ARCHITETTO
1. - La figura professionale dell'a., cioè di chi, facendo proprie le limitazioni derivanti dalla richiesta del committente e dalle circostanze di luogo e di ambiente, intuisce la fabbrica come opera d'arte, la disegna, ne determina le particolarità tecniche dell'esecuzione e ne sorveglia quest'ultima perché risulti quale egli l'ha immaginata, è, salvo rare eccezioni, un prodotto dell'età moderna. In antico la funzione squisitamente creativa dell'a. tende a confondersi con quella del sopraintendente alle fabbriche in quanto coordinatore amministrativo delle diverse maestranze organizzate in scuole o in corporazioni che in essa si alternano e si intrecciano o, ancora più spesso, con l'impresario o il capomastro, tecnicamente capace per intuizione e per studio di tradurre quanto ha immaginato o quanto gli viene imposto. L'oscillazione è così vasta che molto spesso non si è in grado di precisare la vera funzione di molte personalità cui le fonti dànno il nome di a. e altrettanto vaghi restano la qualità della sua preparazione tecnica e culturale e il suo grado sociale, che oscilla fra il grande dignitario dello Stato e l'operaio specializzato.
In Egitto non si conosce quale fosse la posizione dei primi a. ai quali si devono i più antichi manufatti in pietra o in mattoni del periodo tinita. È probabile che fino da allora l'a. avesse una posizione di privilegio distinta da quella dello scultore e del pittore, considerati anche più tardi alla stregua di semplici artigiani dediti al lavoro manuale. Infatti fin dall'Antico Regno il più alto dignitario dello Stato, una specie di visir, nel quale si concentrano i poteri amministrativi e giudiziari, assume pure il titolo di capo di tutte le fabbriche del Re. Ad Imḥōtep, gran visir del faraone Djoser, Manetone attribuisce infatti l'invenzione del taglio della pietra per costruzione ed in età saitica egli era venerato come un dio e ritenuto figlio di Ptaḥ. Fu certo uomo di vasta cultura e versato in molte discipline, ma è legittimo il sospetto che egli sia stato soltanto un intendente generale delle fabbriche, amministratore e coordinatore di vaste opere, ma che non spetti a lui la progettazione di esse (nel senso moderno della parola), affidata forse a dignitari inferiori e suoi dipendenti. Più tardi, quando il capo delle fabbriche reali si differenzia dal visir, pur restando una delle più alte dignità statali, particolarmente legata al faraone da vincoli di devozione e di leale obbedienza, la figura dell'a. prende maggiore consistenza. Sciolto da altre incombenze amministrative e giudiziarie, l'a. dirige le fabbriche reali, sorveglia personalmente i lavori per la tomba del faraone, presiede alle grandi opere pubbliche ed è anche urbanista, quando il caso gli affida la costruzione di nuove città, come accadde per Tell el-῾Amarnah al tempo di Amenophis IV. Si conoscono i nomi di parecchi di questi alti dignitarî: Ineni, l'a. di Thutmosis I, Thutiy della regina Ḥashepsowe, Mankhepere-seneb e Pueme di Thutmosis III, e altri. Da essi dipendeva una schiera di a. minori, anche essi dignitari statali, forse professionalmente non meno importanti del loro capo per quanto riguarda la progettazione; considerato poi il carattere statale di quasi tutte le grandi opere architettoniche nell'antico Egitto, è probabile che i liberi professionisti che lavoravano per privati fossero piuttosto capimastri che non architetti.
Non siamo ugualmente bene informati sulla figura dell'a. nelle civiltà orientali. Considerando che le grandi opere architettoniche fiorirono nell'ambito del tempio prima e del palazzo reale poi, si ha ragione di ritenere che anche in quelle regioni la figura dell'a. non fosse troppo diversa da quello che era in Egitto. Più accentuato fu forse il carattere sacerdotale dell'a. nell'ambito delle civiltà sumerica e mesopotamica per cui egli doveva in origine appartenere a quelle caste colte che erano dedite a studi matematici ed astronomici; il suo passaggio a servizio del palazzo reale segnò l'inizio di una certa "laicizzazione" ed insieme d'una specializzazione professionale, sul grado della quale non si hanno però documentazioni sufficienti.
