Architettura e iconografia costantiniana a Roma fra Rinascimento e moderno
«Io voglio spazzar via la polvere imperiale che c’è, da Costantino, sul trono di San Pietro». Queste parole, pronunciate da Giovanni XXIII nel marzo 1963, non si basano su un’immagine costantiniana garantita come effettiva e veritiera dalle fonti, ma su quella, leggendaria e ancor oggi incisiva, ideata e realizzata tendenziosamente negli ambienti papisti di Roma. Essa viene sviluppata con l’intento di utilizzare il primo imperatore cristiano quale strumento per legittimare le rivendicazioni di potere papali e come modello di ciò che, agli occhi del papa, è il giusto rapporto tra il potere temporale, di ordine inferiore, e quello spirituale, di ordine superiore1. Per poter meglio comprendere il presente contributo e per collocare storicamente le testimonianze iconografiche ivi analizzate, sono inevitabili alcuni cenni cronologici che permettano di rendere conto sia delle premesse e dei fondamenti letterari del tema in esame sia delle raffigurazioni che si inseriscono in questa tradizione, proveniente dall’antichità e dal Medioevo, e che a Roma permangono per diversi secoli, lungo tutta l’Età moderna e fino ai nostri giorni, come modelli di ispirazione e termini di contrapposizione, stimolo per nuove soluzioni in linea con i tempi.
Il ricordo di Costantino il Grande si dipana attraverso la storia della Roma cristiana come un ricco compendio di tradizioni radicato nell’alto e basso Medioevo, rinforzatosi con il tempo e fortemente presente nel recente passato e nell’epoca contemporanea, che ha visto il suo apogeo tra il XVI e XVII secolo dopo aver vissuto un iniziale momento di apice a cavallo del 1300.
In quanto primo ideale imperatore cristiano, vittorioso liberatore dalla tirannia, pacificatore e benefattore del cristianesimo, Costantino il Grande diviene simbolo di forza e strumento di propaganda papale nonché, infine, strumento dell’autorappresentazione fascista nel XX secolo. liberatori vrbis (al liberatore della città) e fvndatori qvietis (al fondatore della pace) recitano le iscrizioni su cui s’incardinerà la tradizione e che si trovano incise sull’arco di Costantino, eretto nei pressi del Colosseo in onore del vincitore della battaglia del 28 ottobre 312 presso il ponte Milvio – una vittoria ottenuta, come si legge, instinctv divinitatis (per assistenza divina).
Gli storici cristiani, i leggendari documenti di Silvestro e la donazione di Costantino – atto tanto falso quanto ricco di conseguenze – plasmano fino alla metà del IX secolo l’immagine di un imperatore convertito al cristianesimo in seguito alla visione della croce («con questo simbolo vincerai») prima della battaglia vittoriosa. Per le persecuzioni operate ai danni dei cristiani egli è punito da Dio con la lebbra, ma grazie alla mediazione dei prìncipi degli apostoli, Pietro e Paolo, viene guarito da papa Silvestro I (314-335) attraverso la somministrazione del battesimo presso le terme del suo palazzo imperiale al Laterano, a Roma. Successivamente, come ringraziamento e su consiglio del papa, erige le basiliche cristiane di Roma, devolvendo infine al pontefice le insegne imperiali, il proprio palazzo del Laterano e il controllo su Roma, l’Italia e tutto l’Impero romano d’Occidente.
Il ponte Milvio, l’arco di Costantino, il leggendario luogo di battesimo presso il Laterano e le numerose costruzioni e gli allestimenti di chiese che nel Liber Pontificalis risultano essere donazioni costantiniane, sono continuamente individuabili a Roma a «garanzia della gloria postuma»2 e «lieux de mémoire»3, che riuscivano ad assolvere alla loro funzione evocativa grazie al loro uso in ricorrenze particolari o all’allestimento di specifici ornamenti figurativi.
Sopra l’arco della crociera della basilica di San Pietro in Vaticano, che sorge sulla tomba di Pietro, ad esempio, era possibile ammirare, fino alla nuova costruzione del 1506, un mosaico ritraente Costantino come fondatore della chiesa davanti a Cristo e a Pietro, con l’iscrizione costantiniana qvod dvce te mvndvs svrrexit in astra trivmphans hanc constantinvs victor tibi condidit avlam (poiché sotto la tua guida il mondo si è volto trionfalmente verso il cielo, Costantino, il vincitore, ha fondato per te questa aula).
Sulla facciata dell’atrio della basilica di S. Giovanni in Laterano, tra il 1190 circa e il 1731, sorgevano almeno tre scene in mosaico accompagnate da titolazioni latine che consacrano Silvestro I come papa fondatore della basilica. Tra queste vi erano il battesimo da lui somministrato a Costantino («Rex baptizatur et leprae sorde lavatur»4) e – nella più antica illustrazione, tramandata attraverso copie – la donazione di Costantino con il titolo di «Rex in scriptura Sylvestro dat sua jura»5. Nonostante la sintetica abbreviazione risulta evidente l’idea papale di una sottomissione del massimo rappresentante del potere temporale: Silvestro, con tiara e diadema, troneggia in cathedra di fronte alla basilica in Laterano e accoglie il documento che l’imperatore srotola. Questi, in piedi e senza insegne ufficiali, ma con le ginocchia leggermente piegate, riceve la benedizione per la salvezza della propria anima, ricompensa per la sua donazione. Un’imponente iscrizione sull’architrave, che dopo la demolizione dell’atrio e dei suoi mosaici nel XVIII secolo viene integrata come auratica testimonianza storica nella costruzione della facciata costruita da Alessandro Galilei (1691-1737), ribadisce – richiamando citazioni tratte dal Constitutum Constantini – la rivendicazione di superiorità, decretata in modo congiunto dal papa e dall’imperatore, della basilica in Laterano come «capo supremo e madre di tutte le Chiese» («Dogmate papali datur ac simul imperiali quod sim cunctarum mater caput ecclesiarum»).
Federico II (1194-1250, imperatore dal 1220), di nuovo scomunicato nel 1239, minaccia militarmente Roma e Innocenzo IV Fieschi (1195-1254 circa, papa dal 1243) fugge nel 1224 con la curia verso Lione, dove depone l’imperatore durante il concilio del 1245. Durante tali drammatici conflitti tra papa e imperatore venne creata a Roma una raffigurazione di grande forza per estensione ed enfatizzazione in due scene della visione papale sul dovere di obbedienza e sottomissione dell’imperatore verso il vicarius Christi. Il cardinale presbitero e nipote di Innocenzo III, Stefano de Normandis dei Conti (morto nel 1254), rimasto a Roma come vicarius urbis per conto del papa esule, fa costruire la cappella di San Silvestro all’interno del monastero benedettino dei Ss. Quattro Coronati, che viene consacrata nel 1247 a opera del cardinale Rinaldo Conti di Segni (circa 1185-1261, cardinale dal 1227, papa Alessandro IV dal 1254), vescovo di Ostia, e decorata con undici scene raffiguranti il ciclo di Silvestro, il più ampio a questa data. Delle otto scene in cui Costantino è presente, le ultime tre meritano un’attenzione particolare: in una di queste l’imperatore, punito da Dio con la lebbra a causa delle sue persecuzioni contro i cristiani, viene curato grazie all’intercessione dei principi degli apostoli, Pietro e Paolo, e tramite il battesimo purificatore impartito da Silvestro. Egli si converte e dimostra la sua gratitudine al pontefice.
Rispetto alla raffigurazione sul portico lateranense, la donazione di Costantino è ora illustrata con maggiore chiarezza in due scene consecutive, con scarso riferimento al contenuto del Constitutum Constantini. Il papa benedicente riceve il phrygium e il palazzo del Laterano dall’imperatore inginocchiato, oltre all’ombrello cerimoniale e al cavallo bianco adornato, denominati complessivamente diversa ornamenta imperialia. Gli uomini sui bastioni del palazzo imperiale, tra i quali se ne vede uno che stringe la corona d’oro dell’imperatore rifiutata dal papa come dono, incarnano le diverse cariche che circondano il potere imperiale: i servitori personali (cubicularii), i portinai (ostiarii) e tutti i guardiani (excubii), con i quali ora l’imperatore vuole adornare la santa romana Chiesa, «affinché la gloria papale risplenda più ampiamente possibile»6.
Nella sezione adiacente Silvestro indossa ora il phrygium imperiale ad imitationem imperii e benedice nuovamente Costantino, secondo il Constitutum Constantini «come omaggio per il servizio di palafreniere (officium stratoris) reso in riverenza a San Pietro»7 («pro reverentia beati Petri stratoris officium»)
Questa liturgia cerimoniale, nella quale l’imperatore conduce per la briglia il cavallo, montato dal papa, in segno della propria sottomissione al vicario di Cristo, viene preteso dai papi nei confronti dei re e degli imperatori franchi o germanici – la prima volta nel 754 da papa Stefano II Orsini (752-757) nei confronti Pipino (714-768, re dei franchi dal 751). Quando Lotario III (1075-1137, imperatore dal 1133) rende questo servizio a papa Innocenzo II (prima del 1116-1143, papa dal 1130) nel 1131 a Liegi, la curia lo ritiene un obbligo di vassallaggio verso il feudatario, sancendo dunque il vincolo di vassallaggio dell’imperatore nei confronti del pontefice. Solamente dopo la presa di distanza da questa concezione a opera di papa Adriano IV (circa 1100-1159, papa dal 1154) Federico I Barbarossa (circa 1122-1190, imperatore dal 1155) si rende disponibile, prima della sua incoronazione nel 1155, a prestare questo officium stratoris, che d’ora in avanti funge da atto d’omaggio al papa da parte dell’imperatore, anche nell’ambito della cerimonia di incoronazione imperiale.
L’imperatore (Costantino) del Constitutum Constantini sottolinea spesso le sue disposizioni con la formula usque in finem mundi («fino alla fine del mondo») e, con la Sanctio secondo cui né i suoi successori né nessun altro potranno intaccare, trascurare o appropriarsi dei diritti trasferiti alla Santa Romana Chiesa e ai papi, giura sul Dio vivente e sulla visione del suo terribile giudizio e minaccia i trasgressori con il veto di entrambi i principi degli apostoli Pietro e Paolo nonché con la dannazione eterna («aeternis condemnationibus subiaceat innodatus, et sanctos dei principes apostolorum Petrum et Paulum sibi in praesenti et futura vita sentiat contrarios, atque in inferno inferiori concrematus, cum diabolo et omnibus deficiat impiis»). La connessione del ciclo di Silvestro con il Giudizio Universale alla fine dei tempi nella cappella dei Ss. Quattro Coronati è singolare, e conferisce al titolo imperiale un ruolo imprescindibile nella storia della salvezza, conforme al crescente accento che i papi del XIII secolo – tra i quali Innocenzo IV nella sua bolla Eger cui venia del 1246 – ponevano sulla sua osservanza.
Il Liber Ystoriarum Romanorum, composto nel tardo XIII secolo nella cancelleria papale (Hamburg, Staats- und Universitätsbibliothek, codex 151 in scrin.), in una sequenza di illustrazioni accompagnata da titolazioni, mostra Costantino come vincitore della battaglia, nell’atto in cui viene battezzato da papa Silvestro I ed è guarito dalla lebbra, nell’atto in cui fa la Donazione e come committente di chiese, ovvero «Massentio fo maçariato a ponte molli» (f. 117r), «Como sancto siluestro baptiçao constantino et fo mundato da lepra» e «Como constantino li dunao lo pallafreno bianco et lo regno et lo sonechio» (f. 120v), e anche «Como constantino edificao la ecclesia de sancto petro et paulo» (f. 121r), che darà inizio a una grande tradizione rappresentativa.
Bonifacio VIII Caetani (circa 1235-1303, papa dal 1294), con la bolla del 1302 Unam sanctam eleva a dogma la superiorità del potere spirituale su quello temporale e indice l’anno santo con piena coscienza di potere – «Ego sum caesar. Ego sum imperator» – il 22 febbraio 1300, festività dedicata alla cattedra di San Pietro. Egli fa inoltre costruire una loggia di Giustizia, la cosiddetta loggia delle Benedizioni, presso il transetto della chiesa episcopale di S. Giovanni in Laterano, eretta da Costantino il Grande, la cui parete posteriore viene fatta affrescare con scene del battesimo di Costantino e relative alla costruzione della basilica stessa, oltre alla proclamazione di un atto di diritto che ci è stato tramandato solo attraverso copie e frammenti. Quando un papa detta legge dall’alto della loggia, si può così sentire rafforzato dalla presenza di Costantino, dipinto alle proprie spalle e scolpito davanti ai propri occhi nel Campus Lateranensis, raffigurato dall’antica statua equestre di Marco Aurelio (121-180, imperatore dal 161), fatta spostare nel 1536 sul Campidoglio. Di questa si sa che, almeno dal X secolo, si trovava sul Laterano e che, se non ci si fida dei Mirabilia del XII secolo, per lo meno in tradizioni popolari era nota come ‘cavallo di Costantino’ (caballus Constantini); essa denotava il luogo di un tribunale, con il primo imperatore cristiano quale garante del diritto e dell’amministrazione della giustizia.
