APPROSSIMAZIONE
(fr. approximation; sp. aproximación; ted. Annäherung; ingl. approximation).
I. Valori approssimati di una grandezza. - a) Nelle applicazioni della matematica allo studio dei fenomeni si opera sulle misure o valori delle grandezze che si considerano; ciascuna di queste grandezze è perciò riferita ad una grandezza fissa U (arbitraria), della classe cui essa appartiene e che si assume come unità di misura delle grandezze della classe. Così, ad esempio, quale unità di misura per i segmenti si assume ordinariamente il metro (o il centimetro), per le superficie il metro quadrato, per i volumi il metro cubo, per i pesi il chilogrammo (o il grammo), per i tempi il secondo, per gli angoli il grado, ecc.
Esaminiamo il procedimento che si tiene per misurare una grandezza; ci riferiremo, per semplicità, ai segmenti, ma considerazioni analoghe valgono per qualsiasi grandezza. Si abbia dunque un segmento l; per misurarlo noi lo confrontiamo col metro e con una successione determinata di multipli e sottomultipli del metro (ad es. col decametro, col metro, col decimetro, col centimetro, ecc., cioè coi multipli e sottomultipli del metro secondo le potenze di 10). Questo confronto porterà, ad es., che il segmento l è compreso tra 3 e 4 metri, tra 35 e 36 decimetri, tra 357 e 358 centimetri, è uguale a 3576 millimetri; quest'uguaglianza si ha, però, astraendo dagli errori inevitabili che si hanno nel confronto e dagli strumenti e dall'osservatore, in guisa che, con altri strumenti o con un altro osservatore, è possibile che si ottenga un risultato diverso; si può avere, ad es., che il segmento l non è uguale a 3576 millimetri, ma solo è compreso tra 3576 e 3577 millimetri. In ogni modo, ad un certo punto del confronto ci fermeremo, o quando si trovi che il segmento l è uguale ad un multiplo di uno dei sottomultipli considerati del metro, o quando l'imperfezione dei nostri sensi o degli strumenti di misura non ci consenta di andare più oltre, o infine anche quando, per la questione che trattiamo, non occorra procedere più oltre nel confronto stesso. Così, ad es., nella determinazione di una distanza stellare basterà sapere che essa è compresa tra 130 e 140 trilioni di chilometri (tra 13•1013 e 14•1013 chilometri), o anche che la luce impiega, per giungere dalla stella alla terra, un tempo compreso fra 14 e 15 anni; di una strada ferroviaria basterà sapere che ha una lunghezza compresa fra 250 chilometri e 250 chilometri e 100 metri; per misurare invece una colonna barometrica o termometrica il confronto dovrà spingersi, almeno, fino al decimo di millimetro; per misurare le dimensioni di un essere microscopico converrà giungere fino al millesimo di millimetro, ecc.
Riprendendo l'esempio fatto sopra, fermiamoci, ad es., a constatare che il segmento dato l è compreso tra 3576 e 3577 millimetri; diremo allora che ciascuno di questi due numeri dà una misura approssimata (o un valore approssimato) del segmento l, rispettivamente per difetto e per eccesso, con un errore assoluto inferiore a un millimetro (o ad un'unità del 3° ordine decimale). E insieme con l'errore assoluto considereremo anche l'errore relativo, cioè il rapporto tra l'errore assoluto e il valore del segmento l; ed è chiaro che si avrà un limite superiore dell'errore relativo considerando il quoziente di un limite superiore dell'errore assoluto per un qualunque valore, approssimato per difetto, del segmento l. La conoscenza di un limite superiore dell'errore relativo dà poi un criterio dell'esattezza della misura eseguita; così, ad es., quando come valore approssimato di l si prenda l = m. 3,576, oppure l = m. 3,577, l'errore relativo è minore di
ciascuno di questi due valori ha quindi una grande esattezza, se di un altro segmento u si sa invece soltanto che è compreso tra m. 0,0025 e m. 0,0026, l'errore assoluto è minore di
ma dell'errore relativo possiamo dire solo che è minore di
la misura eseguita non è perciò molto esatta.
b) Il procedimento suesposto comporta evidentemente una grande arbitrarietà, sia nella scelta dell'unità di misura, sia in quella della particolare successione di multipli e sottomultipli dell'unità, con la quale il segmento (la grandezza data) si confronta. Quando la successione dei multipli e sottomultipli dell'unità procede secondo le potenze del 10, si hanno le misure o i valori decimali approssimati del segmento l, con1, 2, 3.... cifre decimali esatte, il loro insieme costituisce la rappresentazione decimale del numero α che dà la misura o il valore del segmento l; quando la successione dei multipli e sottomultipli procede invece secondo le potenze del 2, si ha un procedimento, che nella sostanza risale ad Euclide, e dà la rappresentazione del numero α nel sistema binario di numerazione; presso i Babilonesi era in uso (e lo è ancora per noi nella misura dei tempi e degli angoli) la numerazione sessagesimale, che ha per base il 60, ecc.
