Vedi ARCO ONORARIO e TRIONFALE dell'anno: 1958 - 1994
ARCO ONORARIO e TRIONFALE (v. vol. I, p. 588)
All'archeologia dei primi decenni del Novecento era parso naturale affrontare il problema della comparsa dell'a. onorario a Roma agli inizî del II sec. a.C. secondo punti di vista volta a volta contrapposti: da un lato quello dell'assoluta originalità romano-italica, dall'altro quello della diretta acquisizione dalla cultura e dalle tradizioni architettoniche dell'ellenismo greco-orientale. Ma come già avvertiva, oltre trent'anni fa, M. Pallottino (v. vol. I, p. 591), l'a. onorario romano trova piuttosto le ragioni del suo essere in fattori diversi che difficilmente si saprebbero ridurre a qualche definita tipologia architettonica preesistente. In effetti il fornice isolato - o anche inserito in un contesto edificato all'interno della città - con funzioni di sostegno di gruppi scultorei e di passaggio, al di là del limite segnato dal monumento stesso, deve molto, ovviamente, alle porte urbiche strutturalmente simili, che compaiono e presto si diffondono, in area di cultura greca come in Italia, fra gli ultimi decenni del IV sec. a.C. e quelli centrali del III (V. arco). D'altro canto, in rapporto all'a. con specifici connotati trionfali - ovvero contestuale all'effettiva celebrazione di un trionfo - è importante il possibile ruolo svolto (forse addirittura come concreto exemplar) dalla Porta Triumphalis di Roma, l'antico aditus alla città dal quale prendeva l'avvio il corteo del trionfatore (Cic., Pis., 55; Tac., Ann., I, 8, 3; Dio Cass., LVI, 42; Suet., Aug., 100; Fl. Ioseph., Bell. lud., VII, 5, 4). Di recente si è giustamente molto insistito sul ruolo svolto da questo monumento (Coarelli): esso deve ormai con sicurezza essere collocato nei pressi della c.d. Area Sacra di S. Omobono, accanto o anche in coincidenza stessa con la Porta Carmentalis delle più antiche mura di Roma. Secondo l'interpretazione di F. Coarelli i primi fornices a noi noti, per testimonianza di Livio (XXXIII, 27, 3-4), costruiti da L. Stertinio nel 196 a.C. davanti ai templi di Fortuna e Mater Matuta, non sarebbero stati che la prima Porta Triumphalis stabile, strutturata con due passaggi, probabilmente come a. quadrifronte. Per questi fornices di Stertinio è forse preferibile pensare a un monumento di ingresso all'area sacra, ma è comunque rilevante osservare che tutti i primi fornices repubblicani - anche se non in rapporto diretto con la celebrazione di un trionfo - si collocano lungo il percorso della pompa trionfale. Sarà solo col fornix Fabianus del 120 a.C., eretto nel Foro Romano, che si avrà il primo esplicito riferimento alla celebrazione di un trionfo, quello di Q. Fabio Massimo sugli Allobrogi.
Sarebbe comunque semplicistico ridurre la problematica della formazione dell'a. onorario soltanto a questo. I diversi fattori, di carattere storico-ideologico in primo luogo, che concorrono al determinarsi di tale fenomeno, prendono corpo in una forma architettonica a sua volta debitrice di elementi propri di tradizioni precedenti. Si possono ricordare alcune strutture legate alla ancestrale ritualità del passaggio, permeata di valenze sacrali (Iugum, Tigillum sororium); i monumenti onorari dell'ellenismo maturo, sorti nei grandi centri della religiosità greca, come le colonne doppie e i pilastri dei santuari di Delfi e di Delo, del III e II sec. a.C.; le diverse forme assunte dalla pratica celebrativa e votiva dei singoli e delle comunità. Inoltre un precedente di grande importanza può essere costituito dai monumenti tropaici del primo ellenismo.
Almeno uno di questi aveva probabilmente funzione di ingresso e quindi di passaggio: la porta descritta da Pausania (I, 15, 1) nell'agorà di Atene ed eretta attorno al 304 a.C. a seguito della vittoria su Pleistarchos, di cui recentemente si sono ritrovate le fondazioni (cfr. T. L. Shear Jr., The Athenian Agora. Excavations of 1980-1982, in Hesperia, lui, 1984, pp. 19-24, fig. 12). Nei fornices repubblicani si deve riconoscere infine uno specifico significato religioso, tanto da render lecita una loro interpretazione anche come veri e proprî donarî (Calabi Limentani).
Queste molteplici valenze - votive e onorarie, celebrative e religiose - trovano il loro coagulo nel clima dominato da un profondo culto della personalità tipico della lotta politica nei decenni attorno alla fine del IlI-inizio del II sec. a.C. che, sotto la spinta del modello rappresentato dalle monarchie ellenistiche, costituisce e costituirà sempre più il terreno di coltura per l'affermazione di un forte potere individuale. Non sarà un caso che agli inizî della «storia» dell'a. onorario, oltre alla figura - per noi oscura - di Lucio Stertinio, troviamo quella dell'Africano, uno dei più emblematici viri triumphales dell'età repubblicana, il cui fornix sorse ben presto sul Campidoglio, nel 190 a.C., solo pochi anni dopo quelli di Stertinio (Liv., XXXVII, 3, 7).
Roma. - Fino alla metà c.a del I sec. a.C. monumenti di questo tipo sorgono esclusivamente a Roma, con pochissime eccezioni, come si vedrà. La loro forma architettonica non ci è nota, ma doveva essere piuttosto semplice: uno o più vani arcuati posti fra piedritti, sovrastati da una base che sorreggeva gruppi statuari di bronzo. A volte, ai piloni potevano aggiungersi piccole vasche di fontana (fornix di Scipione). Non si può certamente accogliere una recente ipotesi (Hafner) che vorrebbe collegare al fornix di Scipione i noti rilievi «sillani» del Palazzo dei Conservatori (cfr. T. Hölscher, Römische Siegesdenkmäler der späten Republik, in Tainia. Festschrift R. Hampe, Magonza 1980, pp. 359-371), ma non si può neppure escludere che questi monumenti repubblicani potessero avere un'articolazione e un corredo figurativo più complessi di quanto normalmente si creda, oltre a essere arricchiti dai cospicui gruppi scultorei testimoniati dalle fonti. È molto probabile che svolgessero anche una funzione urbanisticamente rilevante come accesso ad aree sacre o civili di particolare importanza. Questo aspetto chiama in causa sia la tradizione del pròpylon greco (un altro elemento ancora da valutare nel quadro degli apporti alla formazione dell'a. onorario), sia quella - probabilmente molto antica - degli iani nel Foro Romano, certamente da considerare portali di accesso (al Foro stesso o alla Basilica Emilia, secondo una proposta recente, con la quale è però difficile concordare: cfr. F. Castagnoli, Gli iani del Foro Romano: Ianus = arco quadrifronte?, in BullCom, XCII, 1987-88, pp. 11-16). È sintomatico che i primi fornices (o iani, cfr. Cic., Nat. deor., II, 67) noti fuori di Roma, quello di Cosa (del 175-150 circa a.C.) di cui restano parti e quelli di Sinuessa del 174 a.C. (Liv., XLI, 27, 12), fossero in realtà degli ingressi monumentali alle aree forensi. Anche il fornix Fabianus costituisce un ingresso al Foro Romano, sulla Via Sacra presso il luogo dove poi sorgerà il Tempio di Antonino e Faustina.
È però soltanto con l'età di Augusto che l'a. assume un preciso ruolo celebrativo e onorario; contemporaneamente raggiungono una prima definizione le forme architettoniche sperimentate in precedenza, col ricorrente impiego del sistema d'inquadramento costituito dall'ordine applicato di semicolonne agli angoli - o anche reduplicato su ogni pilone - a sorreggere la trabeazione. In questo gli a. augustei sono in realtà preceduti di poco da esempi tardorepubblicani, come quello di Aquino (del 40 circa a.C.), dove troviamo un inquadramento costituito da colonne angolari, mentre l'archivolto è sorretto da colonnine a lato del passaggio, sistema in sé perfettamente compiuto. Del resto l'architettura romano-italica aveva già da tempo impiegato in facciata il fornice inquadrato da semicolonne (santuario di Palestrina, Tabularium, portichetto tardorepubblicano del Foro Boario di Roma), di cui si conoscono esempi anche nell'ambito dell'architettura celebrativa «romana» dell'Oriente ellenistico (p.es. il monumento di C. Memmio a Efeso, da riferire sicuramente ai decenni anteriori alla metà del I sec. a.C.).
Con l'età di Augusto l'a. onorario diviene monumento esclusivamente ufficiale a Roma, dedicato dal Senato e rivolto a celebrare prima la figura del princeps, in seguito anche personaggi della famiglia imperiale. Contemporaneamente esso si lega strettamente ai temi dell'ideologia augustea e ne diviene uno dei tramiti più importanti e più capillarmente diffusi, anche nel resto dell'Italia e nelle Provincie. Qui l'iniziativa passa naturalmente, in molti casi almeno, alle comunità locali che in tal modo attestano il proprio lealismo e diffondono l'ideologia del charisma imperiale e del suo universalismo. Gli a. augustei di Roma in particolare si caricano così, tanto per il corredo scultoreo che per quello epigrafico, dei motivi e delle simbologie ricorrenti nell'ideologia del principato nascente: dal tema della «teologia della vittoria», intimamente connaturato alle radici «trionfali» dell'a. onorario, a quello dell'evergetismo del princeps (di cui le stesse Res gestae sono per altro verso un documento illuminante), dai riferimenti alla pietas del sovrano, erga deos ed erga homines, alle preoccupazioni dinastiche e alle necessità celebrative di personaggi della casa imperiale venuti a mancare.
Fra gli a. onorarî dedicati ad Augusto in Roma, sono di capitale importanza i due eretti nel Foro Romano, secondo quanto ci attestano le fonti scritte (Dio Cass., LI, 19; LIV, 8, 3; Sch. Veron. Aen., VII, 606), per celebrare la vittoria di Azio prima e in seguito la restituzione delle insegne perdute da Crasso contro i Parti (decretati rispettivamente nel 30 e nel 20 a.C.). Entrambi questi monumenti, che sorgevano verosimilmente presso il Tempio del Divo Giulio, come ingresso monumentale al foro da E, sono con ogni probabilità da riconoscere in monete coniate poco dopo la loro costruzione. In realtà il loro riconoscimento nei resti a più riprese venuti in luce a S e a Ν del tempio costituisce un problema ancora largamente dibattuto. Secondo un recente riesame di tutta la documentazione superstite (Nedergaard) pare si debbano riconoscere le fondazioni di un solo a., a tre fornici, a S del tempio, certamente quello del 20 a.C. Secondo questa ipotesi sarebbe da escludere la preesistenza nello stesso luogo (a lungo sostenuta da altri) del più semplice a. a un fornice del 30. Un'altra ipotesi (Coarelli) considera i due a., quello «aziaco» del 30 e quello «partico» del 19 entrambi a tre fornici e li situa rispettivamente a S e a Ν del Tempio del Divo Giulio. Il secondo sarebbe stato parzialmente inglobato nella porticus Cai et Luci, nuova denominazione augustea del portico antistante la Basilica Emilia. L'a. «aziaco» sarebbe stato a sua volta preceduto, sullo stesso sito, da quello eretto in onore di Ottaviano per la vittoria di Nauloco su Sesto Pompeo, a. che Dione Cassio (XLIX, 15, 1) dice decretato nel 36 a.C., senza tuttavia specificarne il luogo. Il complicato problema non pare ancora definitivamente risolto, anche se è probabile che l'a. a tre fornici di cui si sono trovate le fondazioni a S del Tempio del Divo Giulio sia quello «partico» del 20 e che a Ν esistesse semmai un prolungamento sulla Via Sacra di un fornice della porticus Cai et Luci. L'importanza di questi monumenti è comunque determinante, nel quadro dell'ideologia augustea (l'a. del 20 conteneva forse le liste dei Fasti Consolari e Trionfali; ma, secondo una recente ipotesi, esse sarebbero state poste sui piedritti del fornix Fabianus, rifatto nel 57 a.C.: E. M. Steinby, Il lato orientale del Foro Romano, in Arctos, XXI, 1987, p. 156 ss.) e nello sviluppo futuro dell'a. onorario romano, sia per le forme architettoniche, sia perché questi monumenti inaugurano la serie degli a. accostati - spesso a coppie - a un edificio templare prospettante il foro, soluzione frequentemente ripresa nei municipi e nelle colonie d'Italia nella prima età imperiale e oltre.
Il recente ritrovamento (1982) a La Cañada presso Siviglia della c.d. Tabula Siarensis, contenente le disposizioni del Senato di Roma per le onoranze a Germanico (morto ad Antiochia nel 19 d.C.), ha recato un fondamentale contributo per la conoscenza di un monumento perduto di Roma sul quale nulla si sapeva, a parte la breve menzione di Tacito (Ann., II, 83, 2). La decisione di costruire tre a. per onorare la memoria del defunto nipote di Tiberio - uno a Roma in Circo Flaminio, gli altri due in Germania e in Siria - è accompagnata da una preziosa serie di notizie su come doveva essere progettato il monumento romano. Per altra via l'a. può essere forse riconosciuto in quello che compare, con una struttura a fornice unico fra spessi e larghi piloni, in un frammento della Forma Urbis, presso il propileo del Portico d'Ottavia. Le direttive del senatoconsulto riguardano la consueta simbologia «trionfale» dei rilievi, ma prevedono inoltre che l'a. fosse sormontato da un cospicuo numero di statue di bronzo della famiglia imperiale (forse 12), da collocare attorno al carro trionfale dello stesso Germanico. L'a. costituiva così una sorta di heròon del defunto, ma assumeva espliciti caratteri dinastici, secondo una formula che, già sperimentata in età augustea, sarà successivamente e per lungo tempo applicata all'a. onorario.
Del resto lo stesso «modello» dell'a.-Heròon era già stato creato in età augustea, con il monumento per Druso Maggiore (9 a.C.) costruito probabilmente presso il Tempio di Marte lungo l'Appia e noto dalle fonti storiche e da raffigurazioni su monete di età Claudia (Suet., Claud., I; Dio Cass., LV, 2, 3. Cfr. H. M. von Kaenel, Münzprägung und Münzbildnis des Claudius, Berlino 1986, pp. 236-239). Ricerche recenti hanno anche chiarito l'importanza di un altro perduto a. della prima metà del I sec. d.C., quello eretto nel 51-52 (ma decretato nel 43) sulla Via Lata per Claudio a seguito dei successi militari in Britannia. Le iscrizioni, già note da tempo e parzialmente conservate (CIL, VI, 920-23), ne attestavano, anche in questo caso, il valore di monumento dell'intera famiglia imperiale, ma la possibilità di ricomporne ora - sia pure parzialmente - il ricchissimo corredo di rilievi di tematica guerresca e «trionfale» (a esso il Koeppel ha ora persuasivamente ricondotto anche rilievi di Hever Castle e del Louvre) induce a interpretare questo monumento di Claudio come uno dei primi a. di Roma dotato di un complesso apparato figurativo applicato al corpo architettonico e non solamente sorretto dall'attico. Va detto che i precedenti di una simile soluzione vanno ricercati quanto meno in età augusteo-tiberiana, in particolare per quel poco che sappiamo delle forme di questi monumenti in almeno uno dei citati a. di Augusto nel Foro Romano (sappiamo che sul sito vennero rinvenuti rilievi nel Cinquecento), nello stesso A. di Germanico ora citato, probabilmente in quello di Tiberio e Germanico pure nel Foro Romano (16 d.C.), prescindendo per ora da monumenti noti in altre città d'Italia e, soprattutto, della Gallia meridionale per la tarda età augustea.
