ARCHERESIE ('Αρχαιρεσίαι)
Così si chiamavano, in Atene come in altre parti della Grecia, le operazioni - votazioni, o sorteggi, o contemperamenti di votazione e di sorteggio - occorrenti alla designazione dei magistrati. Che il sistema ateniese più antico sia quello della votazione per alzata di mano (χειροτονία), può ritenersi certo; esso sembra presupporre che, analogamente a quanto avveniva in Roma, il magistrato che dirigeva la votazione proponesse egli stesso i nomi dei candidati. È invece assai discusso in qual periodo si sia affermato il principio, in età storica dominante, del sorteggio entro un numero più o meno largo di cittadini, già designato mediante elezione dalle ϕυλαί (κλήρωσις ἐκ προκρίτων). Se trova oggi scarso seguito l'opinione del Fustel de Coulanges, che considera l'istituzione come originaria, e se nulla può dirsi di preciso a proposito della costituzione di Dracone, ha sempre gran peso il racconto di Aristotele (Resplub. Athen., 8, 1), che la comprende tra le riforme di Solone. Una larga corrente di studiosi oppone alla tradizione aristotelica, oltre alle notizie di Erodoto (VI, 109) e di Plutarco (Arist., 1) circa le elezioni di Callimaco a polemarco (490 a. C.) e di Aristide ad arconte (489 a. C.), anche l'inverosimiglianza che un'istituzione improntata a così esasperata democrazia abbia trovato luogo in una costituzione timocratica come quella di Solone: e, se è facile eliminare gli argomenti casistici, che potrebbero essere indegni di fede, ben più gravi sono i rilievi di carattere politico, nonostante la vivace anticritica dell'Ehrenberg. Al quale si può anche menar buona l'osservazione che il carattere democratico o aristocratico di una costituzione si rispecchi non tanto nel modo di designazione dei magistrati, quanto nella cerchia degli eleggibili (e infatti le costituzioni oligarchiche sono, di regola, le più tenaci nel difendere l'assoluta parità di potere politico fra i membri della casta dominante), sicché la limitazione del sorteggio fra i pentacosiomedimni avrebbe tolto ad esso ogni carattere demagogico, ma ben gli si deve opporre la sua stessa osservazione, che il fondamento politico del sorteggio è nella tendenza ad esautorare la magistratura, e rilevare che una simile tendenza non sembra corrispondere al prestigio che gli antichi storici attribuiscono all'arcontato del sec. VI a. C. La questione non può a nostro avviso ritenersi risolta; se pure debba fare impressione, a chiunque insista troppo sopra argomenti ricavati da apprezzamenti politici moderni, il fatto che Platone medesimo vedeva nel sorteggio entro un gruppo di designati dal voto la giusta via di mezzo fra i sistemi della pura votazione e del puro sorteggio.
Nella costituzione di Clistene e nelle varie riforme successive, fin quando il sistema misto rimase in vigore, la proposta dei nomi al sorteggio non spettò all'assemblea popolare cittadina, ma alle sue varie circoscrizioni, e precisamente, in un primo tempo, ai demi, poi alle file (ϕυλαί): i proposti per i nove posti dell'arcontato erano dapprima in numero di cento, ma più tardi, estesa l'eleggibilità ad ogni cittadino, organizzata la città in dieci file, creata accanto ai nove arconti la carica di segretario dei tesmoteti (cfr. su tutto ciò la voce arconte), ciascuna file propose cinquanta nomi, organizzandosi il sorteggio in modo che ad ogni file spettasse uno dei dieci posti. Sembra che venissero posti in dieci urne i nomi rispettivamente designati dalle varie file, e in altra e maggiore urna 10 palle bianche e 490 nere, e che si procedesse estraendo i nomi secondo il turno delle file, e insieme con ogni nome una palla: la prima palla bianca estratta significava attribuzione della carica di arconte eponimo, e l'urna della file che aveva fornito il nome veniva allontanata; la prosecuzione del sorteggio fra le nove file rimanenti serviva a designare successivamente l'arconte re, il polemarco, i sei tesmoteti e il loro scriba. La descrizione, tuttavia, è certamente incompleta, perchè, tolte di mezzo durante il sorteggio urne semipiene di nomi, quelle delle ultime file avrebbero finito per vuotarsi senza che a nessun nome corrispondesse una palla bianca.
