ARATRO (fr. charrue; sp. arado; ted. Pflug; ingl. plough)
È lo strumento classico, usato fin dai tempi più remoti per rompere e smuovere la superficie del terreno per la coltivazione. Tutti gli aratri, anche i più semplici e rudimentali, sono sempre costituiti da tre parti caratteristiche, ognuna delle quali adempie ad un determinato ufficio: il timone o bure, che serve per applicarvi la forza trainante, la stiva o stegola, che viene afferrata dall'uomo per la guida dell'aratro, ed il corpo lavorante, che serve per scalfire, rompere, smuovere e talora rivoltare il terreno. La parte destinata a rivoltare la terra, chiamata versoio od orecchio, il coltro e le ruote, si trovano nei tipi più recenti e perfezionati, e la loro introduzione rappresenta tante tappe nello sviluppo, nel perfezionamento e nell'adattamento ai diversi climi e terreni di questo strumento, sviluppo e perfezionamento che ha proceduto di pari passo con la civiltà.
Origine e sviluppo. - Se ci riferiamo all'origine dell'aratro, per seguirne attraverso i tempi ed i popoli i successivi gradi di sviluppo, potremo far derivare tutti gli aratri esistenti da due tipi fondamentali: a) aratri a bure diritta o a bastone, i quali si possono collegare a quel primitivo strumento a mano che è il bastone da scavo; b) aratri a bure curva o ad uncino, che hanno il loro antenato in uno strumento a mano a percussione, la zappa.
La forma più semplice di aratro con la bure diritta è rappresentata da un bastone disposto pressoché verticalmente, con la estremità superiore leggermente spostata all'indietro e con quella inferiore curvata in avanti terminante a punta. In questo aratro, al posto della bure vi è una fune che vien fissata a circa metà altezza del bastone, e un pezzo di legno disposto obliquamente collega la parte inferiore del bastone alla fune per conferire la necessaria stabilità. La parte inferiore del bastone funziona da corpo lavorante, quella superiore serve da stiva e, infine, la fune compie l'ufficio della bure, cioè ad essa viene applicato il tiro.
Un primo perfezionamento di questo tipo d'aratro venne ottenuto sostituendo alla fune una bure di legno. Quando questa viene rigidamente collegata al bastone, che funziona da stiva e da corpo lavorante, il legno obliquo di collegamento può anche mancare, essendo sempre molto piccolo lo sforzo che si deve esercitare con simili aratri (fig. 1; antico Egitto). La fig. 2 rappresenta un aratro simile, ma in cui la stiva è sdoppiata per meglio afferrarla. Un derivato di questo ultimo tipo è rappresentato dagli antichi aratri greci delle figg. 3-4 muniti di ruote.
Incurvando maggiormente in avanti la punta lavorante del bastone, ciò che rende possibile un miglior lavoro, la differenza fra corpo lavorante e stiva si accentua. Questo aumento di curvatura, che permette di lavorar più profondo e di conseguenza richiede maggior forza di trazione, esige l'aggiunta di una quarta parte oltre a quelle fondamentali citate più sopra; e cioè di quella parte che oggi chiamano colonnetta, la quale negli aratri moderni è posta dietro al corpo lavorante. Poiché questa, data la sua posizione, lavora a tensione anziché a compressione, così per la sua costruzione si può usare tanto il legno quanto qualsiasi altro materiale di collegamento. Le figg. 5 e 6 rappresentano un antico aratro egiziano in cui il collegamento è ottenuto mediante una fune; sistema che ha però avuto scarsa diffusione.
Dall'aratro a bastone si passa a forme molto diffuse delle quali è capostipite l'aratro a chiodo, ancora usato nell'Italia meridionale, in Sicilia, in Boemia, nel Montenegro e nell'Ucraina (figg. 7 e 8). In questi aratri la parte inferiore del bastone è molto incurvata in avanti e presenta una superficie di contatto col terreno abbastanza lunga, superficie che negli aratri moderni industriali viene formata da un pezzo speciale chiamato suola. Un aratro simile ai moderni, ma più rozzo, è quello rappresentato dalla fig. 9, assai diffuso ancora nel Turkestān e nell'India. Prolungandosi la suola, ossia la parte del corpo lavorante che striscia sul terreno, si rende necessario un più robusto collegamento fra questo e la bure e, poiché tanto la suola quanto la bure tengono a risultare orizzontali, la colonnetta si dispone pressoché verticalmente (fig. 10, isola di Giava). La colonnetta così posta viene a diminuire notevolmente lo sforzo a cui è sottoposta negli altri aratri la parte curva del bastone che fa da stiva e da corpo lavorante. Anzi, si può senz'altro suddividere il bastone in due parti fra loro collegate da una o più colonnette ad incastro e la fig. 11 (vecchio aratro napoletano) rappresenta appunto uno di tali aratri nella forma più semplice, mentre la fig. 12 ne mostra un tipo antico (Rezia) con ruote.
