APPIANO (Αππιανός, Appiànus)
Storico greco, nato in Alessandria sotto l'impero di Traiano, se non prima, giacché ricorda la distruzione del tempio di Nemesi eretto da Cesare ad Alessandria per l'uccisione di Pompeo, demolito dai Giudei nel 116 nella ribellione contro Traiano. Recatosi a Roma, al tempo di Adriano, ebbe la cittadinanza romana, e sotto Marco Aurelio e Lucio Vero ebbe l'ufficio di avvocato del fisco. Nella sua vecchiaia concepì un disegno abbastanza vasto di una storia di Roma secondo il criterio etnografico; storia della quale ci sono conservati estratti notevoli, oltre a una sezione, quella concernente le guerre civili, pervenutaci intera, tranne l'ultima parte, che riguarda gli avvenimenti posteriori alla prigionia e alla morte di Sesto Pompeo. Quantunque la narrazione di questi ultimi avvenimenti faccia l'impressione di un epilogo, tuttavia non c'è dubbio che Appiano abbia condotta la narrazione sino alla catastrofe finale di Antonio e di Cleopatra, poiché lo dichiara esplicitamente nel proemio. L'economia dell'opera storica di Appiano ci è da lui stesso esposta alla fine del proemio, e ne riassumiamo il contenuto, valendoci talvolta delle sue stesse parole. Il primo libro narra le gesta dei sette re, e perciò è intitolato Βασιλική (epoca regia); il secondo contiene il periodo della conquista sino al cozzo con le genti sabelliche, ed è intitolato 'Ιταλική (storia italica); il terzo libro comprende il periodo delle guerre sannitiche e la conquista degli altri popoli ad essi alleati, nonché delle città greche d'Italia. Gli altri libri sono intitolati secondo il loro contenuto: Κελτική, cioè la storia delle relazioni tra Roma e i popoli della Gallia, nel lungo periodo tra le invasioni dei Celti in Italia e la conquista della Gallia operata da Giulio Cesare; Σεικελική, in cui manca uno sguardo retrospettivo dalle origini in poi, che forse è andato perduto, e in cui molto doveva essere sviluppata la narrazione della prima guerra punica e la ribellione di Siracusa sotto Ieronimo, nepote di Ierone; 'Ιβηρική, cioè la storia della Spagna dalle origini fino alla conquista romana; 'Αννιβαϊκή, l'impresa di Annibale sino al suo ritorno a Cartagine, richiamato per l'invasione di Scipione; Λιβυκή, dalle origini di Cartagine sino alla sua distruzione; Νομαδική, la guerra combattuta dai Romani contro Giugurta; Μακεδονική, le guerre dei Romani con Filippo di Macedonia e gli avvenimenti che seguirono fino alla totale distruzione del regno di Macedonia; 'Ιλλυρική, dalle origini dei popoli illirici sino alla definitiva conquista romana delle popolazioni illiriche dalmate e tracie, e specialmente la spedizione contro i Mesi e Traci, ribelli, operata da Tiberio (19-26 a. C.); Συριακή, dalla guerra antiochena sino alla conquista di Pompeo, ove forse non mancava qualche cenno dell'origine del popolo siriaco; Μιϑριδάτειος, lo sviluppo del regno del Ponto a danno delle altre monarchie dell'Asia Minore sino alla spedizione di Cesare contro Farnace.
La parte dell'opera di Appiano che ci è rimasta quasi integralmente, è divisa in cinque libri: nel primo vengono esposti gli avvenimenti compresi dal movimento graccano sino al primo consolato di Pompeo e di Crasso (70 d. C.); il secondo contiene tutta la narrazione del periodo che va dal consolato di Crasso e Pompeo sino all'uccisione di Cesare (44); il terzo narra gli avvenimenti sino alla fine della guerra di Modena e sino alla morte di Decimo Bruto (43); il quarto giunge alla battaglia di Filippi (42); del quinto, come abbiamo visto, non ci è conservato altro che la prima parte, che termina con la prigionia e la morte di Sesto Pompeo. Non è impossibile che il libro quinto sia compiuto e che gli avvenimenti relativi al conflitto fra Ottaviano e Antonio fossero narrati, a parte, in un sesto.