L’umanista romano e tribuno della plebe Cola di Rienzo (1313-1354), in una Roma – vero centro del potere secolare dei papi – abbandonata dai suoi sovrani, prende il potere nel 1347 con un colpo di Stato contro le famiglie nobiliari della città, impegnate in continue faide, e rivendica la sovranità del popolo di Roma e l’unificazione della penisola sia nei confronti del papato sia dell’impero, facendo ricorso a una straordinaria strategia di legittimazione brillantemente centrata sull’aura di Costantino. Secondo il sommario resoconto dell’Anonimo Romano nella sua Cronica del 1357-1358, Cola fa un bagno purificatore nella notte tra il 31 luglio e il 1° agosto 1347, in occasione della sua solenne investitura a cavaliere avvenuta in S. Giovanni in Laterano. Secondo le sue parole, esso è accompagnato da «grandi segni e prodigi»8. Questo evento si svolge nella cosiddetta vasca battesimale di Costantino, nel battistero lateranense, e verrà prontamente condannato da papa Clemente VI (circa 1290-1352, papa dal 1342), che dalla lontana Avignone parla nei duri termini di un sacrilegio perpetrato nei confronti di quella che è venerata come santa reliquia. Il tribuno della plebe aveva infatti osato trascorrere la notte addirittura nel leggendario luogo del battesimo di Costantino, carica di valore simbolico, utilizzando la veste, lo scettro e il cavallo bianco, designato nel Constitutum Constantini come una delle insegne imperiali concesse al papa. Si era inoltre circondato il capo di una corona di foglie, colte dalle piante nei dintorni dell’arco di Costantino, imperatore del quale egli aveva usurpato anche il titolo di ‘liberatore di Roma’ (liberator Urbis). Cola avrebbe annunciato il proprio editto rivoluzionario – con cui accusava il papa e i prìncipi elettori – dalla loggia di Giustizia (la cosiddetta loggia delle Benedizioni), recentemente eretta da Bonifacio VIII e affrescata con scene del battesimo di Costantino somministrato da Silvestro I. Grazie alle scene costantiniane alle sue spalle, descritte in precedenza, le sue pretese politiche – di convocare l’imperatore e il papa a Roma – risultavano rafforzate e legittimate. Infine, per la gioia del popolo, aveva fatto scorrere vino rosso e acqua dalle narici del cosiddetto ‘cavallo di Costantino’.
In occasione dell’anno santo 1350 viene eretto sul Monte Mario, al di sopra del ponte Milvio, un Oratorium Sanctae Crucis su ordine di Ponzio Perotti, Vicario di Roma e 1348-1362 (?) vescovo di Orvieto. Esso, oggetto di ripetute opere di ricostruzione (tra cui una nel 1470 dei fratelli Mario e Pietro Mellini), ricorda la presunta visione della croce di Costantino fino alla sua parziale demolizione avvenuta in tre momenti: nel 1849, dopo il 1870 e nel 1883.
Nel XV secolo, quando si rafforzano l’istruzione classica e le tendenze umanistiche già presenti nelle fondamenta dell’utopistico ideale riformistico di Cola, si ampliano anche la rievocazione di Costantino e il suo utilizzo in nuove dimensioni storiche e antiquarie. Esse trovano il proprio consolidamento figurativo dopo il ritorno dei papi da Avignone e nell’ambito della riorganizzazione di Roma come splendida metropoli papale, il quale si manifesta in particolare nel nuovo palazzo Vaticano, ora preferito a quello Laterano, che sorge presso la tomba di Pietro, primo vicarius Christi.
Un nuovo senso per la bellezza artistica delle statue antiche e per la loro strumentalizzazione ideologica e didattico-educativa si evince dalla riconsegna e dalla donazione di numerose statue di bronzo dal Laterano al Campidoglio, tramite Sisto IV della Rovere (1414-1484, papa dal 1471), avvenuta il 15 dicembre 1471 con l’indicazione priscae excellentiae virtvtisqve monvmentvm (monumento della precedente eccellenza e virtù). Questo atteggiamento è confermato dalla comparsa – per ben quattro volte – dell’arco di Costantino nella vasta cappella che sorge nel palazzo Vaticano (la Cappella Sistina), che deriva il suo nome da papa Sisto IV che la fece costruire. Essa venne eretta sia come segno dimostrativo di una vittoria da poco ottenuta dal primato papale sulle aspirazioni conciliari sia per celebrare la Maiestas pontificia 1477-1483, la quale ne è risultata rinforzata. La cappella viene inoltre affrescata con una galleria di ritratti dei primi papi e due cicli biblici, dedicati ai legislatori Mosè e Cristo.
Nel paesaggio sullo sfondo del Battesimo di Cristo di Pietro Perugino (circa 1445/1448-1523), l’autore allude al legame storicamente pregnante tra il Figlio di Dio battezzato nel Giordano e il simbolo della croce, sotto la cui egida – instinctu divinitatis – il primo imperatore cristiano trionfa nella città del Tevere, per poi venire – secondo la leggenda di Silvestro – anche battezzato.
Ne La punizione dei ribelli di Sandro Botticelli (1445-1510) e nell’affresco a esso corrispondente sulla parete di fronte, la Consegna delle chiavi di Perugino, l’arco di Costantino serve a porre in relazione gli eventi biblici, nella loro piena validità, con la Roma divenuta cristiana da Costantino in poi. Nella scena di Mosè l’arco trionfale, accuratamente rappresentato, al posto dell’antica iscrizione veicola un detto di Paolo che commenta l’evento tratto dall’Antico Testamento: nemo sibi assvmm/at honorem nisi/ vocatvs a deo/tanqvam aron (Nessuno può attribuire a sé stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne9). Esso risuona in un certo senso come un esempio storico: quell’instinctu divinitatis da leggersi sull’arco di Costantino, il quale allude alla vocazione divina dell’imperatore vittorioso.
Nella scena del Cristo, raffigurante la consegna delle chiavi a Pietro, che vale come fondamento della rivendicazione del primato papale, l’arco di Costantino trasmette un’iscrizione trionfale in omaggio a Sisto IV ripartita su entrambi gli archi. Così facendo, essa dimostra che la validità di quella rivendicazione si spinge ben oltre l’epoca costantiniana e giunge fino ad allora, all’attuale successore di Pietro: imensv(m) salomo / templvm tv / hoc qvarte / sacrasti // sixte opibvs / dispar / religione / prior (Sisto IV, tu hai onorato l’immenso tempio di Salomone, e se non lo eguagli per opulenza, lo sovrasti in religione).
Quando la sentenza proverbiale Roma quanta fuit, ipsa ruina docet (Quanto fu grande Roma, lo testimoniano le sue stesse rovine) fece decollare lo studio dei monumenti antichi di Roma, nell’ambito dell’umanesimo rinascimentale, l’arco di Costantino non venne solo riconosciuto come affermazione figurativa del trionfo costantiniano nella battaglia di ponte Milvio, ma anche come una delle migliori testimonianze monumentali della magnificenza imperiale di Roma, la cui architettura e le cui decorazioni in rilievo sono studiate con attenzione e ricalcate con acribia. Un esempio in questo senso è offerto da Giuliano da Sangallo (circa 1445/1452-1516) nel suo Codice Barberiniano10. Rispetto al reperto originale vi è soltanto un dettaglio che rende peculiare la riproduzione di Giuliano riportata nel manoscritto: è un angelo, posto sulla chiave di volta, che tiene una croce. Si può così riconoscere una interpretatio christiana dell’antica iscrizione sull’arco, secondo la quale la vittoria di Costantino presso il ponte Milvio sarebbe stata ottenuta «per ispirazione divina» (instinctu divinitatis). Allo stesso modo fra Mariano da Firenze (circa 1477-1523) intende, nel suo Itinerarium urbis Romae del 1518, l’instinctu divinitatis dell’arco di Costantino quale riferimento alla visione della croce di Costantino.
I resti di un altare della croce di Bernhard Strigel (circa 1460-1528), conservati nella Galleria Nazionale a Praga, vengono donati nel XIX secolo da papa Gregorio XVI Cappellari (1765-1846, papa dal 1831), al principe Metternich (1773-1859), prelevati dalla basilica di S. Paolo Fuori le Mura nonostante fossero probabilmente destinati alla chiesa di Santa Croce a Gerusalemme. Essi mostrano, tra le varie scene costantiniane, Costantino nell’atto di portare la ritrovata croce di Cristo e al suo fianco l’imperatore Massimiliano (1459-1519, imperatore dal 1508). Con questa oblazione egli vuole probabilmente associare la propria immagine a quella di un erede di Costantino, esternando la propria ambizione a un’incoronazione a Roma con grande enfasi visiva. Dal 1507 ambisce addirittura al titolo di papa.
L’aspirazione al potere da parte dei papi e la contrapposizione all’antichità intrapresa nel corso dell’umanesimo rinascimentale conducono la storia della tradizione e dell’interpretazione di Costantino il Grande a un secondo eccezionale momento apicale, dopo quello rappresentato dalla cappella di San Silvestro presso i Ss. Quattro Coronati. Leone X Medici (1475-1521, papa dal 1513) affida a Raffaello e alla sua bottega (1515-1517) la raffigurazione, sui muri della Stanza dell’Incendio del proprio appartamento pontificio, degli eventi di cui furono protagonisti i suoi omonimi predecessori d’età carolingia (Leone III e Leone IV) quali esempi rilevanti anche per il presente. In quel contesto viene rappresentata, nel basamento al di sotto del Giuramento di purificazione di Leone III, una dichiarazione che Rufino (344/345-411/412) attribuisce a Costantino, in quanto primo di una serie di difensori e benefattori della Chiesa11. Questa sarebbe stata esternata durante il primo concilio di Nicea (325) e ribadita da Leone X il 19 dicembre 1516 durante il quinto concilio lateranense (1512-1517), sulla scorta di quanto affermato da Bonifacio VIII nella sua bolla del 1302 Unam sanctam. La dichiarazione viene utilizzata come pilastro fondante della non perseguibilità del papa: dei / non / hominvm / est / episcopos / ivdicare (Spetta a Dio e non agli uomini giudicare i vescovi). Dopo l’acquisizione della Vigna di villa Madama per la costruzione di villa Madama sul Monte Mario, nei pressi del luogo leggendario dell’apparizione della croce a Costantino e sopra al ponte Milvio, Leone X commissiona a Raffaello – anche alla luce dei suoi tentativi di organizzare una crociata contro i turchi – di affrescare la grande sala all’interno del proprio appartamento vaticano con otto papi, quattordici virtù e un ciclo di Costantino. Presenziando in quattro scene principali e in diciotto secondarie, l’imperatore risulta la figura preminente e, grazie a Raffaello e ai suoi allievi, anche la più significativa.
Per quanto riguarda il suo credo artistico e lo scopo di uguagliare e superare l’antichità – «paragone degli antichi, agguagliarli e superarli»12 –, Raffaello abbozza con le sue due immagini iniziali della visione della croce e della battaglia presso il ponte Milvio il nuovo tipo di iconografia militare di gusto classico. Questa tipologia pittorica, attraverso la riproduzione degli antichi e storicamente significativi scenari delle azioni, dei modelli delle composizioni, dei costumi e dei vari accessori (compresi quelli sull’arco di Costantino), suscita la suggestione di trovarsi di fronte a una produzione d’immagini fedele all’antica realtà storica. L’allestimento delle scene, volto a ricostruire l’antica Roma, rafforza l’impressione di autenticità.