Un notevole procedimento di Euclide, quello delle divisioni successive (Euclide, Elementi, X), porta ad un altro metodo per ottenere valori approssimati di una grandezza assegnata, o, più generalmente, del rapporto
di due grandezze omogenee A, B. Se è, ad es., A ≥ B, diremo dividere la grandezza A per la B determinare il massimo multiplo m B di B (con m ≥ 1) contenuto in A; questo numero m si dice il quoziente, e la grandezza R = A − m B si dice il resto della divisione; per A = m B, il resto R è nullo, per A > m B, il resto R è minore di B; e scriveremo A − m B + R, oppure
Se R non è nullo, potremo dividere B per R; se m1 è il quoziente, R1 il resto di questa nuova divisione, avremo l'altra uguaglianza
e dalla precedente avremo ancora
Quando R1 non sia nullo, potremo ripetere sulle due grandezze R e R1 lo stesso procedimento; dopo k volte avremo un'uguaglianza della forma
(nella quale m, m1, m2,... mk sono numeri interi e positivi determinati); e il procedimento avrà termine o meno, secondo che si perverrà o no ad un resto Rk, che sia un sottomultiplo del resto precedente Rk-1. Si dimostra, in ogni caso, che i numeri razionali:
sono valori approssimati, alternatamente per difetto e per eccesso, del rapporto α = A/B, con un errore assoluto che, quando si ponga ai = Pi;/Qi (con Pi, Qi, primi tra loro, i = 1, 2, 3....), è minore di 1/Qi2; l'approssimazione che così si ottiene del numero α è inoltre la massima consentita dalla grandezza dei termini Pi Qi, cioè qualunque altra frazione P/Q, la quale si approssimi ad α con un errore minore della differenza
ha i termini P, Q rispettivamente maggiori di Pi, Qi. Si ha così lo sviluppo (o la rappresentazione) del rapporto α = A/B (quando sia B = U, della misura α di A) in frazione continua.
c) Il metodo di esaustione dei geometri greci (cfr. ad es. Euclide, Elementi, libro XII) conduce ancora ad un procedimento generale (il quale comprende tutti i precedenti) per determinare misure approssimate di una grandezza assegnata con una approssimazione grande a piacere.
Ricordiamo perciò che due classi, H, K, di grandezze di un sistema S continuo si dicono contigue, quando ogni grandezza della classe H è minore od uguale a qualunque grandezza della classe K, e quando, presa in S una grandezza ω arbitraria, è possibile determinare nelle due classi H e K due grandezze, la cui differenza sia minore di ω. Una coppia H, K di classi contigue determina poi una ed una sola grandezza A di S, la quale è compresa tra le due classi ed è da queste definita; e dalla seconda proprietà è chiaro che le grandezze delle due classi H e K (e le loro misure) dànno dei valori approssimati della grandezza A (e della sua misura) con una approssimazione che può farsi grande quanto si vuole. Così, ad es., Archimede (Κύκλου μέτρησις, in Archimedis Opera omnia, ed. Heiberg, Lipsia 1880, I, p. 258) ha determinato la lunghezza della circonferenza (il numero π, quando il diametro della circonferenza sia uguale ad 1) mediante le due classi contigue formate dai perimetri dei poligoni convessi inscritti e circoscritti alla circonferenza, coll'approssimazione di circa
così anche sono stati determinati il volume della piramide e di altri solidi della geometria elementare.
II. Regole di calcolo approssimato. a) In una questione determinata non occorre misurare direttamente tutte le grandezze che devono essere considerate; le misure di alcune tra esse (che chiameremo grandezze derivate) si hanno da quelle di altre (grandezze primitive) con operazioni determinate. Ma delle grandezze primitive sono noti, in generale, soltanto valori approssimati; è possibile allora dedurre, da questi valori, misure convenientemente approssimate anche per le grandezze derivate, mediante il principio generale seguente.