A quest'opera storica, dalla quale s'intravvede chiaro il disegno di terminarla col ristabilimento della pace e col principio effettivo dell'Impero, vanno aggiunti altri scritti minori. L' ‛Εκατονταετεία (il Centennio) comprendeva tutte le conquiste fatte nella regione danubiana dagl'imperatori fino a Traiano; la Δακική, più particolareggiatamente, le gesta di Traiano nella Dacia; l' 'Αράβιος, le gesta di Traiano in Oriente. Queste opere minori, insieme con la storia romana, formavano un corpo di ventiquattro libri, e di questa serie, conosciuta ancora dal patriarca Fozio, si trovano spesso citizioni negli antichi.
Le fonti di Appiano sono in gran parte romane, essendo egli pratico della lingua latina; ma, per quel che conosciamo delle guerre puniche, se Polibio non è stato la fonte diretta, la tradizione polibiana vi è in qualche modo penetrata. Per il movimento graccano Appiano è fonte preziosa, se pure l'uso della parola "Italioti", al tempo suo, può aver generato qualche confusione tra gl'"Italici" e i "cittadini romani" sparsi in Italia. Tuttavia questa può essere l'eccezione, poiché il senso generale di "Italioti" in Appiano è quello di "Italici federati". Per le guerre civili cita più di una volta Asinio Pollione, ed è probabile che questi sia stato una delle sue fonti principali. Come scrittore, incorre spesso in qualche negligenza; tuttavia la sua esposizione è piana e ordinata, nella lingua chiamata κοινή, cioè comune o, meglio, convenzionale. Nella disposizione della materia non segue l'ordine annalistico, ma raggruppa gli avvenimenti intorno a certe idee centrali, come l'etnografia, o con una certa concatenazione ideale. Specialmente pel naufragio dell'opera liviana, le storie di Appiano sono una fonte cospicua, e sarebbe stata una vera fortuna se invece di estratti frammentarî ci fosse conservata l'opera intera, nonostante le alterazioni e gli errori di cui è spesso inquinata la narrazione. Egli è un compilatore sul genere di Dione Cassio, e, come questi, non è destituito di senso politico, poiché, se riproduce il contenuto delle fonti, non manca di valutarle in modo personale, e cerca di rielaborare la materia, essendo ben lontano dalla meccanica trivialità di un Diodoro Siculo, che giunge a far morire due volte il medesimo personaggio. Il suo sistema di narrazione, emancipato dall'ordine annalistico, ha certo notevoli vantaggi, seppure presenta l'inconveniente di qualche ripetizione, poiché così la rappresentazione di un'epoca e delle vicende d'un popolo è più animata e più viva e rende possibile uno sguardo sinottico sulla trama degli avvenimenti.
Di edizioni, oltre quella di L. Mendelssohn (Lipsia 1878-1881), è da citare quella di P. Viereck (Bell. civ., Lipsia 1905).
Fonti: Per l'epoca della nascita: Appiano, Bell. civ., II, 90; Frontino, Epist. ad Antoninum, 9. Per la sua professione in Roma, prefaz., 15. Per la Storia dei Cento anni, Illyr., 30; per la storia dei Parti, Syriaca, 5 I; Bell. civ., II, 18; XV, 65; circa la provenienza da Asinio Pollione, v. Bell. civ., II, 40, 46, 82.
Bibl.: Per l'unità di tutta l'opera storica divisa in ventiquattro libri, v. Mendelssohn nella prefazione all'edizione di Lipsia. Per le fonti di Appiano e la letteratura relativa v. le notizie contenute nell'articolo dello Schwartz, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, p. 226. Circa l'importanza di Appiano per la storia della questione agraria in Roma, v. B. Niese, in Hermes, XXIII, 140; contro di lui G. Cardinali, Studi Graccani, Genova 1912; v. ancora E. Meyer, Untersuchungen zur Gracchenzeit, in Kleine Schriften, I, Halle 1910, p. 381 segg.; E. Kornemann, Zur Geschichte der Gracchenzeit, Lipsia 1903; id., Velleius' Dartstellung der Gracchenzeit, in Klio, IX (1909), p. 378 segg.; E. Groag, Beiträge zur Geschichte des zweiten Triumvirat, in Klio, XIV (1914), p. 45, n. 3; id., Die unmittelbare Vorlage von Appians Emphylia, in Klio, XVII (1920), p. 33 segg.; Kontchalovsky, Recherches sur l'histoire du mouvement agraire des Gracques, in Revue Historique, CLIII (1926), p. 81 segg.; J. Carcopino, Autour des Gracques, Parigi 1928, cap. I, La valeur historique d'Appien; W. Englin, Appian und die Liviustradition zum ersten Bürgerkrieg, in Klio, XXII, p. 415 segg.