ARCHEISMO (dal gr. ἀρχη "comando")
La teoria dell'archeo risale a Paracelso, secondo il quale esso è una specie di demone, risedente nel ventricolo, dove muta i cibi in sangue, e in essi separa la natura nutritiva dai veleni; essendo, in fondo, per lui tale principio lo spiritus vitae o il corpo astrale dell'uomo (ogni corpo è infatti da lui ritenuto doppio, cioè formato di una parte materiale e di una spirituale, siderea od astrale). Nell'uomo poi ogni membro ha il suo stomaco particolare, in cui si effettuano le opportune separazioni.
Più tardi il Van Helmont (1577-1644), riprendendo la teoria dell'archeo, afferma che tutti i corpi racchiudono un particolare principio, detto aura vitalis che già preesiste alla fecondazione nel seme umano e cura l'assetto delle varie parti embrionali. Dall'unione di tale aura vitalis con l'imagine seminale, che è quasi il nòcciolo della materia della generazione (aura), risulta l'archeo, del quale il seme è solo l'involucro. L'archeo, che non è da confondersi con l'anima intellettiva, quantunque esso sia plena scientia insignitum, crea ed organizza tutti i corpi della materia con l'aiuto di un fermento; il quale, già esistente avanti il seme, attira lo spirito creatore dell'archeo per mezzo dell'odore da lui diffuso. E con l'azione dell'archeo sopra un dato fermento si ha anche la generazione degli animali senza l'azione del liquido maschile, essendo tali organismi artificiali perfettamente simili a quelli prodotti per via naturale. Il piloro è la sede principale di questo strano motore, che di là comanda agli archei secondarî o locali, governanti direttamente i varî organi con l'aiuto di un blas o principio motore speciale. Tutto ciò presenta una certa rassomiglianza con la dottrina vitalista, che crea uno o più principî intermediari, donde sorgono così la vita come le malattie. L'archeo è, secondo il Van Helmont, ben separato dall'anima sensitiva avente una gerarchia superiore e della quale esso è solo il portiere (ianitor).
Bibl.: D. Le Clerc, Storia della medicina, Napoli 1762-1763, IV, p. 497; K. Sprengel, Storia prammatica della medicina, Firenze 1839-43, III, p. 62; IV, p. 17; E. Auber, Traité de la science médicale, Parigi 1853, p. 176.