Vedi Arbitrato nel commercio e negli investimenti internazionali dell'anno: 2014 - 2015 - 2016 - 2017
Arbitrato nel commercio e negli investimenti internazionali
Nel periodo di riferimento (ottobre 2015 settembre 2016) si registra una importante attività arbitrale tanto in materia commerciale internazionale che in materia di investimenti diretti esteri.
Al 30 giugno 2016, l’ICSID ha registrato ben 570 casi dall’inizio della sua attività, inclusi quelli basati sul meccanismo supplementare dello stesso ente; 44 essendo i casi nei primi sei mesi del 2016.
Tra le tante sentenze (su cui v. pure infra par. 3), si segnala la decisione sull’annullamento del lodo pronunciato nel caso Ioan Micula and Others c. Romania, caso n. ARB/05/20, notificato alle parti nel febbraio 2016. Qui, il Comitato ad hoc dell’ICSID, ponendo fine ad un lungo contenzioso, ha rigettato il ricorso della Romania. Pertanto, restano ferme le conclusioni già raggiunte dal collegio arbitrale con lodo ICSID dell’11 febbraio 20131.
Presso la Corte Permanente di Arbitrato (CPA) dell’Aja, si è avuta la pronuncia di un lodo del massimo rilievo relativo alle rivendicazioni di sovranità della Cina nel Mar cinese meridionale, una zona oggetto di forti tensioni internazionali. Su istanza delle Filippine, il 29 ottobre 2015, in base all’Allegato VII alla Convenzione di Montego Bay sul diritto del Mare del 10 dicembre 1982 (UNCLOS), un collegio arbitrale CPA ha affermato la propria giurisdizione nella controversia con la Cina. Il Governo cinese, il 7 dicembre 2014, aveva pubblicato un documento intitolato «La posizione cinese in merito al problema di giurisdizione rispetto al ricorso all’arbitrato da parte della Repubblica delle Filippine», nel quale dichiarava che il Collegio arbitrale non aveva giurisdizione sul caso. Pronunciandosi sulle eccezioni preliminari, gli arbitri hanno però radicato la propria giurisdizione sulla UNCLOS, in quanto tale trattato è in vigore per entrambe le Parti.
Il 12 luglio 2016, gli arbitri, all’unanimità, pur constatando l’assenza della Cina nel procedimento, hanno statuito che la UNCLOS prevale sui pretesi titoli storici della Cina sulle acque del Mar cinese meridionale (cd. nine-dash line che, secondo la Cina, equivale alla sovranità sul 90% delle acque dell’area), e quindi vale unicamente il regime della zona economica esclusiva previsto dalla UNCLOS2. Muovendo da tale presupposto, gli arbitri hanno concluso, inter alia, che le isole dell’arcipelago delle Spratly, conteso tra Cina, Vietnam, Malaysia, Brunei, Filippine e Taiwan, non possono essere considerate nel loro insieme una zona marittima unica, né estendono la zona economica esclusiva cinese. Inoltre il collegio arbitrale ha accertato che alcune aree rivendicate dalla Cina ricadono all’interno della zona economica esclusiva delle Filippine, e pertanto la Cina è responsabile dell’avvenuta ingerenza nell’attività di pesca e sfruttamento petrolifero di quell’area. Infine, il collegio arbitrale ha altresì ritenuto responsabile la Cina per danno ambientale derivante dalla costruzione di isole artificiali nell’area contesa. Ai sensi dell’art. 296 UNCLOS e dell’art. 11 dell’Annesso VII, il lodo è divenuto definitivo e vincolante per le Parti.
Il 17 dicembre 2015, un collegio arbitrale ICSID ha respinto, per motivi procedurali, il ricorso presentato dalla multinazionale Philip Morris contro l’Australia, presentato in base all’Accordo bilaterale sugli investimenti (BIT) tra Australia e Hong Kong.
Tramite tale atto, la multinazionale contestava la legge australiana sul plain packaging delle sigarette, una legge finalizzata a indurre il consumatore ad evitare il fumo del tabacco e dunque, secondo la società attrice, lesiva dei propri interessi commerciali.
Sulla medesima questione si è pronunciato, l’8 luglio 2016, un altro collegio arbitrale ICSID. Ancora una volta, la Philip Morris accusava l’Uruguay di violare il BIT con la Svizzera, avendo adottato alcune misure concernenti, oltre al divieto di fumare in spazi chiusi, l’apposizione di informazioni circa i danni alla salute per il consumatore, su una superficie pari all’80% del pacchetto di sigarette.
