso è a tutto sesto e l'estradosso acuto, l'a. toscano.Le forme più semplici di archivolto, con una o più ghiere di conci piani, prevalsero fino a quasi tutto il sec. 11°, alla fine del quale, e soprattutto in quello successivo, si imposero tipi più ornati, con tori e gole e con fasce decorate a intrecci, meandri, zig-zag, rosette, dentelli, punte di diamante. La ghiera più interna, tuttavia, conservò in genere l'intradosso piano e forrme della massima semplicità per facilitare la posa dei conci sulle carpenterie. Questa caratteristica permase anche dopo l'adozione preferenziale dell'a. acuto (Autun, cattedrale, 1130); soltanto a partire dal sec. 13° i profili si modificarono con l'adozione di modanature angolose e sporgenti, anche nell'intradosso (Nevers, cattedrale), richiedendo per la posa in opera l'impiego di cèntine particolari o doppie. Per quanto riguarda i portali, l'enorme spessore dei muri di facciata diede luogo alla realizzazione di a. con quattro, cinque o anche più ghiere sovrapposte, ricoperte da una decorazione più o meno ricca, ma sempre serrata nell'inviluppo squadrato dei conci, caratteristica valida, fino al sec. 14°, anche per i grandi portali figurati gotici.Quando gli a. sono impiegati a sostegno o come articolazione delle volte, si distinguono a seconda della posizione: gli a. trasversali (franc. arcs-doubleaux), sviluppati perpendicolarmente alle generatrici di una volta a botte o come separazione tra due volte a crociera; gli a. longitudinali (franc. arcsformeret), che delimitano lateralmente la campata; gli a. diagonali, detti più comunemente costoloni o nervature diagonali (franc. arcs-ogive), che dividono le vele di ciascuna campata. Tutti questi a. in genere non hanno connessioni strutturali con l'apparecchio murario delle volte, perché destinati a sorreggere, nel corso della costruzione, le carpenterie delle vele. Nelle navate laterali e negli ambienti a nave unica, gli a. longitudinali sono invece connessi alle pareti esterne, per cui talora vengono definiti a. incastrati (ovviamente senza riferimento al tipo di vincolo alle imposte, che è concetto proprio della moderna scienza delle costruzioni).A partire dal sec. 13° vennero usati spesso a. longitudinali che, attraversando il muro, si profilavano visivamente sulla parete esterna e assumevano la funzione di a. di scarico, termine con il quale più propriamente si designa un a. ricavato nello spessore del muro, cioè non emergente rispetto alla parete, posto al di sopra di un'apertura o in genere di una parte di minore resistenza per concentrare i carichi su punti d'appoggio affidabili. A questo tipo di struttura i costruttori medievali (soprattutto nella Francia nordorientale e occidentale e in Alvernia), sviluppando un motivo già presente nell'architettura ravennate, conferirono un ulteriore significato decorativo, facendo risaltare gli a. rispetto alla parete e sottolineandone l'estradosso con sottili cornici o tondini: si ebbero così gli a. ciechi impiegati sulle fronti laterali delle chiese, che consentono di diminuire lo spessore delle cortine murarie e accrescere i carichi verticali sui punti che ricevono la spinta delle volte.Altro tipo particolare di a. è l'a. rampante (o zoppo o a collo d'oca), che ha le due imposte a quota diversa; destinato a sostegno di rampe di scale, questo tipo di a. trovò un impiego importante nell'architettura gotica, collegato a un contrafforte esterno, per controbilanciare e scaricare la spinta delle volte costolonate interne. In questa funzione gli a. rampanti (franc. arcs-boutants; ingl. flying buttresses), già anticipati nei sottotetti delle navate laterali della cattedrale di Durham, furono adattati inizialmente dai costruttori della cattedrale di Parigi (ultimo quarto del sec. 12°) e in chiese cistercensi. Nelle grandi cattedrali dei secc. 13° e 14° il principio venne perfezionato e si realizzarono a. rampanti su più ordini sovrapposti, affidando a quelli più alti gli ulteriori compiti di consentire il deflusso delle acque del tetto, allontanandole dalle coperture delle navate laterali, e di opporsi agli effetti del vento.