Le immagini principali sulle altre due pareti avrebbero dovuto originariamente rappresentare l’esibizione di prigionieri e, in accordo con la leggenda di Silvestro, la preparazione di un bagno sul Campidoglio con il sangue di bambini innocenti quale rimedio – a cui Costantino avrebbe rinunciato per pietà – consigliato da sacerdoti pagani all’imperatore che era stato punito da Dio con la lebbra a causa degli omicidi di cristiani da lui perpetrati. Tale programma è improntato da Leone X alla pianificazione di una crociata contro i turchi, e ruota attorno a questo messaggio centrale: la fede in Dio, l’idea che la vittoria nei confronti degli infedeli, ottenuta sotto il segno della croce, rappresenti l’alba di una futura era di pace. In essa la clementia imperatoris sarà rivolta sia verso i nemici sconfitti sia nei confronti del proprio popolo.
Tuttavia già verso la metà del XV secolo, e in gran parte per merito di Lorenzo Valla (1405/1407-1457), la critica letteraria smaschera il Constitutum Constantini rivelandolo un falso, e fornendo successivamente (circa 1520) – soprattutto tramite Ulrich von Hutten (1488-1523) – un efficace strumento ai contestatori protestanti del papa. Così nello scritto polemico di carattere antipapale del 1521 Passional Christi und Antichristi, ripetutamente elogiato da Martin Lutero (1483-1546), il papa che porta la tiara sta di fronte, come anticristo, al vero Cristo con la corona di spine sul capo. Inoltre, la filiazione delle insegne papali da quelle costantiniane viene denigrata come menzognera (si parla letteralmente di mendacia). Si arriva dunque a una modifica del programma iconografico sotto il pontificato di Clemente VII Medici (1478-1534, papa dal 1523): ed ecco che gli allievi di Raffaello eseguono il Battesimo di Costantino a opera di papa Silvestro I nel battistero lateranense, e la Donazione di Costantino nell’antica basilica di San Pietro in Vaticano.
La donazione viene trasferita sulla navata della basilica costantiniana di San Pietro, dove viene riprodotta meticolosamente. Si vede la consegna di una statuetta di Roma, che simboleggia il diritto di sovranità, e la rappresentazione delle diverse cariche imperiali (cubicularii, ostiarii, excubii), che secondo il Constitutum Constantini sono state lasciate prerogativa del papa, alle spalle dell’imperatore stesso, ritratto nell’atto di inginocchiarsi. La stessa autenticità del luogo romano è suggerita dalla fedele riproduzione del battistero lateranense mentre si somministra il battesimo all’imperatore. Le iscrizioni che lo accompagnano recano: nell’affresco del battesimo hodie / salvs / vrbis / e(t) / imperio / facta / est («Oggi Roma e l’Impero hanno beneficiato della salvezza»); nell’affresco della donazione iam tandem / christvm / libere pro / fiteri licet // ecclesiae dos / a constanti / no tribvta (Ora finalmente si può professare Cristo liberamente. Tributo offerto alla Chiesa da Costantino).
Sotto il battesimo, il Costantino cristiano viene raffigurato come assistente alla costruzione, nell’atto di porre la prima pietra di San Pietro in Vaticano e a capo delle operazioni di edificazione della chiesa, eretta in memoria dell’apostolo, la cui pianta corrisponde a quella del 1520 e rispecchia in pieno lo spirito della medaglia di fondazione della chiesa, fusa nel 1506 da Caradosso Foppa (circa 1452-1526/1527) e denominata templi petri instavracio (ripristino della chiesa di Pietro). Così le dodici ceste si riferiscono all’episodio tratto dalla leggenda di Silvestro: Costantino avrebbe riempito da sé le prime dodici ceste di terra, in onore dei dodici apostoli. Con un esplicito richiamo a quest’azione simbolica da parte di Costantino, durante la posa della prima pietra del 1506 furono deposte dodici monete commemorative.
Nel 1536, a nove anni di distanza dall’esperienza traumatica e umiliante del sacco di Roma, Paolo III Farnese (1468-1549, papa dal 1534) concede a Carlo V (1500-1558, imperatore nel 1520-56), che a Tunisi sconfigge nettamente i turchi infedeli sotto le insegne crociate, il privilegio, tanto lusinghiero quanto obbligante, di entrare a Roma e sfilare lungo un percorso appositamente concordato sotto l’arco trionfale dell’imperatore Costantino, cristiano e sostenitore del papato. Il testimone oculare Zanobio Cessino ci tramanda la «gioia stupefatta alla vista del monumento del suo predecessore, gioioso e glorioso» dell’imperatore, la cui statua, abbinata a quella dell’imperatore-pacificatore Augusto, viene posta nella piazza di San Pietro davanti al portone del palazzo Vaticano per essere acclamata, nell’ambito delle celebrazioni. Lo stesso privilegio di un corteo trionfale sotto l’arco di Costantino viene concesso, nel 1571, anche da Pio V Ghislieri (1499-1572, papa dal 1566) al proprio capitano generale della flotta pontificia Marcantonio Colonna (1535-84), vittorioso sugli ottomani a Lepanto. Durante l’atto di nomina, nell’ambito di una messa solenne all’alba della partenza per la battaglia, il papa gli affida un vessillo con insegne crociate e della lega cristiana recante la dicitura In hoc signo vinces, associata all’apparizione della croce a Costantino, dipinti da Girolamo Siciolante da Sermoneta (circa 1521-1575) e conservati a Gaeta nel Museo del Centro storico e culturale. Le iscrizioni sull’arco di Costantino glorificano ora, in piena autoesaltazione papale, il parallelismo tra Costantino e Pio, rispettivamente primo imperatore e primo papa a trionfare in battaglia grazie alla presenza della croce sulle proprie insegne di guerra. Un ritratto commemorativo che testimonia l’orgoglio per cui sono noti i membri della famiglia Colonna, opera di Giovanni Coli (1636-1691) e Filippo Gherardi (1643-1704) e collocato sulla volta della Galleria Colonna a Roma, attribuisce a Marcantonio Colonna, nel tumulto della battaglia navale, la visione di una croce vittoriosa, apparsagli come se egli fosse un nuovo Costantino. Non meno significativo è il fatto che, apparentemente, il papa accolga e ricompensi i vincitori sub signo crucis all’interno della Sala di Costantino in Vaticano.
Anche il verso di una medaglia di Antoine Perrenot de Granvelle (1517-1586, cardinale dal 1561) realizzata da Giovanni Meloni intitola con il costantiniano in hoc vinces la consegna – avvenuta il 14 agosto 1571 a S. Chiara a Napoli – a don Giovanni d’Austria (1547-1578: figlio illegittimo di Carlo V e comandante della flotta vincitrice della lega cristiana nella battaglia navale di Lepanto), di un secondo vessillo utilizzato in una crociata e benedetto da Pio V.
Tra il 1536 e il 1544, Paolo III fa trasportare sul Campidoglio quattro antiche ‘statue di Costantino’ di grandi dimensioni, le quali si trovavano presso un portico di un tribunale sul Quirinale durante il XV secolo. Poi, come dimostrato da recenti rilievi, le fa installare sulle scale del convento di Santa Maria in Aracoeli, si suppone come emblema del diritto posto sulla via del patibolo usato in età antica e medievale. Sono tuttora leggibili le tracce dell’iscrizione constantinvs su uno dei piedistalli. Il centro politico di Roma vive un’ulteriore cristianizzazione attraverso quest’aggiunta al trasferimento dell’antica e famosa statua equestre di quello che precedentemente era detto caballus Constantini, ormai correttamente ritenuta effige di Marco Aurelio, che nel 1538 viene posta al centro del Campidoglio. Le statue del primo imperatore cristiano in questo luogo esprimono, attraverso l’intento divino di conservare del ricordo delle testimonianze, quella successione all’antico Impero romano che la Roma cristiana rappresenterebbe, concetto espresso dal papa già nel suo breve apostolico del 28 novembre 1534, tenuto in occasione della nomina di Latino Giovenale Manetti (1485/1486-1553) a commissario generale per le antichità romane13. Nella sua storia della Roma antica14 Bernardo Gamucci ritiene che la collocazione delle statue di Costantino sul Campidoglio sia dovuta al regno di pace e giustizia instaurato dall’imperatore e da una sua spiccata religiosità, entrambi comunemente associati alla figura ‘santissima’ di Costantino15.
La crescente mole di critiche mosse dai protestanti nei confronti del papa, nell’ambito dell’aspro conflitto confessionale, mette sempre più a rischio il ruolo di Costantino come garante ideale del potere papale, e non solo avanzando dubbi sul Constitutum Constantini. Nel quarto libro delle cosiddette Centurie di Magdeburgo, pubblicato nel 1560, il racconto che vede Costantino battezzato e curato dalla lebbra per mano di papa Silvestro I a Roma viene infatti ritenuto mendacium e fabulosum, sulla base di una prospettiva d’indagine fortemente ancorata alle fonti. Il resoconto che viene reputato veritiero è invece quello che fornisce in lingua greca Eusebio di Cesarea (circa 260/264-339/340), storico della Chiesa e contemporaneo di Costantino, che parla di un battesimo a cui l’imperatore si sarebbe sottoposto verso la fine della propria vita, per mano del vescovo Eusebio di Nicomedia (morto attorno al 341) in Asia Minore. In quel momento i papi della Controriforma, rafforzati dal concilio di Trento, nell’ambito di un revival storico del cristianesimo antico diedero inizio, nelle proprie residenze in Vaticano e al Laterano e nelle chiese annesse, a un vero e proprio Rinascimento della memoria costantiniana. Già alcune calcografie diffondono quelli che sono i luoghi della rievocazione costantiniana a Roma: in una veduta esterna della nuova e antica basilica di San Pietro in Vaticano a opera di Battista de Cavalieri (circa 1525-1601), datata all’anno santo 1575, balza all’occhio l’iscrizione porticvs constantiniana. Sotto una veduta della sezione del battistero lateranense, attribuita a Nicolas Beatrizet (circa 1507/1517-dopo il 1577) e raccolta da Antonio Lafreri (1512-1577), si legge un’iscrizione che dà risalto al leggendario bagno battesimale, che avrebbe curato Costantino dalla lebbra, e alla sua conversione religiosa avvenuta a Roma. Nell’incisione si vede in effetti la leggendaria vasca battesimale, che il grande papa della Controriforma Pio V trasferisce significativamente al centro dell’ottagono già nell’anno della propria elezione, facendola circondare da una cancellata in legno16, che ancora oggi cattura l’attenzione dei visitatori. L’iscrizione recita: Balnei Laterani, et in eo, ad curandam Constant. Caes. Elephantiasim, in= / noxio infantium sanguini suscipiendo primum parati Labri, ac mox conuer / sa in pietatem crudelitate, eiusdem baptismo destinati, simulacrum Romae17. In questo modo l’antico monumento romano e la sua aura divengono argomento da contrapporre alla negazione, da parte protestante, del battesimo di Costantino avvenuto a Roma per mano di Silvestro. Questa strategia argomentativa sarà ulteriormente rafforzata nel corso del XVII secolo.
Il successivo papa della Controriforma, Gregorio XIII Boncompagni (1502-1585, papa dal 1572), rinnova il riferimento a Costantino in due sale del palazzo Vaticano. Nella Galleria delle carte geografiche (1578-1581) sorge una delle decorazioni più ambiziose nello spirito del concilio di Trento, il quale nella XXV seduta del 4 dicembre 1563 definisce come unico scopo dell’arte quello di apportare beneficio alla dottrina cristiana. Pertanto Costantino è rappresentato sulla volta presso l’entrata della galleria – in corrispondenza con le carte dell’Italia moderna e dell’Italia antica dipinte sui muri –, posto in particolare rilievo e rappresentato con dovizia di particolari, convertito alla croce di Cristo e promotore del papa e della Chiesa durante il passaggio dall’Era antica a quella cristiana. Si trovano qui illustrate: la visione della croce, per la prima volta nei pressi di ponte Milvio; il battesimo per mano di Silvestro nelle terme imperiali del Laterano, contraddistinte dalle colonne in porfido; la fondazione delle basiliche di Pietro e Paolo nonché – come segno di sottomissione dell’imperatore al papa – l’officium stratoris tratto dal Constitutum Constantini , già noto dalla cappella di San Silvestro presso i Ss. Quattro Coronati e compiuto per l’ultima volta nel 1530 da Carlo V prima della sua incoronazione a Bologna, innanzi a Clemente VII. Un’anonima bozza di programma pittorico della Sala Regia nel palazzo Vaticano databile attorno al 1550 suggerisce la rappresentazione dell’officium stratoris riguardo agli affreschi della Sala Regia in Vaticano, in riferimento al Decretum Gratiani18, del secolo XII, come scena di riverenza imperiale nei confronti del pontefice:
alcuna delle historie Christiane, in questo istesso genere della riverenza usata dai Principi terreni verso i sommi Pontifici, si come di Costantino verso S. Silvestro, dipingendolo in qualche atto di sommissione, [...] gratia di tener la staffa, et la briglia del cavallo del Papa, facendo offitio di stratore, come è scritto nel cap. costant.s 96 dist. o in altra cotal maniera19.
