ARCHEMOROS (᾿Αρχέμορος)
Soprannome dato ad Ofelte, figlio del principe nemeo Licurgo e di Euridica, dai Sette Eroi argivi, che, quando passarono, diretti a Tebe, nella valle di Nemea in cerca di acqua, lo trovarono con la nutrice Hypsipyle, la quale, per mostrare loro la fontana, abbandonò il bambino, che fu divorato da un drago. Anfiarao vide in questo avvenimento un funesto presagio per la loro impresa e i Sette, dopo aver seppellito il bambino, lo chiamarono A. (predecessore della morte) e fondarono in suo onore i giochi nemei. Pausania (ii, 15, 3) narra che a Nemea la tomba di A. era circondata da un muro di pietre e vi sorgeva un altare di culto.
Ci sono giunte poche raffigurazioni di questo mito: su una kỳlix a fondo basso del pittore Sotades (v.) è raffigurato un bambino afferrato da un serpente attorno a cui sono alcuni dei Sette a Tebe e Hypsipyle. La stessa scena è stata identificata nel frammento di un cratere attribuito ad Assteas, del museo di Bari, ed in un vaso apulo al Louvre.
Piuttosto incerti restano i riferimenti a questo mito di due pitture romane. È ancora raffigurata la stessa scena dei vasi in un rilievo a Palazzo Spada a Roma e su monete imperiali romane.
Monumenti considerati. - Tazza di Sotades: J. C. Hoppin, A Handb. of Attic Red-figured Vases, ii, Cambridge (Mass.) 1919, p. 434, n. 8; J. D. Beazley, Attic Red-fig. Vas.-pain., Oxford 1942, p. 450 ss.; frammento di Assteas: A. Furtwängler-K. Reichhold, Griechische Vasenmal., Monaco 1904-1930, III, p. 200, fig. 99; pitture romane: S. Reinach, Répertoire des Peintures, Parigi 1913, p. 178, 4, 215; rilievo di Palazzo Spada: W. Helbig, Führer durch Sammiungen klassischer Altertumer in Rom, ii, Lipsia 1912, n. 1812; monete romane: Journ. of Hell. Stud., XIII, 1893, p. 82; vaso apulo al Louvre: Winckelmann, fig. 143.
Bibl: H. W. Stoll, in Roscher, I, c. 472, s. v., n. 1; E. Bethe, in Pauly-Wissowa, II, cc. 456-457, s. v., n. 1; F. Gerhard, Archemoros und die Hesperiden, in Abhandl. Berl. Akad., 1836, p. 25; B. Quaranta, De' funerali di A. rappresentati su un vaso greco, Napoli 1852.