Nella Grecia dell'età classica l'a. è, come indica la parola stessa, il capo costruttore; egli non è più un funzionario statale, ma un professionista libero; lavora al tempio, ma non ha dignità sacerdotale; non discende più da una lunga genealogia di a. che si tramandano le conoscenze tecniche, ma sceglie la professione per sua inclinazione spontanea; non ha più sotto di sé una vastissima organizzazione di tecnici che vanno dall'a. in sottordine al manovale, ma solo una maestranza specializzata della quale egli è il capo riconosciuto. La figura dell'a. professionista si va così delineando, senza scindersi però da quella del capomastro e dell'imprenditore ai quali rimarrà a lungo legata. L'a. diventa un tecnico e la sua formazione professionale importa una serie di conoscenze specifiche e particolari, in cui egli affina il gusto della proporzione al pari della sensibilità cromatica o delle esperienze sulla qualità e la resistenza dei materiali. Del resto le caratteristiche proprie dell'architettura greca non richiedevano un grande impegno tecnico per la risoluzione di complessi problemi costruttivi, ma mettevano piuttosto l'a. in stretto contatto con lo scultore e lo scalpellino, sui quali moltissimo si fondava la realizzazione dell'opera. Così accanto a nomi di semplici a., come Iktinos e Mnesikles, la tradizione ha dato lo stesso titolo anche a Fidia o a Boupalos, che fu pittore, ad Ippodamos di Mileto, filosofo, e a Philos e Metikkos, noti pure come oratori. La complessità delle cognizioni acquisite e sempre meglio padroneggiati e servì a conferire all'a. maggiore dignità professionale per cui si giunse alla definizione che di esso, secondo Vitruvio, avrebbe lasciata Pytheus, che innalzò il tempio di Atena a Priene; a suo dire l'a. doveva essere colto a tal punto da superare in ogni disciplina chi in essa era specializzato. Certamente da questo presupposto formatosi in età ellenistica, nacque la figura dell'a. quale è delineata da Vitruvio (I, I) e alla quale certo corrisposero grandi figure di a. del periodo romano come lo stesso Vitruvio, Rabirius, Apollodoros di Damasco e altri.
(G. Matthiae)
2. - L'a. della definizione vitruviana doveva essere istruito nelle lettere, nel disegno, nella geometria, doveva conoscere la storia, avere studiato la filosofia, intendersi di musica e anche avere qualche nozione di medicina, di giurisprudenza e di astronomia (Vitr., De arch., I, I). Tale concezione dell'architettura come di una scientia implicante alti e complessi studi, che deriva in Vitruvio dall'alto livello culturale dei grandi a. ingegneri del mondo ellenistico, è probabilmente utopistica per il mondo romano, pur non essendo teoricamente nuova.
Anche Cicerone aveva annoverato l'architettura tra le arti, se non liberales, poiché tali non possono essere quelle che procurano guadagno, almeno honestae; perché richiede da parte di coloro che la esercitano una particolare cultura e perché è di grande utilità alla società (Cic., De off., i, 42). Nelle distinzioni fra le arti liberali e quelle servili, non è costante la posizione dell'architettura: ammessa tra le prime da Varrone, chiamata ars minor da Quintiliano (Inst. orat., ii, 21, 8), implicitamente degradata da Seneca (Ep. ad Luc., 88). Ma nella società romana, che attraverso circa dieci secoli di vita (le fonti qui considerate, da Plauto al Codice giustinianeo hanno una distanza di più di 6oo anni), che subì a più riprese influenze determinanti greche ed ellenistiche, che mutò profondamente modo di governo, composizione delle classi dominanti e rapporto tra le classi o compagini onde era formata, che fu infine tipicamente colonizzatrice, imperialistica, costruttrice, è chiaro come una attività tanto diversa secondo il campo d'applicazione, tanto indeterminata nella differenziazione tra teoria e pratica, tra direzione ed esecuzione (anche Cesare, anche Adriano si può dire che furono architetti) non possa aver ricevuta una qualificazione unica e valida per tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi momenti. Anche in documenti ufficiali e contemporanei si allude con il termine architectus a persone di categoria sociale chiaramente diversa: giovani che dopo aver compiuto gli studi liberali (liberales litterae) si accingono a studiare l'architettura, nella costituzione costantiniana del 334 (Cod. Th., 13, 4, I) e modesti artifices, considerati assieme a tutti gli operai della costruzione in una costituzione dello stesso imperatore di