ARABI (III, p. 820)
Storia. - La storia dei popoli arabi nell'ultimo ventennio si svolge nel consolidamento degli stati nazionali formatisi dopo la prima Guerra mondiale, nella lotta per l'effettiva indipendenza, e nei primi passi (ostacolati peraltro da particolarismi interni, oltre che da difficoltà internazionali) verso un ideale unitario, o almeno federativo panarabo. La sistemazione del Vicino Oriente dopo il primo conflitto aveva lasciato il più progredito fra gli stati arabi, l'Egitto, con una indipendenza formale vincolata dai "quattro punti" della dichiarazione britannica del 1902; la Palestina, l'‛Irāq e la Transgiordania sotto mandato britannico, la Siria sotto quello francese. Questa situazione, che pareva ed era in parte in contraddizione con le promesse di indipendenza fatte agli Arabi durante la guerra, alimentò lo scontento e l'agitazione del nazionalismo arabo contro le potenze mandatarie, attraverso una serrata lotta politico-diplomatica a cui in più d'un caso si accompagnò la rivolta armata. Per effetto di questa continua pressione, già prima di giungere alla seconda Guerra mondiale, la posizione giuridica di quasi tutti gli stati arabi era notevolmente migliorata rispetto a quella iniziale, degli anni 1920-22. Nel 1932 cessava il mandato britannico sull'‛Irāq, sostituito da un trattato d'alleanza, nel 1936 il trattato anglo-egiziano (pur giudicato insoddisfacente dalle correnti nazionaliste avanzate) conduceva l'Egitto alle soglie della effettiva indipendenza, ed analoghi trattati dello stesso anno, peraltro rimasti allora senza la ratifica francese, prevedevano la fine del mandato sulla Siria e sul Libano. Statica invece rimaneva sempre la questione della Palestina, tormentata dal conflitto arabo-ebraico, nonostante i ripetuti progetti di sistemazione, tra il susseguirsi delle rivolte.
In questa situazione, scoppiò il secondo conflitto mondiale. La propaganda dell'Asse tentò energicamente far di leva sulla accennata inquietudine e insoddisfazione del mondo arabo per aizzarlo contro le potenze occidentali; e ovunque trovò a ciò elementi adatti (in prima linea il Gran Mufti di Palestina Amīn el-Ḥuseinī), che agitarono l'opinione pubblica araba e islamica in senso antibritannico. In un sol luogo però tali movimenti sboccarono nell'azione diretta e fu nella rivolta irachena della primavera del 1941 (v. ‛Irāq, in questa App.), capitanata da Rashīd el-Kailānī. Repressa questa facilmente, il moto filoassiale fu ovunque infrenato e sorvegliato, specie dopo che l'occupazione britannico-degollista della Siria e del Libano (estate 1941) ebbe eliminato l'unico temibile focolare di intrighi tedeschi nell'Oriente arabo. L' Egitto proclamò e mantenne a lungo la propria neutralità, ma, secondo il trattato del 1936, concesse alla Gran Bretagna il libero uso del suo territorio per comunicazioni e azioni di guerra, soffocò, come nell'episodio di ‛Alī Māhir pascià (v. in questa App.) le correnti politiche malfide agli Inglesi, e, quando il conflilto volgeva ormai alla fine, dichiarò la guerra alla Germania, come del resto ogni altro stato arabo del Vicino Oriente, allorché tale atto fu dichiarato condizione per essere ammesso nel novero delle Nazioni Unite.
La sostanziale fedeltà, più o meno spontanea, del mondo arabo alla causa degli Alleati maturò i suoi frutti con la vittoria di questi. Nel 1945-46 la Francia scioglieva la promessa di completa indipendenza, ribadita durante il conflitto, alla Siria e al Libano, ritirando completamente le sue truppe dalle due repubbliche del Levante. L'Egitto intavolava nel 1946 trattative con la Gran Bretagna per liberarsi dagli ultimi vincoli del trattato del 1936, chiedendo il totale sgombero militare del suo territorio, e la indivisa sovranità sul Sūdān: tali trattative si arenavano, e parimenti si arenava il ricorso egiziano in tal senso presso le N.U. (1947), ma nel frattempo le truppe britanniche lasciavano di fatto la capitale e il resto del territorio egiziano, raccogliendosi solo lungo il Canale di Suez. La Transgiordania, nel 1946, era proclamata regno indipendente. La tendenza britannica, abbandonata del tutto la politica di forza, è attualmente di cercar di mantenere alcune posizioni nel mondo arabo attraverso alleanze politico-militari ed accordi economici; ma anche questo residuo di imperialismo è vivacemente contrastato dal nazionalismo dei singoli paesi, come si vede dall'atteggiamento dell'Egitto e dai recenti torbidi nel ‛Irāq (inverno 1947-48) contro l'arrendevolezza del governo filobritannico, che è stato obbligato a dimettersi.
