ARCAISMO (dal gr. ἀρχαῖος "antico" col suffisso ismo che forma nomi d'azione; fr. archaïsme; sp. arcaismo; ted. Archaismus; ingl. archaism)
Parola, forma grammaticale, costruzione di frase non più viva nella lingua parlata, e conservata o reintrodotta nella lingua scritta; oppure viva in un'area dialettale o in una lingua e spenta nelle aree dialettali circostanti o nelle lingue imparentate. Appartengono alla prima categoria, oltre che gli arcaismi usati coscientemente e quindi letterarî e artistici, le formule delle lingue scritte speciali, del diritto, della religione, della burocrazia: quindi non solo sirocchia, carogna (nel senso di "cadavere"), lunghesso o conciossiaché sono arcaismi, ma anche espressioni come, per esempio, il "magnifico" Rettore sono completamente morte al di fuori dei gruppi socia] i a cui appartengono. Alla seconda categoria appartengono gli arcaismi che si mantengono vivi all'insaputa dei soggetti parlanti; possono trovarsi in serie e quindi appoggiarsi reciprocamente, e possono riconoscersi come tali solo con la comparazione di altre aree o lingue. Essi persistono nelle aree estreme di un dominio linguistico in cui le innovazioni partono dal centro, come i vecchi termini religiosi flamen e brahman si conservano in aree estreme delle lingue indoeuropee, in Italia e in India; o l'uso del passato remoto nel francese che si restringe sempre più verso il mezzogiorno per effetto della sostituzione col passato prossimo che irradia da Parigi. Gli arcaismi appaiono anche nelle aree più isolate, come sono, fra le lingue romanze, il sardo, dove si trova ancora la pronuncia del c come k anche davanti a vocali palatali, o il romeno con notevoli tracce dell'antica declinazione.
Bibl.: Ch. Bally, Traité de stylistique française, 2ª ed., I, Heidelberg 1921, p. 80 segg.