Si eseguiscano sui valori approssimati (noti) delle grandezze primitive le stesse operazioni che condurrebbero dai valori veri di queste ai valori veri delle grandezze derivate; il risultato delle operazioni eseguite dà delle misure approssimate delle grandezze derivate con errori (assoluti e relativi) che possono supporsi minori di un numero piccolo a piacere, quando gli errori, assoluti e relativi, da cui sono affetti i valori approssimati sui quali abbiamo operato, siano convenientemente piccoli. Assegnato inoltre un limite superiore dell'errore che si ammette nel risultato, è possibile semplificare in modo opportuno le operazioni da eseguire in modo da condurre la ricerca nella maniera più economica. La determinazione di un limite superiore dell'errore (assoluto o relativo) del risultato, quando siano noti dei limiti superiori degli errori delle misure date e, inversamente, la determinazione (che può farsi in infiniti modi) di tali limiti superiori quando si voglia che il risultato abbia un'approssimazione assegnata; infine il modo più semplice di eseguire le operazioni che debbono farsi, costituiscono quello che si dice il calcolo approssimato.
b) Così, ad esempio, siano dati tre numeri α, β, γ, dei quali siano a, b, c, tre valori approssimati, con errori assoluti minori di ε1, ε2, ε3; il numero ω = a ± b ± c sarà un valore approssimato del numero Ω = ± α ± β ± γ (dove i segni si prendono arbitrariamente, ma ugualmente, nelle due espressioni) con un errore assoluto minore di ε1 + ε2 + ε3 (questo principio, quasi evidente, fu enunciato esplicitamente per la prima volta dal Gauss); e se ω̄, a sua volta, un valore approssimato di ω con un errore minore di σ, ω̄ sarà anche un valore approssimato del numero Ω con un errore minore di ε1 + ε2 + ε3 + σ; e quando si conoscano i segni degli errori ε1, ε2, ε3, σ; questo risultato può rendersi più preciso. E se si vuole che questo errore sia minore di un numero η assegnato, basterà evidentemente fare in modo che si abbia ε1 + ε2 + ε3 + σ 〈 η; questo è possibile in infiniti modi, in particolare prendendo ε1, ε2, ε3, σ minori di
Siano in particolare a, b, c, numeri decimali con n cifre dopo la virgola, approssimati ad α, β, γ, con un errore minore di 10-n, cioè di un'unità decimale dell'ordine n; potremo fare ε1 = ε2 = ε3 = 10-n; ed ω sarà un numero decimale con n cifre dopo la virgola, approssimato ad Ω con un errore minore di 3•10-n; quindi se i due numeri ω − 3•10-n, ω + 3•10-n hanno comuni t cifre decimali, queste apparterranno anche al numero Ω. Inversamente, se del numero si vogliono conoscere le prime t cifre decimali, occorrerà prendere n in guisa che quei due numeri abbiano comuni le prime t cifre dopo la virgola; questo accadrà in generale prendendo n = t + 1, ma potrà anche, in casi particolari, doversi prendere n = t + 2, oppure n = t + 3, ecc.
Nelle stesse ipotesi, il prodotto ab, o meglio un valore τ approssimato di questo prodotto con un errore minore di σ, darà un valore approssimato del prodotto αβ con un errore λ minore di Αε2 + Βεi + σ, dove A, B indicano due numeri positivi maggiori o uguali, in valore assoluto, ad a e α, b e β rispettivamente; e si potrà in infiniti modi fare che questo errore sia minore di un numero η arbitrario; basterà prendere ad esempio
Ed ancora, siano a, b, due numeri decimali che abbiano rispettivamente m ed n cifre decimali, cioè sia ε1 ≤ 10-m, ε2 ≤ 10-n; siano insieme A ≤ 10h, B ≤ 10k; si abbia infine σ ≤ 10-p; posto τ = ab, l'errore λ è minore di 10-(m-k) + 10-(n-h) +10-p ≤ 3•10-11, dove u è il minore dei tre numeri m − k, n − h, p; e se i due numeri τ − 3•10-11, τ + 3•10-11 hanno ancora t cifre decimaii comuni, queste apparterranno anche al prodotto α β. Inversamente, prendendo in generale u = t +1, e quindi m ≥ k + u, n ≥ h + u, p ≥ u, si avranno le prime t cifre decimali del prodotto α β; ma qualche volta dovrà prendersi anche u = t + 2, oppure u = t + 3, ecc. E potrebbero farsi anche delle considerazioni più precise.
Sempre nelle ipotesi superiori, il numero
reciproco di a, a i darà un. valore approssimato del reciproco
del numero α, con un ϑ minore di
essendo δ un numero positivo non maggiore di a e di α; e questo errore sarà minore di un numero η assegnato, quando sia ε1 〈 δ2•η (questo numero, anche se η è molto piccolo, può essere abbastanza grande, quando α ed a siano sufficientemente grandi, e quindi anche δ si possa prendere tale; ad esempio per α, a ≥ 10, prendendo δ = 10, è ε1 = 100 η).
In particolare se a è un numero decimale con n cifre dopo la virgola ed ε1 ≤ 10-n, se α ed a sono maggiori di 10k (con k intero) sarà ϑ 〈 10-(2k+n) (e quando sia k ≥ 0, cioè α ≥ 1, è 2 k + n ≥ n). Inversamente, perchè sia θ 〈 10-k, basterà che si abbia n + 2 k ≥ l, cioè n ≥ l − 2 k.
