Archimede
Un genio distratto
Archimede, vissuto nel 3° secolo a.C., fu uno dei più grandi matematici e scienziati del mondo antico e divenne famoso per come difese dai Romani la sua patria, Siracusa, durante la Seconda guerra punica. Intorno alla sua figura si formò assai presto un alone di leggenda, che contribuì a oscurare i risultati della sua opera. Gran parte dei suoi lavori più importanti fu dimenticata già alla fine dell'antichità, ma venne riscoperta durante il Rinascimento. Da essi si svilupparono la nuova scienza di Galileo Galilei e la matematica moderna
Di Archimede tutti hanno sentito parlare, spesso per il suo comportamento un po' bizzarro, almeno secondo la leggenda: correva in giro nudo per le strade di Siracusa gridando "Eureka!" ("Ho trovato!"); e diceva di poter sollevare la Terra se gli avessero dato un punto di appoggio. Ma se il suo nome è famosissimo, le sue opere oggi sono spesso conosciute soltanto da pochi specialisti di storia della matematica antica. Archimede, infatti, non scriveva lunghi trattati, in cui ogni passaggio della dimostrazione veniva spiegato, ma brevi testi, dove la dimostrazione di molte cose (anche difficili) veniva lasciata al lettore. Si occupava di argomenti che nessuno dei matematici greci suoi contemporanei aveva osato affrontare: il volume della sfera e di altri corpi rotondi; l'area compresa fra una parabola e una retta; lo studio della spirale, una curva inventata da lui stesso; l'equilibrio dei corpi appesi e di quelli immersi nell'acqua.
Verso il 4° secolo l'Impero romano cominciò a entrare irrimediabilmente in crisi, prima con le divisioni fra Occidente e Oriente, poi con le invasioni barbariche. Tuttavia, per una specie di miracolo della storia, l'opera di Archimede si salvò in alcuni codici manoscritti copiati a Costantinopoli tra il 9° e il 10° secolo. Nel periodo delle Crociate alcuni di questi codici arrivarono in Italia e un frate domenicano, Guglielmo di Moerbeke, li tradusse in latino nel 1269. Archimede, però, tornò a nuova vita solo con il Rinascimento: fra il 1450 e il 1550 i suoi scritti furono nuovamente tradotti e commentati; nel 1544 furono pubblicati a Basilea in greco, la loro lingua originale.
Cercando di generalizzare i risultati di Archimede, studiosi del Cinquecento e del Seicento come Francesco Maurolico, Luca Valerio e Bonaventura Cavalieri crearono nuove tecniche matematiche. Trovarono anche nuovi punti di vista indispensabili per l'evoluzione che verso la fine del Seicento avrebbe portato all'invenzione del calcolo infinitesimale, una parte della matematica oggi fondamentale. Allo stesso modo il giovane Galileo Galilei, meditando sui lavori di Archimede riguardanti l'equilibrio della bilancia e il comportamento dei corpi immersi in un liquido, ricavò la convinzione che le leggi della natura potevano e dovevano essere descritte con un linguaggio matematico. Passato questo momento di gloria, la figura di Archimede tese rapidamente a svanire nel mito. I suoi lavori erano ormai superati dal progredire delle scienze fisico-matematiche del Seicento, ma il fascino della sua figura era rimasto e ha attraversato intatto ben ventitré secoli. Il fascino di Archimede non è però dovuto solo alla genialità delle sue macchine e alle storie avventurose o bizzarre in cui si trovò coinvolto. La sua opera matematica è profondamente bella; rappresenta uno dei punti più alti del pensiero scientifico greco ed è anche stata alla base del rinnovamento delle scienze avvenuto nel corso del Cinquecento e del Seicento.
Archimede nacque nel 287 a.C. a Siracusa, la città all'epoca più potente e ricca di tutta la Sicilia. Quando nel 264 iniziò la Prima guerra punica fra i Romani e i Cartaginesi per il controllo della Sicilia e di tutto il Mediterraneo occidentale, il re di Siracusa, Gerone, pur di conservare l'indipendenza della città si alleò con Roma. Quando, alla fine della guerra (241 a.C.), Roma s'impadronì di tutta la Sicilia, Siracusa rimase la sola città indipendente.
È probabile che Archimede non abbia assistito a questi sconvolgimenti. Sembra quasi certo, infatti, che egli abbia compiuto i suoi studi di matematica ad Alessandria, capitale culturale del mondo ellenistico (ellenismo) e anche della ricerca matematica dell'epoca.