pochi anni posteriore (Cod. Th., 13, 4, 2; cfr. God. Iust., Io, 66, I). Questo non solo per l'epoca tarda, ma veramente anche per l'alto Impero, le iscrizioni fanno conoscere a. di ogni condizione, cittadini, ingenui, liberti e schiavi, in una proporzione apparentemente non diversa che per le altre arti. Molti gli stranieri operanti in Roma, o al seguito di magistrati o imperatori nelle province; non è possibile sempre distinguere lo straniero libero dallo schiavo. Si individua invece qualche provinciale romanizzato che opera nel suo paese. La distinzione tra a. pubblici e a. privati (proposta dal Promis), non solo non è provata dalle fonti, come già è stato osservato (Cultrera), ma è insostenibile da un punto di vista sociale e giuridico, e neppure ha vero interesse per la valutazione della posizione sociale degli a. in Roma: non c'è alcun rapporto tra concezione, disegno, esecuzione di un'opera pubblica e ingenuitas dell'architetto. Durante la Repubblica le opere pubbliche della città di Roma e dei municipi italici, prima della guerra sociale, per l'analogia originaria e l'imitazione dell'organizzazione sociale e politica rispetto a Roma, anche quando sono di iniziativa pubblica, venivano eseguite mediante imposizione di prestazione d'opera (nei tempi più antichi) e mediante appalto. In Roma sono essenzialmente i censori (e i consoli) che hanno la locatio operum, conferiscono cioè l'appalto delle nuove costruzioni di opere pubbliche, e la tuitio, cioè la manutenzione di quelle esistenti. Privati o private società eseguivano i lavori, con propri architetti; è dato il caso di architetti che sono anche imprenditori, redemptores.
Durante l'Impero, l'iniziativa della costruzione delle opere pubbliche è nelle mani dell'imperatore, che provvede direttamente o mediante delegati, procuratores, per lo più liberti o cavalieri, chiamati qualche volta anche redemptores o exsactores, o mediante ufficiali o magistrati provinciali, che sino a una certa epoca ricordano nelle iscrizioni il proprio nome con curante; per la manutenzione delle opere esistenti è creata la magistratura dei curatores operum publicorum. L'a. non ha altra responsabilità oltre quella tecnica della costruzione, la sua persona scompare col completamento dell'opera, il suo nome non appare che raramente sull'iscrizione. In tutte le opere pubbliche del mondo romano è specificato il nome dell'auctor dell'opera (Front., De aq., xxiii) cioè del magistrato o dell'imperatore, e il nome di chi ha pagato le spese. Una legge del tempo di Alessandro Severo escluse anche i magistrati: "Non è permesso scrivere su un'opera pubblica altro nome che quello dell'imperatore o di chi ha dato il denaro" (Dig., L, 10, 3). È significativo, pur nella sua incredibilità, l'aneddoto di Sauros e Batrachos, due architetti spartani che costruirono due templi nel portico di Ottavia: "Alcuni pensano che fossero ricchissimi e che abbiano costruito a proprie spese sperando di poter avere un'iscrizione commemorativa; ma non avendola ottenuta, raggiunsero lo stesso lo scopo in altro modo: scolpendo nella base delle colonne come simbolo dei due nomi, una lucertola e una rana" (Plin., Nat. hist., xxxvi, 4, 28).
Nessun titulus operum publicorum con nome di a. è stato effettivamente trovato nella città di Roma, numerosi invece nel resto dell'Italia, specialmente meridionale, e per lo più proprio su opere pubbliche: a Pompei (G. I. L., x, 807, basilica; C. I. L., x, 841?, teatro), a Pozzuoli (C. I. L., x, 1614, tempio), a Ercolano (C. I. L., x, 1443, teatro, 1446?; 6126?) a Cassino (Notizie Scavi, 1939, 128, teatro), a Verona (C. L. L., v, 3464, su arco funerario privato). Nelle province: ad Antibes (C. I. L., xii, 186, arco); in Ispagna iscrizioni connesse con l'opera, sulla stessa o in edifici sussidiarî (G. I. L., ii, 2558, dedica in un sacello attiguo a un ponte sull'Ebro, ii, 761, dedica su roccia, attigua a un faro). D'altra parte né i magistrati dell'età repubblicana, per i quali l'iniziativa della costruzione delle opere pubbliche era solo uno dei compiti, né i curatores operum publicorum dell'epoca imperiale, ancora magistrati, dovevano, per ufficio, essere dei tecnici o degli artisti, anche se qualche volta possono esserlo stati, almeno per attitudine personale; più probabilmente possono esserlo stati i procuratores degli imperatori preposti a specifiche costruzioni; qualche volta a. professionisti, come forse Vitruvio, curator della basilica di Fano (Vitr., v, i).
