apprendere
Nel senso originario di " afferrare ", " stringere ", è attestato solo nella forma intransitiva pronominale, e vale " attaccarsi " (cfr. Chiaro Allegrosi cantari 42), in Cv IV XXIV 14 sì come, nato, tosto lo figlio a la tetta de la madre s'apprende, e Fiore CCXXV 9 Immantenente il fuoco sì s'apprese (in contesto metaforico); m'appresi è var. in If XXXIV 107. Vale piuttosto " legarsi " o " seguire ", in Rime dubbie XXIV 10 Ond'io non saccio, d'ogni virtù sire, / a qual m'apprenda e deggia dar lo core, e in Detto 117 ed a me non t'apprendi (cfr. Cv IV VI 16).
Transitivo, per " sorprendere " (ma " trovare ", " riconoscere ", Casini) in Pg XIV 133, da Gen. 4, 14 " omnis igitur, qui invenerit me, occidet me ".
Con valore traslato, favorito dai complementi naturalistici delle teoriche stilnovistiche, significa il trasferirsi di una potenza o valore in una materia degna di riceverla, come, restando nel mondo fisico, in Rime XC 3 che là s'apprende più lo suo valore [dello splendore del sole] / dove più nobiltà suo raggio trova (che è paragone inteso a significare come l'amore agisca sul cuore), e quindi in If V 100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende (Bonagiunta Avegna che 18 " Meo foco non alluma, / ma quanto più ci afanno men s'apprende "; Guinizzelli Al cor gentil 21 " Foco d'amore in gentil cor s'apprende / come vertute in petra preziosa "; si ricordi inoltre il sonetto Amore e 'l cor gentil, di Vn XX).
Nel senso di " prendere ", " afferrare " con i sensi o l'intelletto, significa l'atto della conoscenza nei suoi gradi e sfumature: così vale " ascoltare ", in Fiore XIV 4 ché non potresti apprender miglior salmi, e Detto 118 e 'l mi' sermone apprendi. Alla facoltà apprensiva del senso e dell'intelletto si riferisce nelle due attestazioni di Cv I XI 3 come la parte sensitiva de l'anima ha suoi occhi, con li quali apprende la differenza de le cose in quanto elle sono di fuori colorate, così la parte razionale ha suo occhio, con lo quale apprende la differenza de le cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate. Con siffatto riferimento alla ricezione che è nell'atto conoscitivo, è attestato ancora in Cv II XII 8 né li uditori erano tanto bene disposti, che avessero sì leggiere le [non] fittizie parole apprese, in Pg XVI 23 Ed elli a me: " Tu vero apprendi, / e d'iracundia [questi spiriti] van solvendo il nodo ", in Pd IV 41 da sensato apprende / ciò che fa poscia d'intelletto degno, e infine in XI 21. Significa invece il conoscere come facoltà di acquisizione, in Cv III XV 10 quella sapienza che la natura di ciascuno può apprendere.
Significa " prendere conoscenza ", " conoscere ", in Pg XVII 127 Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l'animo, e in XXIX 50, Pd V 5 e 6 ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, / così nel bene appreso move il piede: lo sguardo fiammeggiante di Beatrice abbaglia gli occhi di D. perché alla perfezione con cui ella conosce il sommo Bene corrisponde il suo accendersi di amore e luce. Con il medesimo significato è ancora attestato in Pd III 95, XIX 30, XX 92 Fai come quei che la cosa per nome / apprende ben, ma la sua quiditate / veder non può. Vale piuttosto " venire a conoscenza ", " aver notizia ", in Pd XVII 116 ho io appreso quel che s'io ridico, / a molti fia sapor di forte agrume.
Altro grado della conoscenza è " imparare ", come in If X 51 ma i vostri non appreser ben quell'arte, che si ripete al v. 77; così in Cv I XI 15 non è sanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua strana, e II XIV 15 (due volte). Il senso di " imparare " in senso assoluto, ovvero " sapere ", è attestato in Cv IV XII 11 " Se l'uno de li piedi avesse nel sepulcro, apprendere vorrei " (sulla provenienza di questa sentenza che D. ascrive a Seneca " o tratto in errore da qualche testo che le dava tal paternità, o ricordando d'aver letto qualche cosa di simile in Seneca ", si veda Busnelli-Vandelli, ad l.).
Col valore di " ammaestrare ", attestato nell'italiano antico, al participio: If XVIII 60 tante lingue non son ora apprese a / dicer ‛ ripa '.