Tornato in patria, Archimede allacciò rapporti molto stretti con il re Gerone. Lo storico Plutarco ci informa che fu Gerone a sollecitare Archimede ad applicare la sua scienza alle cose di tutti i giorni. E le occasioni non mancarono.
Si racconta che Archimede, con il solo aiuto di un congegno meccanico, riuscì a smuovere la nave fatta preparare dal sovrano di Siracusa per il re Tolomeo. Di fronte allo stupore di Gerone che vedeva Archimede spostare quella enorme massa girando una manovella con la mano sinistra, il geniale scienziato rispose: "Datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo!".
Archimede aiutò il re anche in un'altra occasione. Gerone aveva dedicato agli dei una corona d'oro, ma sospettava che l'orefice l'avesse realizzata sostituendo un po' d'argento all'oro. La corona era stata consacrata e quindi non poteva venire distrutta per scoprire la frode. Il caso fu sottoposto ad Archimede: la tradizione racconta che il modo per risolvere il quesito gli venne in mente immergendosi in una vasca d'acqua piena fino all'orlo. Archimede notò l'acqua che usciva fuori e saltò fuori dal bagno gridando "Eureka!": si era reso conto di aver trovato un semplice sistema per calcolare il volume di un solido complicato come una corona, misurando l'equivalente quantità di acqua che fuoriusciva da una vasca per immersione dell'oggetto. Pesò poi la corona e fece preparare una quantità di oro purissimo della stessa massa della corona. Immerse l'oro nell'acqua e notò che il volume di liquido fuoriuscito non era lo stesso che in precedenza. Dimostrò così che la corona non era fatta con oro puro (l'argento e l'oro hanno diverso peso specifico) e smascherò l'infido orefice. Sembra che lo stesso episodio della vasca sia poi servito ad Archimede come spunto per elaborare l'idea che ogni corpo nell'acqua subisce una spinta verso l'alto pari al peso del volume dell'acqua spostata (la cosiddetta spinta di Archimede).
Questi due episodi famosissimi sono legati alla fama di Archimede come meccanico e tecnico. Le fonti antiche gli attribuiscono infatti l'invenzione di varie macchine e meccanismi: il planetario, con cui si potevano osservare i movimenti degli astri e le eclissi del Sole e della Luna, o la vite d'Archimede, una macchina per sollevare l'acqua. Archimede fu celebre anche per le sue invenzioni in campo militare ed ebbe modo di metterle in pratica.
Nel 215 a.C. moriva Gerone e a Siracusa prese il sopravvento il partito filocartaginese. Roma non poteva stare a guardare: nel 213 il generale romano Marco Claudio Marcello cinse d'assedio la città. Un'imponente flotta si dispose ad assaltarla dal mare, mentre un esercito l'attaccava da terra.
Archimede aveva assunto la direzione delle operazioni di difesa. Non appena le navi di Marcello si avvicinavano, venivano colpite da massi di varie dimensioni scagliati da catapulte con varia portata di tiro. Come se non bastasse, Archimede aveva fatto costruire gru girevoli, che lasciavano cadere enormi massi sulle navi che si avvicinavano, e la manus ferrea, una sorta di artiglio di ferro che afferrava le navi per la prua facendole poi ricadere di colpo in acqua. Nel 212, però Marcello seppe cogliere un'occasione favorevole e le truppe romane dilagarono in città. Marcello aveva però impartito ordini precisi: Archimede doveva essere risparmiato. Si racconta, tuttavia, che un soldato romano, durante il saccheggio, s'imbatté in Archimede, così concentrato nello studio di alcune figure geometriche da non accorgersi nemmeno di quello che stava accadendo. Il soldato gli ordinò di seguirlo e quando Archimede gli disse di aspettare perché doveva prima risolvere un problema, il legionario, infuriato, l'uccise. È una fine triste. Il genio di Archimede, però, non fu mai del tutto dimenticato e dalle sue opere e dalla sua leggenda sono nate la nostra matematica e la nostra scienza.
Secondo Plutarco, Archimede disdegnava le attività tecniche, occupazioni poco nobili, rispetto alle contemplazioni matematiche: "Viveva continuamente incantato dalla geometria, che potremmo chiamare una Sirena a lui familiare e domestica, al punto di scordarsi persino di mangiare e curare il proprio corpo. Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno per lavarlo e ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure geometriche; e appena lo avevano spalmato d'olio, tracciava sulle proprie membra delle linee col dito, tanto lo tormentava il diletto ed era veramente prigioniero delle Muse" (Plutarco, Vita di Marcello, XVII, 6).