GHISLERI, Arcangelo
Nacque a Persico, in provincia di Cremona, il 5 sett. 1855 da Luigi, fattore in un'azienda agricola, e da Barbara Lodoli. All'età di 17 anni conseguì a Cremona il diploma di ragioniere e trovò un primo impiego come scrivano presso un ufficio tecnico. Al tempo stesso, grazie alla notevole cultura che si era formato da autodidatta, ottenne per due anni l'incarico non retribuito di insegnante di materie letterarie presso il locale istituto tecnico. Tale incarico gli procurò un attestato che gli consentì più tardi di ottenere un posto nelle scuole statali. Tentò quindi di avviare in proprio uno studio di ragioneria, ma con scarsa fortuna, tanto che per guadagnarsi da vivere dovette impegnarsi nelle lezioni private fino a che, nel 1875, vinse un concorso per applicato in una banca cremonese.
Nelle ore libere si dedicava alla lettura, assorbendo i fermenti della tradizione culturale laica, che alimentarono la precoce passione politica del G., corroborata dalla intensa amicizia con i coetanei Leonida Bissolati e Filippo Turati. Nel 1875, a soli vent'anni, si fece promotore dell'Associazione del libero pensiero, alla quale aderirono R. Ardigò, C. Lombroso, M. Rapisardi e A. Costa, e della rivista quindicinale Il Preludio.
Primo di una lunga serie di periodici di cui il G. fu fondatore, direttore o collaboratore, Il Preludio nacque con un intento prevalentemente letterario e rivolse una particolare attenzione ai problemi della scuola e alla pedagogia, ospitando scritti di P. Siciliani, G. Rosa, Bissolati e G. Carducci.
Dal 1876 il G. collaborava inoltre a due periodici anticlericali cremonesi quali il Risveglio e Papà Buonsenso. Nel 1877 Il Preludio dovette chiudere per difficoltà economiche e l'anno seguente, lasciato l'impiego in banca, il G. si trasferì a Milano, dove fondò la Rivista repubblicanadi politica, filosofia, scienze, lettere ed arti, alla quale collaborarono G. Bovio, G. Rosa, A. Saffi, Jessie White Mario, E. Ferri, N. Colajanni, L. Bissolati, Turati e sulla quale Ardigò pubblicò a puntate la Morale dei positivisti.
Anche questa rivista, che accoglieva il meglio della cultura democratica italiana di allora, dovette fare i conti con la passività economica: da settimanale (dal 9 apr. 1878 al 10 genn. 1879) fu trasformata in quindicinale e poi in mensile fino a che nel 1881 non cessò le pubblicazioni.
L'attività pubblicistica del G. proseguiva intensa su altre pagine: dal 1879 al 1880 diresse Bergamo nuova e nel 1882, dopo l'esaurimento della seconda serie de Il Preludio (1881-82), il settimanale letterario e di varietà La Nuova Farfalla. Nell'agosto 1882 si trasferì a Napoli, dove per interessamento di M.R. Imbriani e G. Bovio divenne redattore capo del quotidiano radicale irredentista Pro patria. Il giornale, al quale collaboravano tra gli altri Guglielmo Oberdan e Salvatore Di Giacomo, uscì il 1° sett. 1882 e, subendo diversi sequestri, durò fino al 28 febbr. 1883.
Dopo due anni di soggiorno napoletano il G. si dedicò per qualche tempo all'insegnamento. Nel settembre 1884 si trasferì a Matera, dove insegnò storia al liceo e geografia nella locale scuola tecnica, mal sopportando i disagi derivanti da un ambiente di grande arretratezza. Nell'ottobre di quell'anno ottenne il trasferimento al liceo Chiabrera di Savona, dove per due anni insegnò filosofia. Ritrovati fervore ed entusiasmo, nel 1887 il G. diede alle stampe una nuova rivista mensile, Cuore e critica, rivolta anch'essa all'educazione civile e agli studi sociali ed espressione di un'avanguardia intellettuale impegnata nella costruzione di una coscienza socialista.
Della rivista era redattore Turati e collaboratori, tra gli altri, G. Bovio, L. Bissolati, A. Costa, N. Colajanni, M. Rapisardi, G. Rosa, E. Praga, C. Prampolini e T. Galimberti. Sorta a Savona, nell'ottobre 1888 la redazione della rivista si trasferì a Bergamo, in coincidenza con il trasferimento del G. al liceo Sarpi di quella città. Nel 1890 il G. lasciò prima la redazione e poi la direzione a Turati, che trasformò il nome della testata in Critica sociale.