Veri e propri ufficiali civili, apparitores, erano invece alle dipendenze dei curatores aquarum gli architecti o periti, capi tecnici del servizio degli acquedotti della città di Roma (Front., De aq., 100 e 119). Architecti facevano poi parte, come immunes di truppa e più raramente graduati, di diverse formazioni militari (cfr. Dig., L, 6, 7, 6): di legioni (G. I. L., iii, 6178, i; viii, 2850; xiii, 668o; E. E., 4, 13812; A. E., 1929, 219; 1936, 12) delle coorti pretorie (G. I. L., x, 1757; xi, 20; 630), della flotta (C. I. L., x, 3392; 3393) della cavalleria (C. I. L., vi, 3182). Ne leggiamo i nomi esclusivamente su iscrizioni funerarie o sacre, simili alle moltissime altre lasciate da militari; nessuna, né alcuna notizia letteraria, li mette in relazione a qualche opera. Si trattava verosimilmente di tecnici addetti a lavori relativi alla sistemazione degli accampamenti, degli arsenali, delle fortificazioni più usuali; l'unico a. ad armamentarium (C. I. L., vi, 2725), pretoriano, fa pensare ad un capo armaiuolo.
I lavori di grande importanza anche militare venivano affidati ad a. professionisti, non solo esterni all'organizzazione militare, ma anche stranieri; un arsenale fu costruito dal greco Hermodoros (Cic., De orat., i, 14); Traiano fece gettare il ponte sul Danubio da Apollodoros di Damasco (Cass. Dio, lxviii, 13). Adriano costituì un intero corpo di fabri, perpendiculatores, architecti ordinati in formazione militare per i lavori di protezione e di ricostruzione e di abbellimento degli edifici monumentali delle città orientali danneggiate dalle guerre. Formazioni militari collaborarono anche alla costruzione di opere civili (anfiteatri, a Bologna e a Cremona, Tac., Hist., ii, 67; in Africa, C. I. L., viii, 2488); Ulpiano, fra i doveri del proconsole nelle province, enumera la cura dei pubblici monumenti per cui può adoperare anche ministeria militaria (Dig., i, 16, 7). Ma si tratta dell'impiego dei soldati esclusivamente come operai e manovali. La corrispondenza fra Plinio e Traiano illustra l'interesse personale non solo del governatore di province, ma dello stesso imperatore per gli architetti (x, 28, 46, 48, 49). Sui resti dell'edilizia privata, le case, le ville, le tombe, non si leggono generalmente i nomi degli a.; non è in alcun modo attestata la loro attività. Si deve però ricordare che le più cospicue costruzioni che i grandi ricchi erigevano a Roma e nelle città d'Italia e delle province, avevano destinazione pubblica, costituendo l'assolvimento di un obbligo sociale. In una costituzione dell'imperatore Zenone (V sec. d. C.) l'a., accanto all'ergolabus, l'imprenditore, è ritenuto parte responsabile in caso di contravvenzione a servitù in materia di edilizia privata (Cod. Iust., viii, 10, 12, 56). Poiché la figura dell'a. è al sommo della scala, quella dell'ideatore dell'opera al mezzo, si confonde con quella dell'imprenditore e del costruttore, mentre in fine non si distingue da quella del semplice capomuratore, si capisce come non si possa parlare di un'unica categoria economica. L'editto di Diocleziano non contempla la mercede dell'a., che non può ovviamente essere pagato a giornate e con misura eguale per tutti; contempla solo il maestro d'architettura, che deve ricevere 100 denari al mese per discepolo, il doppio del maestro elementare e la metà del grammatico (C. I. L., iii, p. 831). Assieme ai professori, pagati a mese, agli avvocati, pagati a consultazione, la posizione dell'a. come maestro è onorevole. Alessandro Severo aveva provveduto a un insegnamento dell'architettura pagato dallo Stato (Script. Hist. Aug., Sev. Al., 44).