Completamente diversi dagli aratri sin qui esaminati sono quelli appartenenti al gruppo degli aratri a bure curva o ad uncino, poiché hanno appunto origine da un uncino formato da un ramo d'albero più o meno grosso con biforcazione ad uncino, la cui branca più corta termina a punta per penetrare nel terreno e la più lunga conducente agli uomini o agli animali destinati a trainarlo.
Come si vede facilmente, negli aratri che derivano dall'uncino la stiva e il corpo lavorante non sono formati da un solo pezzo come negli aratri a bastone, ma corpo lavorante e bure sono in un sol pezzo e la stiva nell'aratro originario manca affatto. Il punto di partenza di questo gruppo era un uncino ad angolo pressoché retto (figura 13). Quasi subito però venne impiegato un ramo con un uncino ad angolo piu̇ acuto, così che il corpo lavorante venisse a essere quasi parallelo al terreno con una lunga snperficie di appoggio e vi si aggiunse una rudimentale stiva (fig. 14).
L'allungamento della suola ha portato alla costruzione di una stiva migliore e più robusta e, poiché il punto d'attacco dello sforzo di trazione applicato alla bure è molto indietro rispetto alla punta del corpo lavorante, nasce la stiva come pezzo a sé (fig. 15).
Mentre negli aratri a bastone abbiamo visto operarsi un distacco della stiva dal corpo lavorante, in quelli che derivano dall'uncino si nota un distacco della bure dal corpo lavorante (fig. 16), e a questo punto, come negli aratri a bastone, si vede comparire la colonnetta. Inoltre, per effetto della forte curvatura, la bure viene sollecitata non a tensione semplice, ma contemporaneamente a tensione e flessione e, siccome l'effetto di quest'ultima è massimo nel punto di maggior curvatura, in questa posizione si assegnano ad essa, per la resistenza, notevoli dimensioni (fig. 17).
Fin qui lo sviluppo dei due grandi gruppi di aratri si è mantenuto su due linee parallele e ben distinte, ma il parallelismo e la distinzione incominciano a scomparire non appena viene adottata la colonnetta e i due gruppi vengono ad influenzarsi a vicenda.
Mentre negli aratri a bastone la bure si va a collegare direttamente alla stiva, non così avviene in quelli che derivano dall'uncino. Infatti, come può osservarsi nella fig. 16, la bure e la stiva s'innestano al corpo lavorante a una certa distanza l'una dall'altra, ciò che rende difficile la guida di tali aratri. Un miglioramento viene ottenuto riducendo tale distanza ed allora i due fori d'unione della bure, stiva e corpo lavorante, si avvicinano. Nelle figg. 17 e 18 i due fori si trovano già l'uno accanto all'altro.
Portando ulteriormente avanti l'estremità inferiore della stiva, si arriva agli aratri nei quali bure e stiva s'incrociano (fig. 19). Questo incrocio porta ad un collegamento più rigido di esse in un punto situato al di sopra del corpo lavorante (fig. 20), facilitando grandemente la guida. Anche questo aratro ha finito per trasformarsi col tempo in un aratro a ruote (fig. 21).