Una tappa importante nella storia dell'a. onorario deve ora individuarsi nel perduto monumento di Nerone sul Campidoglio (Tac., Ann., XIII, 41, 4; XV, 18, 1). Dopo il riesame della documentazione monetale che raffigura questo a., dovuto a F. S. Kleiner, si può indicare in questo il primo caso di impiego di un ordine inquadrante il fornice completamente distaccato dal corpo dell'edificio, con la conseguente forte articolazione degli elementi portanti, trabeazione e attico. I rapporti fra le parti del monumento si complicano dunque notevolmente; i ricercati effetti volumetrici ottenuti con gli aggetti delle membrature, accompagnati da un cospicuo corredo di rilievi e sculture a tutto tondo (della cui presenza siamo certi, grazie alla raffigurazione - sia pur ridotta - dell'a. su monete), costituiscono un insieme estremamente composito, premessa alle ulteriori sperimentazioni realizzate nei decenni successivi.
In età flavia, accanto alla prosecuzione appunto delle esperienze neroniane (p.es. nell'A. di Tito all'ingresso del Circo Massimo, al quale E. La Rocca ha con ragione ricondotto un frammento di rilievo con testa di soldato galeato dei Musei Capitolini), permane negli a. onorarî di Roma anche un certo conservatorismo, per lo meno sul piano architettonico. Se ne ha un esempio nel «classicismo» che caratterizza l'a. domizianeo del Divo Tito alle pendici del Palatino. Un solo a. onorario (quadrifronte) è stato recentemente supposto per l'età di Vespasiano (Kleiner), sulla base della raffigurazione che compare, sullo sfondo, nel rovescio di rari sesterzi del 71 d.C. (cfr. anche Dio Cass., LXV, 7, 2). L'importanza del monumento (se pure esso può essere riferito a Vespasiano, raffigurato nell'atto di compiere un sacrificio davanti all'a.) è costituita dal fatto che l'attico sorregge una coppia di statue certamente da interpretare come Geni del Senato e del Popolo di Roma, il che rappresenterebbe un unicum, per quanto sappiamo, fra i gruppi statuari sugli attici degli archi: un segno evidente di lealismo da parte del princeps, tanto più significativo in quanto concepito nel clima esaltante della vittoria giudaica del 70. Meno convincente è l'attribuzione a Vespasiano di altri a., pure sostenuta dal Kleiner, noti da raffigurazioni in rilievi dell'A. del Divo Tito e della Tomba degli Haterii.
Gli a. sorgono invece numerosi per iniziativa di Domiziano, come peraltro attestano anche le stesse fonti storiche (Suet., Dom., 13, 2; Dio Cass., LXVIII, I, I). In buona misura essi devono rientrare in quel vasto progetto di glorificazione della gens Flavia pensato e parzialmente realizzato da Domiziano nel centro di Roma, acutamente studiato da M. Torelli (cfr. Culto imperiale e spazi urbani in età flavia. Dai rilievi Hartwig all'Arco di Tito, in L'Urbs. Espace urbain et histoire. Actes du Colloque International, Roma 1987, pp. 563-582). L'imponenza di questi monumenti domizianei è ben documentata dalle raffigurazioni di a. nel noto rilievo della Tomba degli Haterii (v. vol. I, figg. 772 e 775) e soprattutto dal quadrifronte che compare nella monetazione e in diversi rilievi storici posteriori, con quadrighe di elefanti sull'attico e cospicuo corredo di rilievi. Secondo un'opinione assai diffusa esso non sarebbe che la ricostruzione della Porta Triumphalis, ma più verosimilmente costituisce un monumento celebrativo, forse da collegare alle guerre contro i Chatti dell'83 (anche se si sono sollevati dubbi sull'autenticità delle monete che raffigurano l'a. precedenti quelle degli anni 9596: cfr. I. Carradice, Coins, Monuments and Literature. Some Important Sestertii of Domitian, in Proceedings of the 9th International Congress of Numismatic, Berna 1979, Lovanio 1982, pp. 371-383).
Per larga parte del II sec. d.C. - e con l'eccezione di taluni monumenti traianei - a Roma l'a. onorario perde in larga misura i suoi connotati «trionfali» divenendo spesso piuttosto una monumentale attestazione da parte di ogni imperatore - di pietas erga déos o nei confronti del predecessore divinizzato. Così l'a. onorario si lega anche a complessi monumentali assai articolati, divenendone parte integrante fin dal momento della progettazione. Riappare insistentemente in Roma anche la mai abbandonata funzione di ingresso monumentale, che fin dalle origini aveva accompagnato l'impiego dell'a. onorario: i monumenti si integrano tanto architettonicamente quanto sul piano simbolico e ideologico alle grandi realizzazioni di Traiano (Foro Ulpio), Adriano (area del Pantheon) e Antonino Pio (zona del Tempio di Adriano). Forse così si deve interpretare anche l'incerto monumento a due fornici connesso a portici eretto nell'età di Adriano fra i templi dell'area sacra di S. Omobono.
Restano ancora tutti i dubbi circa la collocazione dell'A. (se di un solo a. si tratta) di Marco Aurelio al quale appartennero i rilievi poi utilizzati nell'A. di Costantino e quelli analoghi del Palazzo dei Conservatori. Si può comunque essere abbastanza certi del suo aspetto generale, un a. quadrifronte al quale erano applicati complessivamente forse 24 rilievi (Angelicoussis), eretto a celebrazione delle vittorie germaniche del 169-175. A Marco Aurelio era in origine affiancato Commodo, cosicché l'a. riprendeva l'antico tema trionfale unendolo all'altro della continuità del potere imperiale. Temi questi che vengono in buona misura ripresi, in età severiana, nell'a. a tre fornici del Foro Romano (202-203 d.C.), mentre un significato assai diverso, con ogni probabilità fortemente influenzato dal clima millenaristico della celebrazione dei ludi saeculares del 204, si coglie nella piccola porta architravata dedicata alla famiglia imperiale dagli argentarii et negotiantes boarii. Qui l'apparato figurativo, fortemente permeato dell'omaggio alla pietas religiosa della divina domus, si unisce a una singolare forma architettonica cui non sono estranee - particolarmente nell'esuberante decorazione - le tradizioni dell'architettura d'Oriente.
Massicciamente, dall'inoltrato III sec. in poi, entra anche nell'architettura celebrativa l'uso del reimpiego, che giunge fino alla ridedica integrale di un monumento, come nel caso della Porta Esquilina degli inizî del I sec. d.C., ridedicata da un privato a Gallieno e Salonina. A questo riguardo gli studi di H. P. Laubscher hanno permesso di recuperare alla storia dell'a. onorario un monumento di capitale importanza come quello tetrarchico della Via Lata, noto con la denominazione di arcus novus. L'a., demolito nel 1491, reimpiegava parti architettoniche e figurative di monumenti precedenti (di età Claudia e antoniniana), unendole - secondo un rinnovato programma figurativo a celebrazione della prima tetrarchia e dei Decennali di Diocleziano - a una serie di pannelli di nuova esecuzione. In questo si può vedere forse il più diretto precedente dell'A. di Costantino, al quale riconduce anche la complessità dei riferimenti e un insieme di figurazioni estremamente composito, caratteristico di altri a. tetrarchici e costantiniani non solo di Roma. In quello di Costantino è evidente il richiamo agli «imperatori buoni» dei secoli passati, con la riutilizzazione di rilievi celebranti originariamente Traiano, Adriano e Marco Aurelio, così da comporre una serie di azioni esemplari del buon governo, di exempta virtutis ai quali il nuovo sovrano voleva esplicitamente ricollegarsi. La serie degli a. di Roma si conclude, fra inoltrato IV e primi anni del V sec., ancora ricorrendo sovente alla pratica del reimpiego. Ma va notato il cambiamento radicale nella scelta dei siti: gli a. sembrano allontanarsi - per quel poco che si sa di quelli posteriori all'esempio tuttora integro di Costantino - dai luoghi tradizionali della celebrazione per trasferirsi accanto ai ponti che valicano il Tevere, forse sulle stesse strade percorse dai pellegrini diretti alla tomba di Pietro, come ipotizzava con acume R. Lanciani. Sulla Via Lata (una vera e propria «via degli a. onorari» in Roma antica) sorse invece il c.d. A. di Portogallo, probabilmente tardo-antico (inoltrato V sec. d.C.?), anche se le rilavorazioni dei rilievi adrianei reimpiegati nei suoi piloni sembrano riportare alla metà c.a del III secolo. L'A. di Portogallo attesta un perdurante rapporto con le cerimonie imperiali, sulla strada teatro degli adventus di tanti sovrani nel corso dei secoli.
Italia. - Come si è notato a proposito del fornix triplice di Cosa e degli iani di Sinuessa - tutti eretti ancora entro la prima metà del II sec. a.C. - la diffusione dell'a. nelle colonie d'Italia è molto precoce, almeno nell'accezione di ingresso monumentale alle aree forensi. Più tardo di oltre un secolo è il più antico a. suburbano con valore certamente confinario, quello parzialmente conservato di Aquino (del 40 circa a.C.). Né va dimenticato il fornix che Verre si fece costruire a Siracusa attorno al 73-71 a.C., segno evidente dell'estensione delle dediche private al di fuori di Roma; di esso però non conosciamo minimamente l'aspetto, ma sappiamo solo che recava alla sommità le statue dello stesso Verre e del figlio (Cic., Verr., II, 2, 154). È soltanto con l'età di Augusto, quando anche a Roma l'a. onorario diviene uno dei monumenti ufficiali dell'ideologia del nascente principato, che se ne può osservare una diffusione cospicua nelle colonie e nei municipi d'Italia. Il fenomeno, d'altra parte, investe anche le periferie dell'impero, in particolare la Gallia Narbonense, le Hispaniae e alcune provincie orientali, tanto da suscitare il motivato sospetto di un'orchestrazione prestabilita nella diffusione di questi monumenti onorari, anche nel caso di dediche non senatorie. Talora questi a. augustei d'Italia assumono la funzione di porta urbica nella cinta muraria, in quel clima di rinnovamento che caratterizza ampiamente l'architettura pubblica delle città della penisola in questo periodo. È il ben noto caso della porta orientale di Rimini del 27 a.C. (v. vol. VI, fig. 797), che si riveste di un ordine architettonico sobrio, nel quale compare anche il frontone, tradizionale complemento della facciata della porta urbica appunto, ma non privo di riferimenti alle architetture architravate dei propilei greci. Dubbio risulta ora il caso di una delle porte di Pavia (7-8 d.C.), alla quale è stato in passato attribuito un complesso di iscrizioni (CIL, V, 6416), evidentemente connesso a un ciclo statuario della famiglia imperiale dagli evidenti significati dinastici. Secondo un riesame dell'unica fonte esistente (l'Anonimo di Einsiedeln), le iscrizioni copiate nel Medio Evo sarebbero invece da attribuire alla Porta Appia di Roma, reimpiegate nel rifacimento onoriano, oppure a un monumento augusteo inglobato nella porta in età tardòantica. Agli inizî del I sec. d.C. un seviro di Parma finanziò il rifacimento sontuoso di una delle porte urbiche della città; il ricco corredo statuario menzionato nell'iscrizione (CIL, XI, 1062), di cui non si conosce purtroppo il tenore, le assegnava con ogni verosimiglianza un carattere onorario, forse connotato in senso dinastico, come nel supposto e ora contestato caso di Pavia.
Nel volgere di meno di Cent'anni si collocano gli altri due esempi augustei meglio noti nella penisola, accanto a quello di Rimini: gli a. di Aosta (25 a.C. circa, probabilmente contemporaneo alla fondazione della colonia di Augusta Praetoria Salassorum) e di Susa (del 9-8 a.C.), quest'ultimo dedicato - con forme rigorosamente «classicistiche» - dal nuovo praefectus (e fino allora re, sotto il controllo di Roma) delle popolazioni alpine nordoccidentali, M. Iulius Cottius. Come si vedrà anche per gli a. contemporanei, o quasi, della Gallia meridionale, questi monumenti onorari dovevano orientare i significati dei propri (sobri) apparati figurativi a una possibilità di lettura a più dimensioni, divenendo di volta in volta monito alla sottomissione, segno di lealismo e strumento di identificazione culturale, dovendo rivolgersi sia ai popoli conquistati, sia agli indigeni romanizzati, sia infine agli stessi, nuovi coloni. A questo riguardo i riferimenti giuridici e religiosi a un tempo del fregio dell'a. di Susa, con la sanzione del patto concluso fra Augusto e le popolazioni alpine, inscindibili da un linguaggio formale volutamente primitivo, adatto, a occhi non educati alle forme eleganti del naturalismo ¡ellenistico, risultano particolarmente illuminanti. Nei casi di Aosta e di Susa si tratta di a. suburbani, probabilmente con valore confinario (sacrale o giurisdizionale o altro ancora), ma contemporaneamente in altre città d'Italia questi monumenti vanno inserendosi con specifiche funzioni all'interno dei reticoli viari e dei quartieri urbani. Certamente sull'esempio di Roma stessa - e di altre città che già avevano realizzato una monumentalizzazione simile nel corso dell'età tardorepubblicana - gli ingressi o gli snodi stradali nei pressi dei fori cittadini sono evidenziati con le forme dell'a. onorario (anche se una specifica valenza commemorativa spesso non è documentata con sicurezza). Tale è il caso dei due quadrifronti di accesso al c.d. Foro Emiliano di Terracina e probabilmente quello del monumento (noto da una fonte epigrafica: CIL, XI, 1421) in onore di Gaio Cesare eretto a Pisa nel 4 d.C., al quale era con certezza affidato quel significato di heròon di cui si è già parlato in precedenza.
Con l'età giulio-claudia a. esplicitamente onorari compaiono ripetutamente a fianco dell'edificio templare prospettante il foro di municipi e colonie, secondo lo schema «urbano» presente nella sistemazione augustea del Foro Romano e applicato anche nel Foro di Augusto (A. di Germanico e Druso Minore del 18 d.C.). Emblematico è il caso di Spoleto, dove appunto il semplice a. a un fornice esistente a lato dell'edificio templare è dedicato agli stessi Germanico e Druso Minore, con un ricalco evidente. Ma si possono citare anche i casi di Pompei e di Cupra Marittima: due a. di laterizi a fianco di un tempio, forse da identificare col Capitolium anche nel caso di Cupra Marittima. L'a. quadrifronte è impiegato ovviamente nei punti di snodo e di incrocio viario, o in rapporto alle aree forensi (due tetrapili di Carsulae) o agli ingressi di edifici particolarmente rilevanti, come nel caso dei due quadrifronti di laterizi, stuccati, sul decumano massimo di Ercolano, in rapporto con gli ingressi della «Basilica». In quest'ultimo caso il significato celebrativo è sicuro, grazie al rinvenimento di molti frammenti della quadriga trionfale di bronzo che sormontava uno dei due edifici. Assai meno frequente sembrerebbe in età giulioclaudia il significato onorario attribuito alle porte urbiche, anche se l'a. isolato sulla Via Flaminia - che si può considerare una porta - a Carsulae costituisce un esempio che potrebbe essere documentato anche altrove, in una fase storica nella quale la funzione propriamente difensiva delle cinte murarie ha perduto gran parte del suo valore. I cosiddetti a. di quartiere, costruiti all'interno delle città come limiti virtuali di determinate aree, particolarmente in prossimità di incroci stradali, sono noti in questo periodo in numero non rilevante: a Pompei sulla Via di Mercurio (con funzione anche di fontana monumentale) e a Vulci, sul decumano.: L'a. di Siracusa, che immetteva nell'area antistante l'anfiteatro, è stato invece datato a età augustea, su basi stratigrafiche. Di questi ultimi due monumenti si conservano soltanto esigui resti dei basamenti lapidei. In età tardo-augustea o tiberiana si diffondono in Italia anche a. sicuramente e interamente privati, ossia eretti e dedicati a personaggi eminenti di municipi e colonie. I ben noti esempi costituiti dall'A. dei Sergi di Pola (ν. vol. VI, figg. 271 e 274) e da quello dei Gavi a Verona vengono innalzati il primo presso una porta urbica e quindi con una funzione integrata nello stesso «arredo urbano» interno - il secondo fuori dalla città, forse in rapporto con aree funerarie o con possedimenti della gens Gavia. Il significato funerario-onorario e anche gentilizio di questi monumenti, sul modello degli a. ufficiali, si accompagna a forme architettoniche e a una decorazione particolarmente ricca, non lontana talora da soluzioni improntate all'architettura greco-ellenistica (copertura piana del vano interno del quadrifronte dei Gavi, decorazione architettonica dell'A. dei Sergi) e che almeno nel caso dell'a. polese mostra assorbiti persino gli elementi simbolici dei contemporanei a. onorari ufficiali (Vittorie volanti negli spicchi del fornice, fregio d'armi nella trabeazione).