Il guadagno dei costruttori doveva essere diverso per ogni singola persona e non è conoscibile; si capisce come Marziale li mettesse assieme ai praecones per i guadagni tanto lauti quanto facilmente dissimulabili (Mart., v, 56, ii). Lo stesso Vitruvio accenna a questa oscurità di conti dei lavori degli a., che finivano col vuotare le casse pubbliche i, x, praef.). La categoria più elevata, che stava accanto ai grandi ricchi o ai grandi potenti, ne godeva tutti i favori.
3. - Architectus (o arcitectus, harcitectus, architector, nelle iscrizioni, in alcuni autori architecton), dal greco ἀρχιτέκτων, capocostruttore, è parola introdotta in Roma dalla Grecia e che leggiamo per la prima volta in Plauto.
Mancano testimonianze del termine usato precedentemente; il Promis ha suggerito magister e machinator (da Tac., Ann., xv, 42, che chiamerebbe così i due architetti di Nerone, Severus e Celer, per vezzo arcaizzante). In epoca tarda, quando il termine a. sembra degradato a significare anche capomastro, il suo uso si confonde con quello di magister, mecanicus; anche con quello di geometra. L'a. delle fonti classiche è tanto l'ideatore della forma e della decorazione degli edifici privati e delle opere pubbliche, quanto il calcolatore delle opere meccaniche, quello che piuttosto chiamiamo ingegnere: in Roma, perciò, si occupa anche di opere di idraulica e di macchine belliche. A. navalis può essere sia l'architetto di opere portuarie (cfr. Cic., De orat., i, 14), sia il progettista e costruttore di navi (C.I.L., xiii, 723; x, 5371), forse direttore di fabri navales (cfr. C. I. L., vi, 33833, iscrizione di un a. e faber navalis). Gli ἀρχιτέκτωνες di cui si leggono i nomi su due colonne egiziane a Roma (Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, i, 529, 530) devono essere stati i direttori della cava di marmo (v. anche architetto, 2).
Architecti
Dal seguente elenco di architetti sono esclusi gli autori di opere sull'architettura (compresi nell'elenco del Brunn), e i nomi di iscrizioni di autenticità dubbia o di incerta lettura.
Abbreviazioni: a. = architetto; ing. = ingenuus; lib. = liberto; ser. schiavo; p. = peregrino; iscr. fun. = iscrizioni funerarie; iscr. v. = iscrizioni votive.
C. Acilius (ing., Chiusi, in Etruria, iscr. fun., C. I. L., xi 2134).
T. Aelius Martialis (a. militare, ing., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 3182).
Aemilius Crescens (lib., Pompei, iscr. parietarie, G. I. L., iv, 4716, 4755).
Alcimus (ser. imperiale, Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 33763).
Aloysius (a. di Teodorico restaurò le terme di Aponus. Cassiod., Var., ii, 39).
Amandus (ser.?, Birrens, in Britannia, fine ii sec., iscr. v., C. I. L., vii, 1062).
Amianthus (ser., Roma, età di Augusto, fasti di collegio sepolcrale, C. I. L., 12, i, p. 69 = Inscriptiones Italiae, xiii, i, 23).
Ammonios (V sec. d. C.; restaurò il faro di Alessandria, Epigr. Anth. Pal., ix, 674).
Ammonis (p., Mons Glaudianus in Egitto, età di Traiano, firma su fontana, C. I. L., iii, 24).
Anicetus (lib. imperiale, di Marco Aurelio e Vero?, Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 5738) (v. Anicetus).
C. Antistius Isocrysus (lib., Aeclanum nel Sannio, C. I. L., ix, 1052) (v. Antistius).
Apollodorus (p., a. di Traiano. Proc., De aedif., iv, 6; Cass; Dio, 69,4; Script. Hist. Aug., Hadr., 19) (v. Apollodoro di Damasco).
Apollonius (p., Mons Glaudianus in Egitto, età di Traiano, iscr. v., Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, i, 1254) (v. Apollonios 14°).
M. Artorius Primus (lib., Pompei, età di Augusto, firme sulla basilica e su teatro, C. I. L., x, 807, 841) (v. Artorius).
