Apulia
. Con questo nome D. designa in VE I X e XII tutto il territorio del regno angioino dell'Italia meridionale, a sud del Tronto e del Garigliano (cfr. Pd VIII 61 ss.), secondo l'accezione allora comune anche fuori d'Italia: cfr. Puglia (If XXVIII 9, Pg VII 126); Perciò, in base alla bipartizione linguistica dell'Italia con la dorsale appenninica come linea divisoria, in VE I X 7-8 si distinguono una Apulia di destra (cioè occidentale, ma per D. sud-occidentale) e una di sinistra (orientale, per D. nord-orientale): v. CALABRIA. Dall'A. è tenuta naturalmente separata, sia geograficamente e politicamente che linguisticamente, la Sicilia (v.); la trattazione del dialetto apulo (VE I XII 7 ss.) segue tuttavia da vicino quella del siciliano.
La considerazione globale dei dialetti meridionali del continente sotto un'etichetta e con uno specimen onnicomprensivi (di contro all'analisi ben più differenziata dei dialetti non solo toscani ma settentrionali) consegue ovviamente alle conoscenze generiche che D. doveva averne, ma risentirà senza dubbio anche dell'unità di quelle zone sul piano politico, e del resto risponde a un livellamento tradizionale nella percezione e valutazione di quei dialetti da parte degl'Italiani del centro-nord. Notevole la molto maggior durezza del giudizio negativo di D., rispetto a quello sul siciliano: gli Apuli, si dice in I XII 7, per una loro congenita asprezza (acerbitas) o per la vicinanza con Romani e Marchigiani (di cui in I XI 2-3), " fanno uso di sconci barbarismi ", turpiter barbarizant, con richiamo (anche se non tecnicamente puntuale) alla corrente categoria grammaticale del barbarismo (v. H. Lausberg, Handbuch der literarischen Rhetorik, Monaco 1960, 259 ss.), come poi per il trevigiano in I XIV 5.
Nei limiti di genericità che si son detti, l'esempio che connota l'apulo, l'endecasillabo Bòlzera [così il codice Berlinese, ma il Grenoblese e il Trivulziano, seguiti dal Marigo, Vòlzera] che chiangesse lo quatraro (" Vorrei che il ragazzo piangesse "), è tra i più ricchi di espressività vernacolare caratterizzante, entro la complessiva tonalità quotidiana e bassa dell'enunciato. A parte il meno determinante articolo proclitico lo, pur fuori delle condizioni della cosiddetta norma di Gröber, tutti gli altri elementi del verso sono fortemente caratteristici. L'esempio di condizionale meridionale dal piuccheperfetto indicativo latino, perfettamente inquadrabile tra il ‛ boltiera ' del Ritmo cassinese (v. 51), e il ‛ bòlzera ' della lettera napoletana del Boccaccio (così giustamente nell'edizione Niccolini; il Bruscoli ha ‛ bolzerie ') sarà per D. indice di barbarismo non tanto dal lato morfologico, poiché il tipo è largamente frequentato dalla lingua letteraria dei ‛ siciliani ' (Iacopo da Lentini, ad esempio, gioca abilmente sull'alternanza tra questi condizionali e quelli in -ìa in Madonna, dir vo voglio, citata subito dopo con onore da D.) e dei successori (mentre D. stesso, a parte i vari fora, ha ancora un satisfara, in rima, in Pd XXI 93); quanto da quello fonetico: si vedano il fenomeno del betacismo, puntualmente rilevato (nettamente poziore perciò, anche in forza dei citati riscontri, la lezione del manoscritto Berlinese), e la risoluzione, tipicamente centro-meridionale, della sibilante in affricata nei nessi con sonante (-Is- > -lz- ecc.); comunque il tipo ‛ vuléra ', " vorrei ", è ancora ben vegeto dall'Abruzzo alla Calabria. In chiangesse (ma la forma meridionale schietta sarebbe ‛ chiagnesse ') appare la notissima isoglossa meridionale PL > kj (si può ricordare che tale esito è attestato solo parcamente nei poeti siciliani, e quasi sempre in testi o autori più ‛ popolareggianti ': Rinaldo d'Aquino, Giacomino, naturalmente il Contrasto di Cielo, ecc.: v. Glossario dell'edizione Panvini). Ancora largamente presente nei dialetti meridionali, con particolare compattezza in due zone, campano-sannita e calabro-lucana, il tipo ‛ quatraro ' (o simili): ed è pensabile che la sua area antica fosse più estesa rispetto all'odierna, ristretta dalla concorrenza dell'innovazione napoletana ‛ guaglione ' (delle tre basi proposte per ‛ quatraro ' - QUARTARIUS, " quartogenito ", dapprima come nome proprio; QUADRARIUS, " della proporzione di un quadrum ", " minuzzolo "; QUADRARIUS, " ragazzo quadrato, robusto " - è forse più probabile la seconda, data la folta presenza di metafore dello stesso tipo per denotare " ragazzo ", " fanciullo " e simili: ‛ balìn ', ‛ bocia ', ‛ michino ', ‛ sordo de cacio ', ecc.).
Si ricordi poi che D., citando come esempi di canzoni illustri di Apuli che polite locuti sunt un esemplare di Iacopo da Lentini, Madonna, dire vi voglio, e uno di Rinaldo d'Aquino, Per fino amore vo sì letamente (entrambi senza nome d'autore, ma certo conoscendolo), mostra di credere Iacopo da Lentini continentale: ciò deve essere avvenuto per confusione con altro Iacopo dei codici, con maggiore probabilità con Giacomino Pugliese (indicato una volta come ‛ Giacomo ' in un codice), ovvero anche con Iacopo d'Aquino (infatti incrociato in un caso col Mostacci nel manoscritto Laurenziano-Rediano).
Bibl. - A. Marigo, ed. del De vulg. Eloq., 104-107; A. Schiaffini, Interpretazione del " De vulg. Eloq. " di D., Roma 1963, 88-90; più particolarmente, per i meridionalismi fono-morfologici meridionali discussi: G. Rohlfs, Historische Grammatik, I 308-309, 443-444; II 396-399; F. Sabatini, in " Studi linguistici italiani " VI (1966) 71; per quatraro: V. De Bartholomeis, in " Arch. Glottol. It. " XV (1901) 353; N. Maccarrone, in " Zeit. Romanische Philol. " XLIV (1924) 57; G. Rohlfs, Dizionario dialettale delle Tre Calabrie, I, Halle-Milano 1932, 228; II, ibid. 1934, 180; ID., Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d'Otranto), I, Monaco 1956, 524; I. Pauli, " Enfant ", "garçon ", " fille " dans les langues romanes, Lund 1919, specialmente 273 ss.; A. Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi, Pisa 1940, 36-37; asi I, carte 9, 37, 40, 42, 43, 44, 45, 46, 51, 58, 63; IV, carta 729; VIII, carte 1519, 1603; per Iacopo da Lentini ‛ apulo ': G. Folena, Cultura e poesia dei Siciliani, in Storia della lett. ital., I, Milano 1965, 277; M. Boni, D. e il Notaro, in Atti del Convegno di studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 77-78.