Scrivendo
l'approssimazione del quoziente
è ricondotta a quella del prodotto
Infine, di un numero positivo α si consideri la radice quadrata √α, e p ne sia un valore approssimato (positivo); se è ∣ α − p2 ∣ 〈 ε, è anche ∣ √α − p ∣ 〈
dove k è un numero positivo non maggiore di p e di √α; e questo errore sarà anch'esso minore di un numero assegnato η, quando si prenda ε 〈 2 k η.
In particolare, supponiamo α ≥ 1 (possiamo sempre ridurci a questo caso, moltiplicando α per un'opportuna potenza di 10 con esponente pari) e sia a ≥ 102r (con r intero); da quanto precede si ha faciimente la regola che segue: si avrà un valore decimale approssimato di √α con un errore minore di 10-n prendendo un valore approssimato di α con n + 1 − r cifre decimali e calcolando, con i metodi dell'aritmetica pratica, la radice quadrata di a con n + 1 cifre decimali.
c) Si debba ora eseguire, su uno o più numeri, una determinata operazione analitica (o un insieme di tali operazioni). Le regole relative di approssimazione si hanno tutte come corollario di un teorema fondamentale del calcolo differenziale, il teorema del valore medio. Si abbia, per fissare le idee, una funzione reale u = f (x, y, z) di tre variabili reali x, y, z, definita in un campo C dello spazio (di cui x, y, z si pensino come coordinate cartesiane) ed in questo continua con le sue derivate parziali del prim'ordine; e si voglia il valore u0 = f (x0, y0, z0) che la funzione u prende per i valori x0, y0, z0 delle variabili, o, come diremo, nel punto P0 ⊄ (x0, y0, z0) del campo C; questi valori x0, y0, z0 non siano però perfettamente noti, ma se ne conoscano soltanto dei valori approssimati ξ = x0 + h, η = y0 + k, ζ = z0 + l, con errori h, k, l, numericamente minori di un numero assegnato σ. Calcoliamo allora, invece del valore f (x0, y0, z0) il valore f (ξ, η, ζ), che la funzione u prende nel punto M ⊄ (ξ, η, ζ); la differenza Δ u = f (x0, y0, z0) − f (ξ, η, ζ) darà allora l'errore che si commette quando si prenda f (ξ, η, ζ) come un valore approssimato del valore cercato f (x0, y0, z0); e dal teorema del valor medio si ha la Íormula
nella quale åx′, åy′, åz′ indicano le derivate parziali della f (x,y, z) in un pmto N conveniente, interno al segmento M P0; se quindi indichiamo con A un numero positivo maggiore, in valore assoluto, dei valori che le derivate fx′, fy′, fz′ prendono nel campo C, si avrà la disuguaglianza
la quale dà un limite superiore dell'errore Δ u. E se di f (ξ, η, ζ) si considera un valore H approssimato, ancora con un errore τ minore di σ, l'errore totale ω = Δ u + τ sarà minore di (3 A + 1) σ.
Quando siano u, x,y, z diversi da 0, dalla (1) si ha poi:
e da questa, detti η1, η2, η3 gli errori relativi dei valori approssimati ξ, η, ζ di x0, y0, z0, ϑ quello del valore approssimato H di f (ξ, η, ζ), indicando con B un numero positivo, maggiore in valore assoluto dei valori che le espressioni
assumono nel campo C, per l'errore relativo
si avrà la disuguaglianza:
Queste formule dimostrano il principio enunciato e contengono in sé tutte le regole del calcolo approssimato.
d) Per la semplicità dei calcoli sono anche molto utili le considerazioni seguenti. In una questione determinata, si è condotti in generale, da considerazioni di carattere pratico, a stabilire diversi ordini di grandezza, e numeri che li misurano. Per questo procederemo al modo seguente: fissiamo due numeri l, L, in generale reciproci (la cui scelta dipende dalla questione che si studia) i quali comprendano tra loro l'unità, ad es. l = o,1, L = 10; i numeri compresi tra l ed L si riguarderanno allora come né grandi, né picxoli; due numeri qualunque si diranno poi deilo stesso ordine od anche paragonabili tra loro, quando il loro rapporto sia compreso fra l ed L. Fissato poi un numero ε, abbastanza piccolo rispetto ad l, ad es.
nel nostro esempio
diremo che una quantità è piccola del primo ordine, quando essa è paragonabile con ε (la quale si dice la quantità tipo del primo ordine), del 2°, 3°... ordine, quando è invece paragonabile con ε2, ε3...; si dirà, poi, che una quantità è piccola almeno del 1°, 2°, 3°... ordine, quando di essa si sa soltanto che non supera una quantità del 1°, 2°, 3°... ordine. Accanto alle quantità piccole del 1°, 2°, 3°... ordine possiamo anche considerare delle quantità grandi del 1°, 2°, 3°... ordine: quelle le cui reciproche sono piccole del 1°, 2°, 3°... ordine.
