aquila (aguglia)
Le due forme si alternano nella Commedia, con netta prevalenza per ‛ aguglia ' (v.). L'a., in quanto uccello dotato di forze eccezionali, è assunta, secondo la tradizione letteraria e scritturale, come termine di paragone. L'eccezionale altezza che può essere raggiunta dal suo volo è proposta in lf IV 96 la bella scola / di quel segnor de l'altissimo canto / che sovra li altri com'aquila vola, per significare la superiorità del canto di Omero rispetto a quello degli altri poeti (cfr. Pg XXII 101-102), dopo che l'eccellenza dell'alta tragedia omerica è stata già qualificata, in assoluto, mediante il superlativo altissimo. Va notato che la citata proposizione relativa può riferirsi a quel signor o a canto: se riferita a quest'ultimo, il suo rapporto di paragone s'istituisce propriamente tra lo stile sommo dell'epica e gli altri stili, il comico, l'elegiaco; ma non tutti gl'interpreti sono favorevoli a questo confronto di stili (" l'immagine dell'altissimo canto che vola com'aquila sugli altri stili o generi di poesia sembra, oltre che ambigua, barocca ", Chimenz; si veda anche Parodi, Lingua 341-342, e F. Mazzoni in " Studi d. " XLII [1965] 143-146). Anche la potenza della facoltà visiva dell'a. si offre come termine di paragone in Pd I 48 Beatrice... / vidi... riguardar nel sole: / aguglia sì non li s'affisse unquanco, dove si accoglie dalla tradizione (Lucan. Phars. IX 902-905; cfr. B. Latini Tresor III 8) la credenza che l'a. sia avvezza a sostenere la vista del disco solare; mentre in Pd XX 32 La parte in me che vede e pate il sole / ne l'aguglie mortali, con l'argomento della potenza visiva si collega agli aspetti naturali dell'a. uccello l'eccezionalità dell'a. formata dagli spiriti giusti.
Del tutto singolare e di natura unicamente simbolica è quest'a. che D. nel cielo di Giove vede formarsi ad opera degli spiriti che precedentemente avevano formato una M (l'ultima della frase DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM, XVIII 91-93): e quïetata ciascuna in suo loco, / la testa e 'I collo d'un'aguglia vidi / rappresentare a quel distinto foco (XVIII 107). Qui, secondo il simbolismo che caratterizza forme e atti dei beati (si ricordi, per es., la croce formata nel precedente cielo di Marte), l'a., in quanto tradizionale emblema dell'Impero cui Dio ha affidato la giustizia in terra, è simbolo della Giustizia. Evidenti sono il significato della figura e i suoi addentellati con la concezione dantesca dell'Impero; ma è opportuno notare che in essa si capovolge il processo tradizionale dal personaggio alla significazione allegorica o simbolica: mentre Gerione, per es., ha una sua realtà di mostro, anche se tutto inventato in funzione simbolica, quest'a. formata di spiriti è prima un segno e pertanto un simbolo, e poi realizza un'impensabile concretezza di personaggio che parla come essere vivente (quel mormorar de l'aguglia salissi / su per lo collo, come fosse bugio. / Fecesi voce quivi, e quindi uscissi / per lo suo becco in forma di parole, XX 26) e dialoga con D. (cfr. F. Salsano, La coda di Minosse, Milano 1968, 160-165).
Ancora simbolo dell'Impero l'a. è nelle scene della mistica processione del Paradiso terrestre: una prima volta, indicata come l'uccel di Giove (Pg XXXII 112), fa violenza all'albero e al carro, e pertanto rappresenta gl'imperatori romani persecutori della Chiesa; la seconda volta, in XXXII 125 per indi ond'era pria venuta, / l'aguglia vidi scender giù ne l'arca / del carro e lasciar lei di sé pennuta, rappresenta Costantino che fa dono al papa (Silvestro I) di ciò che istituzionalmente appartiene all'imperatore (cfr. If XIX 115-117), e con la donazione di terre e poteri temporali, come si precisa in Pg XXXIII 38 l'aguglia che lasciò le penne al carro, / per che divenne mostro e poscia preda, provoca come primo mal frutto (Pd XX 56) la deviazione della Chiesa verso beni e cure temporali.
Anche quando appare in sogno a D. addormentato nella valletta dei principi, in Pg IX 20 mi parea veder sospesa / un'aguglia nel ciel con penne d'oro (rapisce il pellegrino dal monte Ida e lo trasporta alla sfera del fuoco), l'a. ha indubbiamente una funzione simbolica; ma non è agevole definire con sicurezza quale questa sia. Secondo l'interpretazione più comune tra commentatori antichi e moderni, l'a. è simbolo della grazia divina (l'Anonimo appoggia questa tesi a una serie di corrispondenze tra i particolari del sogno e i caratteri della grazia in esso significata), ovvero è trasposisizione onirica di Lucia simbolo della grazia (o della speranza, secondo il Torraca). Il Tommaseo vede nell'a. l'" impeto dell'ispirazione " di Lucia-Grazia: imaginazione sapientemente poetica, la qual dice come le rivelazioni e soprannaturali e naturali, facciano soave e terribile violenza alla debole anima umana "; il Porena, invece, considerando il concorso di " immagini che, sia pure in tempo diverso, Dante usò come immagini imperiali ", ritiene indubbio che l'a. rappresenti l'Impero, inteso come strumento della grazia divina idoneo a condurre l'uomo fino a un certo limite di perfezionamento morale; così intendono anche altri, come il Del Lungo e il Pietrobono. A puro titolo d'inventario, si può aggiungere che l'a. " d'oro " o in campo vermiglio, insegna imperiale, è ripetutamente citata (tra gli altri, da Chiaro Davanzati Con adimanda 6-7 e Lambertuccio Vostro adimando 8) come simbolo dell'autorità imperiale che si appresta a varcare il Po per ristabilire la propria autorità avvilita.