Ancora a Verona, nella tarda età giulio-claudia o nella prima età flavia, sono da ricordare i quadrifronti detti «di Giove Ammone» e «di S. Anastasia», noti da pochi resti, da disegni rinascimentali (il primo) e da menzioni letterarie (entrambi). Erano posti a enfatizzare monumentalmente incroci stradali, anche in questo caso, con ogni probabilità, in rapporto a strade dirette alla zona del vicino foro.
In Italia, come del resto a Roma stessa, si riscontra un certo calo nella costruzione di a. onorarî nel II e soprattutto dal III sec. d.C. in poi. I ben noti e contemporanei monumenti traianei di Ancona e di Benevento, il primo sul molo del porto (v. vol. I, fig. 497), il secondo all'inizio della Via Appia Traiana diretta a Brindisi (v. vol. 11, figg. 82-88), sono in realtà monumenti «urbani» eretti fuori Roma per iniziativa senatoria. Al prevalere nel primo caso dell'architettonicità del complesso, con una decisa sottolineatura e autonomia dell'insieme dell'ordine applicato che ha fatto richiamare il nome di Apollodoro di Damasco, fa riscontro nel caso di Benevento la ripresa puntuale, con poche varianti, del modello dell'A. del Divo Tito a Roma, ma con l'innesto invadente di un esuberante apparato figurativo che attenua fortemente i valori propriamente architettonici dell'edificio. Il significato di tale apparato è stato lungamente dibattuto, da circa un ventennio a questa parte, tanto da allargare la discussione al più profondo valore da riconoscere nei rilievi storici romani in generale: se cioè in essi (come anche in questo caso specifico) prevalgano intenti di puntuale narrazione storica o non piuttosto siano da interpretare come puri pretesti in cui di «storico» - nel senso evenemenziale del termine - vi sarebbe ben poco, prevalendo invece gli elementi generalizzanti e simbologici tesi a sottolineare le virtutes del sovrano e a delineare una formula politica o un programma di governo. Probabilmente l'ipotesi di W. Gauer, che suggerisce di vedere nei rilievi dell'a. una sequenza di «segni» con possibilità di lettura differenziate (un piano storico-politico, un piano eticosimbologico) è quella che più si avvicina alla realtà.
La serie degli a. traianei in Italia è completata da quello di Pozzuoli, la cui esistenza fu credibilmente supposta da H. Kähler sulla base di rilievi dei musei di Berlino e Filadelfia, provenienti dalla città campana. Anche in questo caso potrebbe trattarsi di un monumento di dedica senatoria, completato da un ricco apparato figurativo di cui sono noti parzialmente i temi militari. Poco più tardi lo schema della coppia di a. a lato di un tempio affacciato sul foro è ripreso, probabilmente in età adrianea, dalla coppia di a. affiancati al Tempio di Roma e Augusto a Ostia, mentre è da credere che anche l'«A. del Sacramento» (pure adrianeo) ancora in parte esistente presso il duomo di Benevento avesse la funzione di accesso monumentale al foro della città.
Pochissimi sono i monumenti in Italia attribuibili al III e al IV sec. d.C. Interessante è il caso ricostruito per Ostia, con una coppia di a. antistanti la cavea del teatro a delimitare uno spazio stradale intermedio, forse coperto. Uno di essi era certamente dedicato a Caracalla. L'uso delle ridediche integrali di monumenti in età tardoantica (v. sopra) è attestato anche a Fano (v. vol. VII, fig. 1200), dove la porta O della cinta muraria, di età augustea, è ridedicata al Divo Costantino da un corrector Flaminiae et Piceni. Il monumento più tardo per ora noto nella penisola è l'a. suburbano di Milano, costruito a conclusione di una via porticata lunga c.a 600 m fuori dalla porta meridionale della cinta. Secondo i dati suggeriti da scavi recenti, che ne hanno rimesso in luce la platea di fondazione, doveva trattarsi di un a. a tre fornici, non connesso direttamente ai vicini portici. Ma le notevoli dimensioni, soprattutto la profondità in rapporto alle fronti, potrebbero suggerire piuttosto la presenza di un quadrifronte a pianta rettangolare, a conferma della vecchia ipotesi del De Capitani d'Arzago. La cronologia più probabile indicata dalle recenti risultanze stratigrafiche sembrerebbe riferire l'a. di Milano a un'età notevolmente più tarda di quanto si fosse in precedenza creduto, e cioè ai decenni immediatamente successivi al 350 e forse a una iniziativa di Graziano, che nel 381 stabilirà a Milano la propria sede.
Africa. - Sebbene le provincie africane contino un numero molto elevato di attestazioni e di resti monumentali di a. onorarî, soprattutto per il II e III sec., complessivamente i monumenti sono fra i meno noti, per la carenza di esaurienti pubblicazioni dei singoli casi. Non esiste certamente - e l'osservazione vale per tutte le aree provinciali - un «tipo regionale» di a. onorario, anche se non mancano alcune particolarità degne di nota, soprattutto per il periodo meglio documentato. Gli apparati figurativi conservati sono pochissimi in rapporto al numero dei monumenti e comunque sono attestati raramente, con una netta prevalenza in Tripolitania. Estremamente esplicito è in molti casi il carattere limitaneo degli a. africani, soprattutto in rapporto alla storia urbanistica ed edilizia delle città, a segnare tangibilmente nuovi «quartieri» o intere aree di sviluppo (come si riscontra frequentemente anche in talune provincie orientali). Le iniziative per la costruzione degli a., per quelli dedicati agli imperatori o a personaggi della famiglia imperiale in particolare, sono riservate per lo più alle comunità cittadine o alle più alte magistrature delle provincie, proconsoli e legati (moltissime sono le attestazioni epigrafiche in questo senso), ma non mancano le dediche di altri dignitari o di privati abbienti. Bene attestati anche gli a. totalmente privati, di carattere familiare e spesso funerario. Gli a. più antichi risalgono all'età di Tiberio e sono attestati da resti a Leptis Magna (due), mentre esclusivamente epigrafica è la documentazione di un a. per Tiberio a Dugga (Inscr. Lat. Afr., 558). I due monumenti di Leptis (35-36 d.C.) sorgevano l'uno sul cardine principale (la «Via Trionfale»), l'altro su un cardine minore occidentale a ridosso del teatro; identici per iscrizione e architettura, con le loro forme semplicissime, prive di un ordine applicato, sembrano ancora nella tradizione dei fornices repubblicani di Roma e d'Italia. Il caso degli a. di Leptis Magna va considerato unitariamente, astraendolo dalla trattazione cronologica, perché emblematico delle utilizzazioni urbanistiche degli a. nelle città africane e in quanto sintetizza quasi due secoli di storia dell'a. onorario in queste regioni. Sulla stessa «Via Trionfale» sorse (nel 77-78 d.C.) un nuovo a. per Vespasiano e Tito (pochissimo documentato: per l'iscrizione v. J. M. Reynolds, J. B. Ward Perkins (ed.), The Inscriptions of Roman Tripolitania, Roma-Londra 1952, 342), probabilmente come sfondo scenografico dell'importante arteria verso la zona del Foro Vecchio. Un tetrapilo per Traiano fu eretto poi nel 109-110 sulla medesima via, all'incrocio con la strada che porta al teatro. Compare così un tipo, quello a quattro fronti, che per l'Africa settentrionale è documentato con netta prevalenza proprio in Tripolitania, assai meno in Numidia (a Tebessa, in onore di Caracalla, e a Costantina, nel 360 c.a d.C.). Rilevante è la particolarità che si riscontra all'interno del vano, dove quattro colonne inserite agli angoli dei piloni sorreggono la copertura.
Verosimilmente con Adriano inizia a Leptis Magna la serie degli «a. di quartiere», eretti anche allo scopo di evidenziare addizioni di nuove aree alla città preesistente. Presso la zona adrianea delle terme è infatti attestata l'esistenza di questo monumento, che costituisce un pendant dell'altro, di Antonino Pio che diventerà poi la porta di Oea in età tardoantica costruito sul decumano massimo dalla parte opposta rispetto all'incrocio con la «Via Trionfale». Questi due monumenti segnano evidentemente i limiti di due fasi distinte dell'espansione urbana nel corso del II secolo. Sulla stessa strada Oea-Alessandria (il c.d. decumano massimo) sorgerà poi, c.a 200 m a O dell'A. di Antonino Pio, un nuovo tetrapilo, dedicato nel 173-174 a Marco Aurelio, di cui restano anche piccole parti dell'elevato. Per questo a., come per quello di Antonino Pio, è documentato (ma solo epigraficamente: AE, 1967, n. 536) un ricco corredo di sculture, offerte dalla città e da un leptitano, Avilius Castus; il monumento fu invece costruito dal proconsole C. Settimio Severo e dal legato propretore L. Settimio Severo, il futuro imperatore. Un interessante esempio, questo, di dediche frazionate fra monumento in sé e corredo statuario, attestato anche in altri casi africani. Anche per il quadrifronte di Marco Aurelio è evidente il significato di limite, sul decumano verso l'esterno della città, in rapporto al «sobborgo» cresciuto verso O nella seconda metà del II secolo. Ma certamente il più conosciuto e il più studiato degli a. leptitani è il tetrapilo dedicato alla famiglia dei Severi (v. vol. IV, fig. 697), probabilmente fra il 205 e il 209. Le forme architettoniche, con un ordine di colonne staccate su alti plinti al centro dei piloni, con lesene angolari per definire esternamente l'intero edificio, acquistano un tono particolarissimo dai frontoni spezzati al di sopra della trabeazione. Per il monumento è stata sostenuta l'ipotesi di una precedente struttura dell'età di Traiano, poi inglobata in quella definitiva di età severiana (Di Vita, contra Stucchi). Ma l'interesse maggiore degli studiosi è stato incentrato sui rilievi storici applicati alle fronti dell'attico e ai lati dei piloni. La stretta corrispondenza fra i rilievi collocati in punti diversi è stata recentemente sottolineata da Elena La Rocca: il complesso programma figurativo assume così connotati nettamente «urbani» ed è un caso isolato, per quanto se ne sa, nelle provincie africane. Le scene dell'attico (processioni «trionfali», scene di sacrificio e di dextrarum iunctio) si uniscono concettualmente ai pannelli minori entro i fornici sottostanti (scene di battaglia, di incoronazione di Caracalla e di Geta, di sacrificio, gruppi di divinità) per delineare un'articolata serie di temi, che ruota attorno ai concetti tradizionali dell'arte «rappresentativa» e trionfale, quelli di virtus, pietas e concordia dei sovrani.
Nella stessa regione è ben noto anche un altro tetrapilo, quello di Tripoli, dedicato nel 163 a Marco Aurelio e Lucio Vero e sorto su un incrocio stradale, forse chiuso almeno parzialmente al traffico, presso il foro della città. Le diversità, rispetto al sontuoso esempio severiano di Leptis Magna, sono però numerose, sia sul piano architettonico (pianta rettangolare e non quadrata, con due fronti prevalenti dotate di un ordine di colonne interamente staccate a evidenziare una gerarchia anche negli assi di attraversamento), sia per quanto riguarda il corredo figurativo, che a Tripoli era costituito da tondi con busti, rilievi negli spicchi dei fornici e statue entro nicchie sulle fronti maggiori, da rilievi ancora negli spicchi e nei piloni su quelle minori.
Il programma figurativo è dunque assai meno impegnativo rispetto all'esempio severiano di Leptis, tuttavia anch'esso appare incentrato sui concetti di virtus (rilievi tropaici, Vittorie volanti) e di pietas (carri sacri di Apollo e Minerva). Va notata la presenza di statue dei principes nelle nicchie (si è rinvenuta probabilmente quella di Lucio Vero) secondo un uso ricorrente negli a. africani. Anche l'a. di Tripoli ha una dedica particolare e composita: quella ufficiale è del proconsole Servio Cornelio Scipione Salvidieno Orfito e del suo legato Uttedio Marcello, ma le spese della costruzione furono sostenute dall'eminente cittadino e magistrato di Oea Gaio Calpurnio Celso (anch'egli, dunque, almeno virtualmente uno dei dedicanti).
Il significato limitaneo degli a. sorti a Leptis Magna nel corso del II sec. non è ovviamente un fatto isolato: non tanto per quanto riguarda i consueti accessi monumentali ai fori, quale è p.es. l'a. a tre fornici dedicato nel 139 ad Antonino Pio e ai suoi due figli adottivi all'ingresso del foro di Sbeitla (anch'esso munito di due nicchie per statue onorarie al di sopra dei fornici minori, per questa ragione molto bassi rispetto a quello centrale), quanto per quello, pure a tre fornici, c.d. di Traiano a Timgad. Il monumento non è certamente riferibile agli anni della fondazione della colonia traianea, per l'assenza di rapporti con l'andamento delle strade sulle quali prospetta. È piuttosto da considerare contestualmente allo sviluppo del c.d. sobborgo occidentale della città, iniziato nell'età degli Antonini, del quale costituisce il monumento di accesso, forse sul sito di una porta urbica dell'età della fondazione. Del resto le stesse soluzioni architettoniche delle facciate, con nicchie e frontoni curvilinei sovrapposti ai fornici minori, richiamano piuttosto esempi severiani, come quello di Lambesi, tanto che la cronologia più attendibile è quella agli ultimi anni del II secolo.
Nel corso del III sec. si hanno ancora esempi di a. eretti con significato limitaneo di addizioni urbane: si deve ricordare almeno quello a un fornice di Sbeitla (del 209-210 c.a), a NO della città, dunque questa volta quale limite esterno del sobborgo cresciuto oltre il nucleo più antico. Fra i numerosi a. onorarî africani di età severiana, rivestono un significato particolare altri tre esempi, tutti dedicati a Caracalla. Quello a un fornice di Ğemila (v. vol. ι, fig. 779), per la presenza d'un ordine minore di nicchie inquadrate da colonne e sormontate da timpano, sovrapposte alle colonne distaccate davanti a ogni pilone, con una soluzione architettonica «a due piani» che è caratteristica anche di certi esempi orientali e talora imitata anche in Occidente. L'a. di Volubilis, del 216-217, anch'esso a un fornice ma con piloni molto larghi, ciascuno con nicchia al centro e coppia di colonne distaccate, è invece un raro esempio, al di fuori della Tripolitania, di a. con corredo di rilievi. Si tratta di medaglioni - originariamente quattro - posti al di sopra delle nicchie, ciascuno con un busto raffigurante una delle Quattro Stagioni, un tema strettamente connesso a quello di felicitas temporum e alle simbologie millenaristiche tanto frequentemente presenti negli a. severiani anche di Roma. Infine il quadrifronte di Tebessa - del 213-214 e di dedica testamentaria privata - di cui una recente ipotesi ricostruttiva (Bacchielli) delinea in modo convincente l'aspetto della sezione superiore, in parte conservata direttamente, in parte nota dall'iscrizione. Su ogni facciata, al centro, doveva trovarsi un'edicola distila, collegata alle altre con balaustre; le edicole contenevano le statue di Caracalla, Geta, Settimio Severo e Giulia Domna (questi ultimi assimilati a divinità). L'importanza dell'a. di Tebessa sta soprattutto in queste strutture sorrette dall'attico, la cui tradizione risale sino all'età di Augusto, all'a. eretto da questi sul Palatino al padre Ottavio e recante una aedicula columnis adornata con le statue di Apollo e Diana dello scultore Lysias (Plin., Nat. hist., XXXVI, 36) e passa attraverso il ben noto esempio della Porta di Adriano ad Atene e gli a. antoniniani del santuario di Eleusi.