L’Uruguay, a propria volta, giustificava tali misure anche alla luce dell’entrata in vigore della Convenzione quadro OMS per il controllo del tabacco del 2003.
In una prima fase del contenzioso, l’Uruguay aveva sostenuto che gli arbitri ICSID fossero carenti di giurisdizione per diverse ragioni, tra cui il diritto di ciascuna Parte contraente a non consentire certe attività economiche per ragioni di tutela della salute pubblica, di cui all’art. 2, par. 1, del BIT in questione. Senonché, il 2 luglio 2013, gli arbitri si dichiaravano competenti e respingevano la richiesta dell’Uruguay di operare una “integrazione sistemica” delle norme della Convenzione contro il tabacco (ratificata dall’Uruguay ma soltanto firmata dalla Svizzera) e del diritto alla salute di cui all’art. 12 del Patto ONU sui diritti sociali e culturali (in vigore in entrambi gli Stati).
Con ordinanza del 17 febbraio 2015 il collegio arbitrale ha poi accolto la richiesta dell’OMS e del Segretariato della Convenzione quadro sul controllo del tabacco di intervenire a titolo di amici curiae ai sensi dell’art. 37, par. 2, del Regolamento di arbitrato ICSID.
Pronunciandosi nel merito, il collegio arbitrale ha concluso che l’adozione della legislazione antitabagismo costituiva un legittimo atto sovrano, adottato in buona fede, alla luce dell’interesse pubblico e della tutela della salute umana. Pertanto, trattandosi di misure non discriminatorie e proporzionate, non si riscontrava nel caso di specie una violazione del trattamento giusto ed equo rivendicato dalla multinazionale.
Secondo gli arbitri «the responsibility for public health measures rests with the government and investment tribunals sholud pay great deference to governmental judgement of national needs in matters such as the protection of public health» (punto 399). Pertanto, in assenza di una specifica clausola di stabilizzazione della legge applicabile, ne segue che «changes to general legislation … are not prevented by the fair and equitable standards if they do not exceed the exercise of the host’s State normal regulatoy power in the pursuance of a public interest and do not modify the regulatory framework relied upon by the investor at the time of its investment ‘outside of the acceptable margin of change’» (punto 423).
Il 20 aprile 2016 la Corte distrettuale dell’Aja, nei Paesi Bassi, ha annullato i “lodi Yukos”. Si tratta del punto d’arrivo di una complessa vicenda.
Con tre lodi del 2014, i collegi arbitrali istituiti presso la CPA, ai sensi dell’art. 26 del Trattato sulla Carta europea dell’energia del 1994, hanno condannato all’unanimità la Federazione Russa al pagamento di 50 miliardi di dollari oltre alle spese del giudizio, a titolo di risarcimento danni, per aver adottato misure di effetto equivalente ad un’espropriazione nei confronti della società Yukos, la principale società petrolifera russa.
Secondo gli arbitri, le misure adottate dalla Russia nei confronti della Yukos, quali l’avvio di numerosi procedimenti penali, l’aumento improvviso ed ingiustificato dell’imposizione fiscale, nonché le molestie subite dai dipendenti della società, avevano quale obiettivo principale quello di far fallire la Yukos ed appropriarsi dei suoi beni. Trattandosi di una forma particolare di espropriazione strisciante, seppur formalmente compiuta secondo la legge russa, gli arbitri ne deducevano che gli organi dello Stato russo, si erano prefigurati l’obiettivo del fallimento della Yukos allo scopo di assegnarne i beni ad una società controllata dallo Stato e di arrestare il suo azionista di maggioranza e CEO, M. Khodorkovsky, il quale stava diventando un pericoloso antagonista politico del Presidente russo. In quest’ottica, ossia quella dell’art. 13 del Trattato sulla Carta europea dell’energia, la Russia è stata ritenuta responsabile, inter alia, della mancata corresponsione di un indennizzo tempestivo, congruo ed effettivo.
Senonché, i giudici olandesi di prime cure, a differenza degli arbitri, hanno ritenuto che questi ultimi non avessero competenza, in quanto la Russia, pur avendo firmato il Trattato sulla Carta europea dell’energia del 1994 non lo aveva ancora ratificato: il trattato, infatti, era in “applicazione provvisoria” ai sensi dell’art. 45 della Carta.
Note
1 V. il testo del lodo in Dir. comm. int., 2016, 469 ss.. In arg. v. pure Marrella, F., “Unione europea e investimenti esteri”, in SIDI, L’UE a vent’anni da Maastricht: verso nuove regole, a cura di S. M. Carbone, Napoli, 2013, 107-140.
2 Riferimenti in www.pcacpa.org.