Athenaeos (a. di Gallieno, forse a. militare, Hist. Aug., Gali., 13).
Aurelius Antonius (Tanais, in Sarmazia, 235-240 d. C., iscr. onoraria, Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, i, 925, 926) (v. Aurelius ant.).
Aurelius Maximus (ing., Dacia, a. militare, Ephemeris Epigraph., iv, 138 (iv, 22).
Auxentius (tardo imp., iscr. metrica, lode per la costruzione di una diga a Adana, nella Cilicia, C. I. G., 4440) (v. Auxentius).
Batrachos (a. spartano, Il sec. a. C., operò a Roma secondo Plin., Nat. hist., xxxvi, 42) (v. Batrachos).
A. Bruttius Secundus (lib., Concordia nel Veneto, età imperiale, iscr. op. publ., G. I. L., v, 1886).
Q. Caelius (costruttore navale, ing., Caserta, iscr. fun., C. I. L., x, 5371).
M. Cassius Denticulus (ing., Verona, iscr. fun., Dessau, Incript. Latinae selectae, 7729).
Celer (lib., a. di Nerone, Tac., Ann., xv, 42).
Chiattus (o Cluatius, a. che progettò per Cicerone il monumento a Tullia. Cic., Ad Att., 12, 18, i).
Q. Cissonius Aprilis (a. militare, ing., Pozzuoli, II sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., x, 1757).
Ti. Claudius Vitalis (lib., Roma, età di Claudio?, iscr. fun. propria e del padre, C. I. L., vi, 9151, 9152).
Cleander (a. di Commodo, Script. Hist. Aug., Commod., 17).
Cleodamus (a. di Gallieno, forse militare, Script. Hist. Aug., Gallien., 13).
L. Cocceius Auctus (lib. di altro architetto, Pozzuoli, età di Augusto, firma su tempio, C. I. L., x, 1614).
Coelius D. (ing., Arles, costruttore di navi, iscr. fun., C. I. L., x, 5371).
Constantius (ing., Roma, V sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9135).
M. Cornelius Festus (a. militare, ing., Lambaesis nell'Africa proconsolare, iscr. fun., C. I. L., viii, 2850).
D. Cossutius (ing., II sec. a. C., lavorò per Antioco Epifane, Vitr., vii, praef. C. I. A., iii 561) (v. cossutius).
Cyrus (p., lavorò per Cicerone, Cic., Pro Mil., 17, 18; Ad fam., vii, 14; Ad Q. fr., ii, 2; Ad Att., ii, 3) (v. Kyros).
Dextrianus (a. di Adriano, Script. Hist. Aug., Hadr., 19).
anius Dio (lib.?, Capena in Etruria, firma su epistilio, C. I. L., xi, 3945).
Diphilos (a. o capomastro che lavorò per Cicerone, Cic., Ad Q. fr., iii, i) (v. Diphilos 1°).
Elegans (serv.?, presso Casoli nel Sannio, C. I. L., ix, 2986).
T. Flavius Rufus (a. militare, ing., Ravenna, iscr. fun., C. I. L., xi, 20).
Gamidiahus (Birrens in Britannia, iscr. v., Ephemeris Epigraph.; ix, p. 614).
P. Granius Asiaticus (Mileto, Année epigraph., 1905, 222).
Gratus (ing.?, Pompei, anno dell'eruzione, iscr. sul pavimento della sua casa, C. I. L., x, 8146).
Herakleides (mons Glaudianus, in Egitto, età di Adriano, Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, I, 1260) (v. Herakleides 5°).
Hermodorus (p., Roma, Il sec. a. C., Corn. Nep. in Prisc., viii p. 792).
Hippias (età di Marco Aurelio, destinatario dell'operetta Hippias di Luciano) (v. Hippias 2°).
Hospes (ser., Caiatia nel Sannio, tarda repubblica, firma su porta, C. I. L., x, 4587).
C. Iulius Lacer (ing., Alcantara in Spagna, età di Traiano, iscr. commemorativa ponte sul Tago, C. I. L., ii, 761) (v. Lacer).
C. Iulius Phosphoros (lib. imperiale, Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 8724).
Sex. Iulius Cae(cilianus) (ing., Antibes, Alpi Marittime, I sec. d. C., firma su arco?, C. I. L., xii, 186).