Un efficace organo di coordinamento per questa politica degli stati arabi, tendente alla completa eliminazione della diretta influenza europea nel Vicino Oriente, è costituito oggi dalla Lega Araba (v. araba, lega, in questa App.), formatasi nel 1945 al Cairo tra gli stati arabi sovrani: Egitto, Siria, Libano, Transgiordania, ‛Irāq, Arabia Sa‛ūdiana e Yemen. Preceduta dalla conferenza preparatoria di Alessandria (settembre-ottobre 1944), essa porta su un più largo e operante piano internazionale quei parziali accordi tra singoli paesi arabi abbozzatisi già prima della seconda Guerra mondiale, come il "Patto Arabo" del 1936 fra Arabia Sa‛ūdiana e ‛Irāq, cui si era nel 1937 aggregato lo Yemen. A differenza di quegli antichi patti e intese locali, l'attuale Lega, vinte alcune diffidenze particolaristiche, coordina e indirizza la politica estera di tutti gli stati arabi a oriente della Libia, compresa, come affermazione di diritto, la Palestina stessa, ed escluse quelle regioni del mondo arabofono che non hanno ancora raggiunto la piena sovranità (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco). È questo un importante primo passo verso una superiore unità dei popoli arabi, a cui mira il Panarabismo (che ha oggi preso il posto del tramontato Panislamismo), ma cui è per ora diffificile dire se altri passi concreti possano a breve distanza seguire. In sede più strettamente politica, sembra improbabile che le differenziazioni e gli egoismi nazionali possano permettere, oltre questo generale "coordinamento", ulteriori progressi unitarî o federativi; ma, a parte l'innegabile aumento di forza internazionale che già la Lega nella sua fase attuale rappresenta, il movimento panarabo è più che mai vivo nel campo culturale e spirituale, nella coscienza della lingua e della civiltà comune che stringe insieme i varî paesi arabi, e, da passivo oggetto di storia quali erano tutti mezzo secolo addietro, li ha condotti per buona parte alla piena indipendenza.
Banco di prova della solidarietà ed efficienza politica panaraba è oggi il problema della Palestina, alla cui divisione, decisa dalle Nazioni Unite, gli stati arabi si sono, nel maggio 1948, opposti con la forza, iniziando con i loro eserciti collegati operazioni di guerra contro lo Stato ebraico di Israele (v. palestina, in questa Apppendice).
Bibl.: G. Antonius, The Arab Awakening, Londra 1938; E. Rossi, Documenti sull'origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), con introduzione storica, Roma 1944; Rivista Oriente Moderno, 1921 e segg.
Letteratura (p. 842).
La produzione letteraria ha accompagnato il ventennio di intensa vita spirituale dei popoli arabi, soprattutto di quelli posti al centro geografico e culturale dell'arabismo, l'Egitto cioè, la Siria e il Libano. La letteratura egiziana è sempre all'avanguardia della vita culturale araba: se alcune delle figure più rappresentative sono in questi anni scomparse (Shawqīe Ḥāfiẓ Ibrāhīm nel 1932, Mayy nel 1941, ecc.), altre han proseguito intensamente il loro lavoro, allargando la loro fama in tutto il mondo arabo e anche in Europa. Si ricordano il novelliere Maḥmūd Taimŭr, il saggista ‛Abbās Maḥmūd al-‛Aqqād, il critico Taha Husain, il commediografo Tawfīq al-Hakīm: tutte personalità di prima grandezza nella letteratura neoaraba contemporanea. Nel loro solco si muove una schiera di giovani che trova nell'opera di questi maestri modelli esemplari, e contempera col loro diretto influsso l'elaborazione di motivi ed echi delle letterature occidentali: tali il narratore Sa‛īd al-‛Uryān, il filosofo e letterato ‛Abd ar-Raḥmān Badawi, i poeti Muḥammed ‛Imād, Maḥmūd Ghunaim, ecc.). Nel complesso, l'indirizzo tradizionale e classicheggiante non può dirsi del tutto spento (specie nella poesia), ma è nettamente ormai soverchiato dalla corrente moderna. Sempre aperto è il problema della diglossia: l'uso del volgare, che ha molto progredito nelle forme più popolari della produzione letteraria (teatro, cinema, giornalismo umoristico e di varietà), si arresta sempre dinanzi all'alta letteratura: l'opera di tutti gli scrittori sopra nominati, salvo qualche sporadica concessione al dialetto, è quasi interamente in lingua letteraria.
Più scarse notizie e materiali si hanno sulla più recente vita letteraria negli altri paesi arabi, soprattutto negli anni di guerra. La Siria perse proprio all'inizio della guerra (1940) il suo maggiore scrittore, il "siro-americano" Amīn ar-Rīḥānī, come nel 1931 aveva perduto l'immaginoso lirico Khalīl Giubrān. Anche il corifeo della letteratura neoaraba nell'‛Irāq, Giamīl Ṣidqīaz-Zahāwī, scomparve nel 1936. Mancano quasi interamente notizie sulla produzione letteraria nella penisola araba. Una promettente ripresa culturale si nota invece nell'Africa settentrionale francese o Maghrib, dove la letteratura in arabo, ancora pochi decennî or sono limitata a ristretti ambienti di erudizione e scienze religiose, e per il resto quasi sostituita dal francese, ha preso nuove forze e conta già un'abbondante produzione scientifica e letteraria (ricordiamo i poeti tunisini Khaznedār, ash-Shābī, ecc.).
Bibl.: F. Gabrieli, Correnti e figure della letteratura araba contemporanea, in Oriente Moderno, XIX (1939), pp. 110-121; Zain al-‛Abidīn as-Sanūsī, Il risveglio letter. arabo in Tunisia nel sec. XX, ibid., XXIII (1943), pp. 111-124.