L'a. a un fornice costruito attorno al 300 all'ingresso E di Sbeitla documenta quanto le soluzioni di età severiana abbiano contato nelle esperienze successive: lo schema inferiore, di piloni e fornice, è infatti il medesimo dell'A. di Caracalla a Ğemila, di cui però non è stato ripreso l'elegante motivo superiore a edicolette distile. D'altra parte, in età tetrarchica e costantiniana si hanno in Africa anche esempi molto meno monumentali, quasi spogli nella semplicità di una piccola struttura a un fornice, come nell'esempio di 'Ayn Ršin, reso noto recentemente dal Ferchiou, datato attorno al 300-325. Gli esempi africani si chiudono forse con l'A. di Graziano, Valentiniano e Teodosio di Ghardimau, del 379-383, di cui è nota l'iscrizione (CIL, VIII, 14728), ma forse l'a. a un fornice conservato ad Althiburos, con probabile funzione di simbolica porta urbica, è degli inizî del V secolo.
Penisola iberica. - La precoce diffusione di a. onorarî nella penisola iberica è attestata sia da fonti epigrafiche che da resti monumentali. Uno ianus Augustus è ripetutamente citato in miliari di età augustea e poi successivamente fino all'età di Domiziano (GIL, II, 4697, 4701-03, 4712-15, 4716-17, 4721): doveva trattarsi di un a. confinario fra le provincie della Baetica e della Tarraconenses, forse presso l'odierno abitato di Mengibar (Ossigi). Questo monumento, di cui non si sono mai rinvenuti resti, ha fortemente condizionato l'interpretazione complessiva degli a. onorarî spagnoli, per molti dei quali è difficile ricostruire il rapporto con centri abitati, per cui li si è frequentemente interpretati come a. extraurbani di valore confinario, al pari appunto dello ianus Augustus, ciò che certamente non è.
Alla prima età augustea è stato ora ricondotto, in modo del tutto convincente (Dupré i Raventós), l'a. di Bará, comunemente assegnato all'età di Traiano perché sull'architrave della fronte Ν reca una dedica testamentaria da parte di L. Licinio Sura, il celebre collaboratore di Traiano morto nel 110 d.C. Ma l'a., di forme estremamente sobrie e classicheggianti, con l'unico fornice inquadrato da due lesene scanalate su alto zoccolo anteposte a ogni pilone, reca capitelli corinzi con l'inconfondibile particolare della Zwickelblüte fra elici e volute, caratteristico del periodo del secondo triumvirato e della prima età augustea. La disposizione testamentaria di Licinio Sura, dunque, non costituisce la dedica originaria, la quale è forse da porre in collegamento con i restauri augustei della rete viaria, e della Via Hercúlea in particolare, attorno al 27 a.C. L'a. di Bará costituisce ora per questi monumenti iberici un sicuro punto di riferimento cronologico, grazie anche all'ottimo stato di conservazione. Anche gli a. del ponte di Martorell (Tarraconensis) sono stati attribuiti all'età augustea (Arce), ma l'unico superstite dei due, largamente incompleto, non consente - almeno per ora di trarne una determinazione cronologica definitiva. Lo stesso si deve dire del perduto a. di Sádaba, ancora nella Tarraconese, noto da uno schizzo, degli inizî del XVII sec., che mostra piloni e ordine applicato elevati su un alto zoccolo duplice. Va piuttosto notata la discreta frequenza di a. in rapporto a corsi d'acqua e ponti, con evidente significato limitaneo e anche sacrale, come appunto nel caso di quelli di Martorell e poi di quello di Alcántara in Lusitania, ben databile dall'iscrizione in onore di Traiano al 104-106 d.C. L'a. è in buona parte ricostruito, sul sito originario al centro del ponte, ma mantiene il severo aspetto architettonico dato dall'opera quadrata priva di ordine applicato.
L'a. quadrifronte di Cáparra (Lusitania), grazie agli studi di A. García y Bellido, è uno dei pochi esempi iberici compiutamente pubblicati. Le iscrizioni lo qualificano con certezza come un monumento privato eretto nei pressi del foro della città antica e dedicato ai membri della famiglia di M. Fidius Macer nell'ultimo quarto del I sec. d.C. L'inquadramento architettonico è costituito da colonne applicate agli angoli e paraste sotto gli archivolti, tutti poggianti su alti zoccoli: una soluzione, questa, molto frequente, come si è visto, negli a. iberici e certamente derivata dalle esperienze italiane della prima età augustea, documentate p.es. ad Aosta. Le fronti dell'a. di Cáparra erano differenziate fra loro soprattutto per la presenza delle statue dei personaggi onorati, poste su alti zoccoli davanti ai piloni delle fronti S (due coppie di statue stanti) e Ν (due statue probabilmente equestri), mentre le più semplici fronti E e O prospettavano evidentemente un percorso meno importante. La particolarità di sistemare le statue su basi anteposte ai piloni invece che all'interno di nicchie (come avviene nel caso simile a questo del quadrifronte dei Gavi a Verona) non è però una soluzione isolata: essa si ripresenta nei quadrifronti del decumano massimo di Ercolano (di età giulio-claudia) e anche in alcuni a. orientali (p.es. quello di Bostra, della prima metà del III sec. d.C.). È piuttosto da sottolineare la presenza di un a. onorario così fortemente connotato in senso gentilizio privato nel centro stesso della città. Di poco più antico è l'A. di Galba eretto a Tarragona durante la sollevazione del 68 d.C., noto da raffigurazioni monetali, fra i pochissimi a. onorarî iberici a poter essere con sicurezza messo in relazione con un preciso avvenimento storico. Agli inizî del II sec. è stato invece riferito recentemente l'a. di Cabanés, in Tarraconese, di cui si conservano soltanto i due semplici piloni e l'archivolto. A lungo interpretato come a. confinario, esso era invece con ogni probabilità un monumento privato extraurbano, forse in rapporto con un fundus (Abad Casal e Arrasa i Gil). Probabilmente valore confinario ebbe invece l'a. di Medinaceli, ancora nella Tarraconese, importante perché è l'unico a tre fornici ben conservato nella penisola iberica. La particolarità dei piccoli fornici laterali, nettamente dominati da quello amplissimo centrale, sopra ai quali si inseriscono edicolette inquadrate da paraste che sorreggono un frontoncino, apparenta singolarmente questo a. a esempi nord-africani del tardo II e degli inizî del III sec., periodo al quale si deve ragionevolmente attribuire anche questo discusso monumento spagnolo.
Mancano sicure attestazioni dell'esistenza di a. onorarî tardoantichi nella penisola iberica. Ma se ne è supposta l'esistenza sulla base di resti di rilievi storici di Mérida e di Cordoba. Il primo sarebbe da riferire a Massimiano in occasione delle vittorie contro i Mauri e avrebbe recato scene di battaglia, oltre a un rilievo con una figura imperiale incoronata da Vittoria (Arce). Sulla base di un frammento di rilievo con scena forse di oratio, si è ipotizzata (Nierhaus) l'esistenza di un a. a Cordoba, databile fra la fine del IV e gli inizî del V sec. d.C.
Gallie e Germanie. - Per il gruppo di a. della Gallia Narbonese numeroso e fondamentale nello stesso sviluppo storico dell'a. onorario romano - gli studi di P. Gros hanno recato un contributo decisivo sia per le precisazioni cronologiche che per la globale comprensione dei monumenti. La diffusione è precoce e risale certamente alla media età augustea, se non ancora prima di qualche decennio. La revisione in corso di tutti i materiali appartenuti ad a. onorarî sparsi nei musei della Francia meridionale porterà nuova documentazione su questo fenomeno che, nella prima età imperiale, appare veramente rilevante, tanto da far pensare a una diffusione orchestrata da Roma, anche se poi le diversità fra i singoli monumenti, talora notevoli, assicura che le realizzazioni furono affidate alle singole comunità. Le cronologie proposte dal Gros, fondate sull'accurato riesame delle decorazioni architettoniche, propongono una sequenza che colloca l'a. di Glanum fra il 10 e il 20 d.C., quello di Carpentras e il quadrifronte di Cavaillon ai primi anni d.C. e quello di Orange fra il 20 e il 26 d.C. (insostenibile per quest'ultimo monumento la datazione, talora pervicacemente ripresa, in età severiana). Tutti questi a. si qualificano, rispetto ai coevi esempi cisalpini, per una minore compattezza architettonica e per l'autonomia delle parti laterali rispetto al fornice (p.es. le colonne dell'ordine applicato non sono tangenti all'estradosso dell'a.) e dello stesso archivolto, spesso privo di chiave di volta che lo colleghi alla trabeazione e arricchito (a Glanum e a Orange) da un festone vegetale continuo. Di quest'ultimo particolare non può sfuggire il valore simbolico in rapporto all'ideologia di Abundantia presente nei programmi figurativi augustei e in genere alto-imperiali. Il solo caso dell'«Arc du Rhône» di Arles, noto da disegni tardo-rinascimentali, si presenta con soluzioni molto particolari e talora anche ellenizzanti (come la presenza di un soffitto piano a cassettoni nel vano interno), tanto da suggerire una cronologia un poco più alta rispetto a quella degli a. in precedenza citati, forse gli ultimi decenni a.C., con una probabile ridedica tardoantica. Molto importanti per questi a. sudgallici della prima età imperiale sono gli apparati figurativi, applicati sulle fronti dei piloni (Glanum), sui fianchi dell'a. (Carpentras) o su tutta la superficie della costruzione (v. vol. ν, fig. 860). Ancora P. Gros ha mostrato come le coppie di personaggi che compaiono ai lati del fornice, fra le colonne anteposte ai piloni, dell'a. di Glanum suggeriscano il contrasto fra l'indigeno incolto ancora allo stato «barbarico» e il Gallo romanizzato, ben distinguibili sulla base dell'abbigliamento, con un esplicito riferimento al «progresso» sociale e culturale derivante dagli effetti della conquista e della pacificazione romana. L'a. di Glanum va dunque interpretato non tanto o non solo come un monumento di vittoria, ma come un «manifesto» dell'integrazione nell'orbis Romanus, a scapito della cultura indigena (Clavel-Lévêque, Lévêque). La stessa posizione dell'«Arc du Rhône» di Arles, frapposto fra l'abitato indigeno e la città romana, ha un'implicita assonanza con questi riferimenti, in bilico fra il richiamo perentorio alla sottomissione e la dichiarazione di una prosperità universale derivante dal radicale mutamento di status. La presenza sui fianchi dell'a. di Carpentras di prigionieri sia germanici che orientali può invece far pensare a una dedica dell'a. a un personaggio che ebbe successi militari sia in Oriente che in Occidente, a Tiberio in particolare, il cui padre fu forse fra i fondatori della colonia per conto di Cesare, nel 4645 a.C., e quindi in rapporto diretto con la comunità cittadina (Turcan). In questo caso si dovrebbe dunque far scendere la cronologia dell'a. di qualche anno almeno, fino al 20 c.a d.C.
Anche per l'a. di Orange, l'unico a tre fornici nell'ambito di questa serie, la cui iscrizione (di dubbia lettura) riporterebbe agli anni 26-27 d.C., si è recentemente proposta (Gros) una dedica originaria a un personaggio particolare, in rapporto coi legionari della Secunda Gallica (poi Secunda Augusta) stanziatisi in città. Il monumento di Orange rientrerebbe cioè nella serie degli a. eretti in onore di Germanico dopo la sua morte (19 d.C.), in quel clima luttuoso così efficacemente documentato nel testo del senatoconsulto della già ricordata Tabula Siarensis. Allo stesso personaggio - e a Druso Minore - riporta l'a. a due fornici di Saintes, dedicato da un privato, anche questo da riferire a un preciso programma di onoranze nel quale rientrano anche gli a. del Foro di Augusto a Roma, di Spoleto e forse del foro di Pompei. La struttura a due fornici è inconsueta e la posizione dell'a. presso il ponte sulla Charente gli attribuisce il consueto valore sacrale e confinario già notato in a. spagnoli e ancora presente in Gallia, negli a. alto-imperiali di Saint-Chamas, che tuttavia non possono essere considerati onorari perché l'iscrizione, conservata, non comprende una dedica specifica (cfr. G. Lugli, Il ponte Flavio presso Saint-Chamas in Provenza, in Mélanges A. Piganiol, II, Parigi 1966, pp. 1047-1061). Nell'ambito degli a. totalmente privati, con valore funerario per un'intera famiglia, rientra quello di L. Pompeius Campanus ad Aix-les-Bains, un alto e stretto fornice alla cui sommità, sulla fronte O, una serie di otto nicchiette raccoglieva certamente i busti dei personaggi defunti della famiglia del dedicante. Altre effigi dovevano essere collocate sull'attico, in corrispondenza di altre iscrizioni. L'a. di Aix-les-Bains rientra nel novero di quelli gentilizi e funerari eretti all'interno delle città (in questo caso presso le terme), abbastanza numerosi, come si è visto, a cominciare dall'età tardo-augustea. La cronologia attorno al 25 a.C., suggerita in un recente riesame del monumento (Prieur), è sicuramente troppo alta, per il tipo e il significato del monumento, e deve essere abbassata di tre o quattro decenni almeno.
Pochissimi sono i monumenti noti e ben documentati nelle Gallie per l'età successiva a quella alto-imperiale. Ma occorre almeno ricordare due monumenti del tardo II sec., ricchissimi di decorazioni figurate che occupano ogni superficie disponibile, secondo il gusto dei piliers galloromani e delle colonne germaniche dei Giganti: la c.d. Porte de Mars di Reims, a tre fornici di altezze quasi uguali, e la più piccola «Porte Noire» di Besançon, a fornice unico. In particolare per quest'ultima, costruita all'ingresso della città attorno al 175 d.C., la recente e ottima pubblicazione di H. Walter rende pienamente leggibile, finalmente, il complicato programma figurativo. Esso si estende sui due piani delle fronti, inquadrate da ordini architettonici sovrapposti, con una soluzione affine ad alcuni a. africani del tardo II e dei primi anni del III secolo. L'esuberanza «barocca» delle figurazioni, che invadono e quasi cancellano le partizioni architettoniche (persino i fusti delle colonne applicate) tocca temi diversi, dalla tradizionale simbologia «trionfale», ormai divenuta topica, ai riferimenti religiosi e all'illustrazione di miti, incentrandosi sui tradizionali concetti di pietas, felicitas e victoria, ma con una particolarissima amplificazione cosmica e mitologica del trionfo della civilitas romana sulla barbaritas. L'iscrizione è perduta e questo ci priva di un dato fondamentale per la conoscenza dell'a., quello relativo ai committenti e al destinatario della dedica.
