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Apprendimento permanente

di Silvia Ciucciovino - Il Libro dell'anno del Diritto 2016
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Apprendimento permanente

Silvia Ciucciovino

Il contributo esamina le disposizioni della l. 28.6.2012, n. 92 in materia di apprendimento permanente, mettendone in evidenza gli aspetti più significativi e innovativi rispetto al quadro legislativo previgente. Si sofferma sui principali profili problematici della validazione degli apprendimenti, specialmente di quelli acquisiti in ambito lavorativo, dovuti alle ambiguità del dato normativo ma anche alla oggettiva difficoltà di pervenire alla individuazione di standard professionali condivisi che costituiscano il perno di un processo diffuso di validazione e certificazione delle competenze.

La ricognizione

Da tempo ormai a livello europeo e interno1 è condivisa l’idea che l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita contribuisca alla piena realizzazione dell’individuo nella dimensione sociale e lavorativa e alla crescita occupazionale nella moderna società della conoscenza.

Erano dunque maturi i tempi per un intervento compiuto del legislatore nazionale in materia. Nel nostro ordinamento il richiamo lessicale all’apprendimento permanente ha fatto la sua comparsa in tempi relativamente recenti2, mentre più comune e risalente è quello alla formazione continua. Rispetto al termine formazione, che rimanda al processo di trasferimento intenzionale di conoscenze, l’apprendimento guarda al risultato, cioè alle competenze comunque acquisite, in ambito tanto formativo quanto lavorativo.

Con l’art. 4, co. 51 e ss., l. 28.6.2012, n. 92 il legislatore raccoglie i risultati di un fitto lavoro preparatorio avviato negli ultimi anni a livello istituzionale, soprattutto in sede di Conferenza permanente3, rivolto alla promozione dell’apprendimento per competenze e alla costruzione di un sistema compiuto di validazione e certificazione delle stesse.

La focalizzazione. Tipologia e validazione dell’apprendimento permanente

L’art. 4, co. 51 e ss., detta una prima regolazione dell’apprendimento permanente in una prospettiva di tutela e promozione del patrimonio professionale e culturale dell’individuo lavoratore. Introduce una precisa definizione legale di apprendimento permanente e della relativa tipologia – formale, informale e non formale – di cui invero si avvertiva il bisogno, trattandosi di un termine in uso con significati diversi in molteplici ambiti disciplinari4.

L’approccio per competenze ed il riconoscimento del pluralismo delle sedi e dei processi di apprendimento costituiscono una novità per un sistema legislativo, come il nostro, abituato a privilegiare l’apprendimento maturato in ambito formativo, piuttosto che in ambito lavorativo. Ne esce rivalutata l’esperienza di lavoro come fonte di apprendimento e «parte essenziale del percorso educativo, formativo e professionale della persona» (co. 58, lett. c): un passo avanti verso il superamento della tradizionale visione dicotomica della formazione e del lavoro come ambiti distinti e integrabili soltanto a determinate condizioni. Molti, però, sono i dubbi che le nuove norme lasciano irrisolti riguardo alla validazione/certificazione delle competenze acquisite, specie in ambito lavorativo, su cui si tornerà in seguito (infra, § 3).

In effetti il cuore delle nuove regole sull’apprendimento permanente è rappresentato dalla costruzione di un sistema organico di validazione degli apprendimenti, di cui l’art. 4, co. 58, si limita a disegnare l’architettura, rinviandone la piena attuazione a provvedimenti successivi del Governo d’intesa con la Conferenza unificata e sentite le parti sociali5. Tale sistema è strettamente funzionale ed integrato con quello pubblico nazionale di certificazione delle competenze, disciplinato nei suoi elementi e principi essenziali dai co. 64-68 dello stesso art. 4.

I profili problematici

La nuova disciplina sull’apprendimento permanente non si presta ad una valutazione univoca, in quanto presenta allo stesso tempo luci e ombre.