L. Licinius Alexander (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9171).
P. Maecius Proculus (a. militare, ing., iscr. fun., C.I.L. XI, 630).
Meliton (Eumene, Asia Minore, Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, iv, 727).
Mustius (lib., età di Traiano, Plin., Epist., ix, 38, 39) (v. Mustius).
C. Mutius (ing., Roma, I sec. a. C., Vitr., vii, praef. 17, III, 2, 5).
Narcissus (lib. imperiale, Leptis Magna, Africa procons., ii sec. d. C., iscr. fun., Année epigraph. 1931. 3) (v. Narcissus).
Nikodemus (Pergamo, età di Adriano, iscr. commem. della costruzione di un mercato a proprie spese, Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, iv, 504) (v. Nikodemos).
Nikon (padre di Galeno. Pergamo ii sec. d. C., Cagnat, Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, iv, 503).
P. Numisius (ing., Ercolano, età d'Augusto, firma su teatro, C. I. L., x, 1443 e su tempio?, 1446).
C. Octavius Fructus (ing., Roma, iscr. fun., Année epigraph., 1953, 57).
Opponius Iustus (ing., a. militare, Bonn, iscr. v., Fasti Arch., v, 1952, 3933 e C. I. L., xiii, 8082).
Philippus (ser.?, iscr. fun., C. I. L., xiii, 2993).
C. Pomponius Heracon (costruttore di navi, lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 33833).
Pomponius (o Caecilius? p.?, età di Cesare, Cic., Ad Att., 13, 35).
Pontius (p., Alessandria d'Egitto, 13-12 a. C., firma su obelisco, C. I. L., iii, 6588) (v. Alessandria; Pontius).
C. Postumius Pollio (ing.?, età d'Augusto, firme a Formia, su porta, C. I. L., x, 6126, a Terracina su tempio, C. I. L., x, 6339) (v. Postumius).
L. Quinctus Nicephorus (machinator, lib., Ostia, I sec. d. C., iscr. fun., Not. Scavi, 1953, p. 291).
Quintus (Procolitia in Britannia, iscr. v., Ephemeris Epigraph., ix, p. 587).
Rabirius (lib., a. di Domiziano, Mart., vii, 56, cfr. x, 71) (v. Rabirius).
Rusticus (lib. imperiale, Roma, ii sec., iscr. fun., C.I. L., vi, 8725).
Saurus (a. spartano, II sec. a. C., operò a Roma, secondo Plinio, Nat. hist., xxxvi, 42) (v. Sauros).
Sempronius Valens (a. militare, ing., Troesmis in Mesia Inf., elenco, C. I. L., iii, 6178, i, 5).
C. Sevius Lupus (ing., La Coruña in Spagna, ii sec. d. C., iscr. v. presso costruzione, C. I. L., ii, 2559).
Severus (a. di Nerone, Tac., Ann., xv, 42).
Stallius (Tac., Hist., iii, 74; Suet., Dom., 5).
Thychicus (serv. imperiale, età di Domiziano, iscr. fun., C. I. L., vi, 8726).
M. Valerius Artema (lib., Fano, II sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., xi 6243).
Valerius (ing., di Ostia, Plin., Nat. hist., xxxvi, 102).
L. Varronius Rufinus (geometra, ing., Beirut, iv sec. firma su cornicione, G. I. L., iii, 6041).
C. Vedemnius Moderatus (a. militare, ing., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 2725).
Verus (Adraha in Arabia, Cagnat, Inscriptiones Greaecae ad res Romanas pertinentes, iii, 1287, e Année epgraph., 1953, 233).
Vettius (ing., Grumentum nella Lucania, 43 a. iscr. su porte della città, C. I. L., x, 8093).
T. Vettius Gratus (a. militare. ing. Miseno, iscr. fun., G. I. L., x, 3392).
Vettius Chrysippus (lib. di Cyrus (v.), età di Cicerone, Cic., Ad Fam., vii, 14; Ad Att., xiii, 29, xiv, 9).
Vitruvius Pollio (ing., l'a. del De architectura, di lui Front., De aquis, 25; Sidon. Apoll., Epist., iv, 3, 5; viii, 6, 10) (v. Vitruvio).