Per quanto riguarda i pochi a. onorarî noti nelle Germanie, la documentazione è ora arricchita dal ritrovamento (1986-87), presso Magonza (Kastel), delle fondazioni e di pochi resti di un grande a. probabilmente a tre fornici, con passaggi laterali architravati. Potrebbe trattarsi del monumento apud ripam Rheni citato da Tacito (Ann., Il, 83, 2) e da testi epigrafici (fra cui la Tabula Siarensis), decretato nel 19 d.C. per onorare la memoria di Germanico, oppure di un a. di età flavia, contemporaneo all'edificazione stabile del vicino castellum sulla riva destra del Reno. In questo caso l'A. di Germanico dovrebbe trovarsi sulla sponda opposta del fiume, presso il tumulo eretto in ricordo del padre di Germanico, Druso Maggiore. Per ora non sembra possibile propendere per l'una o per l'altra di queste due ipotesi; solo un accurato esame di tutti i resti venuti in luce potrà chiarire cronologia e significato di questo importante ritrovamento. Infine la nuova ricomposizione nel Mittelrheinisches Museum di Magonza delle parti superstiti, già reimpiegate nelle mura tardoromane, del piccolo a. privato di Dativius Victor reca nuovi elementi per l'interpretazione del monumento. Dedicato alla domus divina e a Giove Ottimo Massimo Conservator, l'a. è fittamente decorato di rilievi (su una fronte soltanto), secondo quella vera e propria ossessione figurativa e simbologica già osservata nella «Porte Noire» di Besançon. Il programma è ricco di riferimenti religiosi e attesta la diffusione del culto di Giove Ottimo Massimo a livello delle classi medie provinciali alla fine del II o agli inizî del III sec. d.C. (Dativius Victor era un decurione di Mogontiacum). Secondo una suggestiva ipotesi di R. Fears (in ANRW, II, 17,1, pp. 3-141) vi si potrebbe anche cogliere un riferimento al culto di Iuppiter Exsuperantissimus, diffuso largamente nell'età di Marco Aurelio e di Commodo con forti contaminazioni astrologiche (cfr. Apul., Mund., 27 e CIL, III, 1090). Se ne avrebbe un preciso riscontro nei segni zodiacali che nell'estradosso dell'a. circondano Giove, a sua volta scolpito al centro della chiave di volta con un piede appoggiato al globo terrestre.
Britannia. - Fino a tempi molto recenti, negli studi generali sugli a. onorarî romani non figuravano esempi della Britannia. In realtà un certo numero di casi - sia pure non elevato è attestato, e si tratta talora di monumenti di grande interesse. L'esempio più antico sembra essere il quadrifronte di Richborough (Rutupiae, nel Kent), eretto presso il principale porto di accesso all'isola dal un piccolo e semplice monumento di accesso, in forma continente. Gli esigui resti dell'elevato non ne consentono una ricostruzione, neppure ideale, ma è da notare la presenza di un corredo scultoreo di bronzo e soprattutto l'evidente significato confinario in rapporto a strutture portuali, come nei casi italiani di Ancona, Pozzuoli, Ostia e forse Brindisi. L'a. di Richborough viene datato agli anni 80-90 d.C., quando fu completata la conquista della provincia. A Verulamium (St. Albans) si sono scavate le fondazioni di ben tre a., sulla c.d. Watling Street che attraversa obliquamente la città da S a N. Due di essi - probabilmente a due fornici (secondo Wheeler e altri) - sono collocati verosimilmente sul pomerio dell'impianto originario di età Claudia e furono eretti attorno al 250-275 per ricordare la città primitiva, in occasione di una ricostruzione della cinta muraria risalente al 265-270. Il terzo a., costruito sulla medesima strada, presso il teatro, non pare avesse alcun significato limitaneo; presentava un ordine applicato di colonne libere sulle fronti ed è attribuito genericamente al III-IV secolo. Assai dubbio è invece il caso di Bath, dove il propileo di accesso al recinto interno del Tempio di Sulis Minerva è stato ipotizzato con le forme di un a. onorario a due fornici, di cui si sono scavate solo le fondazioni.
La casistica degli a. britannici, abbastanza articolata, come si vede, sia per forme che per significato dei diversi monumenti, è ora arricchita dall'a. di Londra, a un fornice, di cui si sono rinvenuti (1975-76) diversi blocchi della parte superiore reimpiegati nelle mura lungo il Tamigi, erette nella seconda metà del IV secolo. L'a. non sembra presentare un ordine applicato, ma almeno nella parte conosciuta aveva un fitto corredo di rilievi: figure di Minerva e di Ercole entro nicchie ai lati dell'archivolto; negli spicchi, tondi con busti forse delle Stagioni (come nell'A. di Caracalla a Volubilis); busti di divinità nel fregio di una facciata. L'A. di Londra ha dunque strette affinità, sia tematiche che compositive, con monumenti della Gallia, come la «Porte Noire» di Besançon e la «Porte de Mars» di Reims, ed è datato, con buoni argomenti, ai primi anni del III sec. d.C.
Grecia e paesi danubiano-balcanici. - L'accresciuto interesse degli ultimi decenni per le testimonianze d'età romana nel mondo greco ha consentito di conoscere meglio taluni a. onorarî in precedenza del tutto trascurati. Ad Atene, nel lato E dell'agorà, fra la stoà di Attalo e la biblioteca di Pantainos, venne eretto, attorno al 100 d.C., di a. onorario, con un bacino di fontana su uno dei piloni (particolare ricorrente nella tradizione dei propilei greci e poi degli a. romani con funzione di ingresso monumentale, come già nel caso del fornix di Scipione sul Campidoglio). Se si prescinde dall'a. extraurbano di Filippi, di età augustea, risolto con forme architettoniche molto semplici (vicine, p.es., a quelle dell'a. di Susa), a. che ebbe certamente un valore limitaneo, tutti gli esempi della Grecia propria hanno funzione di ingresso monumentale, significativamente identica a quella antica del propileo. Oltre al citato a. dell'agorà di Atene, negli stessi termini si pongono quello di ingresso all'Altis di Olimpia, forse neroniano, e i due a. di ingresso del foro di Corinto. Qui, alla fine del I sec. d.C., fu costruito nell'angolo SO un piccolo a. di ingresso a un fornice, sulla strada proveniente dall'Acrocorinto; di esso nel 1975 si sono scavate le fondazioni, ampiamente sconvolte in età tardoantica. Le forme architettoniche, probabilmente molto semplici e prive di un ordine applicato, sono quasi completamente sconosciute. Certamente più monumentale era il secondo a. del foro di Corinto, allo sbocco della strada del Lechaion. Descritto anche da Pausania (II, 3, 2), raffigurato più volte su monete di Corinto dall'età di Domiziano fino a quella di Marco Aurelio, esso subì sicuramente numerosi rifacimenti. Importante era il ricco corredo scultoreo, recentemente studiato (Edwards), uno dei pochissimi noti per a. onorarî della Grecia. Risale a un rifacimento traianeo o adrianeo e incentra il programma figurativo su temi guerreschi e religiosi: rilievi d'armi e con soldati, gruppi tropaici, scene di sacrificio. È stato messo in relazione con le vittorie partiche di Traiano, in accordo con l'interpretazione data al tipo di prigionieri che compare nei gruppi tropaici. Da Pausania sappiamo che sull'a. erano collocati i carri di Elio (una delle maggiori divinità di Corinto) e del figlio Fetonte.
Valore di ingresso monumentale aveva anche l'a. a tre fornici di Isthmia, costruito c.a 380 m a NE del Santuario di Posidone, probabilmente nella seconda metà del I sec. d.C. L'edificio fu eretto in posizione scenografica, in alto sul porto di Schoinos, con esplicita sottolineatura anche di un evidente significato limitaneo. Le forme architettoniche, come accade frequentemente per gli a. del I sec. d.C. in Grecia, sono estremamente semplici: manca un ordine applicato e nella parte superiore corre una semplice cornice aggettante con modellati di tipo greco. Un'architettura complessa, interamente derivata dalla Porta di Adriano ad Atene (che non è un a. onorario in senso stretto, pur presentandone molti caratteri formali e anche il ricorrente significato limitaneo fra aree urbane distinte), avevano invece i due monumenti gemelli di ingresso, a SE e a SO, alla spianata antistante i Grandi Propilei di Eleusi. Sono di età tardo-antonina e nella dedica associano un imperatore (probabilmente lo stesso Antonino Pio) alle divinità eleusine; si configurano anche come monumenti dinastici, poiché accoglievano, certamente nelle edicole sull'attico, le statue dei membri della famiglia imperiale, di cui si sono recuperate numerose basi. Il più studiato fra gli a. onorarî di Grecia è anche il più tardo, il quadrifronte di Galerio a Salonicco. Lo studio recente della struttura architettonica (G. Velenis) ne ha chiarito i rapporti originari con gli edifici attigui (il portico addossato alla «Sala del mosaico» da un lato, il recinto del mausoleo dall'altro), poi modificati con interventi successivi. Certamente il monumento recava gruppi plastici alla sommità, mentre l'interpretazione del complesso apparato figurativo, rappresentato dai rilievi sui piloni, sempre in equilibrio fra narrazione storica delle guerre partiche di Galerio e allusioni all'astrattezza del dogma imperiale, ha ricevuto negli ultimi anni nuovi contributi illuminanti (Laubscher, Pond, Engemann, Meyer, Raeck). Un monumento forse simile è stato supposto a Durazzo, sulla costa adriatica orientale. A esso potrebbe appartenere un rilievo di carattere tropaico del museo locale, tematicamente e stilisticamente affine a quelli dell'a. di Salonicco. Posto al pari di quest'ultimo in un'importante città lungo la Via Egnatia, poteva celebrare le vittorie di Galerio sui Sarmati del 305 (Buschhausen).
Dai pochi a. documentati per l'area danubiana va certamente espunta la c.d. Heidentor di Carnuntum, che deve piuttosto essere interpretata come un monumento turriforme a piani sovrapposti, forse con cuspide piramidale. La struttura inferiore in forma di tetrapilo non era in alcun rapporto con una strada e alloggiava al suo centro un grande altare circolare (cfr. A. Obermayr, Römerstadt Carnuntum, Vienna-Monaco 1967, pp. 216-222). Con ogni probabilità la Heidentor deve essere considerata un monumento celebrativo di età tetrarchica, la cui struttura può essere in rapporto con l'architettura di taluni monumenti iranici a quattro piloni (cfr. W. Kleiss, Bemerkungen zum sogenannten Heidentor in Carnuntum, in Germania, lx, 1982, pp. 222-228). Va invece considerato un nuovo a. quadrifronte, scoperto a Salisburgo nel 1958 nel corso di scavi eseguiti al di sotto della cripta del duomo romanico della città. Le fondazioni - unica parte superstite dell'a. - tagliavano gli strati d'incendio relativi alle guerre marcomanniche e quindi sono state datate alla prima metà del III secolo. All'a. sono state attribuite - probabilmente a torto - tre iscrizioni da tempo note (CIL, III, 5727, 5536-37), una delle quali contiene una dedica a Settimio Severo. Non si conoscono i rapporti urbanistici del monumento; verosimilmente doveva sorgere in prossimità del foro della città.
Asia Minore. - Nella diffusione dell'a. onorario promossa in età augustea rientrano anche i primi esempi attestati in Asia Minore. È significativo che il più antico fra essi, l'ingresso SE dell'agorà di Efeso, a tre fornici, sia stato eretto nel 4-3 a.C. per iniziativa di privati (Mazeo e Mitridate, uno dei due era un liberto di Agrippa), in onore di Augusto, Livia, Agrippa e Giulia. È qui ripresa la funzione, consueta in Grecia e in Oriente, di propileo, adattata alle forme dell'a. onorario romano e investita di valenze dinastiche, ma con un'indicativa commistione di elementi: passaggi voltati, ma con avancorpi laterali corrispondenti ai fornici esterni e passaggi architravati all'interno fra i tre vani e lo spazio libero davanti al fornice centrale. Non troppo diverso è il caso del propileo di accesso all'Augusteum (secondo altri un Tempio di Cibele, per la presenza di rilievi con l'immagine di Demetra) di Antiochia di Pisidia, anch'esso a tre fornici, eretto su un'alta gradinata d'ingresso al témenos. Qui è però presente un complesso corredo scultoreo e, forse, epigrafico che allinea il monumento a quelli «urbani» strettamente connessi all'ideologia degli inizî del principato.
Vi si trova il ricorrente repertorio «trionfale» (Vittorie volanti, trofei, armi, i rostri di navi della simbologia aziaca), ma anche i segni della nuova propagandata felicitas temporum (Geni delle stagioni e il Capricorno, emblema astrologico di Augusto). Probabilmente all'a. era affisso il c.d. Monumentum Antiochenum, ovvero la versione latina delle Res gestae, che si è ritrovato presso le rovine dell'a. stesso; la cronologia va fissata a età tardoaugustea più che alto-tiberiana. L'a. antiocheno costituisce un esempio illuminante della diffusione in Oriente della «teologia della vittoria» imperiale attraverso il nuovo strumento dell'a. onorario, con l'impiego di formule architettoniche e figurative che costituiscono un evidente compromesso fra tradizioni ellenistiche ed esperienze romane. All'età di Domiziano, fra l'81 e l'83-84, si data - grazie ai resti delle iscrizioni, redatte in greco il piccolo a. a un fornice di Perge in Pamphylia, scoperto nel 1972-73 presso l'incrocio fra le due (più tarde) strade colonnate della città.
Il monumento è di notevole importanza soprattutto per alcune particolarità architettoniche: associa un ordine applicato dorico, nella parte inferiore, a semicolonne ioniche che inquadrano superiormente l'archivolto e il basso attico, con una soluzione a due piani di cui costituisce un esempio assai precoce. In posizione affatto singolare, all'altezza dell'imposta dell'archivolto, è inserito un frontone spezzato, un caso di cronologia sicura, che per ora è il più antico fra quelli attestati in Asia Minore. L'a. è di dedica privata, consacrato dai fratelli Demetrios e Apollonios ai sovrani della dinastia Flavia e alle divinità protettrici di Perge.
La c.d. Porta di Adriano a Efeso, che in realtà può risalire anche alla tarda età di Traiano, costituisce ora un esempio ben documentato di monumento onorario orientale che associa ancora una volta forme romane ad altre ellenizzanti e persino nabatee. Eretto presso l’agorà e la biblioteca, sulla strada della processione annuale verso il mitico luogo della nascita di Apollo e Artemide, univa certamente al significato onorario per un imperatore quello cultuale legato alla pratica cerimoniale religiosa. Al fornice centrale si affiancavano non due veri passaggi, ma due edicole architravate; alla sommità, in luogo del tradizionale attico, si ergeva un loggiato di colonne sormontato da un frontone che inglobava un arco. Nelle edicole inferiori e nel loggiato superiore dovevano essere collocate statue di divinità e forse anche di personaggi imperiali, con la ben nota commistione fra le attestazioni di pietas erga deos e dell'omaggio al sovrano. D'altra parte il rapporto di questi edifici onorari con cerimonie pubbliche di culto è documentato anche da altri casi, spesso a. o porte suburbane, come le «porte d'onore» di Hierapolis di Frigia.
In questi monumenti d'Asia Minore del medio e del tardo impero non è frequente cogliere appieno il significato, oltre la semplice presenza, di complessi programmi figurativi, anche per la perdurante mancanza di adeguati studi particolari sui singoli casi.
Da ricordare è però l'a. trifornice ancora ad Antiochia di Pisidia, dedicato da C. Iulius Asper, console nel 212, dove i resti del programma figurativo si allineano ai contenuti dell'arte ufficiale urbana, con evidente allusione alle vittorie partiche di Settimio Severo (Parti inginocchiati negli spicchi del fornice centrale, Vittorie e Geni in quelli laterali). D'altra parte i contenuti dell'arte rappresentativa in Asia Minore, proprio per l'età medio e tardo-imperiale, sono ancora largamente da definire. Uno dei pochi documenti per l'età tetrarchica è costituito dall'a. di Nicea, forse un tetrapilo di cui si sono scavate le fondazioni presso la porta E della città. Del programma figurativo si conservano quattro frammenti di rilievi, fra i quali scene di combattimento fra Romani e Parti, di clementia e di adlocutio.
L'a. forse commemorava le vittorie di Costanzo Cloro sulle frontiere orientali e presenta punti di contatto - nei contenuti - con i rilievi dell'A. di Galerio a Salonicco, mentre le forme sono più vicine a quelle tradizionali del naturalismo ellenistico.