Bibl.:
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Molte delle forme più importanti di a. usate nell'architettura islamica sono di origine preislamica.L'a. a ferro di cavallo rotondo, per es., si incontra in quasi tutto l'Oriente preislamico, fin nell'interno dell'India (Gómez-Moreno, 1906; Ewert, I, 1968) e gli esempi si fanno ancora più numerosi nella Tarda Antichità. In Occidente, l'a. a ferro di cavallo è molto frequente in Spagna, la regione che vide il perfezionarsi delle sue forme durante il periodo islamico; nelle chiese visigotiche esso è già un elemento ricorrente così come lo è in quelle mozarabiche, dove le forme degli a. sono esito dello sviluppo della struttura nella cultura islamica. Peraltro l'a. lobato puro appare già, anche se solo come elemento decorativo cieco, nell'architettura sasanide. Nel grande palazzo di Ctesifonte (tra il 241 e il 271) la parte frontale di una volta a botte parabolica è incorniciata da un a. con diciassette lobi leggermente aggettanti (Sarre, Herzfeld, 1911-1920, II, fig. 172) e, come nei più tardi a. lobati islamici, l'andamento dei singoli lobi è semicircolare. Lo schema è ripetuto, quasi senza variazioni, ancora in Mesopotamia agli inizi dell'epoca abbaside: ai due ingressi della moschea nel castello di Ukhayḍir (seconda metà del sec. 8°) un a. di sette lobi orla un a. a sesto acuto (Reuther, 1912, fig. 24). Nella moschea di Córdova infine si accede all'area ampliata da al-Ḥakam II (tra il 965 e il 970), nell'asse della navata centrale, attraverso un portale monumentale costituito da un a. a ferro di cavallo rotondo interno incorniciato da un a. lobato di notevole profondità e con ben ventuno lobi, che poggia su colonne proprie, costituendo così un elemento architettonico autonomo.A bilanciare questi tipi di a. di presunta origine islamica va messa in rilievo almeno una forma fondamentale che viene abitualmente considerata di specifica origine occidentale, l'a. a sesto acuto, che non è in realtà creazione originale dell'arte gotica; esso è infatti forma ricorrente nell'architettura abbaside già dai suoi primordi. Nel castello di Ukhayḍir, per citare un caso, è ampiamente impiegato: nel lato settentrionale dell'atrio, per es., sono inseriti tre a. a sesto acuto - uno dell'apertura d'entrata, uno del sovrastante timpano a nicchia e infine quello del profilo spezzato della volta di copertura - che danno l'impressione di una perfetta unità compositiva. Il motivo segue la migrazione verso Occidente dell'arte abbaside: è abbondantemente documentato anche nel Cairo tulunide, prima nelle nicchie del Nilometro (intorno all'861; Creswell, 1940, tavv. 80-81) e più tardi nella moschea di Ibn Ṭūlūn (876-879); un'impressione di particolare monumentalità è data dalle pareti ad arcate della sala di preghiera di questa moschea (Creswell, 1940, tavv. 99-101). Fin dagli inizi dell'epoca abbaside l'a. a sesto acuto si muta in un accentuato a. carenato, forma dominante di tutta l'architettura iranico-islamica (Raqqa, porta sud-orientale, probabilmente del 772, apertura del portale e nicchia laterale conservata). I suoi segmenti principali sono estremamente piatti; segmenti molto più stretti si raccordano alla verticale (questo profilo è comunque noto anche nell'architettura inglese tardogotica con il nome di a. Tudor).Non è un caso che la capacità di costruire sistemi chiusi da diverse forme di a. si sia manifestata inizialmente in ambito islamico nella prima architettura abbaside della Mesopotamia. Dapprima si utilizzò il sistema a nicchie parietali ad a., elaborato in modo monumentale dai Sasanidi; la