Dopo l'abbandono di Cuoree critica il G. si dedicò con assiduità agli studi di geografia e di cartografia, che aveva cominciato a coltivare quando insegnava a Matera. Allora si era sentito mortificato nel constatare che nelle scuole italiane venivano adottati atlanti stranieri, assai carenti nel trattare la geografia storica dell'Italia. Il G., dopo aver pubblicato il Piccolo manuale di geografia storica (Bergamo 1889) volle perciò cimentarsi in un'impresa che non era mai stata tentata: la realizzazione di un testo-atlante che desse il dovuto rilievo all'evoluzione storico-geografica dell'Italia. Al progetto fu interessato lo stabilimento Fratelli Cattaneo di Bergamo che, grazie al successo delle iniziative editoriali promosse dal G., si trasformò in Istituto italiano d'arti grafiche e si impose nel settore della cartografia.
Il G. concepì il suo atlante in modo da offrire per una stessa regione molteplici carte e cartine con le denominazioni e le divisioni topografiche proprie di ogni epoca. L'apparizione nel 1892 dell'atlante fu salutata dalle lodi di esperti e studiosi, ma suscitò anche riserve di parte del mondo accademico, che rimproverava al G. superficialità e la commistione tra la geografia fisica e la storia dei popoli, delle civiltà, delle esplorazioni, dei commerci. Commistione del resto ricercata dal G. che, in polemica con il tradizionale approccio alla geografia e senza sentirsi condizionato dai limiti angusti dei programmi scolastici di allora, perseguiva metodi nuovi nello studio e nell'insegnamento della materia.
Per propagandare questa sua concezione il 15 maggio 1891 il G. fondò la rivista Geografia per tutti, con la quale si proponeva appunto di "accostare al gran pubblico leggente, ad ogni professione, ad ogni ceto, il frutto ultimo delle scienze geografiche nei diversi rami delle loro dottrine, nei molteplici aspetti delle loro applicazioni" (Scopo e indole della Rivista, in Geografia per tutti, n. 1, 25 maggio 1891).
La rivista, alla quale collaborarono non solo geografi - tra i quali il più autorevole era Giovanni Marinelli - ma anche astronomi, naturalisti, esploratori, geologi ed economisti, contribuì al risveglio degli studi geografici.
Nel settembre-ottobre 1893 il G., grazie al contributo della Società geografica italiana e del ministro dell'Istruzione pubblica F. Martini, si recò all'Esposizione internazionale geografica di Chicago, dove ebbe modo d'incontrare i massimi studiosi della materia. Nel gennaio 1894 diede vita a Le Comunicazioni di un collega, bollettino bimestrale inviato gratuitamente ai docenti di storia e geografia delle scuole secondarie, che insieme con le questioni didattiche e metodologiche trattava anche dei loro problemi professionali. Nel 1895 il G. svolse una relazione al secondo congresso geografico italiano per sostenere l'opportunità di costituire l'insegnamento autonomo della geografia nel ginnasio e nel liceo. A partire dal 1905 iniziarono a uscire le dispense dell'Atlante d'Africa (Bergamo 1905-09), considerata l'opera più matura e importante del G. geografo.
Il distacco da Cuore e critica era avvenuto in un momento di revisione negli orientamenti politici del Ghisleri. Negli anni tra il 1875 e il 1890 il G., come del resto i suoi amici del "sodalizio lombardo" Bissolati e Turati, aveva subito l'influenza della scapigliatura sul piano letterario e del positivismo sul piano filosofico. In questo ambiente culturale era maturata l'adesione dei tre al socialismo, mentre "il grande assente" nella loro formazione era il marxismo: "di Marx non si registra, fra le loro letture, nient'altro che il vecchio Compendio del Cafiero" (Masini, Introduzione a La scapigliatura democratica, p. 20). In particolare nella visione del G. socialismo e repubblicanesimo si confondevano in un indistinto radicalismo democratico. Nel 1884 lo stesso G. descriveva così la propria evoluzione: "Ma da tre o quattro anni ad oggi viene operandosi attiva un'evoluzione del mio spirito verso il più pugnace socialismo: evoluzione a cui vorrei dare conclusioni determinate e salde con gli studi analitici e vasti" (Atto di mia ultima volontà, ibid., p. 260). Se fino al 1888 il G. si considerava, sia pure in termini generici, socialista, in seguito venne rivolgendo critiche sempre più dure ai socialisti, che accusava di essersi distaccati dall'eredità risorgimentale. A incidere in modo determinante sulle scelte politiche del G. fu tuttavia una radicata incomprensione del classismo e del collettivismo.