La serie si conclude con l'A. di Teodosio a Costantinopoli, presso il Forum Tauri. Il monumento fu eretto alla fine del IV sec. con un solo fornice, delimitato da stretti piloni con due colonne dai fusti vegetalizzati anteposte a ciascuno di essi. Agli inizî del V sec. furono aggiunti due stretti passaggi laterali e si ebbe una nuova dedica ad Arcadio e Onorio. Nel corso del VI sec., dopo il terremoto del 558, l'a. ritornò alla sua forma originaria a un fornice. Anche questo monumento non ha molto in comune con la tradizione architettonica dell'a. onorario romano occidentale e probabilmente era privo di un apparato figurativo rilevante, ma recava in origine, alla sommità, una statua equestre di Teodosio.
Siria, Palestina, Arabia. - Secondo un passo di Malalas (223, 2), Augusto avrebbe fatto costruire un tetrapilo decorato di marmi e sculture di bronzo a Laodicea, nella Siria settentrionale, ma il monumento è per ora del tutto sconosciuto. Il più antico esempio conservato nell'area siroarabica è pertanto rappresentato dalla c.d. Porta Nabatea di Bostra, di età augustea. Il grande interesse del monumento sta in primo luogo nelle sue forme architettoniche, che realizzano lo schema dell'a. onorario a un fornice fra piloni molto ampi, con nicchie su due piani, poi largamente documentato soprattutto nel II-III sec. d.C. sia in Africa che nelle stesse province orientali. Le decorazioni architettoniche utilizzano significativamente sia forme romane (nei capitelli della fronte O) sia tipi prettamente nabatei (in quelli della fronte opposta). L'a. augusteo di Bostra costituisce un perfetto esempio di a. di quartiere, eretto sul cardo per separare la nuova addizione romana a O dal vecchio nucleo orientale nabateo della città. La diffusione di a. onorarî nella provincia di Siria ai primi decenni del I sec. d.C. è attestata peraltro dal decreto del Senato di Roma per la costruzione di un monumento di questo tipo nel bosco sacro del monte Amano, in memoria di Germanico in occasione delle più volte citate onoranze funebri del 19 d.C. Come già ricordato, ne fa menzione anche Tacito, ma il testo completo del senatoconsulto contenuto nella Tabula Siarensis lascia aperta una possibilità diversa, quella cioè di costruire un altro tipo di monumento commemorativo ovvero di erigere l'a. in altro sito ritenuto più idoneo per eternare la memoria di Germanico, a discrezione dell'imperatore Tiberio.
Nel II sec. a Gerasa (Arabia) l'A. di Adriano, del 129-130, ripropone sia lo schema architettonico a elementi sovrapposti, sia la funzione di accesso a un quartiere, che in questo caso non fu in realtà edificato, ma che evidentemente era stato previsto all'esterno della porta S della città vecchia, dove l'a. adrianeo fu innalzato a c.a 500 m di distanza. In tutti questi monumenti di Arabia e di Siria, del I e II sec. d.C., sembrano mancare interamente i complessi corredi scultorei costituiti prevalentemente da apparati di rilievi applicati ai piloni, tanto frequenti nei coevi esempi occidentali.
Un'eccezione è costituita dall'a. di Petra, con rilievi di divinità; più comunemente però il significato celebrativo è affidato - oltre che, ovviamente, all'iscrizione - alle statue sull'attico e all'interno delle nicchie sui piloni. Per la verità queste ultime potevano talora accogliere lastre a rilievo, in luogo di vere e proprie statue a tutto tondo. Forme più severe rispetto a quelle degli ultimi casi citati presenta il tetrapilo che ancora si conserva a Laodicea in Siria: ha fronti differenziate sia per ampiezza dei fornici che per soluzioni angolari dell'ordine applicato e articolazione della trabeazione. Le fronti maggiori presentano anche un piccolo frontone anteposto alla parte inferiore dell'attico, largo quanto l'intercolunnio. Questo a. quadrifronte è comunemente datato a età severiana, ma l'affinità che mostra con alcuni a. (prevalentemente nord-africani) del II sec. - come l'A. di Traiano a Mactar - fanno preferire una cronologia più alta di qualche decennio, forse all'età di Lucio Vero, che soggiornò più volte a Laodicea fra il 163 e il 166, in occasione delle campagne militari contro i Parti (SHA, Ver., VII, 3).
Gli a. arabici e siriaci del tardo II e degli inizî del III sec. sono utilizzati con particolari effetti scenografici in rapporto alle rinnovate vie colonnate. L'a. a tre fornici di Palmira (v. vol. V, fig. 1101) adatta la propria struttura alla necessità di presentare le fronti come prospetti monumentali su due strade leggermente divergenti, tanto da assumere una particolarissima pianta triangolare. Le facciate riprendono il noto schema con nicchie a frontone sovrapposte ai fornici minori, in rapporto ai portici della strada, mentre nettamente prevalente è il fornice centrale, che cavalca la via. A Bostra, l'a. pure a tre fornici del 225-250 c.a, poi ridedicato a Iulius Iulianus, un praefectus della legio I Parthica Philippiana, nell'età dunque di Filippo l'Arabo (CIL, III, 99), prospetta sul cardo, con analogo effetto scenografico, sormontando la strada del teatro. L'ordine applicato è costituito da paraste, singolarmente differenziate sulle due fronti dai capitelli, che a Ν sono corinzi, a S ionici. Sulla facciata S dai piloni si distaccano nettamente due piedistalli per statue, con una soluzione già presente in taluni a. occidentali del I sec. d.C.
Egitto. - Fra i pochissimi a. documentati, quello che compare su monete di Domiziano, Traiano e Adriano della zecca di Alessandria è certamente un monumento di questa città (secondo un'altra ipotesi si tratterebbe di un a. di Roma). Lo schema è a tre fornici, con nicchie per statue o rilievi sopra quelli laterali e ampio frontone anteposto all'attico; altre sculture erano collocate alla sommità e sulla trabeazione. Il corredo statuario e la generale soluzione architettonica sono affini ad a. orientali dal II sec. in poi (Gerasa, Palmira, Bostra). Le monete più antiche (tetradracme dell'86-87) fissano la cronologia dell'a. di Alessandria all'età di Domiziano.
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L'Orange, Konstantins triumfbue i Rom, in Kunst og Kultur, LIV, 1971, pp. 81-120; L. Richardson, The Date and the Program of the Arch of Constantine, in ArchCl, XXVII, 1975, pp. 72-78; I. Iacopi, L'arco di Costantino e le Terme di Caracalla, Roma 1977, pp. 3-23; T. V. Buttrey, art. cit., pp. 375-378; R. Ross Holloway, The Spolia of the Arch of Constantine, in NumAntCl, XIV, 1985, pp. 261-273; M. L. Conforto, L'arco di Costantino a Roma: vicende e restauro, in Storia della Città, XLVIII, 1988, pp. 17-24; S. E. Knudsen, Spolia: the So-Called Historical Frieze on the Arch of Constantine (Abstract of Paper), in AJA, XCIII, 1989, p. 267 s. - Quadrifronte del Foro Boario (28): G. Cressedi, Il Foro Boario e il Velabro, in BullCom, LXXXIX, 1984, p. 276, n. 39. - A. di Valente e Valentiniano (41): J. Le Gall, Le Tibre fleuve de Rome dans l'antiquité, Parigi 1953, pp. 298-301; R. H. V. Stichel, Die römische Kaiserstatue am Ausgang der Antike, Roma 1982, p. 41 s.; E. La Rocca, La riva a mezzaluna, Roma 1984, p. 68. - A. di Arcadio Onorio e Teodosio II (40): E. La Rocca, La riva..., cit., pp. 66-68. - A. di Portogallo (30): E. Rodriguez Almeida, Il Campo Marzio..., cit., pp. 200-205; G. M. Koeppel, Die historischen..., cit., pp. 7-8, 38-43, nn. 18-19; E. La Rocca (ed.), Rilievi storici..., cit., pp. 21-37.
Nuovi a.: (365) A. di Gaio e Lucio Cesari: B. Andreae, art.cit., pp. 168-176; P. Zanker, Foro Romano..., cit., pp. 17 s., 50. - (366) A. di Vespasiano: F. S. Kleiner, A Vespasianic Monument to the Senate and the Roman People, in SchwNR, LXVIII, 1989, pp. 85-91; id., The Arches of Vespasian in Rome, in RM, XCVII, 1990, pp. 127-136. - (367) a. adrianeo nell'area sacra di S. Omobono: F. Coarelli, Foro Boario..., cit., pp. 451-459; F. Ioppolo, ibid., pp. 443-450.
Italia. - Opere generali: G. A. Mansuelli, Les monuments commémoratifs romains de la Vallée du Po, in MonPiot, LIII, 1963, pp. 23-30; id., Urbanistica e architettura della Cisalpina romana fino al III sec. e.n., Bruxelles 1971, pp. 184-190. - Ancona: A. di Traiano (54): S. Stucchi, Il coronamento dell'arco romano nel porto di Ancona, in RendAccNapoli, n.s., XXXII, 1957, pp. 149-164; id., Intorno al viaggio di Traiano nel 105 d.C., in RM, LXXII, 1965, pp. 145-147; G. A. Mansuelli, Due Monumenti romani nelle Marche, la porta d'Augusto di Fano e l'arco di Traiano di Ancona, in Atti XI Congresso di St. dell'Arch., Roma 1965, pp. 101-109. - Sul molo (102): A. Degrassi, La via seguita da Traiano nel 105 per recarsi nella Dacia, in RendPontAcc, XXII, 1946-47, pp. 170-179 (poi in Scritti vari di antichità, I, Roma 1962, pp. 569-577); Ch. Picard, Brundisium. Notes de topographie et d'histoire, in REL, XXXV, 1957, pp. 299-302; S. Stucchi, Il coronamento dell'arco..., cit., pp. 149-164; id., in Atti Accad. Udine, s. VII, I, 1957-60, 1, pp. 73-75, 88-93; id., Intorno al viaggio di Traiano..., cit., pp. 142-148; S. Mazzarino, Note sulle guerre daciche di Traiano. Reditus del 102 e itus del 105, in RhM, CXXII, 1979, pp. 176-182; id., Introduzione alla seconda dacica di Traiano, in L'esame storico artistico della Colonna Troiana. Colloquio italo-romeno. Roma 1978, Roma 1982, pp. 45-48. - Aosta (55): P. Barocelli, L'arco di Augusto ad Aosta: i restauri del 1912-1913, in Atti del Congresso sul Bimillenario della città di Aosta, Bordighera 1982, p. 351 s.; J. Prieur, Les arcs monumentaux dans les Alpes occidentales: Aoste, Suse, Aix-les-Bains, in ANRW, II, 12,1, 1982, pp. 445-451. - Aquino (56): M. Cagiano de Azevedo, Aquinum, Roma 1949, pp. 44-46; F. S. Kleiner, The «Arco di Marcantonio» at Aquino, in ANews, XII, 1983, pp. 47-52. - Benevento: A. di Traiano (57): P. Veyne, Une hypothèse, sur l'are de Bénévent, in MélAHist, LXXII, 1960, pp. 191-219; O. Vessberg, A Reconstruction Problem on the Arch of Benevento, in OpRom, IV, 1962, pp. 159-164; R. Brilliant, Gesture..., cit., pp. 112-118; F. J. Hassel, Der Trajansbogen in Benevent, Magonza 1966; G. M. Koeppel, Profectio..., cit., pp. 161-170; K. Fittschen, Das Bildprogramm des Trajansbogens zu Benevent, in AA, LXXXVII, 1972, pp. 742-788; M. Rotili, L'arco di Traiano a Benevento, Roma 1972; T. Lorenz, Leben und Regierung Trajans auf dem Bogen von Benevent, Amsterdam 1973; W. Gauer, Zum Bildprogramm des Trajansbogens von Benevent, in Jdl, LXXXIX, 1974, pp. 308-335; M. A. Tomei, Osservazioni su alcune personificazioni femminili dell'Arco di Traiano a Benevento, in Studi in memoria di G. Becatti (StMisc, 22), Roma 1976, pp. 205-212; Β. Andreae, Zum Triumphfries des Trajansbogens von Benevent, in RM, LXXXVI, 1979, pp. 325-329; E. Simon, Die Götter am Trajansbogen zu Benevent, in TrWPr, I-II, 1979-1980, pp. 3-15; S. Adamo Muscettola, A. Balasco, D. Giampaola, Benevento: l'arco e la città, Napoli 1985; M. Oppermann, op. cit., pp. 79-104. - «A. del Sacramento» (58): F. J. Hassel, Zum Arco del Sacramento in Benevento, in JbMainz, XV, 1968, pp. 95-97. - Brindisi (60): G. Marzano, Recenti scavi in piazza del Duomo a Brindisi, Bari 1954, pp. 6-10; Ch. Picard, Brundisium..., cit., pp. 289 s., 299-302; S. Stucchi, Intorno al viaggio..., cit., pp. 148-153. - Carsulae: sulla Via Flaminia (64): U. Ciotti, A. Campana, U. Nicolini, San Gemini e Carsulae, Milano-Roma 1976, pp. 30-33 - Cosa (66): F. E. Brown, Cosa. The Making of a Roman Town, Ann Arbor 1980, pp. 42-44. - Malborghetto (68): G. Messineo, C. Calci, Malborghetto, Roma 1989. - Pavia (69): C. Saletti, L'urbanistica di Pavia romana, in AthenaeumPavia, LXI, 1983, p. 132; id., La civiltà artistica, in Storia di Pavia, I, Pavia 1984, pp. 317, 320 s.; C. B. Rose, New Contributions to Roman Topography: The 'Arch at Pavia' (Abstract of Paper), in AJA, XC, 1986, p. 189; id., in JRomA, III, 1990, pp. 163-168; L. Cozza, ibid., p. 169. - Pisa (70): E. Gabba, P.E. Arias, E. Cristiani, Camposanto monumentale di Pisa. Le antichità, I, Pisa 1977, pp. 83-96, n. A 46-47 est; F. S. Kleiner, The Arch of Gaius Caesar at Pisa (CIL, XI, 1421), in Latomus, XLIV, 1985, pp. 156-164. - Pola: A. dei Sergi (71): P. Mingazzini, Sulla datazione di alcuni monumenti comunemente assegnati ad età augustea, in ArchCl, IX, 1957, p. 203 s.; B. Forlati Tamaro, A proposito della datazione dell'arco di Orange e dell'arco dei Sergi a Pola, ibid., XI, 1959, p. 92; M. Wegner, Kapitelle und Friese vom Bogen der Sergier zu Pola. Bemerkungen zu den Formen kaiserzeitlicher Bauglieder, in BJb, CLXI, 1961, pp. 263-276; G. Traversari, L'arco dei Sergi, Padova 1971; F. Coarelli, in DArch, VI, 1972, pp. 426-435; G. Cavalieri Manasse, La decorazione architettonica romana di Aquileia Trieste Pola. I. L'età repubblicana augustea e giulio-claudia, Padova 1978, pp. 183-187. - Pompei: a. nel foro (74-75, 76): N. Neuerburg, L'architettura delle fontane e dei ninfei dell'Italia antica, Napoli 1965, p. 130, n. 33; T. Kraus, Lebendiges Pompeji, Colonia-Milano 1973, pp. 27, 36; E. La Rocca, M. e A. De Vos, F. Coarelli, Guida archeologica di Pompei, Verona 1976, p. 107. - Sulla via di Mercurio (78): H. Roques de Maumont, op. cit., pp. 70-72; J. Dybkjaer, The Water Towers in Pompeii, in AnalRom, XI, 1982, pp. 58-61; H. Döhl, P. Zanker, La scultura, in F. Zevi (ed.), Pompei 79, Napoli 19842, p. 187. - Pozzuoli: A. di Traiano (79): Η. Kahler, Der Trajansbogen in Puteoli, in Studies to D. M. Robinson, I, Washington 1951, pp. 430-439; W. Johannowsky, Contributi alla topografia della Campania antica, in RendAccNapoli, n.s., XXVII, 1952, pp. 143-145; S. E. Ostrow, Problems in the Topography of Roman Puteoli (diss.), Ann Arbor 1980, p. 30 s. - Sul molo (83): Ch. Picard, Pouzzoles et le paysage portuaire, in Latomus, XVIII, 1959, pp. 34-37, 43-45; A. G. McKay, Naples and Coastal Campania, Hamilton 1972, pp. 180, 183-186; S. E. Ostrow, The Topography of Puteoli and Baiae on the Eight Glass Flasks, in Puteoli, III, 1979, pp. 115-121. - Due a. sulla banchina (81-82): S. E. Ostrow, Problems in the Topography..., cit., p. 209 s. - Prima Porta (85): C. Calci, G. Messineo, La villa di Livia a Prima Porta, Roma 1984, pp. 15-17; iid., Prima Porta, 2. Arco, in BullCom, XCI, 1986, 2, pp. 715-718. - Rimini (86): G. A. Mansuelli, II monumento augusteo del 27 a. C. Nuove ricerche sull'arco di Rimini, in Arte antica e moderna, VIII, 1959, pp. 363-391 e IX, 1960, pp. 16-39; G. Riccioni, Il tondo apollineo dell'Arco di Augusto e il culto di Apollo ad Ariminum, in Hommage à M. J. Vermaseren, III, Leida 1978, pp. 979-984; S. De Maria, La Porta Augustea di Rimini nel quadro degli archi commemorativi coevi. Dati strutturali, in Studi sull'arco onorario romano, cit., pp. 73-91; id., L'arco di Rimini nel Rinascimento. Onori effimeri e antichità ritrovata, in Culture figurative e materiali tra Emilia e Marche. Studi in memoria di M. Zuffa, Rimini 1984, pp. 443-461; R. Angelini, L'arco di Augusto di Rimini: rilievo e studio del monumento con particolare riguardo all'assetto statico indagato col metodo degli elementi finiti, Forlì 1986. - Siracusa: a. augusteo (91): G. V. Gentili, in NSc, 1951, pp. 263-277; id., Studi e ricerche sull'anfiteatro di Siracusa, in Palladio, n.s., XXIII, 1973, p. 21 s.; F. Coarelli, La cultura figurativa in Sicilia dalla conquista romana a Bisanzio, in E. Gabba, G. Vallet (ed.), La Sicilia antica, II, 2, Napoli, 1980, p. 381; R. Martin e altri, Le città greche, ibid., I, 3, pp. 677-679. - Spoleto (93): C. Pietrangeli, L'arco di Druso e Germanico a Spoleto, in Atti V Congr. Naz. di Studi Romani, III, Roma 1940, pp. 165-169; U. Ciotti, Scavo e sistemazione dell'edificio romano presso l'arco di Druso, in Spoletium, VII, 1957, pp. 3-11; L. Di Marco, Spoletium. Topografia e urbanistica, Spoleto 1975, p. 50 s. - Susa (95): B. M. Felletti Maj, Il fregio commemorativo dell'arco di Susa, in RendPontAcc, XXXIII, 1960-61, pp. 129-153; C. Carducci, Problemi urbanistici e artistici dell'antica Segusium, in Atti I Congr. Internaz. di Archeol. dell'Italia Settent., Torino 1961, Torino 1963, pp. 129-135; C. Calvi, Osservazioni sul fregio dell'arco di Susa, in ArchCl, XXVIII, 1976, pp. 115-125; S. De Maria, L'apparato figurativo nell'arco onorario di Susa, in RdA, I, 1977, pp. 44-52; J. Prieur, art.cit., pp. 451-459. - Terracina: due quadrifronti (96): S. Aurigemma, A. Bianchini, A. De Santis, Circeo Terracina Fondi, Roma 1957, pp. 18 s., 28; Β. Conticello, Terracina, Itri 19762, p. 44; M. R. Coppola, Il foro emiliano di Terracina, in MEFRA, XCVI, 1984, pp. 371-373. - Verona: A. dei Gavi (99): L. Beschi, Arco dei Gavi, in Verona e il suo territorio, I, Verona 1960, pp. 433-444; G. Tosi, Considerazioni sull'arco dei Gavi a Verona, in AVen, II, 1979, pp. 99-120; ead., L'arco dei Gavi, Roma 1983. - «A. di Giove Ammone» (100): L. Beschi, art.cit., pp. 493-497; G. Zorzi, Gli antichi archi veronesi nei disegni palladiani di Verona e di Londra attribuiti a G. Maria Falconetto, in Atti Accad. Verona, s. V, XV, 1963-64, pp. 169-191; G. Tosi, Un problema di interpretazione della documentazione grafica rinascimentale. L'arco romano detto di Giove Ammone a Verona, in AVen, IV, 1981, pp. 73-98 e V, 1982, pp. 35-62; G. Cavalieri Manasse, Nota sull'arco veronese detto di Giove Ammone, in AquilNost, LVII, 1986, pp. 521-564.
Nuovi a. - Carsulae: (368-369) due quadrifronti: H. Blanck, Archäologische Funde und Grabungen in Mittelitalien 1959/1969, in AA, 1970, p. 320; U. Ciotti, A. Campana, U. Nicolini, op. cit., p. 26. - Cupra Marittima: (370-371) due a. a lato di un tempio: B. F. Mostardi, Cupra, Ascoli Piceno 1977, p. 122; P. Fortini, Cupra Marittima. Origini, storia, urbanistica, Ascoli Piceno 1981, p. 8 s. - Ercolano: (372-373) due quadrifronti sul decumano massimo: A. Maiuri, Ercolano. I nuovi scavi (1927-1958), Roma 1958, p. 88; A. de Franciscis, in FA, XVI, 1964, n. 4650; A. Allroggen-Bedel, Das sogenannte Forum von Herculaneum und die borbonischen Grabungen von 1739, in CronErcol, IV, 1974, pp. 100-105; H. Mielsch, Römische Stuckreliefs (RM, Suppl. XXI), Heidelberg 1975, pp. 49, 133, n. K36; A. Allroggen-Bedel, Dokumente des 18. Jahrhunderts zur Topographie von Herculaneum, in CronErcol, XIII, 1983, pp. 145-148. - Fano: (374) porta augustea ridedicata al Divo Costantino: G. A. Mansuelli, Due monumenti romani nelle Marche..., cit., pp. 101-104; I. Di Stefano Manzella, Documenti inediti sugli archi augustei di Fano e Rimini (1823-1825), in RendLinc, s. VIII, XXXII, 1977, pp. 436-443; V. Purcaro, Osservazioni sulla 'Porta Augustea' di Fano, ibid., XXXVII, 1982, pp. 141-158. - Milano: (375) quadrifronte suburbano: A. De Capitani d'Arzago, La zona di Porta Romana dal Seveso all' «arco romano», Milano 1942, pp. 84-135; A. Calderini, in Storia di Milano, I, Milano 1953, pp. 558-563; M. Mirabella Roberti, Milano romana, Milano 1984, pp. 93-95; D. Caporusso, Nuovi scavi archeologia in corso di Porta Romana a Milano, in BdA, LXXII, 1987, 43, pp. 63-70; ead., in Milano capitale dell'impero romano 286-402 d.C., Milano 1990, p. 99. - Ostia: (376) fuori Porta Marina: G. Calza, in G. Becatti (ed.), Scavi di Ostia, I, Roma 1953, p. 88; R. Calza, Ostia, Roma 1965, p. 127. - (377) quadrifronte nel porto: C. Robert, Archäologische Ermeneutik, Berlino 1919, pp. 72-75; M. Fasciato, Ad quadrigam fori vinarii. Autour du Port au vin d'Ostie, in MélAHist, LIX, 1947, pp. 65-81; R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford i960, p. 158 s.; O. Testaguzza, Partus, Roma 1970, p. 230 s., n. 430; R. Calza, Scavi di Ostia IX, Roma 1978, p. 47 s., n. 59; R. Turcan, Trois «rebus» de l'iconographie romaine ou les pièges de l'analogie, in Actes Coll. sur les problèmes de l'image dans le monde méditerranéen classique, Roma 1985, pp. 69-75. - (378-379) due a. nel foro: G. Becatti, Scavi di Ostia..., cit., I, p. 130. R. Meiggs, op. cit., p. 136; B. M. Boyle, Studies in Ostian Architecture (diss.), Ann Arbor 1983, p. 27. - (380-381) due a. di Caracalla: F. Zevi, P. Pensabene, Un arco in onore di Caracalla a Ostia, in RendLinc, s. VIII, XXVI, 1971, pp. 481-525. - Parma: (382) porta onoraria alto-imperiale: M. Calvani Marini, Testimonianze di urbanizzazione, in V. Banzola (ed.), Parma. La città storica, Parma 1978, p. 33 s.; F. Rebecchi, Esempi di scultura romana a Grado. Clipei ornamentali di porte urbiche, Aquileia, Parma, Ravenna, in Grado nella storia e nell'arte. Atti della 10a " settimana di Studi Aquileiesi. Aquileia 1979 (Antichità altoadriatiche, XVII), Udine 1980, pp. 97-102. - Verona: (383) quadrifronte c.d. di S. Anastasia: P. Marconi, Verona romana, Bergamo 1937, p. 43 ss.; L. Beschi, in Verona..., cit., p. 493; L. Franzoni, Verona. Testimonianze archeologiche, Verona 1965, p. 132 s. - Vulci (384): R. Bartoccini, Tre anni di scavi a Vulci, in Atti VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, Roma 1961, p. 266; B. Massabò, Vulci e il suo territorio in età etrusca e romana, in L'Universo, LIX, 1979, pp. 172, 371 s.
Africa. - Opere generali: P. Romanelli, Topografia e archeologia dell'Africa romana, Torino 1970, pp. 131-142. - Ğemila (131): P. Fevrier, Notes sur le développement urbain en Afrique du Nord. Les exemples comparés de Djemila et de Sétif, in CArch, XIV, 1964, p. 9. - Leptis Magna: due a. di Tiberio (147): R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, Leptis Magna, Milano 1964, pp. 71-74; M. Floriani Squarciapino, Leptis Magna, Basilea 1966, p. 57 s. - A. di Vespasiano e Tito (148): J. M. Reynolds, J. B. Ward Perkins (ed.), The Inscriptions of Roman Tripolitania, Roma-Londra 1952, n. 342; R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, op. cit., p. 72. - A. di Traiano (149): iid., op. cit., pp. 71-74; M. Floriani Squarciapino, op. cit., pp. 58-61. - A. dei Severi (150): R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, op. cit., pp. 67-70; M. Floriani Squarciapino, op. cit., pp. 63-69; G. Ioppolo, Una nuova iscrizione monumentale presso l'arco dei Severi a Leptis Magna, in LibyaAnt, V, 1968, pp. 83-91; id., Appunto sull'anastilosi dell'arco di Settimio Severo a Leptis, ibid., pp. 79-81; V. M. Strocka, Beobachtungen an den Attikareliefs des severischen Quadrifons von Leptis Magna, in AntAfr, VI, 1972, pp. 147-172; A. Di Vita, La ricostruzione dell'arco dei Severi a Leptis Magna in un disegno di C. Catanuso, in QuadALibia, VII, 1975, pp. 3-26; S. Stucchi, Cantiere esterno dell'Arco Severiano a Leptis Magna, ibid., VIII, 1976, pp. 478-492; A. Di Vita, Ancora del tetrapilo precedente l'arco dei Severi a Leptis Magna, ibid., IX, 1977, pp. 135-143; S. Stucchi, Divagazioni archeologiche, II, Roma 1981, pp. 127-199; F. Ghedini, Il pannello nord-ovest dell'arco dei Severi a Leptis Magna. Una proposta di lettura, in RdA, VIII, 1984, pp. 68-87; ead., Giulia Domna, cit., pp. 55-110; E. La Rocca, I rilievi minori dell'arco di Settimio Severo a Leptis Magna: una proposta di ricostruzione, in Prospettiva, 43, 1985, pp. 2-11. - Tre piccoli quadrifronti (151-153): R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, op. cit., p. 80; M. Floriani Squarciapino, op. cit., p. 74. - Mustis: A. di Gordiano III (165): A. Beschaouch, La dédicacé de l'arc de Mustis, in BAntFr, 1967, p. 273 s.; N. Ferchiou, L'arc de Gordien III à Mustis (Le Krieb, Tunisie), in Africa, IX, 1985, pp. 95-114. - Sbeitla: A. di Antonino Pio (172): Ν. Duval, F. Baratte, Les ruines de Sufetula-Sbeitla, Tunisi 1973, p. 19 s. - A. di Settimio Severo (173): iid., op. cit., p. 71 s.; N. Ferchiou, L'arc de Septime Sévère à Sbeitla, in Echanges, II, 1980, pp. 49-58; J. Vérité, La restitution d'un monument romain. L'arc de Septime Sévère à Sbeitla en Tunisie, in ArcheologiaParis, 176, 1983, pp. 51-58. - Tetrarchico (174): N. Duval, F. Baratte, op. cit., p. 90 s. - Tebessa: A. di Caracalla (183): L. Bacchielli, Il testamento di C. Cornelio Egriliano e il coronamento dell'arco di Caracalla a Tebessa, in A. Mastino (ed.), L'Africa romana. Atti del IV Convegno, I, Sassari 1987, pp. 295-321. - Timgad: A. c.d. di Traiano (198): A. Lézine, Note sur l'arc dit de Trajan à Timgad, in BAAlger, II, 1966-67, pp. 123-127; P. Romanelli, L'arco di Traiano a Timgad. Una ipotesi, in Mélanges d'histoire ancienne et d'archéologie offerts à Paul Collart, Losanna 1975, pp. 317-321. - Tripoli: A. di Marco Aurelio (207): S. Aurigemma, L'ubicazione e la funzione urbanistica dell'arco quadrifronte di Marco Aurelio in Tripoli, in QuadALibia, V, 1967, pp. 65-78; id., L'arco quadrifronte di Marco Aurelio e di Lucio Vero in Tripoli (LibyaAnt, Suppl. 3), Tripoli 1970; F. Carinci, Disegni dell'arco quadrifronte di Marco Aurelio e Lucio Vero a Tripoli nella Biblioteca del College di Eton, in QuadALibia, XI, 1980, pp. 83-99. - Volubilis: A. di Caracalla (220): C. Domergue, L'arc de triomphe de Caracalla à Volubilis. Le monument, la décoration, l'inscription, in BAParis, 1963-64, pp. 201-229; C. Domergue, La réprésentation des Saisons sur l'arc de Caracalla à Volubilis, in Mélanges Piganiol, I, Parigi 1966, pp. 463-472; L. Chatelain, Le Maroc des Romains, Parigi 19682, pp. 193-200.
Nuovi a. Henšir el-Abioḍ: (385) A. di Valentiniano Teodosio e Arcadio (iscriz.): L. Leschi, Recherches épigraphiques dans le pays de Nemencha, in Revue Africaine, LXXII, 1931, p. 266 ss. - Bulla Regia: (386) II sec.: P. Quoniam, Fouilles récentes à Bulla Regia, in CRAI, 1952, pp. 460-472. - Celtianis: (387) II sec. (iscriz.): ILAlg, II, n. 2095. - Dugga: (388) A. di Tiberio (iscr.): Inscr. Lat. Afr., n. 558. - Leptis Magna: (389) A. di Adriano (?): A. Di Vita, Ancora del tetrapilo precedente..., cit., p. 138. (390) A. di Antonino Pio: G. Di Vita-Evrard, Un «nouveau» proconsul d'Afrique parent de Septime-Sévère. Caius Septimius Severus, in MélAHist, LXXV, 1963, pp. 389-414; R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, op. cit., p. 104; M. Floriani Squarciapino, op. cit., p. 61 s. - (391) Quadrifronte di Marco Aurelio: R. Bianchi Bandinelli, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli, op. cit., p. 101 s.; G. Di Vita-Evrard, art.cit.·, M. Floriani Squarciapino, op. cit., p. 62 s.; AE, 1967, n. 536. - 'Ayn Ršin: (392) a. costantiniano: N. Ferchiou, Une cité antique de la dorsale tunisienne, aux confins de la Fossa Regia, in AntAfr, XV, 1980, pp. 249-253. - Sala: (393) A. di Antonino Pio?: L. Chatelain, Le Maroc des Romains, cit., pp. 86-88. - Sousse (Hadrumetum): (394) a. traianeo o adrianeo: L. Foucher, Hadrumetum, Parigi 1964, p. 147. - Thignica: (395) A. di Commodo? (iscriz.): CIL, VIII, 15205. - Tigisis: (396) a. severiano (iscriz.): AE, 1957, n. 186; ILAlg, II, n. 6248. - Tuccabor: (397) A. di Antonino Pio (iscriz.): CIL, VIII, 1320= 14851.