Apprezzabile è l’idea di base della valorizzazione delle competenze comunque acquisite dagli individui6, attraverso l’adozione di norme di organizzazione e funzionamento di un sistema di riconoscimento ad ampio raggio e messa in trasparenza delle competenze. Sotto questo profilo le nuove norme non ambiscono a superare sul piano contenutistico i limiti attuali della formazione professionale degli adulti7, né ad innovarne le discipline sostanziali, ma appunto si situano ad un  livello procedimentale-organizzativo.

Da valutare positivamente è anche la visione policentrica delle sedi di apprendimento che apre, almeno a livello teorico, la strada ad una visione circolare e integrata dell’istruzione, della formazione e del lavoro. Si punta alla ricomposizione delle competenze maturate dall’individuo senza scandire obblighi o tempi necessari di formazione o apprendimento. Sembra quindi piuttosto chiara l’intenzione del legislatore di agire non sui processi, bensì sugli esiti (learning outcomes) in termini di acquisizione di competenze8. Una prospettiva, questa, che peraltro potrebbe sortire qualche effetto positivo su un piano più generale, in termini di valorizzazione dei risultati e della qualità dei processi formativi, spesso trascurati rispetto alla verifica soltanto formale dei processi.

Positivo, poi, appare l’accentramento a livello nazionale delle regole di funzionamento del sistema di validazione e certificazione delle competenze9, perché soltanto la fissazione di norme generali e uniformi crea le premesse per quella trasparenza, portabilità e spendibilità delle competenze, anche in ambito europeo, che dopotutto costituisce l’obiettivo finale perseguito dal legislatore.

Molte sono, tuttavia, le ombre che avvolgono le nuove norme, a cominciare dalla nozione di apprendimento formale e non formale che il legislatore detta discostandosi significativamente dalle analoghe nozioni rinvenibili nei documenti europei10 e ampiamente adottate anche a livello interno nei documenti anticipatori delle nuove disposizioni11. Mentre queste ultime considerano indifferentemente i contesti educativi, formativi e lavorativi sedi idonee a maturare l’apprendimento formale12, l’art. 4, co. 52 e 53, non identifica chiaramente l’ambito lavorativo quale sede dell’apprendimento formale, se non per ciò che riguarda l’apprendistato. Peraltro, anche rispetto alla collocazione di quest’ultimo nella sfera dell’apprendimento formale il dato normativo presenta delle ambiguità13.

Stupisce inoltre la mancanza di qualsiasi forma di coordinamento delle norme generali sulla validazione e certificazione delle competenze con quelle dettate dal d.lgs. 14.9.2011, n. 167 per la certificazione delle competenze acquisite in apprendistato.

I profili più problematici delle nuove disposizioni riguardano comunque il tema, invero nodale, della identificazione degli standard formativi e professionali cui correlare formalmente le competenze, al fine del riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali. Si tratta di verificare, innanzitutto, se le nuove norme saranno in grado di superare la disomogeneità dei sistemi di referenziazione delle competenze adottati in ciascuna filiera formativa (apprendistato, cataloghi regionali delle qualifiche regionali, istruzione e formazione professionale, ecc.)14.

In secondo luogo occorrerà affrontare l’aspetto attualmente più critico, cioè quello della validazione e certificazione degli apprendimenti in ambito lavorativo. Tale processo presuppone la definizione di standard professionali, che è operazione ancora più complessa della definizione di quelli formativi15. Gli standard professionali dovrebbero essere correlati alle declaratorie contrattuali, ma anche declinabili in nuclei di competenze rispondenti a meccanismi di referenziazione ampiamente condivisi in modo da facilitare, attraverso la comparabilità delle unità di competenza, le transizioni lavorative tra settori e tra percorsi formativi e percorsi lavorativi. Si chiede, quindi, ai contratti collettivi di compiere uno sforzo non indifferente di adeguamento a nuove logiche di descrizione dei contenuti delle professionalità, con il rischio però di eccessivi irrigidimenti dei sistemi di classificazione professionale16, tradizionale appannaggio dell’autonomia collettiva.

