ISOZAKI, Arata
Architetto giapponese, nato a Oita (isola di Kyushu) il 23 luglio 1931. Ha studiato e si è laureato nell'università di Tokyo, lavorando poi con K. Tange dal 1954 al 1963, anno in cui ha aperto il suo studio (Arata Isozaki Atelier) a Tokyo. Ha tenuto cicli di lezioni in varie università americane e le sue opere sono state esposte in numerose mostre di architettura in varie parti del mondo. Vincitore di premi nazionali e internazionali; le sue realizzazioni, i suoi progetti e i suoi scritti sono apparsi in moltissime pubblicazioni, periodiche e monografiche, nordamericane, sudamericane ed europee.
Anticipata dall'interesse per il tema delle rovine (un'eco delle distruzioni di Hiroshima è Electric Labyrinth esposto alla Triennale di Milano del 1968), la sua prima fase di attività è caratterizzata da progetti utopico-programmatici in linea con le posizioni del gruppo inglese Archigram e con le proposte del gruppo giapponese Metabolism. Emblematici sono i vari disegni dell'Aerial City: in particolare i due che propongono la città come risultante di un confronto dialettico tra elementi cilindrici verticali, ai quali si agganciano le aeree strutture del tessuto insediativo, e i paesaggi di rovine archeologiche o di preesistenti ma indistinti tessuti urbani.
L'architettura di I. non sviluppa, tuttavia, il tema delle rovine nel solco "della vecchia estetica romantica... seguita dai revivalisti del diciannovesimo secolo o anche dagli autoritari fascisti del Terzo Reich" (Miyake 1987). Vi si coglie, invece, un drammatico raffronto tra il passato (appunto emblematizzato e schematizzato in elementi archeologici di valore archetipico) e una realtà futuribile che dovrebbe materializzarsi quale riaggregazione e riappropriazione di tali elementi all'interno delle progettate nuove strutture insediative. La componente manieristica di tale processo progettuale emerge anche dai suoi scritti tra cui, in particolare, "La dissoluzione dell'architettura" (1975).
Tra le sue realizzazioni architettoniche sono da segnalare il Centro medico di Oita (1961-66); il Piano di espansione della città di Skopje (1965-66) cui ha lavorato come esponente dello staff di Tange; una serie di sedi della Banca Sogo di Fukuoka (sede centrale, Tokyo, Nagasumi, Saga, Ropponmatsu) eseguite tra il 1968 e il 1973; il Museo d'arte moderna della Prefettura di Gumma (1972-74); il Museo d'arte e la Biblioteca Centrale della città di Kitakyushu (1972-74); l'edificio Shuko-sha a Fukuoka (1974-75); il Centro generale per esposizioni del Giappone occidentale (1975-77); la casa Kaijima a Tokyo (1976-77); il municipio di Kamioka (1976-78); la casa Hayashi presso Fukuoka (1977); il Centro audiovisivo di Oita (1977-79); l'edificio della Nippon Electric Glass Co.Ltd a Otsu (1977-80); il Museo d'arte contemporanea di Los Angeles (1981-86); il palazzo dello sport San Jordi a Barcellona (1984-90); l'Art Tower a Mito-Ibaragi (1986-90); il centro di conferenze di Kitakyushu (1987-90).
In queste, come in altre opere qui non citate, sono evidenti numerosi riferimenti, espliciti o impliciti, ad architetti della ''prima età moderna'' (per es. C. N. Ledoux) o dei primi anni del 20° secolo (da A. Loos a Le Corbusier, ecc.). Ma è altrettanto evidente la sintassi combinatoria di volumi elementari (soprattutto il cubo e il cilindro), sviluppati lungo direttrici e generatrici ad andamento lineare, curvilineo, sinusoidale, ad avvolgimento, ecc. Vedi tav. f.t.
Tra i suoi scritti: Directions in today's architecture. A discussion between Kenzo Tange and Arata Isozaki, in The Japan Architect, luglio 1970; Kenchikuno-kaitai, "La dissoluzione dell'architettura" (1975); The metaphor of the cube, in The Japan Architect, marzo 1976; Rhetoric of the cilinder, ibid., aprile 1976; A metaphor relating with water, ibid., marzo 1978; A rethinking of spaces of darkness, ibid., marzo 1981.
Bibl.: Ph. Drew, Third generation. The changing meaning of architecture, Londra 1969; R. Boyd, Orientamenti nuovi nell'architettura giapponese, Milano 1969; P. Riani, Architettura giapponese contemporanea, Firenze 1969; Ch. Jencks, Beyond Metabolism, New York 1978; M. Emanuel, s.v., in Contemporary architects, Londra 1980; Ph. Drew, Arata Isozaki, ivi 1982; B. Barattucci, B. Di Russo, Arata Isozaki. Architetture 1959-1982, Roma 1983; R. Miyake, The afterimage of ruins, in The Japan Architect, 359 (marzo 1987), pp. 6-7.