ARABI (III, p. 820; App. II, 1, p. 225)
Storia. - L'immediato dopoguerra (all'incirca 1945-48) aveva già consentito agli Arabi di trarre sostanziali vantaggi dal secondo conflitto mondiale, che era stato per essi assai meno cruento e deludente del primo. Il mutato clima internazionale, il desiderio degli Alleati di non ripetere gli errori del passato, e l'attiva opera degli A. stessi, che nella Lega avevano creato uno strumento di coordinazione e rappresentanza comune, permisero fin da allora di perfezionare l'indipendenza di taluni Stati del Crescente fertile, quali lo ‛Irāq, la Siria e il Libano, che nel primo dopoguerra avevano conosciuto solo l'ambigua soluzione del Mandato. Il decennio susseguito (1949-59) doveva vedere ulteriori affermazioni dell'ideale arabo di indipendenza, e insieme alcuni decisivi progressi di quello dell'unità; rivelando però insieme le persistenti difficoltà interne ed esterne contro cui deve lottare ogni programma panarabo.
Lo smantellamento delle superstiti posizioni del colonialismo europeo, più o meno dissimulato da formule di mandati e protettorati, è proseguito con ritmo irresistibile, estendendosi dal mondo arabo d'Oriente a quello occidentale. L'Egitto, cerniera delle due parti dell'arabismo, è balzato in primo piano in questo processo, conseguendo con l'accordo del 19 ottobre 1954 la totale fine dell'occupazione militare britannica, e ottenendo entro i venti mesi susseguiti anche quella della zona del Canale. Seguiva subito dopo, provocata dall'improvvisa nazionalizzazione di questa vitale via d'acqua, la crisi di Suez (novembre 1956), che vedeva per la prima volta uno stato arabo sfidare fino all'aperto conflitto due ex grandi potenze europee, e grazie alle incertezze ed esitanze di queste, alla dissociazione degli S.U.A., e alla minaccia sovietica, uscirne vittorioso. L'episodio segnava la maggiore umiliazione inflitta dagli A. (e sia pure per forza non propria, ma di terzi fiancheggiatori) agli antichi tutori europei, e poneva la pietra tombale a ogni velleità di diretto intervento coi vecchi metodi del colonialismo.
Altri indipendenti stati arabi si formavano frattanto a sud e a occidente della Valle del Nilo: il 1° gennaio 1956 nasceva la repubblica del Sudan, sul disciolto condominio anglo-egiziano, con la estromissione britannica ma anche con una delusione in quel settore per il nascente imperialismo egiziano. Già dalla fine del 1951 era sorta in Tripolitania, Cirenaica e Fezzàn la monarchia federale di Libia, sotto lo scettro di quella famiglia Senussita che aveva costituito il simbolo della resistenza arabo-islamica alla penetrazione italiana nell'Africa settentrionale. La formazione di questo stato indipendente del Maghreb contribuiva ad accelerare le rivendicazioni nazionali di tutto il gruppo arabo maghrebino sotto tutela francese. Tunisia e Marocco, dopo un decennio di lotta diplomatica, pubblicistica e in certi momenti anche a mano armata, sboccarono entrambe quasi contemporaneamente all'abolizione dei due Protettorati (20 marzo 1956 per la Tunisia, 2 marzo dello stesso anno per il Marocco, che recuperava pochi mesi dopo anche la sua zona spagnola); e in Tunisia cadeva nel 1957 la vecchia dinastia beilicale, assurgendo colà a capo dello Stato il leader della lotta per l'indipendenza Bourghiba, mentre nel Marocco si consolidava sotto il segno dell'unità e del programmatico ammodernamento civile la dinastia sceriffiana.