Si abbiano ora dei valori approssimati, sui quali debbano farsi delle operazioni determinate e gli errori rispettivi si riguardino come quantità piccole almeno del 1° ordine; il prodotto di due, tre... di tali errori sarà allora una quantità almeno del 2°, 3°... ordine; e tale rimarrà anche quando esso sia moltiplicato per un numero non grande, come sopra abbiamo definito. Con queste convenzioni si ha facilmente che le quantità di primo ordine possono trascurarsi di fronte alle quantità finite, quelle del 2°, 3°... ordine di fronte a quelle di ordine inferiore; e questo principio, utilissimo, permette di sostituire alle espressioni degli errori espressioni molto più semplici, senza diminuire con ciò il grado di approssimazione che si vuole ottenere.
III. L'interpolazione lineare. a) Ha importanza fondamentale nel calcolo approssimato il metodo dell'interpolazione, in particolare dell'interpolazione lineare. Si abbia perciò una funzione lineare intera y = a x + b di una variabile x (con a, b costanti); per essa si ha subito che la variazione della funzione è proporzionale alla variazione della variabile; quindi, noti due valori y1, y2 della funzione, corrispondenti a due valori xi, x2 della variabile, il valore y che la funzione prende per un valore qualunque x della variabile è dato dalla proporzione (che costituisce la cosiddetta regola di falsa posizione)
Questa uguaglianza non è più vera quando si consideri una funzione y = f (x), definita in un intervallo I, non più lineare intera in x; ma può ritenersi ancora vera approssimatamente, quando la y sia continua nell'intervallo (quando cioè a variazioni sufficientemente piccole della variabile corrispondano variazioni della funzione che possono rendersi minori di un numero assegnato a piacere) e quando i valori x1, x2 e il valore della variabile siano molto vicini tra loro. La formula (4) si dice allora la formula della interpolazione lineare, quando x sia interno all'intervallo (x1 x2) (della extrapolazione lineare, quando x sia esterno all'intervallo stesso); e si può dimostrare che, quando l'intervallo (x1 x2) si riguardi come una quantità del 10 ordine, l'errore che così si commette è una quantità del 20 ordine. La formula (4) si adopera elementarmente nella ricerca del logaritmo di un numero che non sia contenuto in una tavola di logaritmi; in quella di un numero di cui sia dato il logaritmo, ancora non compreso nella tavola; nella determinazione di una linea trigonometrica di un arco, non contenuta nella tavola, ecc.
Le considerazioni precedenti hanno un'interpretazione geometrica notevole. Consideriamo il diagramma L della funzione y = f (x); cioè pensiamo, per ogni valore della x nell'intervallo I, la x e la y = j (x) quali coordinate cartesiane dei punti di un piano e consideriamo la linea (il tratto di linea) L luogo del punto P = (x, y); questa linea rappresenta nell'intervallo I la funzione f (x), e ne dà, in modo intuitivo, l'andamento. In particolare il diagramma tli una funzione lineare intera y = a x + b è una retta. Siano ora P1 ≡ (x1, y1), P2 ⊄ (x2, y2) i due punti della linea L corrispondenti ai valori x1, x2 della variabile (ascissa); il principio dell'interpolazione lineare consiste nel sostituire, approssimatamente, all'arco P1 P2 della linea L la corda P1 P2 (vedi fig.1); ed è chiaro che l'approssimazione è tanto migliore, quanto più piccolo è l'intervallo (x1 x2) nel quale il principio si applica. Per questa ragione il metodo dell'interpolazione lineare si dice anche il metodo delle corde o, per la (4), delle parti proporzionali.
b) Questo metodo si applica utilmente alla approssimazione delle radici reali di un'equazicne reale f (x) = 0, cioè dei valori della x che annullano una funzione data f (x); questi valori sono, per il diagramma della funzione, le ascisse dei punti in cui la linea L incontra l'asse delle x. Supponiamo perciò (ma non è necessario) che i due punti P1, P2 siano da parti opposte dell'asse x, cioè che f (x1) e f (x2) abbiano segni contrarî e che l'arco P1 P2 della L traversi l'asse delle x in un solo punto, interno all'intervallo (x1 x2), di cui si vuole determinare l'ascissa; sostituiremo al punto a il punto b nel quale la corda P1 P2 incontra l'asse stesso; sarà:
e questo valore b, o un suo valore approssimato, si prenderà come un valore approssimato della radice a cercata; ed è chiaro geometricamente che, se è, ad es., x1 〈 x2, b sarà approssimato per difetto o per eccesso, secondo che il valore f (b) ha il segno di f (x1) o di f (x2).