È chiaro che in questo sistema, per misto che fosse, la sorte predominava sulla scelta da parte degli elettori: non è pensabile, infatti, che in ciascuna file, votandosi cinquanta nomi per un posto, che poteva anche risultare di scarsissima importanza politica, gli elettori fossero rigorosi nel valutare le attitudini di ciascuno. E pertanto era naturale che, prima e dopo i varî tentativi di organizzazione oligarchica con i quali si chiude la storia del sec. V, l'estrema democrazia dell'età di Pericle e del sec. IV abbracciasse risolutamente il principio del sorteggio, così per le magistrature come per i giudici e per il consiglio dei Cinquecento. Il principio conservò il suo vigore, salvo le varie vicende di applicazione, anche nell'Atene ellenistica, nonostante le varie restaurazioni in senso aristocratico: soltanto con l'egemonia romana, alla fine del sec. II a. C., si ritornò al sistema della votazione.
In ogni modo, il principio del sorteggio non fu mai applicato a tutte le cariche pubbliche: nato da quella tendenza a sospettare di ogni attitudine politica e di ogni prestigio individuale, che fu la carie della potenza ateniese, trovò applicazione per tutte le cariche nel cui titolare s'impersonasse visibilmente la sovranità della polis, ma non poté trovar luogo rispetto a quelle che richiedevano una sicura competenza tecnica: così sono elettivi gli strateghi, gli amministratori del pubblico denaro, gli architetti ed ispettori delle opere pubbliche. Il giuoco dei principî democratici è tutto inteso a che gli uomini ai quali tali cariche si conferiscono, di gran lunga superiori alle mezze figure risultanti dai sorteggi annuali, siano tuttavia sopraffatti da queste nella ricchezza dei costumi, nella nobiltà delle sedi, nell'ordine di precedenza nelle pubbliche cerimonie; per modo che, se pure noi vediamo in certi periodi guidata la vita della città da personalità insignite di magistrature elettive, e in particolare della carica di strateghi, questa verità sostanziale era nascosta allo sguardo geloso dei concittadini dallo splendore vano dell'arcontato.
Per voto o per sorteggio, le archeresie si tengono in giorni determinati dell'anno, ma la data (che doveva essere unica per tutte le cariche) variò, se non di anno in anno, almeno di periodo in periodo. Certo, iniziandosi l'anno ufficiale col 1° ecatombeone (21 luglio circa), nel qual giorno entravano in carica gli arconti, le designazioni dovevano aver luogo qualche mese prima, dovendosi procedere, nell'intervallo, a quell'ulteriore operazione che si chiamava docimasia. Gli arconti erano soggetti alla docimasia del consiglio dei Cinquecento, alla quale doveva seguire quella del tribunale, per le altre magistrature, maggiori e minori, la docimasia spettava al tribunale, sotto la presidenza dei tesmoteti. Il designato dall'elezione o dalla sorte sosteneva un interrogatorio circa la pienezza della sua cittadinanza, la partecipazione ai culti di Apollo Patroo e di Zeus Herkeios, il possesso di una tomba di famiglia, l'adempimento dei doveri verso i genitori e di quelli militari e finanziarî verso lo stato: ogni affermazione doveva essere corroborata dalla indicazione dei testimoni. Poscia l'epistate del consiglio o il tesmoteta che presiedeva il tribunale chiedeva se alcuno dei presenti intendesse accusare il designato; le accuse potevano riferirsi a ognuna di quelle colpe che davano luogo all'atimia (anche se non ancora valutata in apposito giudizio), come pure alla deficienza di sentimento democratico. Ove ne fossero sollevate, prendeva la parola l'accusatore, poi l'accusato, e quindi si procedeva alla votazione per alzata di mano: altrimenti la votazione aveva luogo appena finito l'interrogatorio e la relativa escussione dei testimoni. Superata la docimasia, il designato non aveva che da aspettare l'inizio dell'anno per mettersi in possesso della carica: quando non la superasse, altri avrebbe dovuto essere designato al suo posto, ma per lo più l'ipotesi fu prevista all'atto del sorteggio, e oltre i cittadini designati in prima linea alla carica si sorteggiarono altri nomi di sostituti, che il collegio prendeva in esame soltanto quando per i primi il risultato della docimasia fosse stato negativo.
Bibl.: G. De Sanctis, Storia d. rep. ateniese, 2ª ed., Torino 1912, pp. 242 segg.; G. Busolt e H. Swoboda, Griech. Staatskunde, II, Monaco 1926, p. 1064 segg.; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, coll. 436, 566-599; XIII, coll. 1451-1504; Fustel de Coulanges, Recherches sur le tirage au sort appliqué à la nomination des archontes athéniens, in Nouvelles recherches, Parigi 1891, p. 147 segg.; C. F. Lehmann-Haupt, Schatzmeister- und Archontenwahl, in Klio, VI (1906), p. 304 segg.; Ch. Caillemer, in Daremberg e Saglio, Dict. des ant. grecques et romaines, I, col. 372; G. Glotz, ibid., IV, coll. 1401-1417.