Note

1 Per una ricognizione dello stato dell’arte ante riforma cfr. Antonazzo, R.-Lancellotti, R.-Pappadà, G., a cura di, La referenziazione dei sistemi nazionali delle qualifiche all’EQF e lo strumento ECVET, in Quad. econ. lav., 2010, n. 93; Bulgarelli, A., Verso una strategia di lifelong learning: stato dell’arte ed evoluzione delle politiche di formazione continua in Italia, in Dir. rel. ind., 2004, I, 3 ss.

2 Art. 2 l. 28.3.2003, n. 53.

3 Particolarmente significativo in materia è stato l’Accordo in Conferenza permanente 17.2.2010, Linee guida per la formazione nel 2010, in www.lavoro.gov.it.

4 C’è però chi ha giudicato superflua la definizione legale: v., ad esempio, Sestito, P., La Riforma Fornero tra aspettative e contratti: alcune osservazioni generali e alcune questioni connesse con la valorizzazione del capitale umano, in Magnani, M.-Tiraboschi, M., a cura di, La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012, 54.

5 La logica cooperativa eviterà, forse, il riproporsi in questo campo delle conflittualità che hanno segnato negli ultimi anni il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di formazione.

6 Per la lettura del significato complessivo delle nuove norme nel segno della valorizzazione del capitale umano Sestito, P., La riforma, cit., 51. Sul tema v. anche più in generale Cipollone, P.-Sestito, P., Il capitale umano, Bologna, 2012.

7 Per una efficace sintesi Colasanto, M., L’anello debole: l’apprendimento continuo, in Dell’Aringa, C.-Treu, T., a cura di, Le riforme che mancano, Bologna, 2009, 129 ss.

8 Dubitativo invece al riguardo Sestito, P., La riforma, cit., 55.

9 Per una critica dell’impostazione centralistica delle nuove norme cfr. invece Bertagna, C.-Casano, L.-Tiraboschi, M., Apprendimento, cit., 324; Sestito, P., La riforma, cit., 54 ss.

10 Cfr. Cedefop, European Guidelines for validating non formal and informal learning, 2009, su cui cfr. Perulli, E., Trasparenza e certificazione di qualifiche e competenze: esperienze nazionali e prospettive europee, in Antonazzo, R.-Lancellotti, R.-Pappadà, G., a cura di, La referenziazione, cit., 13 ss.

11 Cfr. l’Accordo in Conferenza Permanente 19.4.2012 sulla certificazione delle competenze acquisite in apprendistato, in www.governo.it.

12 Il cui elemento caratterizzante, atto a distinguerlo anche dall’apprendimento non formale, consiste nell’essere progettato come tale in termini di obiettivi, tempi e risorse.

13 Cfr. i dubbi di Bertagna, C.-Casano, L.-Tiraboschi, M., Apprendimento, cit., 394.

14 Cfr. XII° Rapporto Isfol sulla formazione continua, Annualità 2010-2011, in www.lavoro.gov.it.

15 Su cui v. l’Accordo in Conferenza permanente 27.7.2011, in www.lavoro.gov.it.

16 Sestito, P., La riforma, cit., 51.

Vedi anche
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Indice
  • 1 La ricognizione
  • 2 La focalizzazione. Tipologia e validazione dell’apprendimento permanente
  • 3 I profili problematici
  • 4 Note
Categorie
  • DIRITTO DEL LAVORO in Diritto
Vocabolario
apprendiménto
apprendimento apprendiménto s. m. [der. di apprendere]. – Atto dell’apprendere, dell’acquistar cognizione: a. di un’arte; l’a. delle matematiche. Con sign. più ampio, in psicopedagogia, processo di acquisizione di nuovi modelli di comportamento,...
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