Tra il 1581 e il 1585 Gregorio XIII fa sostituire il soffitto piano nella Sala di Costantino con una volta dipinta da Tommaso Laureti (circa 1530-1602). Il ciclo amplia, dopo sessant’anni, gli affreschi dei papi della famiglia Medici e diviene la più vasta opera di illustrazione dell’apocrifo Constitutum Constantini, quasi un secolo e mezzo dopo Lorenzo Valla. Le personificazioni delle dieci province italiane e dei continenti di Asia, Europa e Africa in pennacchi e lunette rimandano dunque al Constitutum Constantini. In particolare, il riferimento è alla cessione del dominio su Roma e sull’Italia intera, insieme ai possedimenti in tutte le tre parti del mondo, che viene concessa a papa Silvestro e ai suoi successori, così come le insegne imperiali che gli sono affidate, che all’interno dei tondi sono in mano ai putti: il mantello rosso, lo scettro, la corona, la tiara, gli speroni d’oro, etc. Le tre citate parti del mondo insieme a otto virtù lodano, nelle iscrizioni che accompagnano gli affreschi, il contributo di portata universale apportato da Costantino e sua madre Elena alla costruzione e all’allestimento di chiese, al sostegno dei poveri, alla conversione di pagani, all’obbedienza nei confronti della santa Chiesa, alla punizione dei persecutori dei cristiani, al ritrovamento della croce, alla condanna dell’eresia ariana e al proselitismo. Il rettangolo centrale fu realizzato dopo la morte di Gregorio, su disposizione del suo successore Sisto V Peretti (1521-1590, papa dal 1585). In questo caso, invece di mostrare la direttiva impartita da Costantino di distruggere in tutto il regno gli idoli al fine di favorire l’adorazione di Cristo Salvatore, esso raffigura una scena differente, seppure dal contenuto analogo: l’innalzamento del cristianesimo a ‘religione di Stato’, messo in atto da Costantino come cambiamento cruciale nella storia universale. La croce di Cristo è sull’altare, mentre a terra si trova un’immagine sacra del dio pagano Mercurio infranta al suolo.
Dopo il completamento degli affreschi della volta, fu Sisto V a tener viva la memoria del primo imperatore cristiano, sia in Vaticano sia al Laterano. Sisto V, peraltro, quand’era ancora cardinale, verso il 1580 aveva ordinato la costruzione di una sala di Costantino con dieci episodi costantiniani nel suo casino Felice di villa Montalto-Peretti, distrutta nel XIX secolo per fare spazio alla stazione Termini. Successivamente inoltre, nel 1588, secondo una testimonianza dell’ambasciatore veneziano Gritti datata 20 agosto, egli avrebbe lamentato la mancanza, per la cristianità, di un principe come Costantino.
Costantino appare ben tre volte nel Salone Sistino della Biblioteca Vaticana (1587-1589). Nella prima immagine di un ciclo dedicato ai concili ecumenici, egli figura come reggente del I concilio di Nicea. La didascalia menziona la dichiarazione di consustanzialità tra il Padre e il Figlio (rappresentato a sinistra, tra le nubi) e la condanna dell’eresia ariana come decisione concorde di Silvestro e Costantino. Esclusivamente a questo concilio è dedicata una seconda scena, adiacente, all’interno della quale si vede l’imperatore che, con lo sguardo cristianamente rivolto al cielo e lo scettro dell’impero, ordina il rogo di tutti gli scritti eretici degli ariani decretato in concilio. Infine, a Costantino tocca l’onore, assieme a Silvestro I, christi domini vicarivs (vicario di Cristo Signore), in quanto esemplare ecclesiae defensor (difensore della Chiesa), di affiancare Cristo, che in quanto svmmvs magister caelestis doctrinae avctor (sommo maestro e autore della dottrina celeste) occupa la posizione dominante che gli spetta sul pilastro centrale.
Nell’ambito delle opere di ristrutturazione e decorazione del palazzo del Laterano, al primo imperatore cristiano viene concesso l’onore di essere rappresentato in tre degli ambienti più spaziosi e rappresentativi al suo interno, oltre a comparire nella loggia delle Benedizioni. La sua figura è spesso accompagnata da una titolazione esplicativa. Nella sala più grande, il Salone dei Papi (oggi Sala dei Patti Lateranensi), compaiono diciannove dei primi trentaquattro papi, da Pietro fino a Silvestro I. I ritratti di questi ultimi, che si trovano rispettivamente all’inizio e alla fine della serie di papi sul muro a Sud, la parete del soglio pontificio, affiancano l’immagine centrale di Cristo che consegna le chiavi a Pietro, mito fondativo del papato basato su Mt 16,18-19. I ritratti sono accompagnati dalla coppia di tondi, secondaria e correlata, raffigurante la pesca di Pietro e il battesimo di Costantino a opera di Silvestro I. Il battesimo di Costantino il Grande e il primo concilio ecumenico di Nicea sono enfatizzati nella didascalia come contributi di Silvestro I: s. silvester i. / pp. xxxiiii / constantinvm imp[eratorem] / baptizavit et / oecvmenic[vm]/ nicaenvm conc[ilivm] i. celebravit.
Costantino il Grande compare in una Sala degli Imperatori come primvs imperatorvm christianae fidei propagator (primo degli imperatori che diffuse la fede cristiana), e mostra un’ostentata allusione al famoso officium stratoris con briglia e redini. Gli viene poi dedicata un’altra grande Sala di Costantino, oltre a quella del palazzo Vaticano, decorata con quattro episodi. L’officium stratoris, che compare nell’ultimo dipinto pone l’accento sul riconoscimento, da parte di Costantino, di Cristo nella figura di Silvestro come vicarius Christi: imp. fl. constantinvs max. / christvm d. in eivs vicario agnoscens / s. silvestro eqvo insidentem dedvcit. La scena della donazione – dopo la visione della croce e il battesimo – è contenuta nella rappresentazione e nella didascalia in modo che, d’ora in poi, invece che al controverso documento imperiale ci si possa riferire alla donazione costantiniana presso la chiesa del Laterano, che il Liber Ponitificalis pone ‘al di là d’ogni dubbio’: fl. constantinvs max. imp./ ad pietatem testificandam romanam ecclesiam / donis amplissimis cvmvlat (L’imperatore Flavio Costantino il Grande ha ricoperto la Chiesa romana con innumerevoli doni, a dimostrazione della propria devozione).
Sisto V sostituisce la loggia di Bonifacio VIII presso il transetto di S. Giovanni in Laterano, ora utilizzata per le benedizioni, con una nuova costruzione. I nuovi affreschi conservano tuttavia la tematica costantiniana delle vecchie decorazioni del 1300, ampliata ulteriormente mediante l’aggiunta di sei episodi che vanno ad affiancare, sulle lunette, l’immagine centrale del trono (un papa nell’atto di benedire). Tra tutte le scene raffigurate sulla loggia di Bonifacio VIII viene riproposta esclusivamente quella del battesimo di Costantino. Al posto della costruzione della basilica di S. Giovanni in Laterano vi sono ora l’apparizione della croce a Costantino davanti a ponte Milvio, il sogno e il riconoscimento della manifestazione dei principi degli apostoli, la donazione e l’officium stratoris.
Sisto V fa erigere il più grande obelisco di Roma davanti alla nuova loggia delle Benedizioni, consacrato e coronato dalla croce di Cristo e dai simboli della famiglia del pontefice. Il monumento viene trasportato da Costantino «il massimo Augusto, custode e difensore della fede cristiana» oltre il Nilo fino ad Alessandria, con l’intento di utilizzarlo per abbellire la Nuova Roma da lui fondata. Poi suo figlio Costanzo II lo trasferisce a Roma e lo pone nel Circo Massimo come dono al Senato e al popolo di Roma. Questo è ciò che affermano le iscrizioni sistine sul basamento, il cui tono culmina sulla facciata sud, rivolta verso la loggia delle Benedizioni e il battistero lateranense: constantinvs / per crvcem / victor / a s(ancto) silvestro hic / baptizatvs / crucis gloriam / propagavit20. Con questa formula di chiusura in tre punti – vittoria nel segno della croce nella battaglia di ponte Milvio, battesimo per mano di Silvestro a Roma presso il Laterano e diffusione della fede cristiana – l’iscrizione sul basamento, che fornisce argomentazioni di carattere storico-antiquario, testimonia l’importanza di carattere universale di Costantino il Grande nel cuore di uno spazio pubblico a Roma. Essa è ben visibile a tutti, perché si trova a fianco della chiesa episcopale di S. Giovanni in Laterano, sulla facciata della quale troneggia un’iscrizione, datata alla fine del XII secolo, che eleva la sua importanza a cunctarum mater caput ecclesiarum (capo supremo e madre di tutte le chiese). Al tempo stesso, essa si trova nei pressi del nuovo palazzo imperiale di Costantino, che rientra nel novero delle proprietà imperiali cedute al papa di cui parla il Constitutum Constantini. Così facendo, Sisto V mette in atto presso il Laterano una vigorosa e impressionante propaganda volta a rafforzare la legittimazione, della quale rende noto l’obiettivo nella sua bolla Supremi cura regiminis del 19 febbraio 1590 riguardante l’acquedotto di Settimio Severo (Acqua Felice): «Per la gloria di Dio onnipotente e in onore della Santa Cattedra preserviamo la grandezza e magnificenza di Roma come incrollabile sede e onorato trono del beato principe degli apostoli Pietro, centro della religione cristiana, madre e patria comune di tutti i credenti e porto sicuro per gli membri di ogni nazione».
Quando Enrico IV (1553-1610, re di Francia dal 1589), calvinista e vittorioso condottiero degli ugonotti, si converte al cattolicesimo e riceve l’assoluzione dalle scomuniche papali, nel 1595, l’abate antoniniano di S. Antonio Abate all’Esquilino – al secolo Charles Anisson – fa erigere in suo onore una colonna commemorativa a forma di cannone, in granito rosso (oggi posta accanto a Santa Maria Maggiore). Essa è sormontata da una croce decorata con il drappo gigliato dei Borboni in porfido verde antico, e sul suo fusto si può leggere il costantiniano in hoc signo vinces. Come se non bastasse, al convertito viene concesso il privilegio, promosso dal capitolo lateranense e inizialmente contestato da Paolo V, di una statua bronzea in suo onore, creata tra il 1606-1609 da Nicolas Cordier (1567-1612), nel portico sotto la loggia delle Benedizioni papale, presso la chiesa episcopale romana di S. Giovanni in Laterano costruita e donata da Costantino. Anche dopo la sua morte, numerose orazioni funebri lo paragonano a Costantino, anch’egli convertito al cristianesimo.
Per l’anno santo 1600, Roma si vanta del possesso di ben cinque basiliche costantiniane nelle calcografie di Giovanni Maggi (1566-1618; Pianta di Roma, 1599); inoltre, Clemente VIII Aldobrandini (1536-1605, papa dal 1592) inscena in corrispondenza del transetto nella chiesa episcopale romana un Trionfo della Chiesa durante l’epoca aurea sotto Costantino il Grande (Freiberg 1995), con otto grandi affreschi di tema costantiniano, realizzati da sei pittori tra loro concorrenti sotto la supervisione di Giuseppe Cesari detto Cavaliere d’Arpino (1568-1640). Sulla parete est: ingresso trionfale a Roma e l’episodio leggendario dell’apparizione in sogno dei principi degli apostoli, rifugio di Silvestro sul monte Soratte e il suo battesimo di Costantino. L’accento viene posto sui quattro episodi della parete ovest principale della basilica lateranense; dopo la posa della prima pietra, la consacrazione dell’altare e l’apparizione di Cristo, terminano con la Donazione di Costantino presso S. Giovanni in Laterano, già rappresentata negli affreschi sistini del palazzo del Laterano: gli oggetti liturgici e la statua d’argento del Salvatore del cosiddetto fastigium corrispondono nel dettaglio a quanto riportato nel Liber Pontificalis. Non si considera più opportuno rappresentare il Constitutum Constantini e l’officium stratoris di cui esso tratta. Già l’oratoriano e storico della Chiesa Cesare Baronio (1538-1607, cardinale dal 1596), autore degli Annales Ecclesiastici in risposta alla Historia Ecclesiae Christi protestante (rivolta contro il papato e la sua organizzazione della Chiesa), palesa i suoi dubbi rispetto all’autenticità della donazione costantiniana in una lettera datata 1° dicembre 1590 e spedita da Roma a Napoli al fratello Antonio Talpa (1536-1624): […] l’editto della donatione è pieno di bugie inescusabili.