Distribuzione dei diversi tipi. - L'aratro accompagna una delle forme caratteristiche dell'agricoltura superiore (v. culturali, cicli) e non si trova quindi fuori dell'ambito geografico di essa: i limiti meridionali sono dati dal Sahara e dall'Etiopia (v. africa: culture) e quelli orientali non oltrepassano l'arcipelago indiano. L'agricoltura indigena delle regioni tropicali dell'Africa e dell'Oceania e quella dell'America ignoravano, prima della colonizzazione europea, lo strumento. Entro all'area indicata, considerando gli aratri descritti nella loro distribuzione cronologica e geografica, troviamo che il tipo più semplice di aratro a bastone (fig. 1) appare già nella Liguria preistorica, nell'antico Egitto e, attualmente, nella Svezia, mentre forme poco modificate (figg. 2, 5), oltre che nell'antico Egitto, s'incontrano nella Svezia, in Lituania e in Lettonia e nella Russia occidentale. L'aratro a chiodo è ancora usato in Boemia, nell'Ucraina, nell'Italia meridionale, in Sicilia e nell'Africa settentrionale: lo stesso tipo, a ruote, compare già nella Grecia e in Roma antiche. Ad oriente del Mar Caspio si trovano diverse forme che appartengono al tipo 9, che si ha pure nel Turkestān e nell'India, mentre il tipo 10 (noto anche nell'antica Grecia) è usato nell'Egitto e nella regione dell'Atlante, presso i popoli Slavi e quelli Persiani e, infine, anche in Cina e in tutta la Malesia. Le forme 11 si notano ancora presso gli Slavi, nell'Armenia e in alcune localiià del Napoletano.
Da quanto si è detto, è facile rilevare che l'Africa settentrionale, l'Egitto, la Grecia antica, paesi slavi, la regione del Mar Caspio e tutta l'Asia centro-meridionale e orientale, sono i principali paesi dove esiste il tipo di aratro che deriva dal bastone, il quale, eccezionalmente, si trova anche nell'Italia meridionale e in Armenia.
Una zona tutta diversa è preferita dall'aratro che ha origine dall'uncino. Le forme 13-14 erano anticamente diffuse in Italia e nella Spagna; esse sono propriamente preromane ed etrusche. L'aratro 15 si ha nel Caucaso, nell'isola di Ustica ed inoltre esso rappresenta il tipo classico dell'antica Grecia e dei primi tempi di Roma; alcuni esemplari di questa forma furono trovati persino nella Prussia orientale. L'aratro 16 è degli antichi popoli veneti e greci ed è usato attualmente ancora in Grecia, nelle Baleari, nell'Africa settentrionale, nella Siria e in Arabia. La forma 17 proviene dall'Egitto settentrionale, ma si ha pure neil'Albania centrale, sul versante meridionale delle Alpi, e, in passato, si aveva in tutta la Provincia romana. Nelle Alpi meridionali e in Boemia si trovano ancor oggi i tipi 20-21, e quest'ultimo è classico della civiltà romana, modificato e perfezionato, lo troviamo ancor oggi in qualche zona del Mantovano e della bassa pianura di Padova. Gli esemplari più semplici degli aratri di questo intero gruppo provengono dal Caucaso, dalla Grecia antica e dall'Etruria.
L'origine di questo aratro si dovrebbe ricercare forse in qualche paese dell'Asia occidentale. L'aratro attuale del Caucaso, dell'Arabia e della Siria sembra appoggiare questa ipotesi ed esso potrebbe rappresentare in tali paesi il discendente diretto della forma originaria. È pure da supporsi che gli Etruschi siano stati i primi a introdurre questa forma di aratro in Italia e che la sua ulteriore diffusione in Egitto, nella Francia, nella Spagna e nelle Alpi sia stata opera della civiltà romana.
Mentre però per gli aratri ad uncino si può ammettere un unico centro di origine, per gli aratri a bastone si devono ammettere, secondo il Nopcsa, almeno due centri di diffusione. Il centro meridionale dell'aratro a bastone si può ricercare in Egitto e un altro centro sembra si debba collocare in qualche paese posto a nord o a nord-est del Mar Caspio. Di qui, nei tempi preistorici, i primi aratri a bastone dovettero passare, attraverso la Russia, nella Lituania e nella Svezia. Nella Lituania, dagli aratri a bastone si sono generati quelli ad uncino-bastone che si trovano fino in Svezia e nella Boemia, mentre a sud sembra essersi diffuso, con la ceramica "nastriforme", verso i Balcani e la Grecia (Traci) l'aratro a bastone munito di suola. Dalla Grecia poi, probabilmente dopo Alessandro, questo tipo dové guadagnare l'Egitto, tutta la costa nord dell'Africa ed anche la Magna Grecia, come indica l'esistenza isolata di questo tipo di aratro nella Puglia.