Il G. riversò le idee portanti del suo pensiero politico nel Programma del Partito repubblicano italiano (PRI) per il congresso di Rifredi (27-28 maggio 1897).
In esso si affermava che il partito, pur non concependo il progresso morale disgiunto dal miglioramento delle condizioni economiche dei proletari, riteneva però che "nel pauperismo e nella dipendenza economica" non risiedessero "le sole cause dell'asservimento morale e materiale del popolo". Il problema sociale era visto come "un problema complesso essenzialmente morale", mentre "un reggimento a base di libertà" veniva considerato "il mezzo primo di educazione dei cittadini alla dignità, alla fierezza, alla vita civile, assicurando al popolo la costante e diretta amministrazione della cosa pubblica". Il partito repubblicano avrebbe pertanto perseguito un programma tendente "secondo la formula libertà e associazione a riunire il capitale e il lavoro nelle stesse mani e a trasformare gli asserviti del salariato in liberi lavoratori che per mezzo del lavoro associato conseguano l'intero frutto del loro lavoro". Il G. era infatti persuaso non solo che gli obiettivi fondamentali dei socialisti si potessero realizzare seguendo una via diversa, ma anche che i repubblicani avessero "un patrimonio intellettuale che non [aveva] nulla da invidiare a quello dei socialisti ed [aveva] per di più il pregio di essere nazionale" (cit. in Tomasi, p. 17)
Nel 1897-98 il G. diresse L'Idea, organo del PRI di Cremona; poi, in seguito ai moti del 1898, fu costretto a lasciare l'Italia. Si rifugiò a Lugano, dove ottenne la cattedra di filosofia e storia presso il liceo cantonale, la stessa che era stata di Carlo Cattaneo. Il 25 dic. 1898 il G. fondò L'Educazione politica, rivista quindicinale di diritto pubblico, arte, economia e storia contemporanea, che diresse fino al 1901.
Il periodico, al quale collaboravano tra gli altri Cesare Battisti e Gaetano Salvemini, si batteva contro l'involuzione autoritaria e accentratrice dello Stato, per la difesa della democrazia nella prospettiva del federalismo cattaneano, propugnata con forza di fronte alle repressioni di F. Bava Beccaris. Sempre nel 1898, sotto lo pseudonimo "Un italiano vivente", pubblicò Il libro dei profeti dell'idea repubblicana in Italia (edito a Milano), un'antologia di scritti di G. Mazzini, G. Ferrari, A. Mario, G. Rosa.
Nel 1901 diresse per alcuni mesi il quotidiano L'Italia del popolo; nel 1904 era di nuovo a Bergamo e nel 1907 si trasferì a Roma, dove dal 1908 diresse La Ragione, organo del PRI. Nel 1911, in contrasto con alcuni esponenti del suo partito, il G. si schierò risolutamente contro l'impresa di Libia, sia perché respingeva la tesi della colonizzazione come affermazione della civiltà contro la barbarie (concetto espresso già nel 1888 nel suo scritto Le razze umane ed il diritto delle genti nella questione coloniale. Polemica con l'on. Bovio, edito a Savona), sia perché riteneva singolare che l'Italia s'impegnasse nella conquista di terre lontane quando rimanevano da liberare dallo straniero territori italiani. Pacifista convinto, militante della Società internazionale per la pace, avverso a ogni forma di retorica nazionalista, nel 1914 il G. scelse tuttavia il campo interventista. A suo giudizio la guerra era infatti un mezzo necessario per battere il militarismo reazionario degli Imperi centrali e creare le condizioni per una pace basata sulla libertà e sulla giustizia. Egli espose queste sue convinzioni l'11 ag. 1914 in un manifesto Agli Italiani e sul foglio interventista L'Iniziativa. Collaborò anche, dalla fondazione alla fine della guerra, a Il Popolo d'Italia, diretto da B. Mussolini, ma fu questa soltanto una convergenza tattica, destinata e essere superata dagli avvenimenti. Fedele alle ragioni ideali del proprio interventismo, nel dopoguerra il G. mantenne, infatti, un atteggiamento distinto da quello dei nazionalisti e delle altre forze di destra a proposito della questione adriatica.
"Nella sua duplice veste di profondo conoscitore del pensiero mazziniano e di studioso di geografia" il G. si incaricò di dimostrare quanto assurde e infondate fossero "le motivazioni di ordine geografico e storico-culturale addotte dai nazionalisti italiani a sostegno delle loro inique mire espansionistiche sulla Dalmazia" (Fedele, p. 47). Nei confronti delle popolazioni slave della Dalmazia la politica dell'Italia non poteva che essere "quella di amicizia, di collaborazione e di guida ideale di tutti i popoli in lotta contro l'oppressione asburgica luminosamente tracciata da Mazzini" (ibid., p. 48).