Vi prego per carità non mi fatte imbrattar la penna a scrivere et defendere si fatte menzogne a Dio odibili, qual è Dio di verità. Ho visto quanto sopra di ciò è stato scritto da altri in difensione, et trovo tutto esser pagliaccia, ne credo possi aggiungervisi altro.
Assai mi par portarmi modestamente a non la impugnare à fatto, come converrebbe a chi fa professione scrivere la verità. […] De volerla difendere et indirizzare le gambe ai cani, perdonatemi non lo saprei mai fare perche certo mi parrebbe peccare e gravemente. Quel tanto che ho scritto [negli Annales Ecclesiastici], parmi che possi stare, parlando solamente che nessuno mi possa opporre ch’io la neghi, ne altri homini dotti ridersi ch’io la confermi.
Quando il terzo volume dei suoi Annales Ecclesiastici rivolti contro i protestanti viene pubblicato, due anni più tardi, il filopapale Baronio continua a difendere con veemenza la validità della donazione di Costantino. A dispetto dell’argomentazione di Baronio, e nonostante il commento categorico attribuito a Paolo V Borghese (1552-1621, papa dal 1605) nel corso di un Concistoro del luglio 1607, in cui dichiara di non auspicare alcuna messa in dubbio del Constitutum Constantini, riconosciuto come autentico da tutti gli esperti di diritto canonico, la sua rappresentazione viene evitata d’ora in avanti, fino all’eccezione che tratteremo in seguito rappresentata dallo stipo con scene costantiniane a Vienna.
Una serie di quindici acqueforti, realizzata da Antonio Tempesta (1555-1630) prima del marzo 1605 sotto Clemente VIII, mostra per punti focali l’attualità e la molteplicità di sfaccettature della memoria di Costantino a Roma. È tratta dalla leggenda di Costantino il Grande e del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio: Isagogica historia de / Constantino max. imp / eratore instatvta mi / litie angelicae avratae / constantinianae svb / titvlo magni / martyris .s. / Georgii21. Al suo interno si trovano, tra le altre cose: il segno della croce e quello del chi-rho, riferiti entrambi alla visione della croce; l’istituzione dell’ordine da parte di Costantino; uno sguardo antiquario rivolto alle sue antiche statue e i lineamenti del ritratto che ne derivano; l’apparizione della croce sul Monte Mario insieme alla successiva vittoria presso ponte Milvio; una ricostruzione degli antichi monumenti costantiniani all’epoca documentati e il legame di Costantino, in questa sede non ancora menzionato, con l’ambito tematico relativo alla madre Elena, incentrato sulla scoperta e sull’adorazione della croce di Cristo.
Quanto la leggenda di Silvestro sia vivida nella coscienza comune di quegli anni e quanto sia ricordata in relazione a siti e monumenti di Roma è mostrato da due prospettive del Laterano contenute nell’antologia religiosa di vedute, Roma Antica (libro II, 1615) di Alò Giovannoli (circa 1550-1618), nella quale le vedute di Roma (principalmente della Roma antica), riportate fedelmente, sono affollate da martiri paleocristiani, leggende di santi e cerimonie ecclesiastiche, in base a ricerche di carattere topografico-antiquario e paleocristiano sulla città di Roma. Così come i principi degli apostoli Pietro e Paolo appaiono all’imperatore lebbroso davanti al quartetto in memoria di Costantino – comprendente palazzo, chiesa, obelisco e battistero (f. 26) –, analogamente il battesimo di Costantino per mano di Silvestro è impartito davanti all’ottagono di S. Giovanni in Fonte.
Urbano VIII Barberini (1568-1644, papa dal 1623) all’inizio del suo pontificato opera tutti i preparativi necessari nel battistero lateranense di S. Giovanni in Fonte, in modo da rafforzare visivamente quella rappresentazione protetta da secoli a Roma, contestata nel frattempo dagli storiografi protestanti, che colloca il battesimo di Costantino per mano di Silvestro in una sala del palazzo imperiale, trasformato successivamente in chiesa dedicata a Giovanni Battista. Innanzitutto, nel suo resoconto della visita del 1624 in riferimento all’imponente flusso di pellegrini atteso a Roma per il successivo anno santo 1625, il pontefice provvede alla realizzazione di un coperchio di bronzo per la vasca battesimale destinata a quello spazio centrale, da secoli venerato a Roma come luogo del battesimo di Costantino. Durante i lavori di restauro, prolungatisi fino al 1635, vengono sostituti, tra le altre cose, anche gli antichi capitelli (ormai danneggiati) delle colonne in porfido dell’ottagono. I nuovi, tuttavia, non sono adornati solamente dal blasone con le api di papa Barberini, che figura come responsabile dei lavori, ma anche con l’apparizione della croce a Costantino e le note insegne col chi-rho. Una medaglia raffigurante Urbano VIII, coniata in occasione del suo nono anno di pontificato (1636/1637) a firma di Gasparo Mola (circa 1580-1640), celebra il completamento di questi lavori di recupero e abbellimento. Essa mostra una veduta interna, commentata dalla leggenda di accompagnamento ornato const lav - acro et instavrato / romae, del battistero come luogo del battesimo di Costantino, al cui centro si vedono la nuova vasca battesimale e un gruppo scultoreo relativo al battesimo di Costantino.
Nella stessa direzione, tendente a identificare questo luogo come Constantini lavacrum o baptisterium Constantini oppure – come riportato sui progetti di costruzione – «Tempio detto il Battesimo di Costantino» (riferito alla costruzione nel suo complesso) o «S.mo Battesimo di Costantino Imperatore» (riferito alla vasca battesimale posta al centro del complesso), muove anche la decorazione del muro dell’ambulacro (eseguita sotto la supervisione di Andrea Sacchi, 1599/1600-1661, tra il 1639 e il 1649) con grandi statue dipinte, raffiguranti Costantino il Grande e Silvestro I, così come cinque episodi costantiniani: la visione della croce, la battaglia di ponte Milvio, il corteo trionfale a Roma sotto l’Arco di Costantino – fedelmente riprodotto –, l’introduzione della religione cristiana contestuale alla distruzione degli idoli e la disposizione costantiniana, promulgata nel corso del primo concilio di Nicea, che prevedeva che i sacerdoti di Dio fossero nominati e avessero pieno potere anche nei confronti dell’imperatore, in modo che nessun uomo potesse arrogarsi il diritto, detenuto esclusivamente da Dio, di giudicarne l’operato.
Inoltre vengono illustrate (in tondi en grisaille), ai lati della finestra, le fondazioni di chiese romane da parte di Costantino, poste ognuna a fianco dell’immagine del suo busto. Verso la fine del secolo Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698), importante antiquario, storico della Chiesa e archeologo religioso, dedicherà a questa caratterizzazione di Costantino il Grande quale costruttore e fondatore di chiese una sintesi storica particolarmente ricca di materiale e illustrata con calcografie, completa di tutte le chiese di costruzione costantiniana non solo a Roma, ma in tutte le zone dell’Impero di Costantino. In essa si tiene anche conto dell’ampia tradizione letteraria riferita a Costantino il Grande: De sacris aedificiis a Constantino Magno constructis. Synopsis historica, Romae 1693.
Tutti i lavori di restauro e abbellimento eseguiti in S. Giovanni in Fonte hanno un preciso scopo: presentare il monumento romano come testimonianza inconfutabile del battesimo di Costantino a opera di papa Silvestro I a Roma.
Già nell’anno santo 1625, sempre durante il pontificato di Urbano VIII, viene restaurata l’abside che, per via dei suoi mosaici, è conservata quasi fosse un ‘venerabile’ frammento della sala-triclinio carolingia costruita da Leone III (circa 750-816, papa dal 795) e distrutta durante il pontificato di Sisto V. Essa viene trasformata nella facciata ornata di un timpano e, in una delle pubblicazioni dedicate a papa Barberini dal «primo custode» della biblioteca vaticana Nicolò Alemanni (1583-1626, De lateranensibus parietinis ab Illustriss. et Reverendiss. Domino Francisci Card. Barberino restitutis, dissertatio historica, Romae 1625), è diffusa nella dedica come «antico e celebre monumento dell’autorità papale» (vetvs. ac. celebre / pontificiae. autorritatis / monvmentvm). Così si costituisce, come un’immagine corrispondente alla raffigurazione – che si trova sul pennacchio di destra – del passaggio del potere da Pietro a Leone III e Carlo Magno, sul pennacchio di sinistra un’analoga, ma nuova e creata ex nihilo, scena paradigmatica con Cristo al di sopra di Pietro e Costantino. La scena è proposta come copia di quella originale carolingia, un tempo collocata proprio in quella posizione ma poi – almeno dalla metà del XVI secolo – andata perduta. Sarebbe stata rinvenuta una copia del suo disegno originale, «non senza aiuto divino»22 (e si noti qui l’affinità con l’instinctu divinitatis che compare sull’arco di Costantino) dal cardinale responsabile per il Laterano, Francesco Barberini (1597-1679, cardinale dal 1623), durante una ricerca notturna, ma di tale ritrovamento non viene fornita alcuna prova. Si è evidentemente creato un «antico e celebre monumento dell’autorità papale» con una piccola aggiunta migliorativa, arrivato fino ai giorni nostri grazie a una copia del XVIII secolo.
In una bottega tessile di Parigi vengono creati, a partire dal 1622, dodici arazzi, di grande dimensione e molto costosi, su bozze di Peter Paul Rubens (1577-1640). Essi sono destinati al giovane re francese, celebrato già in vita come ‘nuovo Costantino’, Luigi XIII (1601-1643, re di Francia dal 1610), il quale nel 1625 ne dona sette a Francesco Barberini, il restaurator del mosaico in Laterano appena menzionato, che si trova in Francia in qualità di cardinale ambasciatore. In questo senso, gli arazzi valgono come piccola consolazione diplomatica rispetto alla mancanza di concessioni in campo politico. Tra il 1630 e il 1641, il cardinale fa completare la serie, secondo le bozze di Pietro da Cortona (1597-1669), in una bottega tessile dei Barberini appositamente istituita, con altri dodici episodi della vita di Costantino, i quali mostrano già presso Rubens una biografia dinastica del sovrano che non è mai stata illustrata così ampiamente. Giunge così a Roma l’unica serie costantiniana23 di un livello artistico tale da contendere il primato a quella più ricca di scene, a opera di Raffaello e dei suoi allievi, della Sala di Costantino in Vaticano. I sette arazzi di Rubens che vengono donati mostrano le nozze tra Costantino e Fausta, nell’ambito di un duplice matrimonio dinastico secondo l’antico rito pagano; il crollo di ponte Milvio durante la storica battaglia del 312; l’ingresso trionfale di Costantino a Roma; il suo battesimo per mano di Silvestro; Costantino inginocchiato in adorazione della vera croce di Cristo scoperta da sua madre Elena, come fondatore di Costantinopoli e infine l’imperatore sul letto di morte nell’atto di trasferire il potere a uno dei suoi figli. I cinque arazzi di Cortona completati a Roma mostrano le precoci virtù del giovane Costantino, che combatte contro un leone nell’accampamento militare; l’immancabile visione della croce prima della battaglia di ponte Milvio; la flotta costantiniana impegnata in una battaglia navale, così come due scene del suo operato verso la Chiesa cristiana: la distruzione degli idoli pagani già rappresentata sulla volta della Sala di Costantino in Vaticano e il rifiuto di Costantino, durante il primo concilio di Nicea, di emettere una sentenza conciliante rispetto a una contesa tra due vescovi in disaccordo tra loro. I sacerdoti – secondo la motivazione addotta da Costantino – sono nominati da Dio e possiedono quindi un pieno potere anche nei confronti dell’imperatore. Nessun uomo può arrogarsi il diritto, che solo Dio detiene, di giudicare l’operato dei vescovi. Questo precetto è già stato citato nella Sala dell’Incendio di Raffaello, e viene anche rappresentato nel battistero di S. Giovanni in Fonte.