Nell'Egitto e nell'Africa settentrionale questo aratro fu soppiantato in parte da quello romano ad uncino, mentre con le invasioni medievali degli Slavi, l'aratro a bastone nella sua forma primitiva venne nuovamente importato dalla Russia Bianca nell'Europa centrale e meridionale.
Come risultato di questi complessi movimenti, si trovano oggi alcune regioni, come l'Albania settentrionale o la Tunisia, dove gli aratri dei due gruppi si sono influenzati reciprocamente. Così p. es. nell'Albania, accanto agli aratri romani e a quelli slavi, si trova un tipo che presenta la stiva ed il corpo lavorante in un sol pezzo come negli aratri a bastone, ma l'uno e l'altro molto incurvati in avanti, mentre la loro bure applicata al corpo lavorante, ha una forte curvatura, come negli aratri ad uncino (figura 22). Questi aratri, molto interessanti, s'incontrano anche nel Tibet (fig. 23).
Nella Tunisia e in Calabria si trovano aratri analoghi ma nei quali bure, corpo lavorante e stiva sono formati da tre pezzi distinti collegati fra loro, con bure e stiva incrociate, e colonnetta molto in avanti (figura 24). Il centro di origine di questi aratri compositi si può ricercare nel basso Egitto e forse la loro diffusione in Tunisia e anche nella Francia e nell'Italia meridionale, si deve agli Arabi.
Bibl.: F. Nopcsa, Albanien, Berlino 1925; id., Zur Genese der primitiven Pflugtypen, in Zeitschr. f. Ethnologie, LI (1919); J. Löwenthal, Zur Erfindungsgesch. des Pfluges, in Zeitschr. f. Ethnologie, XLVIII (1916); H. Chevalier, Les charrues des Indes néerlandaises, in Int. Arch. f. Ethnographie, Leida 1905; W. Schmidt e W. Koppers, Gesellschaft und Wirtschaft der Völker, Regensburg 1924.
L'aratro presso gli antichi.
L'origine dell'aratro è connessa col sorgere e col formarsi degli aggregati sociali che hanno portato l'uomo alla vita sedentaria, non solo, ma che hanno pure reso possibile la coltivazione di grandi estensioni di terreno e l'allevamento del bestiame grosso, necessario al duro lavoro dei campi. È probabile quindi che l'invenzione abbia avuto luogo negli stessi paesi in cui fu primamente praticata l'agricoltura superiore. Ora, poiché è dimostrato che nell'Oriente e nell'Egitto già nel Neolitico esistevano delle grandi piantagioni di orzo e di frumento e di miglio, mentre le nostre popolazioni palafitticole conducevano ancora una vita grama, soddisfacendo talora le imperiose esigenze del loro stomaco eon ghiande, non è improbabile che in questa età e da quei popoli ricchi e civili ci sia venuto l'utile strumento. Che l'aratro sia un'invenzione dell'Oriente porterebbe a crederlo anche la grande quantità di ossa di bue uscite dagli strati neolitici di Megiddo, Gerico, Gezer (Palestina), che testimoniano della diffusione di questo animale da trazione. L'aratro neolitico dev'essere stato un semplice bastone piegato ad un'estremità, che poteva tracciare i solchi leggieri necessarî ai piccoli semi dei nostri cereali, mentre quello dell'età del bronzo, il primo che conosciamo, testimonia di un grado già abbastanza alto di perfezione. Due interessanti incisioni rupestri di Val Fontanalba nella Liguria, poste dall'Issel nell'età del bronzo, e un'altra di Tegneby nel Bohuslän (Svezia) offrono un'idea abbastanza chiara dello strumento di quell'età. Tanto nelle prime quanto nella seconda esso appare formato di un lungo bastone sinuoso, che all'una estremità porta il giogo (forse tenuto fermo da un cavicchio), al quale sono aggiogati i buoi, e all'altra due rami trasversali di cui il superiore forma la stiva e l'inferiore la bure e il ceppo. Di questa forma era anche l'aratro delle prime dinastie egiziane e così doveva essere l'αὐτόγυον ἄροτρον (l'aratro naturale) di Esiodo (Opere e Giorni, 427-436, 467-469), la cui invenzione era attribuita dai Greci all'eroe "che aggiogò i buoi", Buzige, oppure all'"eroe della stiva", Echetlo, rappresentato in alcuni rilievi di urne etrusche, derivati da modelli greci, come un giovane che impugna un tronco d'albero il quale porta ad un'estremità un ramo, il timone cioè col suo ceppo. Né diverso dal primitivo aratro disegnato sulle rupi della Liguria era l'aratro usato dai prisci Latini, che i tardi nipoti ricordavano nelle monete commemorative delle fondazioni delle colonie (v. colonia): sempre il timone, la bure, il ceppo e la stiva sono uniti in un solo tronco. In nessuno di questi monumenti è visibile il vomere, ma è certo che esso ha costituito una delle parti dell'aratro sin dai primordî, in forma di grossa pietra appuntita dapprima o come lama o punta di bronzo nell'età posteriore. Un bronzetto etrusco di Arezzo, dove (a parte la figura di Atena ch'è un'aggiunta moderna) è rappresentato con vivezza naturalistica un agricoltore che dirige una coppia di buoi aggiogati a un aratro di forma primitiva, mostra appunto come esso fosse legato al ceppo per mezzo di un doppio laccio probabilmente di cuoio (Roma, Museo Nazionale di Villa Giulia).