Questo orientamento trovò riscontro nelle prese di posizione degli organi dirigenti del PRI, che pur affermando il diritto dell'Italia di annettersi Trento, Trieste e l'Istria con Fiume, per quanto riguardava la Dalmazia si limitavano a chiedere la tutela delle minoranze italiane lì residenti. Contro il prevalere degli egoismi nazionali, il G. perorò la causa wilsoniana per la costituzione della Società delle nazioni e fu esponente prestigioso dell'associazione mazziniano-democratica denominata Famiglia italiana della Lega universale per la Società delle libere nazioni, costituita nel dicembre 1918.
Al G. e ai repubblicani il presidente degli Stati Uniti W. Wilson appariva come colui che avrebbe potuto dare attuazioni ai principî enunciati da Mazzini con la Giovine Europa. Al XIII congresso nazionale del PRI, svoltosi a Roma dal 13 al 15 dic. 1919, il G. nel difendere le ragioni politiche e ideali dell'intervento in guerra accusò le classi dirigenti e i governi del re di essere responsabili di aver "chiuso la nostra guerra vittoriosa con una Sedan politica, diplomatica e finanziaria" (ibid., p. 97).
Nel 1921 il G., che dal 1914 si era nuovamente stabilito a Lugano, fece ritorno a Bergamo dedicandosi all'attività giornalistica e alla diffusione dei classici del pensiero repubblicano. Nel 1924 si batté, senza successo, per la non partecipazione dei repubblicani alle elezioni politiche. Dal 1925 curò la "Biblioteca storica degli esuli italiani", volta a trasmettere ai giovani l'eredità dei maestri del Risorgimento. Oppositore intransigente del fascismo, trascorse nell'isolamento gli ultimi anni della sua vita.
Il G. morì a Bergamo il 19 ag. 1938.
Oltre a centinaia di articoli e saggi, molti dei quali firmati con pseudonimi, apparsi sui periodici, il G. è autore di numerosi scritti pubblicati in volume. Gli argomenti trattati spaziano dalla politica alla geografia, dalla storia alla pedagogia, dalla sociologia alla letteratura. Tra le opere più importanti, oltre a quelle citate: Scintille, (con lo pseudonimo di Bruno Minore), Milano 1875; Costantinopoli di E. De Amicis. Studio critico, ibid. 1878; Polvere, Bergamo 1879; Alcuni scritti, Milano 1882; Delitti e delinquenti della stampa, Cremona 1884; La modernità nei libri di scuola. Note critiche, Rossano 1886; Per la Giovane Italia del secolo venturo. Proposte di un repubblicano lombardo e voti di Dario Papa, Milano 1899; Per la geografia di casa nostra, Bergamo 1900; Scuola e libertà. Questioni varie di educazione e d'insegnamento, ibid. 1902; La monarchia e i socialisti nell'ora presente, Milano 1902; La questione economica ed il partito repubblicano, Roma 1904; Ciò che sopravvive di Mazzini, Genova 1905; La questione meridionale e la sua logica soluzione, Bergamo 1906; Per la geografia nella scuola e nella vita: scritti vari, 1893-1908, ibid. 1908; Ai giovani repubblicani nell'ora presente, Roma 1909; Il problema dell'irredentismo, Milano 1901; Il parlamentarismo ed i repubblicani, Roma 1912; Tripolitania e Cirenaica, Milano 1912; La guerra ed il diritto delle genti secondo la tradizione italiana, Roma 1913; Guerra dinastica o guerra di libertà?, ibid. 1916; L'Istria italiana e la tradizione perenne del nostro confine orientale, Bergamo 1918; Per l'intesa italo-iugoslava. Scritti della vigilia (1915-17), Lugano 1918; Il concetto etico di nazione e l'autodecisione delle zone contestate, Milano 1918; Giuseppe Mazzini e gli operai, ibid. 1922; Testo-atlante di geografia storica in generale e d'Italia in particolare, Bergamo 1923; Lo statuto del 1848 giudicato dai contemporanei, Roma 1924; Introduzione agli scritti filosofici di C. Cattaneo, Milano 1926; La Libia nella storia e nei viaggiatori, Torino 1928; Il fallimento del parlamentarismo in Italia, a cura di G. Belloni, Roma 1943.
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