Non stupisce il fatto che la serie costantiniana di Rubens, orientata inizialmente a soddisfare le necessità interpretative dinastiche del sovrano francese, nel suo completamento romano muti d’accento: l’operato costantiniano nei confronti della Chiesa, ora, in un contesto prossimo agli ambienti papali, assume infatti un peso maggiore. A Roma giungono anche sette nuovi arazzi sopraporta, nei quali domina una specifica componente archeologico-romana, volta a far risaltare il legame di Costantino con Roma, metropoli e caput mundi sia per l’Impero romano sia per il papato. Gli edifici e i monumenti costantiniani sono riprodotti fedelmente su di essi: l’arco di Costantino (due volte), le terme costantiniane con i Dioscuri del Quirinale, il sarcofago di Elena in porfido, recante l’iscrizione div(a)e helen(ae) avg(vstae) magni / const(antini) matris sepulch(r)vm e abbellito con l’effigie della santa giacente, che regge la croce da lei scoperta. Vittorie scrivono il nome di Costantino sullo scudo del trionfo, celebrano la victoria constantini avg(vsti) e citano il vot(is) xx (dei vicennalia) dei varchi laterali dell’arco di Costantino; e sopra il motto pacis aeternae avgvrivm appare un Costantino troneggiante nell’atto di porgere la colomba (simbolo di pace cristiano) a Roma, rappresentata in piedi dinnanzi a lui.
Non è chiaro quali siano i luoghi in cui gli arazzi costantiniani dovevano essere, e di fatto furono appesi a Roma, nonostante le numerose ipotesi formulate. Senza risposta rimane anche la domanda relativa al destinatario (se non si tratta di papa Urbano VIII Barberini) del baldacchino del trono, il cui cielo è ornato dalle api di Barberini. La parete posteriore mostra una riproduzione della statua di Costantino che Eusebio descrive e afferma sia stata collocata a Roma dallo stesso imperatore24, che un’iscrizione erroneamente tratta dal varco centrale dell’arco di Costantino elogia come liberatore di Roma e fondatore della pace: d. n. fl. constantino / liberatori. vrbe [sic] / fvndatori.qviete [sic] / s.p.q.r.
Un’interpretazione del mito di Costantino stampata a Parigi nel 1630 da parte dell’oratoriano francese e biblista Jean Morin (1591-1659) causa la più grande indignazione e irritazione presso la Curia papale e presso lo stesso Urbano VIII (graviter offensi), oltre a una corrispondenza infuocata con il cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice. Il francese, infatti, in virtù delle proprie speranze di carriera, intitola l’opera e la dedica al sovrano Luigi XIII in modo particolarmente energico: Histoire de la délivrance de l’église chrétienne par l’empereur Constantin et de la grandeur chrétienne temporelle donnée à l’église Romaine par les roys de France. Costantino non sarebbe stato battezzato a Roma, ma sarebbe stato convertito al cristianesimo in Francia per mano di vescovi gallici; inoltre i papi dovrebbero essere grati per il loro potere temporale e per i territori dello Stato della Chiesa non a Costantino, bensì ai sovrani franchi Pipino e Carlo Magno. Il fatto che questo sia reso evidente già nell’incisione presente sul frontespizio per mezzo di un’abbondanza di scene, parole e dialoghi, irrita tremendamente Roma. In alto (a sinistra, vicino all’apparizione della croce a Costantino) papa Leone III riceve il Patrimonium Petri – rappresentato da una carta dell’Italia – dalla mano di Carlo Magno, che di conseguenza è il vero promotore della Gloria Pontificum. Morin è costretto a promettere all’irato cardinale di espungere tutti i passi sgraditi a Roma in una nuova, riveduta edizione, alla quale tuttavia non si giungerà mai. Ancora nel 1640 viene pubblicata una voluminosa difesa di 235 pagine in quarto del Constitutum Constantini dedicata a Leopoldo de’ Medici (1617-1675, cardinale dal 1667) a opera di un giurista che ricopre il ruolo di vicario per il consulente della Santa Inquisizione a Modena, Marcantonio Franciotti (1592-1666, nominato cardinale nel 1637 da Urbano VIII):
Della / donatione / del magno Costantino / fatta alla chiesa romana / di / Gherardo Boselli / Dottore dell’una, e l’altra Legge, / Et in dignità di Cantoria nella Catedrale [sic] di Modana [sic], / Vicario dell’Eminentiss. Sig. Card. Frangiotti / Vesc. di Lucca per lo S. Ufficio nella Provinc. / di Garfagnana, e Consult. della Sacra / Inquisitione di Modana [sic]. / Con le prove, e ragioni sopra il Cap. Constantinus dist. 96. / e con le risposte alle Obiettioni contro / detta Donatione. / dedicata / al sereniss. principe / Leopoldo Medici. / In Bologna, Per Nicolò Tebaldini 1640. / Con Licenza de’Superiori.
Quando Urbano VIII decide di mettere in mostra a San Pietro il sepolcro del principe degli apostoli attraverso lo straordinario allestimento di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), grazie al baldacchino e alla spettacolare decorazione dei piloni della crociera e dell’ostensione delle reliquie principali della basilica, anche Costantino il Grande, vincitore nel segno della croce, viene coinvolto in questo programma iconografico, assumendo il ruolo di trionfante costruttore della prima basilica di Pietro, convertito alla croce di Cristo. Nel pilone a nord-ovest (il cosiddetto pilone di Elena con le reliquie della SS. Croce, per via della leggenda rinvenuta dalla madre di Costantino), nella calotta al di sopra del suo balcone delle reliquie, l’iscrizione sulla fascia tenuta dagli angeli ricorda, tramite le parole in hoc vinces, la visione della croce di Costantino che precede la vittoria ottenuta presso il ponte Milvio. Un affresco associato, eseguito da Guidobaldo Abbatini (1600-1656) nel 1630-1633, che si trova al di sopra dell’altare corrispondente nelle grotte, mostra Costantino devoto, inginocchiato in adorazione davanti alla trave verticale della croce, inviatagli dalla madre dopo il ritrovamento.
Tra i molteplici sforzi compiuti durante il pontificato di Urbano VIII al fine di tenere viva la memoria del primo imperatore cristiano, va annoverata anche un’opera numismatica stampata a Roma nel 1641, dedicata al sovrano francese Luigi XIII dallo storico e antiquario romano Francesco Angeloni (dopo il 1559-1652), famoso presso i suoi contemporanei e anche oltre: La Historia augusta da Giulio Cesare insino à Costantino il Magno. Illustrata con la verità delle Antiche Medaglie … Alla Maesta Christianissima di Luigi XIII. il Giusto. Con Privilegio del Sommo Pontefice, e della Maestà del Re Christiniss.mo (Roma 1641). L’opera si conclude con una dettagliata biografia di Costantino che termina con un’invocazione a Dio uno e trino e la riproduzione del cristogramma. In essa Angeloni compie il tentativo di conciliare ventinove monete costantiniane, raffigurate e delucidate, con le differenti tradizioni letterarie riferite a Costantino, tra cui la leggenda di Silvestro, dalla quale lo storico trae il battesimo di Costantino a Roma, lodando al tempo stesso il restauro del battistero vaticano voluto da Urbano VIII e concluso da poco.
Nel 1653 i conservatori di Roma in carica trasferiscono due delle statue menzionate in precedenza a lato della città, sulla balaustra nord di piazza del Campidoglio, in una posizione più prominente e imponente, insieme ai Dioscuri e ai trofei di Mario, dalla quale ancora oggi affiancano la scala di accesso principale. Stando alla legenda dell’acquaforte a opera di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), Veduta del Campidoglio di fianco, risalente al 1757, le due statue erano ancora allora considerate effigi di Costantino il Grande.
Innocenzo X Pamphili (1574-1655, papa dal 1644) intende onorare Costantino in modo ancora più diretto nella basilica vaticana, fondata dal primo imperatore cristiano. Affida dunque a Bernini l’incarico di un monumento a Costantino, inaugurato nel 1670. Nel 1664, sotto Alessandro VII Chigi (1599-1667, papa dal 1655), si decide di porre il monumento ai piedi della Scala Regia, pure in costruzione, nel punto in cui l’atrio di San Pietro sfocia in essa e dove, da Paolo V in poi, si trovava una statua di marmo di San Pietro. Bernini concepisce una statua equestre dinamica, sviluppata in altezza grazie a un drappeggio e un baldacchino, nel quale Costantino «sta in atto d’amirare la Croce che gl’apparve»25 – secondo quanto afferma lo stesso Bernini il 30 dicembre 1669 – e raggiunge l’apice drammatico immerso in un’accecante controluce. Sulla volta gli squilli di tromba della Vittoria e della Fama accompagnano il momento che porterà alla vittoria e alla conversione, così come i tondi raffiguranti il battesimo di Costantino a opera di papa Silvestro a Roma e la costruzione della basilica sulla tomba di Pietro. Viene così posizionato in un luogo strategico un modello efficace dal punto di vista propagandistico, destinato a tutti i governanti e agli ambasciatori che devono salire la sfarzosa scala per recarsi nelle sale delle udienze papali. Un’ulteriore concezione programmatica accennata in uno schizzo di Alessandro VII che, in correlazione con il mosaico restaurato nell’Aula Leonina del Laterano, contempla per l’atrio di San Pietro, in nome della massima generica della ‘Metamorfosi’ – ΜΕΤΑΜΟΦωCIC / petri /c(aroli)magni / const(antin)i –, alcune rappresentazioni di Pietro, Carlo Magno e Costantino26, trova la propria realizzazione su iniziativa di Clemente XI Albani (1649-1721, papa dal 1700) nel 1725. Durante il suo pontificato la coppia di statue posta nell’atrio e scolpita da Bernini, caratterizzata dal richiamo centrale a Pietro collocato sopra l’entrata principale e dall’apparizione della croce a Costantino all’estremità nord, viene completata da una statua equestre raffigurante Carlo Magno eseguita da Agostino Cornacchini (1683-1754), posta all’estremità sud.
Sotto il pontificato di Alessandro VII Roma diventa il luogo di produzione di uno dei più straordinari mobili di valore artistico della storia della mobilia europea, con scene che ritraggono Costantino il Grande e una sua statuetta equestre27. Esso viene realizzato attorno al 1663-1668 grazie alla collaborazione tra almeno sei artisti, operanti principalmente presso la corte papale, che hanno firmato solo parzialmente le proprie creazioni: un falegname del papa (indicato dalle parole «Giacomo Hermann fecit Romae 1668», ebanista, 1614?-1685), un orologiaio di Alessandro VII («Petrus Thomas Campanus inventor roma in via peregrin 1663»), un pittore che si firma «f(ecit). francesco Legerino» e altri tre, individuabili grazie all’indagine stilistica, uniti da un reciproco legame d’amicizia: Carlo Maratti (1625-1713), Guglielmo Cortese (1628-1679) e Pietro del Po (1616-1693). Questo oggetto pregiato e regale lo riceve – probabilmente per la varietà e ricercatezza dei materiali utilizzati e il livello di abilità straordinario degli artisti coinvolti – l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705, imperatore dal 1658) come dono di Federico d’Assia (Darmstadt 1616-Breslau 1682, langravio ambasciatore imperiale a Roma dal novembre 1667), il suo ambasciatore presso lo Stato della Chiesa, convertito al cristianesimo, che si trova a Roma da molti anni, il quale nel 1652 viene creato cardinale da Innocenzo X. Nel programma figurativo del mobile, che contiene numerose rappresentazioni di Costantino, la glorificazione del sovrano domina nell’asse centrale: Costantino si trova sia sul quadrante di un orologio notturno come fondatore di una nuova epoca, sia rappresentato come unica figura al di sotto e al di sopra – in alto a tutto tondo come statuetta bronzea dorata e incoronata, in basso dipinto nell’immagine di mezzo prima di una battaglia sullo sfondo –, affiancato dalla visione della croce e il battesimo per mano di Silvestro I, così come da due immagini di battaglie, tra cui anche quella di ponte Milvio, oltre al primo concilio di Nicea e in fondo ancora – sorprendentemente – la donazione di Costantino, in quella che è l’ultima sua raffigurazione a noi nota, nella quale, peraltro, Costantino non è inginocchiato. Infine, nascoste all’interno, le rappresentazioni delle sette principiali chiese di Roma, la maggior parte delle quali viene ritenuta di fondazione costantiniana.