E si può dimostrare che, se la differenza x2 − x1 è minore di una unità
decimale dell'ordine n, l'errore α − b è numericamente minore di
dove k è un numero intero determinato (che dipende dalla f (x) e non da n); quindi per n >. k il valore b è approssimato alla radice a con un errore minore di un'unità decimale di un ordine più elevato di n, e tanto più elevato quanto più n è grande.
Invece della corda P1 P2, possiamo sostituire all'arco P1 P2 un'altra retta, la quale incontri ancora l'asse delle x in un punto a interno all'intervallo (x1 x2); e questo numero a potrà riguardarsi anch'esso come un valore approssimato della radice a della f (x) = 0. Si hanno così altre formule di approssimazione. Supponiamo, ad esempio, che l'arco P1 P2 della L non abbia flessi e che nel punto P1 rivolga la sua convessità, nel punto P2 la sua concavità all'asse x; la tangente t alla L nel punto P1 incontra allora quest'asse in un punto
(essendo f′ (x) la derivata della f (x)), ilquale è compreso tra x1 ed α; si ha così il metodo di approssimazione di Newton, perfezionato poi da Fourier. Analogamente, la parallela u alla tangente t condotta per il punto P2 incontra l'asse x in un punto
che è invece compreso tra α ed x2; la radice α cade quindi nell'intervallo (a c) che è, in generale, molto minore di quello (x1 x2). E si può dimostrare che ciascuno di questi due procedimenti ha un grado di approssimazione uguale a quello che, come abbiamo detto sopra, appartiene al metodo dell'interpolazione lineare (fig. 1).
Sostituiamo ora all'arco P1 P2 della linea L, non più un segmento rettilineo, ma un altro arco λ di curva, che approssimi, in guisa determinata, l'arco P1 P2 della L (ad es. soddisfi alle condizioni di passare per più punti della L, di avere in alcuni di essi comune con la L la tangente, il circolo osculatore, ecc.) ed incontri ancora l'asse x in un punto h interno all'intervallo (x1 x2). Analiticamente, prendiamo una íunzione y = g (x) (dove g (x) è ad es. un polinomio in x di 2°, 3°... grado, oppure un polinomio trigonometrico, opportunamente determinato), la quale approssimi la f (x) nell'intervallo I; sia tale inoltre che l'equazione g (x) = 0 abbia una radice h compresa nell'intervallo (x1 x2). Questo valore h sarà allora un valore approssimato della radice α della equazione f (x) = 0; più in generale potremo assumere la funzione y = g (x) come una rappresentazione approssimata della f (x) nell'intervallo (x1 x2), con un'approssimazione che può stimarsi. Si hanno così altre formule notevoli di approssimazione, dovute a Newton, Fourier, Lagrange, Hermite, Tchebycheff ed altri.
IV. Procedimenti di iterazione. a) L'approssimazione che da una qualunque delle formule superiori si ha alla radice a che si vuole determinare (più generalmente alla funzione f (x) in un intervallo dato) può farsi grande tanto quanto si vuole, iterando le formule stesse, col metodo delle sostituzioni successive.
Sia dato perciò un algoritmo K (un procedimento di calcolo) mediante il quale, ad es., da due quantità x, y si deducano, con una legge determinata, due nuove quantità x′, y′; siano cioè x', y′ due funzioni determinate x′ = ϕ1 (x, y), y′ = ϕ2 (x, y) delle x, y. Col nome di iterazione dell'algoritmo K intendiamo il procedimento che si ha operando sulle x′, y′, come già abbiamo fatto sulle x, y, determinando cioè due nuove quantità x″ = ϕ1 (x′, y′), y″ = ϕ2 (x′, y′), poi da queste due altre x‴ = ϕ1 (x″, y″), y‴ = ϕ2 (x″, y″), e così indefinitamente; l'algoritmo si dirà conmrgente se, per una opportuna scelta dei valori iniziali x, y, le x(n), y(n), (n = 1, 2, 3,...) tendono a limiti determinati e finiti. Un esempio classico di un tale procedimento si ha nella determinazione archimedea di π, in base alla considerazione dei perimetri di una successione di poligoni regolari (convessi) iscritti e circoscritti ad una circonferenza, ciascuno dei quali abbia un numero di lati doppio del precedente. Così per l'approssimazione di una radice di un'equazione f (x) = 0, iterando uno qualunque dei metodi superiori di approssimazione, si hanno degli algoritmi, che convergono molto rapidamente alla radice α; ad esempio, l'iterazione dei metodi delle tangenti e delle corde può rappresentarsi geometricamente con le costruzioni della figura 2; e la figura mostra che i due metodi hanno una convergenza estremamente rapida.