Due soli punti, dall'altipiano iranico all'Atlantico, sono rimasti a interrompere questa catena di Stati indipendenti su tutto il territorio dell'antica diaspora araba; a oriente Israele, a occidente l'Algeria. La creazione dello Stato israeliano (maggio 1948) fu il banco di prova della solidarietà panaraba, che nella tentata azione militare si rivelò inefficace, e si è da allora irrigidita sul piano politico in una ostinata quanto sterile intransigenza. Interrotte le infelici operazioni militari con gli armistizî del 1949, gli stati arabi hanno da allora combattuto Israele con le armi del boicottaggio politico ed economico, ottenendone solo il perpetuarsi di una zona di frizione e instabilità nel Vicino Oriente. Il problema di Israele, risolto sul piano pratico con l'affermarsi vitale del giovane stato sionista (che ancora nel 1956, con la rapida campagna del Sinai, mostrò la sua superiorità militare sui vicini nemici), resta nei riguardi degli A. insoluto, legato a gravi pregiudiziali morali e alla sistemazione di quasi un milione di profughi, non potuti o non voluti assorbire dai loro confratelli che li hanno ospitati. Né meno arduo e di lontana soluzione sembra, all'altro capo del mondo arabo, il problema algerino. A differenza della Tunisia e del Marocco, l'Algeria non aveva serbato alcuna parvenza di continuità dinastica e statale su cui far leva nel moto di indipendenza; cosicché l'insurrezione armata (dal novembre 1954) e la logorante guerriglia che se ne è sviluppata, hanno impostato il problema della indipendenza algerina in termini di pura forza, urtando contro la durissima resistenza, ancor più che della Metropoli, dell'elemento coloniale francese. Esso non ha esitato a forzare esso stesso la mano alla madrepatria (maggio 1958), allorché questa sembrava fosse per cedere alle richieste del nazionalismo indigeno; e la partita è tuttora aperta, coinvolgendo del pari le sorti dell'Algeria e della Francia in un imbroglio, che le stesse bene intenzionate dichiarazioni di De Gaulle (settembre 1959; novembre 1960) sul diritto degli Algerini alla autodecisione, non sappiamo se varranno a risolvere.
Di pari passo con i problemi della indipendenza, e ora in convergenza con questi, ora con imprevedibili complicazioni e sviluppi, il mondo arabo ha vissuto in questo decennio quelli dell'unità: una unità che riluce come lontano ideale e come affermazione programmatica, di cui fu simbolo e auspicio la fondazione della Lega araba, ma che fortissime resistenze e divergenze d'interessi hanno ostacolato e seguitano ad ostacolare. Il particolarismo o regionalismo dei singoli Stati ha fatto finora in realtà da contrappeso alla grande spinta unitaria, e solo la dinamica personalità di un leader come l'egiziano dittatore Nasser ha potuto conseguire su questo punto risultati concreti: l'unione dell'Egitto e della Siria (1° febbraio 1958) in una "Repubblica Araba Unita" a effettiva direzione egiziana, è stato il grande passo innanzi in questo senso, che ha modificato la costellazione degli stati arabi sorta quarant'anni fa dallo sfacelo dell'Impero Ottomano. Questo moto unificatore parve poco dopo bruciare le tappe, estendendosi alle altre parti del Crescente fertile, ma quella stessa sanguinosa rivoluzione irachena (luglio 1958) che sembrò in un primo momento di ispirazione egiziana, si è poi rivelata una remora e quasi un contraltare all'imperialismo nasseriano. Scomparsa infatti nello ‛Irāq la dinastia hashimita, il capo della nuova Repubblica gen. ‛Abd al-Karīm Qāsim è apparso preoccupato di mantenere la autonomia irachena di fronte alla pressione e propaganda della RAU, e nello stesso tempo di avviare lo sviluppo politico e civile di quel paese appoggiandosi sui partiti di sinistra e, nel campo internazionale, sull'Unione Sovietica, già temporanea alleata di Nasser nella crisi di Suez. E come ad Oriente la tendenza panaraba di Nasser trova il suo freno nello ‛Irāq di Qāsim (oltreché s'intende, nella Giordania hashimita), così ad occidente una significativa tensione si è determinata fra la RAU e la Tunisia di Burghiba, accusato dall'estremismo panarabo di debolezza e connivenza con l'Europa. La Lega araba, che avrebbe dovuto servire da arbitra ed equilibratrice di questi contrasti, non ha potuto che rispecchiarne la gravità, registrando nella sua ultima sessione (settembre 1959) l'assenza di Tunisia ed ‛Irāq, i due ribelli all'egemonia nasseriana. Ove gli impulsi unitarî e federativi arrivassero a vincere in un modo o nell'altro queste resistenze, non è inverosimile la eventualità di due grandi raggruppamenti arabi, uno ad oriente comprendente l'Egitto e il Crescente fertile, e uno a occidente con una federazione di Stati maghrebini.