facciata del grande palazzo di Ctesifonte, ripartita in più piani, è la più impressionante anticipazione delle soluzioni islamiche (Sarre, Herzfeld, 1911-1920, III, tavv. 39-42). Il principio sasanide delle lunghe sequenze di nicchie è mantenuto nella sezione superiore della porta sudorientale di Raqqa dove però si trovano due forme d'a. completamente diverse, sia nel grado di frammentazione sia in altezza e profondità: nella parte inferiore sono infatti presenti nicchie più profonde, arrotondate, sormontate da semplici a. a sesto acuto, mentre in quella superiore sono messi in opera a. lobati. Questi sistemi di nicchie parietali di tradizione sasanide si mantennero in Oriente per secoli, come è testimoniato, per es., dai sistemi monumentali delle case e dei palazzi medievali dell'od. Afghanistan, di cui solo di recente si è venuti a conoscenza. Tali sistemi, tuttavia, furono esportati anche in Occidente. Come ordini colossali d'articolazione parietale, già noti dalla Fīrūzābād sasanide e dal castello abbaside di Ukhayḍir, essi vennero ripresi nella Qal'a dei Banū Ḥammād (inizio del sec. 11°; Marçais, 1954, fig. 41), ma anche nel Cairo mamelucco. L'influenza islamica li esportò poi nell'Italia meridionale normanna: Palermo ne conta infatti numerosi esempi (la Zisa, la Cuba, S. Cataldo).Anche l'idea di infoltire il sistema di a. mediante intreccio è preislamica; per es. a. intrecciati appaiono frequentemente nei mosaici romani. In Siria essi sono già attestati in epoca paleocristiana, impiegati come decorazioni di facciate (chiesa di Beḥyō, architrave, sec. 6°; Ewert, III, 1978-1980, 2, figg. 38, 122). Dalla Siria omayyade, e precisamente da una lastra di parapetto di Qaṣr al-Ḥayr al Gharbī (724-727; Damasco, Mus. Nat.), si conosce la raffigurazione di una struttura architettonica a più piani in cui il piano terra è costituito da un'arcatella nana aperta formata da a. a tutto sesto intrecciati fra loro. Ma bisogna arrivare alle monumentali costruzioni delle quattro cupole a costoloni, nell'ampliamento di al-Ḥakam II della moschea di Córdova, per avere documentati i più antichi sistemi con funzione statica oltre che decorativa; essi sono variazioni e ampliamenti del sistema ad arcate a due piani delle navate. La loro struttura base è sempre uguale: sostegni a due piani con a. superiori (portanti) a ferro di cavallo e a. inferiori pentalobati, i cui rami, nelle soluzioni più mature, vengono prolungati in modo che ne nascano a. intrecciati a doppia campata. Nell'Aljafería di Saragozza - il palazzo islamico occidentale meglio conservato del sec. 11° (dopo il 1049) - il tema degli a. intrecciati si sviluppa in un'ineguagliabile serie di variazioni. All'a. a tutto sesto, a quello a ferro di cavallo e a quello lobato si aggiungono - documentati per la prima volta in un'utilizzazione del genere - l'a. a ferro di cavallo a sesto acuto e l'a. mistilineo, che si compone di lobi rotondi (talvolta anche concavi) e tratti rettilinei (in particolare quelli, caratteristici, a gradini). La diversificazione delle misure va dalle ampie cadenze d'arcate, che si avvicinano ai modelli cordovani, fino alla decorazione di tipo miniaturistico dei capitelli; in questo modo si attuò la metamorfosi della superficie in pura ornamentazione. La tendenza alla ripartizione minuta, cioè a una sempre più decisa frammentazione delle forme d'a., favorì lo sviluppo del motivo a rete, dalle infinite possibilità di ampliamento in altezza e larghezza, che domina nei monumentali pannelli delle facciate dei due grandi minareti almohadi della fine del sec. 12° (Rabat, moschea