In Pd XXVI 53 Non fu latente la santa intenzione / de l'aguglia di Cristo, a. è appellativo dell'apostolo Giovanni, in quanto nel quarto degli animalia che in Apoc. 4, 7 " simile aquilae volanti " sta davanti al trono di Dio, i Padri furono concordi nel riconoscere il quarto evangelista; e l'espressione aguglia di Cristo si riferisce alla predilezione che Gesù ebbe per lui, già ricordata nella presentazione di Beatrice, in Pd XXV 112-114, con due indicazioni evangeliche, " recumbens... in sinu Iesu " (Ioann. 13, 23), e " Ecce mater tua " (19, 27).
Come insegna dell'esercito romano, è attestato in Pg X 80 e l'aguglie ne l'oro / sovr'essi in vista al vento si movieno, dove il passaggio dalla rigidità metallica delle insegne romane alla mobilità delle bandiere medievali concorre ad animare il corteo imperiale che fa da sfondo alla scena di Traiano e della vedovella. Ma anche questa insegna si dilata nella significazione simbolica: in Pd VI 1 Poscia che Costantin l'aquila volse / contr'al corso del ciel, essa, come sacrosanto segno dell'Impero, rappresenta la stessa autorità imperiale, il cui glorioso e provvidenziale cammino Giustiniano rievoca, dalla venuta di Enea nel Lazio alla difesa della Chiesa, ad opera di Carlo Magno, dal morso del dente longobardo (vv. 35-96).
Aguglia da Polenta. - Particolare accezione del termine a. è in If XXVII 41, allorché, nel corso dell'esposizione fatta da D. a Guido da Montefeltro della situazione politica romagnola, la famiglia che deteneva la signoria di Ravenna è indicata mediante il suo emblema araldico: Ravenna sta come stata è molt'anni: / l'aguglia da Polenta la si cova. In questo caso l'immagine dell'a. acquista plastico rilievo in virtù del successivo predicato, che metaforicamente suggerisce un'idea di protezione piuttosto che di rapace violenza. Inoltre, più che un simbolo araldico, qui l'a. vuol rappresentare più propriamente tutta la famiglia dei Polentani senza riferimento a un personaggio particolare.
Per quel che riguarda il preciso simbolo araldico, osserviamo che i più antichi commentatori (vedi per esempio Lana, Ottimo, Anonimo) descrivono lo stemma usato da Guido Novello, che è costituito da un'a. vermiglia in campo giallo, mentre Benvenuto a sua volta descrive uno stemma partito con a. bicolore: bianca in campo azzurro, rossa in campo d'oro. Tale stemma era in un pallio donato dai Polentani alla chiesa di S. Cassiano di Imola, come risulta da un inventario del 1402, ed è accettato e riprodotto dal Passerini nella continuazione delle Famiglie celebri del Litta; si conosce inoltre il sigillo di un Guido da Polenta, che si ritiene sia proprio Guido Novello, con un'a. che abbatte una donnola mentre questa afferra un ramarro. Questo stemma in campo azzurro e argento con banda rossa, quello riferito da Benvenuto, e un altro " scudo partito d'argento e rosso, con l'aquila spiegata dall'uno all'altro " sono gli emblemi dei Polentani che cita M.A. Ginanni nella sua Arte del Blasone. V. Carrari, nella sua Storia di Romagna (manoscritto inedito del sec. XVI alla Biblioteca Classense di Ravenna) all'anno 1300 ci dà un'ulteriore edizione dell'arme dei da Polenta e precisamente di Bernardino, Lamberto e Ostasio signori di Ravenna e Cervia: un'a. bianca in campo azzurro.
Lo stemma dei da Polenta ebbe sempre come elemento fondamentale l'a. il cui campo variava nei diversi rami della famiglia: con l'espandersi del patrimonio e con lo stringersi di alleanze lo stemma assunse forme più composite: chiaro esempio è l'emblema del pallio di Imola derivato chiaramente dall'unione di quelli di Lamberto e di Guido Novello. Nell'anno del supposto viaggio di D. e in quelli immediatamente successivi, signore di Ravenna fu Lamberto, zio di Guido Novello; perciò se si vuol raffigurare l'a. da Polenta, cui presumibilmente (non necessariamente) si riferiva D., si deve pensare allo stemma riportato dal Carrari: a. bianca in campo azzurro. I più antichi e sulla loro scia i più moderni commentatori pensano invece allo stemma di Guido Novello, e vedono nell'espressione ‛ a. da Polenta ' un riferimento all'ultimo ospite di Dante. Ma Guido Novello fu signore di Ravenna soltanto dal 1316 (quando cioè l'Inferno era da circa due anni già divulgato), e dunque è da escludere che nella terzina D. si riferisca, sia pure indirettamente, a lui.
Bibl. - C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Ravenna 1965, 121-123.