Nel battistero lateranense, che brilla di nuova luce dai tempi di Urbano VIII e Innocenzo X, il leggendario battesimo di Costantino a Roma viene riaffermato ancora una volta dal punto di vista visivo all’inizio del pontificato di Innocenzo XI Odescalchi (1611-1689, papa dal 1676). Per nobilitare la vasca battesimale centrale, nella quale Costantino sarebbe stato battezzato da papa Silvestro secondo la tradizione romana, Carlo Spagna (nato all’incirca nel 1641 e vissuto almeno fino al 1680) realizza, basandosi sulle bozze di Ciro Ferri (1633-1689), un coperchio per la vasca in bronzo parzialmente dorato, che impreziosisce con le api di Barberini del cofinanziatore cardinale Francesco Barberini e il blasone incoronato del nuovo papa. Il tema del battesimo di Costantino il Grande a opera di Silvestro I a Roma, già rappresentato a tutto tondo sul coperchio della vasca di Urbano VIII, ritorna in un rilievo accompagnato dalla denominazione del luogo constantiniana / basilica, ben visibile a tutti. Sul lato opposto vi corrisponde una raffigurazione del battesimo di Cristo – che già il Liber Pontificalis annota nella biografia di Silvestro I al centro del battistero lateranense come omaggio di Costantino il Grande – rappresentato con due massicce statue d’argento ai lati di un agnello d’oro e dodici cervi d’argento.
Un’acquaforte che misura 736 × 550 mm di Pietro Santi Bartoli (1635-1700), basata su un disegno di Antonio Gherardi (1638-1702), mostra il Prospetto della facciata della reale chiesa della S.ma Trinità de Monti in occasione delle sontuose feste celebrate dall’em.mo sig.re card.e Destrèes titolare di essa in rendimento di grazie per l’estirpa.ne dell’eresia in Francia, ovvero l’apparato festivo che riveste temporaneamente la facciata della SS. Trinità dei Monti a Roma nel 1686, in occasione della revoca dell’editto di Nantes, il quale favoriva gli ugonotti, festeggiata come «estirpazione dell’eresia» (protestante). Essa contiene i ritratti di due tra i primi imperatori cristiani, Costantino il Grande e Teodosio I (347-395 imperatore dal 379), famosi per i loro interventi contro gli eretici, dopo i quali viene raffigurato Luigi XIV (1638-1715, re di Francia dal 1643) come illustre eroe della fede.
Una delle più recenti rappresentazioni del battesimo di Costantino per mano di papa Silvestro I, questa volta raffigurato come nel battesimo di Cristo sotto la colomba dello Spirito Santo, viene dipinta dopo il 1688 da Ludovico Gimignani (1643-1697) nel catino absidale di S. Silvestro in Capite. Come spiega l’iscrizione et mvndat (e risana), si trova in primo piano il miracoloso potere curativo del Cristo Medico conceduto a Silvestro, in quanto vicario di Cristo.
Clemente XII Corsini (1652-1740, papa dal 1730), che già nel 1733 promuove la commemorazione di Costantino attraverso il restauro del suo arco di trionfo, dopo il completamento della facciata principale di S. Giovanni sulla quale compare il chi-rho ai piedi di Cristo, proprio nel momento in cui il suo committente [Clemente XII] avrebbe dovuto essere onorato tramite una statua di marmo nell’atrio, cambia idea in favore di una rievocazione del Costantino costruttore di chiese convertito al cristianesimo e trasporta – così recita l’iscrizione commemorativa – la «vecchia statua di Costantino il Grande [una statua originale antica], noto più per l’assunzione della religione cristiana che per le sue vittorie, dal palazzo del Campidoglio e la pone meritatamente nell’anno di grazia 1737 nel nuovo atrio della basilica lateranense, fondata dallo stesso imperatore»28.
Nel corso degli anni Quaranta del 1700 Benedetto XIV Lambertini (1675-1758, papa dal 1740) fa ristrutturare e decorare, a costi elevati, quella che, quand’era cardinale, era la sua chiesa titolare, Santa Croce in Gerusalemme, secondo la tradizione fondata insieme da Costantino e da sua madre Elena, ritrovatrice della santa croce. Da allora, sulla facciata scoperta nel 1744, vengono posti a fianco della croce incorniciata dagli evangelisti in cima al timpano il Costantino scolpito da Pierre L’Estache (circa 1688-1774) ed Elena. L’inclusione di entrambi in paradiso, madre e figlio, in occasione di una variante del tema del giudizio universale – adorazione della santa croce nel giorno del giudizio – viene suggerita dal grande affresco sul soffitto che si estende su tutta la navata centrale, opera di Corrado Giaquinto (1703-1766), inaugurato nell’aprile 1743: in basso Michele sconfigge il male; in alto la Trinità trionfa con un Cristo risorto raffigurato come umile e amareggiato al cospetto del Padre e con, al suo fianco, la croce e la corona di spine. Appena al di sotto, Maria madre di Dio, da mediatrice e interceditrice, raccomanda Elena e suo figlio Costantino per il servizio svolto da entrambi nei confronti della croce.
Nel XVIII secolo la prolifica memorizzazione visiva di Costantino il Grande ha già valicato il proprio apogeo e i costrutti del Constitutum Constantini e della leggenda di Silvestro sono stati sconfessati dal moderno approccio critico alle fonti. In epoca illuministica i critici di Costantino aumentano: dal teologo pietista radicale Gottfried Arnold (1688-1714), che attualizza l’idea di decadenza forgiata in chiave antiromana nell’ambito della nozione riformata della storia29, passando per i pensieri anticlericali di Voltaire (1694-1778) che deprecano moralmente Costantino il Grande30, fino ad arrivare a Edward Gibbon (1737-1794)31, che interpreta la conversione di Costantino al cristianesimo come una causa della decadenza dell’Impero romano. Questa demitizzazione del primo imperatore cristiano fa sì che, a partire da questo momento, le rappresentazioni figurative del suo ricordo si incontrino sempre più sporadicamente. Su una pianta di Roma del 1826 tracciata da Angelo Uggeri (1754-1837) nel 1822, sono documentati gli scavi e i restauri realizzati sotto il pontificato di Pio VII Chiaramonti (1742-1823, papa dal 1800); tra i monumenti messi in evidenza con piante singole ci sono il luogo della vittoria di Costantino (ponte Milvio) e il suo arco, posizionati in una significativa vicinanza.
Tra il 1825 e il 1956 presso l’accesso nord al ponte Milvio sorgono – e ivi si trovano ancora due copie – due figure in marmo di un battesimo di Cristo del XVII secolo, opera di grandi dimensioni realizzata da Francesco Mochi (1580-1654). Belisario Cristaldi (1764-1831, cardinale dal 1828), che esercita la funzione di tesoriere generale dello Stato Pontificio dal 1820, acquista il gruppo originale del 1634 (oggi nel Museo di Roma, Palazzo Braschi), originariamente destinato a San Giovanni dei Fiorentini, per posizionarlo in questo luogo. Le statue permettono a chiunque arrivi a Roma di creare un’associazione tra il luogo della storica vittoria del 312 e la conversione di Costantino al cristianesimo, suggellata dal battesimo.
Vi è, infine, una rara e impressionante rappresentazione storica della conversione di Costantino del 1882 per mano di Domenico Bruschi (1840-1910) sulla volta della sacrestia della basilica dei Santi Apostoli: qui si vede l’imperatore vincitore salire umilmente gli scalini della chiesa, verso Silvestro. Ci si è ricordati con un ritardo impressionante di una tradizione risalente fino al XIV secolo che ritiene anche la chiesa dei Santi Apostoli fondata da Costantino.
La figura di Costantino il Grande rivive un’attualizzazione di ciò che essa rappresenta sul piano sociopolitico nel contesto contemporaneo in occasione dell’anno costantiniano, proclamato nel 1913 come anno santo straordinario da papa Pio X Sarto (1835-1914, papa dal 1903, proclamato santo nel 1954, antagonista del modernismo), in ricordo dell’accordo stipulato in materia religiosa 1600 anni prima da Licinio e Costantino nel 313 a Milano, che favoriva il cristianesimo. Egli dona ai nuovi quartieri della città, all’epoca in espansione, due chiese parrocchiali neopaleocristiane e neocostantiniane: non lontano dal mausoleo di S. Elena è edificata la chiesa di S. Elena fuori Porta Maggiore (1913-1916, progettata dall’architetto Guglielmo Palombi) e, vicino al ponte Milvio, finanziata da fondi privati del papa e in ricordo della storica battaglia, viene costruita la chiesa di Santa Croce al Flaminio (1912-1913, progettata dall’architetto Aristide Leonori, 1856-1928).
L’iscrizione e il mosaico sulla facciata della chiesa della Santa Croce al Flaminio celebrano l’evento storico di 1600 anni prima – da cui deriva sia l’istituzione dell’anno Costantiniano sia l’idea delle due chiese da parte di Pio X – nel significato che esso ha per la storia universale, come pace donata alla Chiesa da parte di Costantino il Grande: an. chr. mcmxiii. e pivs. . p. m. in memor. pacis. a. constantino. eccl. datae. cruci ss: dd. e di seguito ab. edicto. a. mdc. Nel mosaico, in una rappresentazione della società del tempo di Costantino, prostrata in adorazione verso la croce ma rivolta anche verso l’imperatore, cui bacia i piedi, alcuni angeli vittoriosi annunciano con squilli di tromba e rami di palma il trionfo della croce, che si erge sull’asse centrale accompagnata da pecore al pascolo e affiancata da alcuni angeli. Essa è simbolo della professione di fede cristiana e garanzia della vittoria sia, da una parte, di Costantino il Grande32 e della comunità dei fedeli che l’accordo di Milano tutela, sia, dall’altra, dell’esercito dell’imperatore, vincitore – e per questo incoronato – nella battaglia svoltasi presso il vicino ponte Milvio. Accanto all’esercito si trova anche una riproduzione del Labarum di Costantino, un’insegna militare connessa alla vittoria di ponte Milvio, impreziosita, tra le altre cose, anche dal cristogramma, da ritratti dell’imperatore e da gemme.
Quando il protestante Guglielmo II (1859-1941, imperatore dal 1888 al 1918), in veste di imperatore tedesco, tenta di indicare Pio X come erede di Costantino in occasione dell’anno Costantiniano cingendolo della propria dignità imperiale, fa preparare dal suo compatriota Joseph Wilpert (1857-1944), protonotario apostolico e noto archeologo del cristianesimo antico, una meticolosa ricostruzione tridimensionale del labaro di Costantino basata sulle descrizioni contemporanee e sulle fonti figurative, soddisfacente anche per i criteri scientifici contemporanei. L’11 luglio 1914 l’ambasciatore prussiano e un ufficiale dell’esercito lo porsero al papa durante un’udienza particolare, come «Symbol für den Sieg des Christentums» («simbolo della vittoria del cristianesimo») e dono per la chiesa della Santa Croce al Flaminio fatta erigere dal pontefice. Ivi tale labaro si trova ancora oggi, custodito dal citato Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio e onorato una volta l’anno, quando i membri dell’ordine si riuniscono in questa chiesa in occasione della messa festiva indossando toghe e insegne d’onore adorne della scritta in hoc signo vinces. Nel suo discorso di ringraziamento il papa benedì «den Wert dieser Kaiserlichen Gabe, das Sinnige, das in dieser Aufmerksamkeit liege» («il valore di questo dono imperiale, il senso che risiede in questa premura») e Guglielmo II come «offenen und stets bereiten Bekenner und Verfechter des Christentums» («aperto e sempre pronto seguace e sostenitore del cristianesimo»). Pochi giorni più tardi ribadì nei confronti di Wilpert: «bezügl. des Ksl. Labarum-Geschenks [...] es sei ‘un atto degno di Carlo Magno’» («in relazione al dono imperiale del labaro […] si tratterebbe di ‘un atto degno di Carlo Magno’»). In precedenza l’imperatore aveva ricevuto da Roma due esemplari delle medaglie coniate per volere di Pio X; come nell’iscrizione sulla facciata della chiesa della Santa Croce al Flaminio riferita all’atto esemplare compiuto dall’imperatore Costantino 1600 anni prima, esse veicolavano l’idea della tutela della pace e della libertà in favore dei cristiani.