b) Un altro esempio notevole di iterazione è dato dal metodo di Graeffe per la determinazione delle radici di un'equazione algebrica f (x) = 0 (considerazioni analoghe portano ad altri metodi, la cui prima idea risale a Bernoulli e ad Eulero). Si abbia perciò un'equazione algebrica a coefficienti reali in un'incognita x
e supponiamo che essa abbia tutte le n radici α1, α2;...., α reali e disuguali in valore assoluto; sia per es. ∣ α1 ∣ > ∣ α2 ∣ .... > ∣ αa ∣. È facile costruire un'altra equazione algebrica f1 (x1) = o (nella quale diciamo x1, la nuova incognita):
la quale abbia come radici i quadrati α12, α22,.... αn2 delle radici della f (x) = 0; poi da questa una seconda f2 (x2) = o, che abbia come radici i quadrati delle radici della f1 (x1) = 0, cioè le quarte potenze α14, α14,.. αn4 delle radici della primitiva, ecc.; dopo i volte avremo un'equazione:
che avrà come radici le potenze α12i, α22i,... αn2i delle radici della f (x) = 0; e dall'ipotesi fatta che le α1, α2,..., αn abbiano valori assoluti diversi, segue facilmente che, per i sufficientemente grande, può farsi con grande approssimazione:
i segni delle radici si determinano poi facilmente.
V. a) Un altro capitolo molto importante del calcolo approssimato tratta della integrazione e della derivazione approssimate di una funzione assegnata f (x).
Cominciando dall'integrazione, ci limiteremo, per semplicità, al problema di determinare con un'approssimazione assegnata il valore di un integrale definito semplice
dove supponiamo che sia, ad es., a 〈 b e che la f (x) sia integrabile e (ciò che non limita la generalità) non negativa nell'intervallo (a b). Quando della f (x) sia nota una funzione priminva (un integrale indefinito) h F (x), si ha la formula
il calcolo dell'integrale
è così ricondotto a quello della differenza F (b) − F (a). Ma in generale, una tale funzione F (x) non è conosciuta; così è, ad es., quando della funzione f (x) siano dati soltanto i valori per un numero finito di valori della variabile, oppure quando se ne abbia solo il diagramma (dato ad es. meccanicamente da uno strumento registratore di un dato fenomeno). Costruiremo allora, dagli elementi noti della funzione f (x), una sua rappresentazione approssimata g (x) nell'intervallo (a b), tale cioè che in ogni punto di questo intervallo la differenza f (x) − g (x) sia numericamente minore di un numero assegnato σ, e per la quale sia facile determinare l'integrale definito
questo darà allora un valore approssimato dell'integrale
con un errore minore di σ (b − a).
b) Il problema ha inoltre un'interpretazione geometrica notevole. Diciamo T la figura (trapezoide) determinata dal segmento a b dell'asse delle x, dal tratto A B di linea che per α ≤ x ≤ b rappresenta la funzione data y = f (x), dalle due ordinate estreme a A, b B (fig. 3); l'integrale definito
dà allora l'area del trapezoide T. Questa semplice osservazione conduce a metodi di approssimazione (numerici e grafici) che hanno carattere intuitivo. È chiaro infatti che se si hanno due figure poligonali π, Π (o più generalmente due figure π, Π, di cui sia nota l'area) delle quali una sia contenuta nel trapezoide T, l'altra lo contenga, le aree s, S di queste due figure daranno due valori approssimati, rispettivamente, per difetto e per eccesso, dell'area di T, con un errore minore della differenza S - s; ed egualmente può dirsi di qualunque figura F (di area nota) che sia anch'essa compresa tra le due figure π, Π.
Si ha di qui un primo e semplice metodo di approssimazione, quello dei reticoli. Si abbia una porzione del piano, ad es. un rettangolo, ricoperto da una rete di quadrati uguali (il cui lato sia ad es. un millimetro) e su questo piano si abbia il trapezoide T (o una figura F qualunque); oppure il reticolo sia tracciato su un materiale trasparente e si sovrapponga alla figura F. Contiamo allora i quadrati del reticolo contenuti in F, e poi anche i quadrati misti, che contengono cioè punti del contorno di F; si hanno così due figure poligonali π, Π, somme di quadrati, l'una contenuta, l'altra contenente F, le cui aree dànno due valori approssimati, per difetto e per eccesso, dell'area di F.