Penisola iberica. Opere generali: A. García y Bellido, Arcos Honoríficos Romanos en Hispania, in Hispania Romana. Colloquio italo-spagnolo Roma I972, Roma 1974, pp. 7-24; L. Abad, Arcos romanos en el País Valenciano. Los testimonios epigráficos, in Lucentum, III, 1984, pp. 193-200; J. Arce, Arcos romanos en Hispania. Una revisión, in AEsp, LX, 1987, pp. 73-88. - Bará (224): X. Dupré i Raventós, Els capitells corintis de l'arc de Berá (Roda de Berá, Tarragones), in Empúries, XLV-XLVI, 1983-84, pp. 308-315; id., Eine neue Datierung des Bogens von Berá (Tarragona, Spanien), in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Magonza 1990, p. 339. - Cabanés (227): L. Abad Casal, F. Arrasa i Gil, El arco romano de Cabanes (Castellón), in AEsp, LXI, 1988, pp. 81-117. - Cáparra (228): A. Garcia y Bellido, El tetrapylon de Capera, in AEsp, XLV-XLVII, 1972-74, pp. 45-90. - Tarragona (240-241): F. S. Kleiner, The Arch of Galba at Tarragona and Dynastic Portraiture on Roman Arches, in MM, XXX, 1989, pp. 239-252.
Nuovi a. Córdoba: (398) a. tardoantico: R. Nierhaus, Baedro. Topographische Studien zum Territorium des Conventus Cordubensis in der mittleren Sierra Morena, in MM, V, 1964, pp. 199-205, poi in Studien zur Römerzeit in Gallien, Germanien und Hispanien, Baden 1977, pp. 109-113. - Liría: (399) resti: A. García y Bellido, Arcos Honoríficos..., cit., p. 21 s. - Mérida: (400) A. di Massimiano?: J. Arce, Un relieve triunfal de Maximiane Hercules en Augusta Emerita y el Pap. Arg. Inv. 480, in MM, XXIII, 1982, pp. 359-371. - Sádaba: (401) disegno: A. García y Bellido, Arcos Honoríficos..., cit., p. 23 s.; J. Arce, Arcos romanos..., cit., p. 79.
Gallie e Germanie. - Opere generali: P. Gros, Hellénisme et romanisation en Gaule Narbonnaise, in Hellenismus in Mittelitalien. Koll. in Göttingen 1974, Gottinga 1976, pp. 303-307; id., Pour une chronologie des arcs de triomphe de Gaule Narbonnaise (à propos de l'arc de Glanum), in Gallia, XXXVII, 1979, pp. 55-83; F. S. Kleiner, The Arch of Nero in Rome, cit., pp. 40-50; R. Peters, Dekorative Reliefs an römischen Ehrenbögen in Südgallien (diss. Ruhr Univ.), Bochum 1986. - Aix-les-Bains (244): J. Prieur, art.cit., pp. 460-468. Arles: c.d. Arc du Rhône (248): Α. von Gladiss, Der Arc du Rhône von Arles, in RM, LXXIX, 1972, pp. 17-87. - C.d. Arc admirable (246): A. Grenier, Manuel d'archéologie gallo-romaine, III, I, Parigi 1958, p. 168 s. - Avignone (249): S. Gagnière e altri, Avignon de la préhistoire à la Papauté, Avignone 1970, p. 96 s. - Besançon: «Porte Noire» (250): T. Kraus, Zum Porte Noire in Besançon, in RM, LXXII, 1965, pp. 171-181; R. Ghirshman, La 'Porte Noire' de Besançon et la prise de Ctésiphon, in ANRW, II, 9,1, 1976, pp. 215-218; H. Walter, Les victoires de la 'Porte Noire' de Besançon, in Hommages à L. Lerat, Parigi 1984, pp. 863-872; ead., La Porte Noire de Besançon (diss.), Parigi 1986. - Carpentras (252): G.-Ch. Picard, L'arc de Carpentras, in CRAI, 1960, pp. 13-16; R. Turcan, L'arc de Carpentras. Problèmes de datation et d'histoire, in Hommages à L. Lerat, cit., pp. 809-819. - Glanum (269): H. Rolland, L'arc de Glanum (Gallia, Suppl. 30), Parigi 1977; P. Gros, Note sur deux reliefs des «Antiques» de Glanum: le problème de la romanisation, in RANarb, XIV, 1981, pp. 159-172; M. Clavel-Lévêque, P. Lévêque, Impérialisme et sémiologie. L'espace urbain à Glanum, in MEFRA, XCIV, 1982, pp. 682-698. - Magonza: A. di Dativius Victor (262): K.-V. Decker, W. Selzer, Mogontiacum. Mainz von der Zeit des Augustus bis zum Ende der römischen Herrschaft, in ANRW, II, 5,1, 1976, pp. 507-509; R. Fears, in Greece and Italy in the Class. World. Acta of the XI Int. Congr. of Class. Archaeol., London 1978, Londra 1979, p. 280; H. G. Frenz, Der Ehrenbogen des Dativius Victor zu Mainz und seine 'neue Rekonstruktion, in BerRGK, LXII, 1981, pp. 219-260. - Orange (264): R. Amy e altri, L'arc d'Orange (Gallia, Suppl. 15), Parigi 1962; P. Mingazzini, La datazione dell'arco di Orange, in RM, LXXV, 1968, pp. 163-167; I. Paar, Der Bogen von Orange und der gallische Aufstand unter der Führung des Iulius Sacrovir 21 n.Chr., in Chiron, IX, 1979, pp. 215-236; P. Gros, Une hypothèse sur l'arc d'Orange, in Gallia, XLIV, 1986, pp. 191-201; J. C. Anderson Jr., The Date of the Arch at Orange, in BJb, CLXXXVII, 1987, pp. 159-192. - Reims: Porte de Mars (266): F. Lefêvre, Réflexions à propos des sculptures de la Porte de Mars à Reims, in Caesarodunum, XXIII, 1988, pp. 149-160. - Saintes (270): P. Grimai, Deux inscriptions de Saintes, in REA, XLIX, 1947, p. 135 ss.; L. Maurin, Saintes antique des origines à la fin du VI' siècle après Jésus-Christ, Saintes 1978, pp. 71-81.
Nuovi a. Mainz-Kastel: 402 ( = 268 ?), I sec. d.C.: H. G. Frenz, The Honorary Arch at Mainz-Kastel, in JRomA, II, 1989, pp. 120-125, 416; id., Zur Zeitstellung des römischen Ehrenbogens von Mainz-Kastel, in AKorrBl, XIX, 1989, pp. 69-75; H. Bellen, Der römische Ehrenbogen von Mainz-Kastel. Ianus Germanici aut Domitiani?, ibid., pp. 77-84.
Britannia. - Bath (Aquae Sulis): ingresso al Tempio di Sulis Minerva (403): B. W. Cunliffe, Roman Bath, Oxford 1969, p. 20 s. - Londra: a. severiano (404): T. Blagg, The London Arch, in Current Archaeology, LVII, 1977, pp. 311-315; C. Hill, M. Millett, T. Blagg, The Roman Riverside Wall and Monumental Arch in London, Londra 1980, pp. 124-157, 175-181; P. Marsden, Roman London, Londra 1980, p. 135 s. - Richborough (Rutupiae): quadrifronte (405): D. E. Strong, B. W. Cunliffe (ed.), Excavations at the Roman Fort at Richborough, V, Oxford 1968, p. 57 ss.; R. G. Collingwood, I. Richmond, The Archaeology of Roman Britain, Londra 1969, p. 120. - Verulamium (St. Albans): tre a. sulla Watling Street, III sec. (406-408): S. S. Frere, Excavations at Verulamium, in AntJ, XLII, 1962, pp. 153-159; id., Britannia, Londra 1967, p. 243 s.; R. G. Collingwood, I. Richmond, op. cit., p. 120 s.; K. Branigan, Town and Country. The Archaeology of Verulamium and the Roman Chilterns, Guildford 1973, p. 72; J. Wacher, The Towns of Roman Britain, Londra 1975, pp. 205, 215; S. Frere e altri, Verulamium Excavations, II, Londra 1983, pp. 75-82.
Grecia e paesi danubiano-balcanici. - Corinto: sulla strada del Lechàion (282): C. M. Edwards, Programmatic Sculpture in Roman Corinth: The Lechaion Road Arch, in AJA, XCI, 1987, p. 485 s. - Eleusi: due a. antoniniani (285): G. E. Mylonas, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961, p. 166 s. - Salonicco (294): J. Makaronas, The Arch of Galerius at Thessaloniki, Salonicco 1970; H. Laubscher, Der Reliefschmuck des GaleriusBogens in Thessaloniki, Berlino 1975; M. S. Pond Rothman, The Thematic Organization of the Panel Reliefs on the Arch of Galerius, in AJA, LXXXI, 1977, pp. 427-454; J. Engemann, Akklamationsrichtung, Siegerund Besiegtenrichtung auf dem Galeriusbogen in Saloniki, in JbAChr, XXII, 1979, p. 150 ss.; G. Velenis, Architektonische Probleme des Galeriusbogens in Thessaloniki, in AA, 1979, pp. 249-263; H. Meyer, Die Frieszyklen am sogenannten Triumphbogen des Galerius in Thessaloniki, in Jdl, XCV, 1980, pp. 374-444; G. Velenis, Nachträgliche Beobachtungen am Oberbau des Galeriusbogens in Thessaloniki, in AA, 1983, pp. 273-275; W. Raeck, Tu fortiter, ille sapienter. Augusti und Caesares im Reliefschmuck des Galeriusbogens von Thessaloniki, in Beiträge zur Ikonographie und Hermeneutik. Festschrift für N. Himmelmann, Magonza 1989, pp. 453-457.
Nuovi a. - Atene: (409) nell'agorà, c.a 100 d.C.: J. Travlos, Bildlexikon zur Topographie des antiken Athen, Tubinga 1971, p. 432 s.; H. A. Thompson, R. E. Wycherley, The Agora of Athens (The Athenian Agorà, XIV), Princeton 1972, pp. 114, 202; The Athenian Agorà. A Guide to the Excavations and Museum, Atene 19763, p. 128 s.; F. Glaser, Antike Brunnenbauten (krhénai) in Griechenland, Vienna 1983, p. 93 s., n. 65. - Corinto: (410) angolo SE del foro, I sec. d.C.: C. K. Williams II, Corinth 1975. Forum South-West, in Hesperia, XLV, 1976, pp. 135-137. - Durazzo: (411) tetrarchico: H. Buschhausen, Die Spolie vom Triumphbogen zu Dyrrhachion, in RömÖ, XI-XII, 1983-1984, pp. 7-15. - Isthmia: (412): T. E. Gregory, H. Mills, The Roman Arch at Isthmia, in Hesperia, LIII, 1984, pp. 407-445. - Salisburgo: (413) quadrifronte, inizi III sec.: H. Vetters, Die mittelalterlichen Dome zu Salzburg, in Akten VII Intern. Kongr. Frühmittelalterforschung Vienna 1958, Graz-Colonia 1962, p. 218 s.; G. E. Thüry, Der Quadrifrons von Iuvanum, in MGesSalzb, CVII, 1967, pp. 67-70; N. Heger, Salzburg in römischer Zeit, Salisburgo 1974, p. 28, nota 97.
Asia Minore. - Antiochia di Pisidia: a. augusteo (309): C. C. Vermeule, Roman Imperial Art in Greece and Asia Minor, Cambridge (Mass.) 1968, p. 78 s.; K. Tuchelt, Bemerkungen zum Tempelbezirk von Antiochia ad Pisidiam, in Festschrift für Κ. Bittel, Magonza 1983, pp. 501-522; Η. Hänlein-Schäfer, Veneratio Augusti, Roma 1985, pp. 46 s., 191-196, n. A43. - Severiano (310): C. C. Vermeule, op. cit., p. 78 s. - Efeso: porta augustea dell'agorà (321): F. Fasolo, L'architettura romana di Efeso, in BCStStorArchit, XVIII, 1962, p. 23 s.; W. Alzinger, Augusteische Architektur in Ephesos, Vienna 1974, pp. 9-16; M. Spanu, Considerazioni sull'architettura di Efeso in età augustea, in Prospettiva, 52, 1988, p. 46 s. - Hierapolis: porte onorarie (324-325): D. De Bernardi, L'architettura monumentale della porta d'onore e della cosiddetta Via Colonnata a Hierapolis di Frigia, in ASAtene, XLI-XLII, 1963-1964, pp. 391-407. - Nicea: tetrarchico (333): C. C. Vermeule, op. cit., pp. 350-352.
Nuovi a. - Efeso: (414) «Porta di Adriano»: H. Thür, Das Hadrianstor in Ephesos, Vienna 1989. - Istanbul: (415) A. di Teodosio: L. Kosswig, Zum botanischen Vorbild der Säulen vom Theodosiusbogen in Istanbul, in IstMitt, XVIII, 1968, pp. 259-263; R. Naumann, Neue Beobachtungen am Theodosiusbogen und Forum Tauri in Istanbul, ibid., XXVI, 1976, pp. 117-141. - Perge: (415 bis) a. domizianeo: J. Inan, Der Demetriosund Apolloniosbogen in Perge, in IstMitt, XXXIX, 1989, pp. 237-244. - Rodi: (416) quadrifronte: M. Cante, L'arco quadrifronte a Rodi. Ricostruzione architettonica, in Dieci tesi di restauro, 1982-85, Roma 1987, pp. 45-60.
Siria, Palestina, Arabia. - Bostra: a. augusteo (345): A. Negev, The Nabateans and the Provincia Arabia, in ANRW, II, 8, 1977, p. 661; J. M. Dentzer e altri, Sondages près de l'arc nabatéen à Bosra, in Berytus, XXXII, 1984, pp. 163-174; id., Les sondages de l'arc nabatéen et l'urbanisme de Bosra, in CRAI, 1986, pp. 62-86; K. S. Freyberger, Einige Beobachtungen zur städtebaulichen Entwicklung des römischen Bostra, in DaM, IV, 1989, pp. 46-50. - III sec. (346): A. Negev, art.cit., p. 663; K. S. Freyberger, art.cit., p. 57. - Gerasa: A. di Adriano (348): R. Wenning, in Der Königsweg. 9000 Jahre Kunst und Kultur in Jordanien und Palästina, Magonza 1987, p. 265. - Petra: (357): G. R. W. Wright, Structure et date de l'arc monumental de Pétra, in RBibl, LXXIII, 1966, pp. 404-419.
Egitto. - Alessandria: a. domizianeo (361-362): S. Handler, Architecture on the Roman Coins of Alexandria, in AJA, LXXV, 1971, p. 70 s.: M. J. Price, B. L. Trell, Coins and Their Cities, Londra 1977, pp. 47, 286, n. 839; F. S. Kleiner, An Arch of Domitian in Rome on the Coins of Alexandria, in NumChron, 1989, pp. 69-82.
(G. De Maria)