Anche i fascisti italiani eleggono Costantino il Grande a importante figura propagandistica. Nel momento in cui Roma cessa di essere la città dei papi, dopo la fine dello Stato Pontificio, l’arco di Costantino che celebra la vittoria dell’imperatore presso ponte Milvio viene suggestivamente utilizzato come pomposo scenario per la messa in scena fascista al servizio della falsificazione storica. Nel 1933 Benito Mussolini (1883-1945, capo del governo dal 1922), secondo la prospettiva fascista – ma in realtà attraverso barbare demolizioni – riabilita «l’antica Via Triumphalis, per la quale passavano i cortei trionfali […] ripristinata nell’antico nome [e] nella funzione»33. In questo modo la parata militare inaugurale dei fascisti può sfilare indisturbata attraverso l’arco di Costantino il 28 ottobre, anniversario della vittoria presso il ponte Milvio del 312. Ma c’è di più: per inserire l’usurpazione fascista in una dimensione storico-universale ancora più vicina alla vittoriosa svolta epocale di Costantino, e per legarsi alla sua grandezza immortalata nell’arco, il fascismo elabora il mito della presa del potere con la forza, che stride con la verità: è la cosiddetta marcia su Roma, appunto, il 28 ottobre 1922. Il fatto in sé (la marcia) e la data (28 ottobre), come è stato dimostrato, sono falsificazioni a titolo propagandistico, corredate da resoconti storici fasulli, da false fotografie e datazioni – elementi di cui non si prende ancora atto in molte pubblicazioni recenti. La funzione esemplare svolta da Costantino, evidente nella voluta congruenza delle date e nuovamente suggerita nella celebrazione annuale per l’anniversario della presa del potere il 28 ottobre sull’imponente via Triumphalis, emerge anche dal quadro storico proposto dal fascismo, che, tra il 1937 e il 1938, in occasione del bimillenario della nascita dell’imperatore Augusto, viene esibito nelle dimensioni volute da Mussolini: un’esposizione che dura un anno intero, la Mostra Augustea della Romanità, lungo le 26 sale da Romolo fino a Costantino.
Il 3 maggio 1938 Mussolini concede a Hitler, ospite di Stato, alla sera del suo arrivo, il privilegio – che era già stato di Carlo V – di fare il proprio ingresso a Roma, «sul sacro suolo» (così recitava il saluto di benvenuto indirizzato a Hitler da parte del principe Piero Colonna (1891-1939), governatore di Roma dal 1936), attraverso l’arco di Costantino, restaurato proprio in occasione della visita di Stato. Un giornalista tedesco, che viaggia sull’ultimo veicolo del convoglio di Stato, a proposito del «Triumphfahrt des Führers» («Tragitto trionfale del Führer») afferma: «hindurch durch den Bogen des Constantin-Tores, überflutet von dem roten Geisterlicht des illuminierten Colosseums» («attraverso l’arco della Porta di Costantino, inondato dalla rossa luce spettrale del Colosseo illuminato»)34. Per comprendere l’eccezionalità della concessione, si consideri che la grandissima parata militare degli oltre cinquantamila dell’Italia fascista che sfila sulla via dei Trionfi in onore dell’ospite, tre giorni più tardi, non otterrà che il permesso di marciare attorno all’arco. Probabilmente memore della propria esperienza romana, Hitler abuserà in seguito dello pseudonimo di Costantino il Grande per un piano di azione che prevede la presa in consegna delle posizioni italiane nei Balcani.
L’esemplarità di Costantino il Grande nel suo carattere vittorioso e nella grandezza trionfale si evince anche in una tela, che porta la firma di Johannes Lingelbach (1622-1674), raffigurante la vittoria costantiniana di ponte Milvio e che presenta una storia memorabile e piena di vicende alterne. Prima di essere restituita nel 1999 al suo legittimo proprietario, la Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini a Roma, dopo aver girato da un luogo all’altro e dopo essere stata conservata per diversi decenni nel castello di Gifhorn (Germania), la tela è rimasta esposta fino al 1943/1945, come prestito del museo romano, nell’ufficio del Primo Consigliere presso l’ambasciata d’Italia a Berlino, ivi fungendo da gigantesco fiore all’occhiello dell’autorappresentazione nazionale.
Per concludere, è opportuno soffermarsi sul moderno seggio papale nella loggia delle Benedizioni di San Pietro: lo affiancano due immagini battesimali di Francesco Trevisani (1656-1746) del 1733, che hanno sempre uno scopo programmatico, cioè l’esigenza papale di autorappresentazione. Dopo di loro vengono creati i mosaici nella cappella battesimale in San Pietro: Cristo battezza Pietro e Silvestro battezza Costantino il Grande. In netto contrasto rispetto all’idea così espressa rimane una massima, tramandata dal domenicano Yves Congar (1904-1995, cardinale dal 1994) e premessa a motto del presente contributo, di papa Roncalli (Giovanni XXIII, 1881-1963, papa dal 1958), il quale, a colloquio con l’allora nuovo ambasciatore francese Armand Bérard, il 12 marzo 1963 espone la sua volontà di riforma durante il concilio Vaticano II con queste parole: «Io voglio spazzar via la polvere imperiale che c’è, da Constantino, sul trono di San Pietro»35.
1 Questo contributo si basa su un progetto di ricerca avviato da diversi anni su Costantino il Grande a Roma. Forme e funzioni del ricordare nelle testimonianze visive dal ponte Milvio fino a Mussolini, che a breve sarà pubblicato in forma di monografia. Altre pubblicazioni dell’autore sono elencate nella bibliografia che segue; sarà possibile trovare in esse informazioni riguardanti elementi specifici e argomentazioni più dettagliate che, per ragioni di spazio, saranno omesse nel presente saggio. Per una bibliografia di riferimento si vedano G. Boselli, Della donatione del Magno Costantino fatta alla Chiesa Romana […] Con le prove, e ragioni sopra il Cap. Constantinus dist. 96. e con le risposte alle Obiettioni contro detta Donatione, Bologna 1640; Le piante di Roma, a cura di A.P. Frutaz, 3 voll., Roma 1962; M. Borrelli, Memorie baroniane dell’oratorio di Napoli, in A Cesare Baronio. Scritti vari, Sora 1963, pp. 97-222; D. Dubon, Tapestries from the Samuel H. Kress Collection at the Philadelphia Museum of Art. The History of Constantine the Great designed by Peter Paul Rubens and Pietro da Cortona, London 1964; Das Constitutum Constantini (Konstantinische Schenkung), hrsg. von H. Fuhrmann, (MGH.F, 10), Hannover 1968; R. Enggass, Early Eighteenth-Century Sculpture in Rome. An illustrated catalogue raisonné, 2 voll., University Park-London 1976; Andrea Sacchi, Complete edition of the paintings with a critical catalogue, ed. by A. Sutherland Harris, Oxford 1977; R. Quednau, Die Sala di Costantino im Vatikanischen Palast. Zur Dekoration der beiden Medici-Päpste Leo X. und Clemens VII., Hildesheim-New York 1979; J. Mitchell, St. Silvester and Constantine at the Santi Quattro Coronati, in Federico II e l’arte del duecento italiano, Atti della III settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma (Roma 15-20 maggio 1978), a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, II, pp. 15-32 e figg. 1-23; R. 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Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005; P.-F. Bertrand, Les tapisseries des Barberini et la décoration d’intérieur dans la Roma baroque, Turnhout 2005; R. Quednau, Zum Wandel des Konstantin-Bildes in der Kunst: Raphael und Rubens/Pietro da Cortona, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, Internationales Kolloquium (Trier 10.-15.Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, pp. 273-284; Konstantin der Große. Ausstellungskatalog (catal.), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Mainz 2007; R. Quednau, Silvesterlegende und Konstantinische Schenkung; Konstantin als Bauherr und Stifter; Konstantin als Konzilsbegründer; Konstantin als Vorbild weltlicher Herrschaft, in Konstantin der Große (catal.), cit., pp. 434-449, 454-465 e numerose schede nel CD di accompagnamento al catalogo; Id., Costantino il Grande a Roma, Forme e funzioni della memoria nelle testimonianze visive da ponte Milvio a Mussolini, in Costantino il grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008, pp. 49-116; R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank mit Szenen Konstantins des Großen für Kaiser Leopold I. in Wien. Zum Nachleben Konstantins d. Gr. im Bild, in Konstantin der Grosse. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln-Weimar-Wien 2008, pp. 161-210.
2 H. Häusle, Das Denkmal als Garant des Nachruhms. Beiträge zur Geschichte und Thematik eines Motivs in lateinischen Inschriften, München 1980.
3 Cfr. Les lieux de mémoire, éd. par P. Nora, Paris 19972.
4 «L’imperatore viene battezzato e purificato dalla lebbra».
5 «L’imperatore concede i suoi diritti a Silvestro per iscritto».
6 «Ut amplissime pontificalis decus praefulgeat».
7 «Pro reverentia beati Petri stratoris officium».
8 «Nec fui lotus in ea sine magnis miraculis ed prodigiis manifestis»: G. Seibt, Anonimo romano, cit., p. 136.
9 Eb 5,4.
10 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4424, f. 19v.
11 Cfr. Rufin., hist. I 2.
12 Sono le parole dello stesso Raffaello, utilizzate nel famoso Memorandum per Leone X sulla ricostruzione dell’antica Roma (probabilmente nel 1519).
13 «Ut almae urbi nostrae Romae, cui sedem primo universalis Imperii, deinde sanctae christianae religionis Deus concessit, cum religionis cultu etiam memoria veterum monimentorum conservetur», ivi, p. 121.
14 Libri qvattro dell’antichita della citta di Roma, in Venetia, per Gio. Varisco 1565, p. 121.
15 Ivi, p. 121: «Vi furono dal Populo Romano poste per segno dell’affettione & reverenza che portavano a quel santissimo & invitto Imperatore, per la bontà & valore del quale godevano sotto il suo imperio una continua pace, & una incorrotta giustitia, accompagnata con grandissima religione».
16 Cfr. decreto del 29 settembre 1566 (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 12283, f. 131v).
17 «Immagine del Laterano a Roma con la vasca che originariamente avrebbe dovuto contenere il sangue dei bambini innocenti per guarire l’imperatore Costantino dalla lebbra e che invece si destinò al suo battesimo dopo che la crudeltà si fu trasformata in bontà» (cfr. A. Bartsch, Le peintre graveur, XV, 1803, p. 271, n. 103).
18 Cfr. dist.96, cc. 13-14
19 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 7031, f. 280r-v.
20 «Costantino, grazie alla croce vincitore, da San Silvestro qui battezzato, diffuse la gloria della croce».
21 Cfr. A. Bartsch, Le peintre graveur, XVII, 1870, pp. 183-184, nn. 1428-1442.
22 «Non sine divino nutu, post diuturnam indagationem nactus est»: N. Alemannus, De lateranensibus parietinis ab illustriss. & reverendiss. Domino Francisco Card. Barberino restitutis dissertatio historica, Romae 1625, p. 56.
23 Philadelphia Museum of Art, Museo di Roma e Milano, collezione privata.
24 Cfr. Eus., v.C. I 40.
25 Bernini a J.-B. Colbert, 30 dicembre 1669 (Paris, Bibliothèque Nationale, cod. ital. 2083, pp. 231-232).
26 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, cod. Chigi a. I. 19, f. 40v.
27 Altezza 224 cm; Wien, Kunsthistorisches Museum, Kunstkammer, Inv. KK 3395.
28 vetvstvm simvlacrvm constantini magni / magis ob christianam religionem svsceptam / qvam victoriis illvstris / e capitolinis aedibvs translatvm / in hac lateranensis basilicae / ab eodem imperatore conditae / nova porticv merito collocavit / a(nno) s(alutis) mdccxxxvii.
29 Cfr. Gottfrid Arnolds Fortsetzung und Erlaüterung oder dritter und vierdter Theil der unparteyische Kirchen- und Ketzer Historie, bestehend in Beschreibung der noch übrigen Streitigkeiten im XVIIden Jahrhundert, VIII, Von dem Abfall der Christen, vornehmlich unter und nach Constantino M. von der ersten Lauterkeit, hrsg. von Th. Fritsch, Frankfurt a.M. 1700.
30 Si pensi all’Essai sur les moeurs del 1756 o al Dictionnaire philosophique del 1764.
31 Cfr. la sua History of the Decline and Fall of the Roman Empire (1776-81).
32 Raffigurato come portatore di pace, e in quanto tale stringe nella mano destra un documento che si apre con le parole cvm feliciter dei patti milanesi del 313.
33 Roma, a cura di Consociazione Turistica Italiana, Milano 1941-1942, I, p. 96.
34 Cfr. Der festliche Einzug Adolf Hitlers in Rom, in Völkischer Beobachter, Norddeutsche Ausgabe, Berlin, 5. Mai 1938. Donnerstag, 51 (1938), pp. 4-5.
35 «Je veux secouer la poussière impériale qu’il y a, depuis Constantin, sur le trône de Saint-Pierre» (Y. Congar, Mon Journal du Concile, Paris 2002, I, p. 362).