Possiamo anche procedere al modo seguente: dividiamo l'intervallo (a b), in un modo qualunque, in intervalli parziali δ1, δ2,...., δ (se la f (x) è data soltanto nei punti a = x0, x1, x2,...., x-, x = b dell'intervallo, gl'intervalli parziali δi avranno gli estremi in tutti o parte di questi punti; se la f (x) è data graficamente, potremo supporre tutti gl'intervalli δi, uguali tra loro, ecc.); le somme dei rettangoli che hanno per base gl'intervalli e come altezze le ordinate massima e minima della f (x) negl'intervalli stessi dànno allora due valori approssimati dell'integrale
con un errore che può rendersi piccolo quanto si vuole, quando gl'intervalli δi, si prendano sufficientemente piccoli. Ed ugualmente va detto per qualunque figura compresa tra queste due somme di rettangoli, ad es. per le due somme di rettangoli che hanno per base gl'intervalli δ e per altezze le ordinate (iniziale o finale) f (x-) e f (x) (formule della media). Oppure si possono considerare: la somma dei trapezî elementari che hanno ancora per base gl'intervalli δi, e sono terminati dalle corde che ćongiungono gli estremi degli archetti s, nei quali la linea A B è divisa in corrispondenza agli intervalli δi, od anche la somma dei trapezî determinati dalle tangenti alla linea A B in punti arbitrarî degli archetti s; si hanno così delle formule (che si dicono dei trapezî o delle tangenti) le quali dànno un'approssimazione superiore, in generale, a quella delle formule della media. Un'approssimazione molto maggiore si ha poi dalla formula di Cavalieri-Simpson. Si divida perciò l'intervallo di integrazione (a b) in un numero pari di intervalli eguali di grandezza δ; siano
i punti di divisione. La formula di Cavalieri-Simpson dice che
Essa si ottiene considerando la somma degli m trapezoidi parabolici elementari Ki (i =1, 2..., m), i quali hanno per base ancora gl'intervalli parziali 2δi, e sono terminati da archi di parabola, con l'asse parallelo all'asse y, iscritti negli archetti si corrispondenti. E considerazioni analoghe conducono ad altre formule ancora più approssimate. Tutte queste formule dànno il modo di approssimare l'integrale dato
in maniera largamente sufficiente per le applicazioni.
c) Risultati meno precisi si hanno per la derivazione approssimata. Anche per questa si ammette che, se della funzione f (x) si ha, in un intervallo (a b), una rappresentazione approssimata g (x), la derivata g′ (x) di questa dà una rappresentazione approssimata della derivata f′ (x) della f (x); ma non si può, in generale, assegnare un limite superiore dell'errore che così si commette; né il principio da cui si parte ha una giustificazione sufficiente. L'esperienza conferma però la bontà di questi procedimenti.
Altre formule di derivazione approssimata si hanno dalla definizione e dal significato geometrico della derivata. La derivata f′ (x) della f (x), per un valore x della variabile, è il limite, per h tendente a zero, del rapporto incrementale
della funzione f (x) relativo al punto x che si considera; è chiaro quindi che questo rapporto incrementale, quando h sia sufficientemente piccolo, dà un valore approssimato della f′ (x), con un'approssimazione che può farsi grande a piacere. Si supponga, ad es., che la f (x) sia data solo per i valori a = x0, x1,..., x--1, xn = b della variabile; come valore approssimato della derivata nel punto xi, potremo prendere, in particolare, uno qualunque dei due rapporti incrementali, sinistro e destro
Se poi la funzione f (x) è data graficamente, ricordiamo che la f′ (x) dà il coefficiente angolare (o la pendenza) della tangente nel punto P ⊄ (x, y) alla linea y = f (x); costruendo quindi graficarnente la tangente in P alla linea stessa, dalla pendenza di questa tangente, misurata dìrettamente, avremo un valore approssimato della derivata f′ (x). Potremo anche considerare una secante P′ P″, essendo P′, P″ due punti della linea y = f (x) molto vicini al punto P; la pendenza della secante P′ P″ ci darà ancora un valore approssimato della derivata f′ (x) per il valore x della variabile; in particolare se è P ⊄ Pi, i coefficienti angolari delle due secanti Pi, Pi-1, Pi Pi+1 riportano ai valori, sopra indicati,
Bibl.: A. A. Markoff, Differenzenrechnung, Lipsia 1896; J. Lüroth, Vorlesungen über numerisches Rechnen, Lipsia 1900; G. Peano, Approssimazioni numeriche, in Atti R. Accademia delle Scienze di Torino, 1916-17; E. Maccaferri, Calcolo numerico approssimato, Milano 1919; Runge e König, Numerisches Rechnen, Berlino 1924; Whittaker e Robinson, Calculus of observations, Londra 1924; G. Cassinis, Calcoli numerici, grafici e meccanici, Pisa 1927. Per larghe notizie storiche sull'argomento si veda: U. Cassina, Calcolo numerico, Bologna 1928.