Tale ci appare l'evoluzione del mondo arabo nel decennio, per quanto riguarda la politica estera e le formazioni statali. A così mossa e a tratti drammatica vicenda ha corrisposto l'evoluzione interna, spesso non meno agitata, dei singoli paesi, ove le mantenute o introdotte forme della democrazia parlamentare di tipo europeo male han retto, nel complesso, alle scosse della politica internazionale e alla generale immaturità civile. Il caso più vistoso è stato quello dell'Egitto, che con la rivoluzione militare del luglio 1952 ripudiò non solo la dinastia di Mohammed Alī, ma quello stesso regime parlamentare pluripartitico che da più decennî aveva caratterizzato la vita del paese. Anche la Siria, prima di essere accomunata e livellata all'Egitto nelle forme e nello spirito della demagogia totalitaria, aveva conosciuto un approssimativo regime parlamentare, già però praticamente svuotato ed esautorato da una serie di pronunciamenti militari (ben cinque colpi di stato dal 1949 al 1954), che la indussero infine ad accogliere, anzi a sollecitare l'unione con l'Egitto. Il Libano che nel primo decennio postbellico aveva nel complesso mantenuto una più ordinata o almeno incruenta lotta politica, ebbe nel 1958 la sua crisi violenta, con l'esplodere di una vera e propria guerra civile, pro e contro la figura del presidente Chamun e del suo partito, che minacciò di avere ripercussioni internazionali (sbarco di truppe americane nell'estate di quell'anno, fino all'elezione del nuovo presidente). In una fase politica quanto mai drammatica entrò lo ‛Irāq con il fulmineo colpo di stato del 14 luglio 1958, che eliminò il re Faisal e il primo ministro filo-britannico Nūri Al Sa‛īd, per più anni virtuale dittatore, sostituendovi un regime repubblicano di cui abbiamo già caratterizzato la politica estera, e le progressiste tendenze sociali; il suo futuro appare tuttavia assai incerto per le fortissime correnti di opposizione, sia nazionalista di ispirazione nasseriana, sia di quell'estremismo comunista, che il gen. Qāsim cerca insieme di blandire e di contenere. Lo Stato confinante di Giordania, retto per lunghi anni dall'emiro poi re ‛Abd Allāh e dopo il suo assassinio (1951) dal nipote Husein, parve un momento per essere travolto sotto l'opposta pressione nasseriana e irachena; ma l'energia coraggiosa di Husein, e l'appoggio militare britannico al culmine della crisi, gli hanno permesso almeno momentaneamente di superarla. S'intende che non è il caso di parlare colà di un regime rappresentativo, solo nominalmente esistente; mentre neanche tale esistenza nominale esso ha nella Arabia Saudiana, ancor retta con metodi assolutistici dalla monarchia saudita.
Un elemento comune della storia degli A. in questa età più recente è stato insomma il divampare dell'oltranzismo nazionalista, spesso in forme crude e aggressive, che hanno alienato talvolta agli Arabi le simpatie di chi pur ne aveva accompagnato con entusiasmo il politico risorgimento. L'avvenire mostrerà se, una volta questa fase conchiusasi con la totale conquista della libertà e indipendenza dallo straniero, si faranno valere anche all'interno del mondo arabo esigenze di vera democrazia e civile libertà.
Bibl.: F. Gabrieli, Il risorgimento arabo, Torino 1958.