L. Vitruvius Cerdo (lib., Verona, II sec. d. C., firma su arco funerario privato (?), C. I. L., v, 3464).
Vitruvius (a. militare, Miseno, iscr. fun., C. I. L., vi, 3393).
Volumnius Lacenus (lib.?, Asolo, iscr. fun., G. I. L., v, 2095).
Zeno (età di Marco Aurelio, firma nel teatro di Aspendos in Asia Minore, C. I. G., 4342 d).
Bibl.: I. Selling, Catalogus Artificum, Architecti, Statuarii, etc., Dresda-Lipsia 1827; Raul Rochette, Lettre à M. Schorn, Parigi 1832; C. Promis, Gli architetti e l'architettura presso i Romani, in Mem. Acc. Scienze di Torino, XXVII, 1873; C. Lucas, in Dict. Ant., I, 1873, p. 374 ss., s. v. architectus; H. Brunn, Geschichte der griechischen Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 227 ss.; E. De Ruggiero, Diz., 1895, p. 643 ss., s. v. architectus; L. Friedländer, Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms, III, spec. p. 167 s., Lipsia 1910; G. Cultrera, in Enciclopedia Italiana, IV, 1929, p. 52 ss., s. v. architetto; J.M.C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 9 ss.; P. De Franciscis, Le arti nella legislazione del sec. IV, in Rendiconti Pontif. Acc. Rom. di Archeologia, XXVIII, 1954-55, p. 63 ss.
(I. Calabi Limentani)
4. - Nel periodo paleocristiano, la personalità creatrice di originali sistemi concentrici si cela nell'anonimo della direzione di una corporazione. La tradizione raccoglie più facilmente il nome di un soprintendente amministrativo, come quel Giuliano Argentario, cui sembrano connesse varie costruzioni ravennati; è vero che spesso la ripetizione di un tipo infirma la personalità dell'a., ma non di rado, esempio tipico quello romano di S. Sabina, lo studio dei rapporti fra le singole parti mette in risalto la presenza di un vero a. creatore. La Siria ci ha conservato qualche nome, come quello di Iulianos autore della chiesa di Brad o l'altro di Markianos Kyris autore di quella di Babisqa; quest'ultimo figura nella più antica iscrizione che lo riguarda con il titolo di presbyter. Accanto al dilagare di imprenditori-a. solo con la rinnovata cultura d'età giustinianea Isidoros di Mileto ed Anthemios di Tralles si riallacceranno alla tradizione di un Rabirius o di un Apollodoros.
Bibl.: C. Lucas, in Dict. Ant., I, 1873, p. 374 ss., s. v. Architectus; A. Choisy, L'art de bâtir chez les Romains, Parigi 1873, p. 181 ss.; C. Promis, Gli a. e l'architettura presso i Romani, in Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino, Serie II, XXVII, 1873; H. Brunn, Geschichte d. griechisch. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 227 ss.; C. Merckel, Ingenieurtechnik im Altertum, Berlino 1899; J.H. Breasted, A History of Egypt, Oxford 1905; C.G. de Mountouzan, La science et l'art de l'ingénieur aux premiers siècles de l'Empire, Parigi 1909, p. 109 ss.; G. Giovannoni, La tecnica delle costruzioni presso i Romani, Roma s.d.; G.T. Rivoira, Architettura romana, Milano 1921; W.B. Dinsmoor, How the Parthenon was planned, Modern Theory and Ancient Practice, in Architecture, XLVII-XLVIII, 1923; E. Schiapprelli, Relaz. sui lavori della Missione Arch. in Egitto (anni 1903-1920), ii, Torino 1927; G. Cultrera, in Enc. Ital., IV, 1929, p. 52 ss., s. v.; F. M. Feldhaus, Die Technik d. Antike u.d. Mittelalters, Potsdam 1931, passim; P. Verzone, L'architettura religiosa nell'Italia settentrionale, Torino 1943; J. Lassus, Sanctuaires chrétiens de Syrie, Parigi 1946; J. M. C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951; A. Hauser, Storia sociale dell'arte (trad. ital.), I, Torino 1955, passim; Ch. Singer, E. J. Holmyard, A.R. Hall Trevor, I. Williams, A History of Technology, voll. I e II, Oxford 1955 e 1956, passim.
(G. Matthiae - I. Calabi Limentani)