Sugli aratri di età classica ci istruiscono abbastanza gli antichi scrittori e le rappresentazioni figurate, specie di vasi, di monete e di gemme. In Grecia oltre all'aratro naturale Esiodo ricorda anche l'aratro composto (πηχτὸν), che in sostanza è l'aratro naturale formato con pezzi staccati. Essi portavano i seguenti nomi: ἱστοβοεύς, il timone, γύης, la bure, ἔλυμα, il ceppo, ὕννις, il vomere, ἐχέτλη, la stiva. Il giogo era fissato al timone per mezzo di un cavicchio.
Per nulla diverso dall'aratro composto di Esiodo era l'aratro italico. Ne è prova l'esemplare rappresentato su una situla bronzea uscita dal sepolcreto etrusco della Certosa di Bologna.
I nomi delle parti dell'aratro romano conservatici principalmente attraverso i testi di Virgilio (Georg., V, 169 segg.), Varrone (De ling. lat., V, 135) e Columella (Res rust., II, 4) sono: temo, il timone, buris, la bure, dentale, il ceppo (che poteva avere un duplex dorsum oppure si biforcava in due rami [dentalia] che si riunivano in punta e a cui si attaccava il vomere), stiva, la stiva, munita di una manovella (manibula o manicula), le aures, che erano due tavole inchiodate sul ceppo e avevano il compito di ricoprire i solchi seminati e di farne degli altri per lo scolo delle acque, e infine il vomis, il vomere. Quest'ultimo, chiamato anche dens, era di bronzo nei tempi più antichi e più tardi di ferro. V'erano più modi di fissarlo al ceppo; il più antico, come si è visto, consisteva in una semplice legatura, ma il più sicuro era quello d'incastrarlo "come un dente nel suo alveolo" (Varrone, De ling. lat., IV, 131). Variavano le sue forme a seconda dei terreni; alcune ci sono note attraverso esemplari usciti dagli scavi, altri sono stati descritti da Plinio (Nat. Hist., XVIII, 48, 2). La più diffusa era a forma di sottile losanga coi bordi alzati e ripiegati. Oltre al vomere usarono gli antichi anche il coltro (culter) che serviva per tagliare verticalmente i terreni.
L'aratro su ruote, plaustraratrum, inventato, secondo Plinio, dai Galli retici, era diffuso in tutta l'Italia superiore, dove la terra grassa e compatta richiede gran forza di buoi per essere rotta. Nel plaustraratrum la bure poggiava sul castello del carro.
Per l'aratro nell'agricoltura moderna v. agricole, macchine.
Bibl.: Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et romaines, I, Parigi 1877; A. Baumeister, Denkm. des class. Altert., Lipsia 1885, p. 10; H. Behlen, Der Pflug u. d. Pflügen bei d. Römern u. in Mitteleuropa in vorgeschichtlicher Zeit, Dillenburg 1904; E. Hahn, Entstehung d. Pflugkultur, Berlino 1911; V, Hehn, Kulturpflanzen u. Haustiere, Berlino 1911; M. Hoernes, L'uomo, storia naturale e preistoria, (trad. ital.) Milano 1912-1913; J. Dechelette, Man. d'archéol. préhist., celtique et gallo-rom., I e III, Parigi 1914; R. Cagnat-V. Chapot, Manuel d'archéol. rom., II, Parigi 1920.