di Ḥassan; Siviglia, la Giralda) e in numerosi edifici da essi derivati. Il tema degli a. intrecciati - che, grazie al geniale impulso della moschea di Córdova, era divenuto motivo dominante nell'area magrebino-occidentale-ispanica, mentre nell'architettura islamizzante mudéjar della Spagna della Reconquista era stato persino ulteriormente elaborato (per es. negli a. intrecciati nel chiostro di San Juan de Duero a Soria, forse della prima metà del sec. 13°) per fecondare infine anche l'ambiente, già di per sé fortemente islamizzato, dell'Italia meridionale normanna (non senza riflessi fino in Inghilterra) - ricadde, abbandonata ogni ambizione tettonica, in una decoratività minuta, talvolta di tipo puramente geometrico.Nel sec. 12° si sviluppò un ulteriore metodo per coordinare diverse forme di a. in un sistema chiuso che abbraccia tutta la larghezza della sala di preghiera (e in alcuni luoghi anche la sua lunghezza). In un'arcata trasversale, che delimita un transetto posto davanti alla qibla, sono ordinati in una sequenza ritmica i passi degli a. in corrispondenza delle navate longitudinali che terminano nel transetto. Punto di partenza è la campata della navata centrale, ossia la campata davanti al miḥrāb. I maestri dei 'puristi' almohadi, costretti a rendere le loro decorazioni più misurate, e pertanto più consapevoli, formularono nella moschea di Tinmal (Marocco, intorno al 1153-1154) il programma più ricco di gradazioni.Sono documentate inoltre anche altre nuove forme d'arco. L'a. a lambrecchini derivò il suo profilo dalla volta a muqarnas: il suo intradosso pieno assunse, sotto la cupola davanti al miḥrāb della seconda moschea Kutubiyya a Marrakech (prima del 1158), la struttura della volta da esso sostenuta. Questa versione definitiva, che si può definire 'a. a stalattiti', trionfò nell'epoca nasrido-merinidica, per es., nell'Alhambra di Granada. Nella moschea di Tinmal predominano invece i nuovi tipi fortemente frammentati: sia al centro sia alle estremità dell'arcata trasversale si dispongono davanti alla qibla a. a lambrecchini; al secondo livello gerarchico - tra il miḥrāb e gli angoli dell'edificio - a. lobati due volte spezzati, mentre su ciascun lato si collocano tra essi semplici a. lobati.Sotto gli Almohadi non solo si raggiunsero i massimi livelli di abilità nell'articolare la grande sala di preghiera con forme di a. riccamente differenziate, ma nuove vie si aprirono anche nei sistemi decorativi delle superfici. In particolare, basandosi sui primi modelli decorativi del periodo dei regni di Ṭā'ifa, l'a. subì un processo di 'vegetalizzazione'. Nacque così l'a. a foglie, in cui i lobi geometrici del classico a. lobato vennero serrati da ghirlande vegetali - questo stadio appare raggiunto nella raffigurazione miniata di un'arcata su un capitello dell'Aljafería di Saragozza (Ewert, 1972, tav. 60) - oppure divennero essi stessi i segmenti più lunghi di foglie bilobate. L'a. tettonico si assimilò alla trama decorativa vegetale della superficie.Dalle forme desunte dal patrimonio tradizionale, l'Islam sviluppò un proprio ricco repertorio; decisivo fu comunque il contributo occidentale. In generale si osserva una tendenza - che nel corso dei secoli va rafforzandosi - alla frammentazione del singolo a., nonché il passaggio da sistemi tettonici all'ornamentazione superficiale minuta, talvolta addirittura 'vegetalizzata'. Anche in questo specifico ambito dell'architettura l'arte islamica ha manifestato la sua ricchezza di contrastanti tendenze compositive e di varianti formali.
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